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Autore: SakiJune    25/11/2010    2 recensioni
In "Fly Little Wagtail" avevamo lasciato Clarissant risvegliata ad una nuova vita e ad un nuovo amore. Qui ritroveremo Bedivere, Lucan, Amren ed Eneuawc; conosceremo Elyan e quel bacchettone di suo padre Bors, Garanwyn e le sue canzoni. E con i loro occhi vedremo il mondo disfarsi, la gloria farsi vergogna, la realtà vacillare."Guardando i propri figli inginocchiati davanti al re, mentre pronunciavano il loro giuramento, Bors e Bedivere sorridevano. Ma non confondete, ecco, questi due sorrisi, badate. L'uno significava dominio, orgoglio, sollievo; l'altro tenerezza, partecipazione, amore."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedivere
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Itonje reloaded'
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Qualcuno potrebbe chiedersi perché questo figlio di... cuoca compaia soltanto adesso. È vero, ci sono state altre occasioni di presentarlo, ma la ragione è semplicemente che... prima non esisteva. È spuntato fuori così. Il nome Conn è fregato dalle Nebbie, era un nipotino di Uriens se ben ricordo. Ci sono parecchi passaggi che necessiterebbero di note a parte, ma sono troppo stanca per rileggere.
Ho ficcato troppa religione tra le righe.
E troppe scene stile Desperate Housewives (L'infanzia di Amren è copiata spudoratamente dall'episodio "E se..." della sesta stagione).



Quattro giorni dopo l'incidente, Garanwyn aveva un prurito terribile. La fasciatura era troppo stretta, ma lui sopportava in silenzio: già una volta la moglie del siniscalco (che lo conosceva da quando aveva nove anni, e aveva vaghe pretese materne) l'aveva scoperto ad allentarla e gli aveva strillato nelle orecchie fino a rintronarlo, perciò ora se ne stava buono a guardare il maestro che finalmente si accingeva ad aggiustare la corda dell'arpa.
- Come tu sia riuscito a farla saltare, poi, non lo so. Sono robuste, queste, mica roba da fanciulline - grugnì il vecchio, alludendo al non proprio aitante fisico del ragazzo. Poteva ben permettersi di scherzare, lui, che gli aveva insegnato l'arte; e d'altronde Garanwyn lo permetteva a quasi tutti. Non era mai stato un musone e l'autoironia era forse la sua dote più spiccata. E poi perché mai prendersela per una battuta, quando a Camelot aveva subito ben altre umiliazioni e altri tormenti? - Era un regalo di pace del re d'Irlanda. Se non ti fossi fatto male, il re ti avrebbe dato una sculacciata, altro che consolarti!
- Sono desolato. Si è rotta all'improvviso ed è quasi passata da parte a parte... credo di essere svenuto quando ho sentito dolore e ho visto il sangue. Mi sembrava...
No, non poteva dire cosa gli era sembrato di vedere. Dove aveva creduto di essere. Cosa credeva fosse successo quel giorno maledetto. Semplicemente lo allontanava da sé, quel pensiero, perché il suo cuore non poteva contenere, senza andare in frantumi, un'immagine tanto atroce. E tuttavia non aveva dimenticato del tutto quella sensazione che l'aveva attraversato quando la corda si era spezzata, o le parole della canzone -

Calpestati in eterno
noi fragili fiori
svanisce il profumo e la speranza

ed era stato così, era davvero così, ogni speranza di rivedere il suo amato era crollata di colpo. Ma la certezza venne più tardi, in groppa ai messaggeri venuti dal sud per annunciare la perdita dell'intero esercito nella battaglia di Camlann. Lo seppe in quel modo, e non v'erano unguenti che potessero sanare una ferita del genere.
Non v'era più nessuno da attendere, né in quel castello né altrove. Nessuno sarebbe tornato.
Re Arthur Pendragon, il più grande dei sovrani, e che tuttavia non era mai stato chiamato a servire,
Sir Lucan, colui che con poche sagge parole l'aveva spinto ad amare suo padre,
Sir Brian, il forte e scanzonato capitano dell'esercito di Estangore...
ed implicitamente lui, di cui non aveva più il coraggio di pronunciare il nome nemmeno nei sogni.
Non immaginava perché e per mano di chi era accaduto, ma ormai sapeva come e quando. Sapeva che era stata una lama sottilissima a spegnere quegli occhi adorati ed un cuore spietato a guidarla, e avrebbe voluto guardare in faccia la bestia che gli aveva portato via l'unico bene della sua vita, ma era impotente quanto un cavallo sgarrettato.
Brandegoris avrebbe potuto, ad ogni buon conto, rimproverargli il massacro dei suoi uomini, ma non lo fece mai. Era stata una decisione soltanto sua. Era rassegnato ad essere rimasto, nei fatti, l'ultimo della sua stirpe, e che il regno di Estangore non significava più nulla; se ne era reso conto il giorno in cui Sir Bors gli aveva portato via Elyan, imponendogli un nome ed un'eredità differenti. Non gli faceva più effetto guardare il mondo crollare, non più di quanto fosse indispettito nel sentirsi morire a poco a poco. Aveva usato quanto restava del suo potere per legare a sé Garanwyn, e sperò che gli sarebbe rimasto accanto fino alla fine. Così avvenne: ed egli lo ripagò, negli ultimi istanti, chiamando una Forza più grande a vegliare su di lui.



Come tutti i cavalieri di questo mondo, Sir Bedivere aveva avuto, nel tempo, un certo numero di scudieri al suo servizio. Quando era tornato a Lindsey per radunare i soldati da condurre in Francia ne era sguarnito, così aveva deciso di portare con sé un ragazzino della sua famiglia, che forse era un po' troppo giovane, ma di cui si fidava ciecamente. Si chiamava Conn, ed era un figlio bastardo di Sir Griflet; ed era una creaturina risoluta e curiosa quanto basta a superare in fretta la nostalgia di casa. Che poi, sarebbe stato arduo soffrire a lungo la mancanza delle sorellastre, che non perdevano occasione per strapazzarlo e ridere di lui.
Così aveva trattenuto il fiato alla vista delle schiere di soldati pronte a salire su navi che gli parevano immense; aveva conosciuto soldati e cavalieri e servi e prostitute e aveva fatto amicizia con gli altri scudieri. Ascoltava tutto, notava tutto e ne faceva tesoro, senza chiedere né attirare attenzioni. In questo modo, i mesi dell'assedio e le battaglie a cui aveva assistito avevano maturato il suo animo quasi senza che se ne avvedesse lui stesso, né gli altri. Soprattutto perché fu costretto a vedere e udire più di quanto avrebbe voluto. Ah, la morte, sempre la morte, e il tradimento, e l'agonia! Così era il mondo lontano dalle rassicuranti mura del castello di Lincoln - mai prima aveva compreso quanto là fosse al sicuro, e non prigioniero come credeva - e non gli piaceva, non gli piaceva affatto...
Ora, Conn attendeva paziente che il suo signore si risolvesse a partire. Non aveva alcun dubbio che, prima o poi, l'avrebbe guardato negli occhi e riconosciuto; che nonostante la sofferenza, la disperazione, lo smarrimento si sarebbero diretti insieme verso casa. Ne era sicuro perché sapeva quanto amasse sua moglie e sua figlia, ch'erano tutto ciò che gli restava al mondo. Ma non accadde. Quando Sir Bedivere distolse finalmente gli occhi dall'orizzonte dov'era scomparsa la barca, non gli rivolse la parola. Non diede segno di volerlo portare con sé, e tantomeno - questo lo fece rabbrividire - prese la strada di Lindsey, ma scomparve galoppando nel folto degli alberi. Il ragazzino corse per un buon tratto addentrandosi nella foresta, chiamandolo, ma presto la debolezza si fece sentire e non riuscì a proseguire. Si addormentò sotto un albero e fu per caso se nessuna belva lo aggredì durante la notte. Al risveglio, però, grato di essere ancora vivo e deciso a rimanerlo ancora per molto tempo, tornò sui suoi passi fin quasi alla Piana, e lì s'imbatté in un buon numero di soldati, sani e ben nutriti, guidati da un cavaliere che si lamentava ad alta voce.
- Ahimé, perdono, mio sovrano! Quando vi abbandonai, non credevo di lasciarvi a questo destino! Sono stato egoista, e nulla potrà ridarmi l'onore; avrei fatto meglio a perdere la mia terra, e non il mio re! - Il cavaliere ripeteva queste parole con accenti sinceri e accorati, battendosi il petto e sospirando. Ma quando s'avvide che il ragazzino lo guardava, s'arrestò e gli chiese come si chiamasse.
- Il mio nome è Conn, e sono lo scudiero di Sir Bedivere, che la misericordia di Dio ha preservato in vita in questa catastrofe, ma che non ha voluto portarmi con sé dovunque si sia diretto...
- E dove si è diretto, sai dirmelo? - chiese gentilmente il cavaliere.
Conn indicò la foresta e la strada che l'attraversava.
- Quella è la via per Glastonbury, ragazzo, e se il nobile duca è giunto al monastero, egli è al sicuro. Ah! Uno soltanto dei miei eroici pari di Britannia è scampato a questa tragedia, e tutto il resto è andato in pezzi! - Riprese a lamentarsi, e avrebbe continuato ancora a lungo se Conn non gli avesse rivolto il seguente discorso:
- Signore, so chi siete, e quale fu la decisione che ora rimpiangete: non v'è modo di tornare indietro. Ma siete pur qui, Sir Constantine, e potete aiutare me!
L'ardire del giovane risvegliò l'orgoglio nel cuore del figlio di Cador, che lo invitò a proseguire.
- Devo in qualsiasi modo raggiungere Sir Bedivere, per sapere se è davvero al monastero di Glastonbury, e quanto gravi sono le sue ferite; e forse anche voi desiderate parlargli, dimostrargli che non intendevate abbandonare re Arthur!
Non c'era nessuno motivo perché Sir Constantine dovesse sentirsi sollevato solo perché uno scudiero dimostrava di non giudicare severamente le sue azioni, eppure sentì quelle parole come un balsamo sulla sua coscienza.
- Ti accompagnerò senza indugi. - E si volse verso i suoi uomini per impartire gli ordini: essi dovevano fare piazza pulita degli sciacalli che senz'alcun rispetto derubavano i cadaveri, ed attendere Sir Lancelot che sarebbe certo giunto di lì a poco con i suoi compagni. Ma alzando lo sguardo, notò il padiglione ancora intatto sulla collina. - È dunque lassù che s'incontrarono il re ed il traditore? Che cosa non funzionò? Cosa accadde davvero?
Conn sospirò e non rispose. Sir Constantine lo fece salire in sella, spronò il cavallo e raggiunse la cima dell'altura. Si guardò intorno, senza notare nulla di strano, ma il ragazzino gli indicò un punto. Era una zona priva di erba per un buon tratto e una croce era conficcata nel terreno.
- È iniziato tutto qui, vedete. La serpe! La serpe assassina!
Il cavaliere smontò e si avvicinò al tumulo. - Vi riferite a Sir Mordred? Che cos'è accaduto davvero? - ripeté.
Dal padiglione spuntò una figuretta colma d'acidità e dispetto. Era Rowan, il nano che Kay aveva mandato ad avvisare re Arthur del tradimento di suo figlio e che aveva seguito l'esercito fino ad allora. Gli si piazzò davanti a gambe larghe, apostrofandolo: - Tornate ora, con comodo, nevvero? Vi dirò, il principe sapeva di non poter vincere, era davvero disposto a trattare. Ma il piccolo parla bene, sono state quelle due serpi! Quei suoi ragazzacci, ah! Sono ancora da qualche parte in Britannia, a seminare morte...
Sir Constantine lo fissava sbalordito. - Chi... cosa?
- Parlo di Sir Melehan, il folle, e di suo fratello Melou, il gigante, che l'ha aiutato a fuggire arrivando a minacciare suo padre con la spada.  - Accennò alla tomba improvvisata. - Ancora una volta, la morte di un solo cavaliere ha portato la tragedia su questa terra!
Egli si fece raccontare ogni cosa di cui il nano fosse a conoscenza, e più di una volta durante il racconto crollò in ginocchio singhiozzando. La vergogna che provava verso se stesso era immensa, ma l'odio per i due figli di Mordred cresceva ad ogni nuovo dettaglio dell'accaduto e ben presto superò ogni altro sentimento.
- Vendicherò vostro cugino, Conn. Vendicherò il mio re, e tutti i cavalieri che giacciono sulla piana di Camlann! Nessuno dirà mai più che Constantine di Cornovaglia è un vigliacco, poiché d'ora in poi agirò con coraggio!
Rowan parve soddisfatto e i due si diressero a Glastonbury senz'attardarsi oltre.
Trovarono Sir Bedivere non già al monastero, ma nell'eremo dove il vescovo di Canterbury si era rifugiato in seguito alle minacce del traditore Mordred. Il sant'uomo, che si chiamava Baldwin, li convinse che ulteriori emozioni avrebbero ostacolato la guarigione del duca. Quest'ultimo appariva assai provato, non soltanto dalle gravi ferite; giaceva su un lettuccio, e nel delirio sembrava pregare.
- Al di là delle vostre assidue cure e della protezione divina, vi è una sola persona che possa aiutarlo a tornare in sé - disse Conn al vescovo.
- Non esiste nulla al di fuori della volontà di Dio - replicò Baldwin, ma il suo contegno solenne non intimorì il ragazzino.
- Avete ragione: perciò, se piacerà al Signore, arriverò a Lindsey sano e salvo e potrò informare Lady Clarissant. - Si congedò poi dal cavaliere: - Arrivederci, Sir Constantine, pregate anche voi perché io possa giungere a destinazione.
- Arrivederci, caro ragazzo - sorrise l'erede di Camelot. - E manterrò la mia promessa, dovessi impiegarci mille anni: troverò Sir Melehan e lo ucciderò!
Ma il destino decise poi diversamente.



Immaginate una madre che perda tragicamente un figlio nel fiore degli anni; forse credete che in un'altra epoca il dolore fosse meno vivo, più sopportabile, ma queste sono soltanto supposizioni storiche. Si dice che un tempo i maschi nascessero per diventar soldati e le femmine per andare spose, e con questo? Avete forse mai scrutato in fondo allo sguardo gelido di una donna spartana, mentre porge lo scudo ad un suo caro recitando la formula di rito?

La cuoca del castello di Lincoln, Maryel, era una donna florida e ridanciana, con un debole per i vedovi inconsolabili. Da giovane aveva tentato di accalappiare il capitano delle guardie, che però le aveva riso in faccia; delusa, si era gettata a capofitto nel lavoro, in particolar modo sui dolci. In questo modo aveva inconsapevolmente preso per la gola Sir Griflet - il quale, con due bimbe straviziate a carico, credeva già conclusa la sua vita sentimentale. La passione, se non l'amore, era sbocciata, e presto era giunto il piccolo Conn a scorrazzare per cortili e giardini ficcando il naso dappertutto.
Ora tutti la invidiavano giù al villaggio, perché proprio Conn era stato l'unico a tornare da Camlann; e rimproveravano in segreto la bella castellana, in quanto "non era da nobili versare tante lacrime". Maryel li rimetteva al proprio posto, ricordando che la padrona aveva ben ragione di piangere il suo figliolo: si poteva ben dire che lei e Sir Bedivere l'avevano messo al mondo due volte.
Quando, poco più di vent'anni prima, erano nati i gemelli, c'erano state complicazioni durante il parto. Lady Clarissant aveva sofferto le pene dell'inferno e si disperava per la sorte sua e dei piccoli. La bimba era poi venuta fuori piena di energie, le guance colorite e un ciuffo di capelli rossi, strillando a pieni polmoni. Il maschietto, che invece respirava a fatica, era caduto preda di violente convulsioni che si erano ripetute periodicamente nei suoi primi anni di vita.
Ed erano stati anni ben tristi, durante i quali Eneuawc era stata un poco lasciata da parte. Per sé aveva l'affetto un po' ruvido della sua nutrice e, più avanti, i giochi con le cugine e la passione per la musica. Davvero Clarissant non aveva attenzioni e cure che per Amren, il suo cucciolo così sfortunato. Le crisi, ormai un ricordo, avevano però lasciato un marchio atroce su quella creaturina dagli occhi nerissimi. Parlava a stento e gironzolava tutto il tempo intorno alle gonne di sua madre, e questa situazione durò per un lungo periodo. Ma un giorno Sir Bedivere, tornato dopo molti mesi al castello, considerò il da farsi. Non fu semplice, e sicuramente non poco doloroso, ma la sua fermezza ebbe la meglio sulle ansietà della moglie.
- Ebbene, ha più avuto di quegli attacchi? - aveva chiesto. Alla risposta negativa, si era chinato a parlare con il bambino.
- Ciao, Amren. Ti ricordi di me?
Se l'era ritrovato appeso al collo, la guancia premuta contro la sua, un corpicino tiepido e indifeso che gli fece spuntare le lacrime. Ma aveva stretto le labbra: - Ebbene? Mi offendi, se non ti rivolgi a me con rispetto.
Amren si era voltato verso sua madre ed ella aveva annuito, arrossendo, conscia che le cose dovevano cambiare.
- Da' il benvenuto a tuo padre come merita.
Un farfugliare incomprensibile fu tutto ciò che il piccolo riuscì a tirar fuori, ma Bedivere parve soddisfatto. Più tardi, dopo aver ricevuto ben altri - assordanti - festeggiamenti da Eneuawc e dalle viziatissime figlie di Griflet (Conn non era ancora nato), era rimasto solo con Clarissant.
- Voi sapete quanto vi amo, mia signora, - aveva iniziato a dire - e nulla di ciò che potrà accadere cambierà mai questo sentimento. Ma fino ad ora ho atteso e nulla è mutato. Nostro figlio è in perfetta salute, ora, eppure vi ostinate a trattarlo come se fosse un fragile filo d'erba. Egli è il mio erede, il futuro duca di Lindsey, e un giorno desidero presentarlo a vostro zio con l'orgoglio che si addice ai membri della nostra famiglia. Mi aiuterete? Oppure debbo portarlo con me da subito, lontano da voi e dalle inutili moine della nostra gente?
Nonostante la terribile minaccia, Bedivere non fu capace di mostrarsi severo fino in fondo e finì per rassicurarla, ma quelle parole avevano sortito effetto; Clarissant aveva compreso ch'egli voleva, e a ragione, che i suoi figli crescessero nel migliore nei modi, anche al prezzo di grandi sacrifici. Comprese anche che essere madre non significava soltanto dare e ricevere amore, ma soffrire e causare un poco di sofferenza per un bene più grande.
Da allora, quando aveva bisogno di qualcosa, Amren aveva dovuto sforzarsi di chiederlo ad alta voce, spesso impiegando un paio di minuti per farsi capire. A quindici anni la sua voce era stentorea, il suo portamento fiero, e sebbene sapesse di non essere il giovane più bello di Lindsey, era conscio della propria forza e delle proprie potenzialità. Di lì a poco, tutta la famiglia si sarebbe trasferita a Camelot.
..


Ed eccoci tornati al mio dilemma. Da quando ho iniziato a raccontare questa storia (storie, in verità), più volte ho accennato al dolore che troppo spesso ha incrociato il cammino di Lady Clarissant, ma alle mie capacità esiste un limite ed ho il terrore di oltrepassarlo.
Mi trovo davvero senza parole, la mia penna stride sul foglio e si rifiuta di mettere a nudo la sua anima squarciata dal nero di una tale perdita. Posso percepire il gelo dei muri di pietra colpiti dalle sue mani, seguire di stanza in stanza i cani intimoriti dal contegno insolito della padrona, udire i bisbigli pietosi della servitù e inumidirmi la punta delle dita con le lacrime strofinate sui grembiuli. Ma non posso, non posso dirvi di più.
Sono in grado però di voltare pagina e rivelarvi cosa accadde quando le tenebre lasciarono spazio ad un barlume di ragione; quando cioè, resasi conto che esisteva ancora qualcuno che aveva bisogno di lei, ella decise di continuare a vivere.


   
 
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