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Autore: MeggyElric___    03/12/2010    7 recensioni
Prima fanciction su fullmetal Alchemist ^.^
La mia storia inizia alla fine dell'ultimo episodio di FMA Brotherhood, il numero 64 (capitolo 108 del manga). Quindi, se qualcuno non volesse... ecco... rovinarsi il finale, non dovrebbe leggere questa fanfiction.
DALLA STORIA:
" - Tornerò indietro.
Quelle parole uscirono con difficoltà dalla sua bocca, che si chiuse in una smorfia. Il cuore di Winry ebbe un tuffo. Era già arrivato quel momento, quel momento che temeva tanto. Era arrivato troppo presto.
Non voleva lasciarlo andare, non in quel momento. Era sempre stata innamorata di lui e non riusciva a capacitarsi di non vederlo più. Non voleva che quell’abbraccio fosse il loro ultimo addio.
Forse, però, c’era ancora una speranza. “Tornerò indietro”, aveva detto. Aveva paura a credergli. Aveva paura di rimanere delusa, troppo delusa.
Aveva paura, ma voleva credergli. L’avrebbe aspettato anche tutta la vita, se fosse stato necessario.
Avrebbe atteso il suo ritorno, appoggiata al balcone della finestra.
- Sì.
Disse Winry, quasi senza accorgersene. Edward mosse le labbra, senza dire nulla.
- Fai attenzione. "
comunque sia, spero vi piaccia. E' una storia molto lunga, quindi preparatevi ^.^
se non si fosse capito, è sulla coppia Edward/Winry!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Winry Rockbell
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
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Oh, finalmente sono riuscita ad aggiornare! Scusate davvero tanto, ma sono in occupazione con la scuola e anche se sembra che non si faccia niente e sia solo una perdita di tempo, la giornata in realtà è davvero molto piena! Non ho mai trovato molto tempo per scrivere questo penultimo capitolo – eh già, con il prossimo abbiamo finito! Forse ci sarà anche un piccolo epilogo, non si sa mai! – così stasera mi sono messa di buona lena e ho sfornato questo disastro. Ok, lo ammetto, ne ho scritti di migliori, ma spero lo stesso che vi piaccia.

Per scusarmi del ritardo, comunque, anche questo capitolo 25 sarà molto lungo. A voi commenti e critiche. Buona lettura! J

 

 

25.  A UN SOSPIRO DALLA VERITA’

La profonda quiete della prima mattina primaverile è incredibile. È tutto così silenzioso, in pace con il mondo. Come se il tempo, stanco di percorrere il suo viaggio attraverso i secoli, si fosse preso una piccola pausa, invogliato forse dal tepore del sole, che ogni giorno andava riscaldandosi sempre di più.

Winry mosse piano un braccio, ritrovandolo leggermente intorpidito. Aprì e serrò le dita delle mani un paio di volte, giusto per riacquistare la sensibilità. La realtà che percepì, però, non fu quella che si aspettava.

Sotto il tocco gentile dei suoi polpastrelli, non riuscì ad avvertire il lucido tessuto delle lenzuola, che lei credeva fossero attorcigliate a coprirle le spalle. Allargò il palmo, quasi a voler indagare su quella sensazione strana – seppur profondamente conosciuta – di tenui ciuffi umidi, accompagnati qua e là da piccoli bozzi soffici, quasi fossero i petali d’un fiorellino di campo, che s’insinuavano tra le sue dita.

Immobili, eppure vitali.

Strizzò le palpebre, non trovando in lei la giusta forza per dischiuderle. Strinse la mano a pugno, strappando, senza rendersene conto, alcuni fili d’erba, che in un istante scivolarono via, leggeri e inumiditi di rugiada, così come li aveva avvertiti.

Arricciò le labbra, confusa. Prese un gran respiro, inalando una buona boccata d’aria, attraverso le narici. Un brivido violento le scosse il corpo, ancora indolenzito – perché si sentiva così dolorante? – quando un intensissimo profumo d’erba bagnata, naturale quanto la terra sotto di lei, inebriò in un minuscolo piccolo attimo la sua mente.

Un gemito soffocato le sfuggì dalle labbra semichiuse. Si morse con titubanza il labbro inferiore, tremando visibilmente.

Era tornato, di nuovo, come ogni notte. Quel sogno, così intenso e reale, che la catturava, la faceva ruotare in un vortice di emozioni che non recava né entrata né uscita.

Eppure, quest’ultimo, le era apparso talmente vissuto, talmente vero.  Mosse il braccio sinistro, assonnata, mentre le sue narici tornavano a bearsi del fresco profumo che aleggiava intorno. Sentiva ancora l’alito caldo di Ed sulla sua gola, le sue carezze sul suo seno, così dolci ma sensuali allo stesso tempo, le labbra sottili, che quasi sapevano di latte – nonostante fosse un grande paradosso, riferito a lui – così adorate, agognate, forse aggressive, nel loro modo, che divoravano le sue, in un crescente di sensazioni indimenticabili.

Spostò la guancia qualche millimetro più su, accoccolandosi alla bell’e meglio sul cuscino, che le appariva più compatto del solito. E più caldo, per giunta. Infinitamente più caldo. Se avesse trattenuto il respiro, sicuramente sarebbe riuscita a udire distintamente il lento battito di un cuore.

Stravolta da quelle strane scoperte, si accinse ad aprire gli occhi. La brillante luce del sole mattutino infastidì le sue iridi celesti e le palpebre sbatterono un paio di volte, come a volersi abituare progressivamente al cambiamento d’illuminazione.

Il sole.

Allora, non era stato un sogno. Non era nella sua stanza, si trovava in un prato, accanto alla grande quercia su cui giocava quand’era bambina. Posò una mano sotto il suo viso, così da riuscire ad alzarsi.

Vita.

Ecco tutto ciò che la sua pelle percepì. Voltò lo sguardo e ciò che vide fu come leggere un libro aperto. Tutto le apparve più vivido e chiaro che mai, in un bagliore pulsante che le annebbiò le vie del cuore, quando riconobbe finalmente che quel che aveva appena rimembrato non era stato affatto un sogno.

Un solo splendido volto, talmente familiare, che sicuramente avrebbe potuto descriverlo nei più minuziosi particolari, ornato da una cornice d’oro ancora più rilucente dei raggi del sole, le bastò per rendersi conto di ciò che era davvero successo.

Si portò una mano alle labbra, nascondendo un sorriso e un risolino agitato. Intorno a lei, distinse chiaramente i suoi vestiti, abbandonati tra l’erba e una canottiera grigia, stropicciata, lasciata ai piedi del grande albero. Sulle sue spalle, lo scarlatto profumo simbolo di quella persona che aveva sempre accompagnato i suoi sogni, in ogni istante della sua vita, da quand’era innamorata. Rabbrividì, poi, nel constatare di quanto morbida potesse sembrare quella sgualcita palandrana, a contatto con la sua pelle nuda.

Una luce più intensa la catturò in un istante. Due preziosi gioielli d’oro si aprirono al suo sguardo, accompagnati da quello che lei avrebbe sempre ritenuto il sorriso più luminoso del mondo. Un solo nome, un volto, percorreva ogni angolo della sua mente, dei suoi ricordi, del suo cuore. Un sorriso, un battito del cuore, un respiro, silenzioso, che aveva lo stesso fresco aroma dell’erba alta dei campi.

Edward.

Il ricordo sfumò in un istante, come dissolto in un vapore tastabile, accogliente, che lasciò piccole tracce di calore sulla sua pelle. Riaprì gli occhi, respirando affannosamente, scossa da tremiti piccoli e costanti.

Sentì la sua pelle bruciare, stridere. Ebbe la stessa sensazione che avvertì quando la sua gamba fu divorata dalle fiamme di Roy, con l’unica differenza che il fuoco s’era esteso per tutto il suo corpo.

Una spinta più vigorosa la fece retrocedere sensibilmente, facendole quasi urtare la testa contro la testiera lignea del letto. Udì un mormorio roco, sussurrato al suo orecchio in un brivido di alito tiepido.

Improvvisamente, fu invasa da fiamme più intense, sconosciute. Sussultò rendendosi conto che esse non bruciavano affatto sulla sua pelle imperlata di sudore.

Tutt’altro, risplendevano.

Emise un gemito spezzato, inarcando la schiena e aggrappandosi al busto di Edward, che la sovrastava, reggendosi a lui come se fosse la sua unica ancora di salvezza. Una nuova ondata di calore bruciante e lucente l’avvolse, facendola precipitare in un oblio dal quale non avrebbe mai voluto fuggire.

Incontrò le sue labbra, in un sospiro disperato, cercandole con tutta la voglia che aveva in corpo. Affondò una mano tra i suoi capelli, ancora sciolti, liberi, preziosi più dell’oro più puro, mentre quel dannato profumo che la incatenava in un’adorabile morsa entrava sempre più a far parte di lei.

Inarcò nuovamente la schiena, ricercando quel contatto tanto agognato, facendo combaciare la pelle accaldata del petto e dell’addome contro quella del ragazzo, ancora più infervorata.

Ed infilò una mano al di sotto della sua schiena, sfiorandola cn le dita, per attrarla ancora più verso di sé, in un aderenza sempre maggiore. Stingendola a sé, rifugiò il viso sulla sua spalla dalle candide tonalità, investita da una cascata color miele, chiara e delicata come gli occhi, semichiusi dallo stordimento procurato dalle emozioni troppo intense.

Sfiorò il suo collo, respirandone il caldo profumo, così invitante. Incollò le labbra su quel piccolo lembo di pelle, tesa, arrossata. Winry tremò, serrando definitivamente le palpebre e abbandonandosi completamente a quello che stava succedendo.

All’improvviso, Ed si separò dal suo collo, sul quale comparve una macchiolina violacea. Si aggrappò con forza a lei, stringendola in un abbraccio che le mozzò il respiro. Il ragazzo voltò la testa e raggiunse nuovamente le labbra della ragazza, soffocando un grido che rimase – ancora una volta – intrappolato nella sua gola.

Winry lo sentì fremere sopra di lei, per poi piegare le braccia e distendersi accanto, silenzioso.

La ragazza respirò profondamente per un paio di volte, tentando di riprendere il normale battito cardiaco, che era aumentato a dismisura. Un brivido intenso scosse il suo intero corpo, facendole venire la pelle d’oca. Si lecco le labbra secche, gonfie e arrossate, chiudendo distrattamente gli occhi.

Di nuovo, era successo di nuovo. Ancora lei, Ed, i loro corpi, le loro anime unite. Come quel mattino, sotto le tenui prime luci dell’alba, il giorno in cui tutto ebbe inizio.

Mosse una gamba, che venne subito a contatto con il gelido metallo dell’automail. Fuoco contro ghiaccio. Rabbrividì, nuovamente. Edward si mosse e l’abbracciò da dietro, circondandole la vita con le braccia. Il ragazzo posò la resta sulla spalla della bionda e socchiuse gli occhi, sorridendo.

Rimasero in quella posizione per un po’, godendosi quel piccolo e perfetto istante rubato alle loro vite.

-          Ed?

Fu Winry la prima a spezzare quel placido silenzio che li accoglieva come una cupola di vetro, trasparente e taciturna. L’ex alchimista baciò l’incavo del suo collo, allungando il viso verso di lei, per ascoltarla.

-          Mmmh?

-          Grazie.

Ed spalancò gli occhi, indietreggiando impercettibilmente.

Grazie? Le aveva detto... grazie? Perché lo stava ringraziando? Perché con quell’espressione persa? Perché con quella voce terribilmente dolce? E soprattutto, perché dopo quello che era appena successo? Non si ringrazia una persona perché ci si ha appena fatto l’amore, no?

Eppure lei lo aveva fatto, tuffandosi nel suo sguardo come volesse circondarsi di quell’oro liquido che ingemmava le sue iridi, sorridendo appena, con le labbra arricciate.

-          Cosa?

Domandò, ancora incredulo. Winry emise un risolino nervoso, portandosi due dita davanti alle labbra e tentando di nascondere il rossore che stava pennellando sempre più le sue gote rosee.

-          Grazie.

Ripetè, quasi fosse ovvio. Edward scosse la testa, consapevole che non sarebbe riuscito a estrapolare nessun’altra spiegazione dalle tenere labbra della meccanica. Si chinò per baciarla, desideroso di sentire di nuovo quel delizioso sapore invadergli la bocca e i pensieri.

-          Ti amo.

Sussurrò lei, sulle sue labbra. L’ex alchimista sorrise, posando la fronte su quella della ragazza, che dischiuse a sua volta le labbra, illuminando il suo viso.

-          Anche io.

Rispose, a bassa voce, talmente bassa che si chiese se Winry fosse riuscita a udirlo. La vide imporporarsi sempre di più, notando che aveva abbassato lo sguardo. Si girò dall’altro lato, arrossendo timidamente. Nel farlo, l’automail sfiorò nuovamente la pelle della ragazza, che ne trasse un ottimo spunto per cambiare discorso e rompere l’eccessivo imbarazzo che s’era creato.

-          La vuoi piantare di toccarmi la gamba con l’automail? Mi fai venire freddo!

Esclamò Winry, ridendo, mentre Edward la guardava storto, per poi tornare a osservare l’armadio di fronte a lui. Il biondo sbuffò contrariato, allontanando la gamba sinistra da quella della meccanica, che ridacchiò soddisfatta.

-          Ed?

Lo chiamò, nuovamente, alzandosi sui gomiti per poterlo guardare negli occhi. Nel farlo, il leggero lenzuolo scivolò lungo la sua spalla, così da lasciarle scoperta una buona porzione del seno, dettaglio che allo sguardo attento dell’ex alchimista non sfuggì.

-          Che c’è?

Grugnì, fingendosi seccato, giusto per non doversi voltare a guardarla. Avrebbe fatto volentieri a pezzi quel lenzuolo e sicuramente la cosa che gli avrebbe fatto maggiormente piacere sarebbe stato prendere tra le braccia quella ragazza e farla sua ancora una volta.

Alzò un sopracciglio, stupito dei suoi stessi pensieri. No, decisamente una pessima idea. Non desiderava affatto che lei lo intendesse come un atteggiamento da maniaco. Così, contrariato, incrociò le braccia al petto, arrossendo sempre di più. Winry, però, se ne accorse e si rifugiò svelta tra le lenzuola.

-          Sei uno stupido.

Il ragazzo si voltò verso di lei, squadrandola curioso. Le tocchettò la spalla, così da ottenere la sua attenzione. Winry alzò lo sguardo, notando con stupor che il rossore sulle guance dell’ex alchimista stava sbiadendo a vista d’occhio.

-          Lo sai che dovremmo smetterla di vergognarci così?

Winry seguì il contorno delle labbra del ragazzo, che la stavano chiamando in un mutismo assordante. Se ne impossessò per qualche eterno istante, ricambiata da Edward, che le sfiorava dolcemente la guancia sinistra con la punta delle dita. Si separò da lui di malavoglia, così da poter recuperare il respiro.

-          In fondo, dopo tutte le volte che...

E ammiccò, lasciando alla mente della ragazza il compito di completare la frase. Winry abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.

-          Beh, non sono tutte queste volte.

-          Sì, lo so. Ok, è ovvio che anche io mi sento in imbarazzo. Però ci siamo solo io e te ora. Questo è il nostro mondo, tutto è al di fuori: la guerra, il mondo, le sofferenze, anche Al e la zia.

-          Anche loro?

-          Sì, anche loro. Winry io... prima... prima di quella mattina in cui... cioè, no. Scusa, è che è un po’ difficile. Ho pensato davvero molto a prima che accadesse tutto questo. Avevo paura che, in qualche modo, tu non lo volessi. Ma poi, tu stessa me l’hai chiesto e allora tutto ha cominciato a non avere più senso. Voglio dire, guardaci. Non mi sarei mai potuto immaginare tutto questo, mai nella vita. Tu, io, questo letto. Sai, mi pare ancora di sentire l’erba che mi pizzica la schiena. Non dimenticherò mai quell’alba, stanne certa. È stato... non so. Indescrivibile. Tu lo sei, insomma, io... ah! Ma vedi un po’ come mi hai fatto diventare! Simili sentimentalismi non sono mai stati il mio forte!

La meccanica lo squadrò con sguardo perso, silenziosa. Improvvisamente, scoppiò in una risata cristallina e liberatoria, che deluse un po’ le aspettative di Edward. L’ex alchimista le voltò le spalle, offeso.

-          Grazie, sai. Io... io mi rendo ridicolo aprendoti il mio cuore e tu che fai? Ridi? E poi proprio tu, che mi rimproveri sempre perché mi tengo tutto dentro. Mi sento un idiota.

-          Tu sei un idiota, non dimenticarlo.

-          Non farmi alzare la voce con te.

Winry sospirò divertita, per poi chinarsi su di lui e stringere i suoi fianci, così come aveva fatto lui poco prima. Ed sussultò, sorpreso dall’azione della ragazza.

-          Non devi alzare la voce. Scusami se ho riso, eri troppo buffo. Sei un continuo controsenso, Ed. Prima mi dici che non dovremmo vergognarci e poi fai una scenetta simile per dirmi una cosa meravigliosa.

-          Avrei voluto vedere te nel dire... aspetta, cosa?

-          Davvero lo pensi?

-          Perché rispondi a una mia domanda con un’altra domanda?

-          Tu rispondimi.

-          A cosa?

-          Al fatto che per te sia stata... indescrivibile. Cioè, la nostra... prima volta, intendo.

-          Lo stai facendo apposta, vero?

-          A fare cosa?

-          A farmi imbarazzare. Lo sai che... non mi sento a mio agio a parlare di certe cose.

-          Ed, non girarci attorno.

-          Sì, sì lo è stata. Davvero. Come ogni altra volta. È stato speciale. Ancora più emozionante delle trasmutazioni alchemiche.

Winry alzò un sopracciglio, contrariata. Non trovava assai romantico quel paragone, ma ormai avrebbe dovuto essersi abituata. “Deformazione professionale” avrebbe detto lui, nonostante non fosse più un alchimista. Così, si limitò a sorridere, imporporandosi lievemente nel momento in cui le sue dita smettevano di stringere il lenzuolo, che era scivolato vero il basso.

Sul viso di Edward si dipinse un luminoso sorriso, complice del tumulto caldo e continuo del suo cuore. Si avvicinò a lei, che aveva appena socchiuso gli occhi, desiderosa di riprendere quel contatto interrotto.

L’ex alchimista fece scorrere lentamente le mani sulla schiena bollente della ragazza, stringendola a sé con tenerezza. Si separò da lei, per poterla guardare negli occhi, azzurri come il cielo in un pomeriggio d’estate. Le carezzò una guancia, dolcemente, mentre i suoi pensieri volavano lontani. Dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma dalla sua bocca non evase alcun suono.

-          Che cos’hai?

Chiese Winry con voce leggermente preoccupata. Dio, come ricordava bene d’aver già visto quello sguardo. Gli occhi d’oro così fermi, decisi, eppure tremolanti, scossi da timore e indecisione. Come quel giorno, di ormai tre anni prima, quando lui le aveva urlato – eh già, lui e i suoi caratteristici modo rozzi e poco eleganti . quelle poche parole, che ancora non avevano acquistato per lei il giusto significato.

-          Ed.

Mormorò, perdendosi in quelle iridi pregiate.

-          Cosa significa “ uno scambio equivalente. Ti darò metà della mia vita, così tu mi darai metà della tua.”? So d’avertelo già chiesto, ma questo quesito mi assilla da anni.

Edward abbassò lo sguardo, sorridendo malinconicamente. Già, non si era dimenticato di ciò che quel giorno era uscito dalle sue labbra inconsapevoli. Non si era nemmeno reso conto di quel che aveva pronunciato, probabilmente quelle parole premevano nella sua gola da tanto, forse troppo tempo, e il loro significato prendeva ogni giorno sempre più valore. Nonostante la sua iniziale insicurezza, conosceva benissimo l’importanza di quel che quel giorno il cuore gli aveva gridato.

Si morse il labbro inferiore, combattuto. Si perse nell’oceano turchino degli occhi di quella ragazza che aveva sempre avuto un posto speciale nel suo cuore.

-          Winry, io...

Balbettò, tentando di raccogliere coraggio. Inalò un’abbondante dose di ossigeno, con gli occhi chiusi. Percepì distintamente l’incessante battito del suo cuore, che sembrava farsi ogni secondo più intenso.

La sua mano destra tremò, inconsciamente. Era arrivato il momento. Era tutto perfetto, niente avrebbe potuto rovinarlo. Eppure, la sua lingua era impastata  di vocaboli e sprazzi di passato dall’amaro sapore, che univano tutto in un groviglio indistinguibile.

-          ... devo dirti, anzi, forse chiederti, una cosa.

Sussurrò, deglutendo sonoramente.

-          Winry, Winry!

Gridò Alphonse, irrompendo bruscamente nella stanza, ovviamente non dopo di aver accuratamente bussato. Aveva picchiato le nocche sul legno solido un paio di volte, giusto per avvisare la ragazza della sua imminente entrata, ma poi aveva spinto l’uscio senza pensare e si era ritrovato in un istante all’interno della stanza.

-          Winry, hai visto il fra...

La sua domanda si spezzò sul nascere nell’accorgersi dello spettacolo che gli si presentava davanti. Distinse chiaramente le spalle larghe di Ed che, doveva ammetterlo, stavano cominciando seriamente a somigliare a quelle di loro padre. La schiena nuda, chiara, lasciava trasparire la linea della spina dorsale, flessa in una curva sinuosa inclinata leggermente verso il basso.  Come a proseguire quella linea semplice, il braccio sinistro – era sempre il sinistro quando si trattava di Winry, o della tomba della mamma, ormai se n’era accorto – circondava in un tenero abbraccio i fianchi di Winry.

Chiuse gli occhi in un impeto di imbarazzo, sentendo la pelle del viso scottare inverosimilmente.

-          Dannazione, Al!

Si lamentò il maggiore, lasciando cadere Winry sul materasso, la quale imprecò qualcosa tra i denti riguardo alla spiccata delicatezza che aveva sempre caratterizzato il ragazzo del quale era innamorata. Si rifugiò velocemente tra le lenzuola, mentre l’ex alchimista si accingeva a tirar dietro ad Al il prezioso orologio d’argento.

-          Fe...fermati fratellone!

Lo pregò Alphonse, nascondendosi dietro la porta. Ed fermò il braccio a mezz’aria, pensando che forse – forse – lanciare l’oggetto addosso al fratellino non sarebbe poi stata una così buona idea. Già si immaginava le conseguenze: Winry si sarebbe categoricamente rifiutata di aggiustarlo, asserendo che era solamente colpa sua se l’aveva rotto, avrebbe potuto non lanciarlo. Oppure proprio Al, che poteva ripararlo con l’alchimia, sicuramente gli avrebbe fatto una ramanzina chilometrica sul tema della “gentilezza verso il prossimo”. Altra opzione, la zia Pinako. La scartò subito, riflettendo sul fatto che, certamente, avrebbe dovuto spiegare perché quel povero orologio era ridotto in quello stato, e soprattutto cosa Alphonse avesse combinato per indurlo a un gesto tanto impulsivo. A quel punto, avrebbe dovuto aggiustarselo da solo, oppure prendere un treno e recarsi a Central per rivolgersi a un buon esperto, del quale si sarebbe potuto fidare. Scacciò all’istante entrambe le idee, ritenendole pessime, anche perché non aveva alcuna voglia di rivedere il suo “amatissimo” comandante che gli avrebbe per sempre rinfacciato il fatto che se l’era presa con uno più piccolo – “per quanto possibile” avrebbe sicuramente sostenuto – di lui.

Perciò preferì posare l’oggetto sul comodino e afferrare le sue mutande azzurre, che giacevano immobili all’angolo del tappeto, per poi infilarsele con velocità, stizzito.

-          Al.

Grugnì, spalancando la porta e fissando il fratellino, che si era rannicchiato all’angolo del muro, con un’espressione a metà tra il terribilmente dispiaciuto e l’enormemente imbarazzato dipinta sul viso angelico.

-          Alphonse. Non sei stato tu a insegnarmi che prima di entrare in una stanza bisogna bussare?

-          Ma io ho bussato!

-          Non si è sentito!

-          Mi dispiace fratellone! Scusami, è che ieri sera, quando mi sono addormentato c’eri, mentre stamattina il tuo letto era vuoto – tra l’altro, ho dovuto rifarlo io – e così sono venuto a cercarti!

Ed si passò una mano tra i capelli, sbuffando sonoramente. Alcuni ciuffi aurei scivolarono dalle sue dita, andando a posarsi silenziosamente sulla morbida pelle del suo petto.

-          E poi non potevo sapere che voi due, ecco, foste in atteggiamenti tanto intimi!

-          Sei uno stupido. Non è solamente per questo che mi sono arrabbiato.

-          E perché mai allora?

-          Niente, lascia perdere.

Mugugnò, voltando le spalle al fratello, che lo squadrava confuso. Si chiuse la porta alle spalle, trovandosi davanti Winry, che si era rivestita indossando una sua vecchia camicia, che molte volte indossava per dormire. Ricordò che, la sera prima, l’aveva sorpresa con quello stesso indumento addosso, intenta a odorarne il colletto, quasi fosse intriso di un profumo fin troppo vitale per lei. Le lunghe gambe affusolate si nascondevano tra le pieghe del lenzuolo color rosa confetto, mentre il pizzo delle mutandine nere faceva capolino da sotto il bordo inferiore della camicia, esageratamente grande per lei, ma stretta all’altezza del seno.

Edward sorrise, ammirando tutta la bellezza della meccanica, che stava ricambiando il sorriso. Si sedette accanto a lei, tornando a guardarla negli occhi.

-          Scusa per Al.

-          Non è niente, davvero. So che non l’ha fatto apposta.

-          Già.

-          Già.

Calò tra di loro un profondo silenzio, spezzato solamente dal breve canto dei grilli che cominciava a farsi udire tra i ciuffi d’erba all’esterno.

-          Ed.

Disse lei, ad un tratto, come se le fosse appena tornata in mente una cosa molto importante. L’ex alchimista seguì il suo sguardo.

-          Cosa volevi dirmi prima?

-          Io, ecco... Winry, è una cosa importante. Lo è davvero.

La ragazza lo vide alzarsi dal letto e fare qualche piccolo passo per la stanza, con passi costanti e nervosi. Si toccava ripetutamente i capelli, in naso, le labbra. Quasi cercasse una via di fuga da quella situazione. Si avvicinò di nuovo a lei, stringendole una mano con dolce fermezza.

-          Winry, io...

-          Dimmi, Ed.

-          Io... scusa, non ce la faccio.

La ragazzo lo osservò incuriosita, stingendogli di più la mano. Lui sorrise, rassegnato.

-          Ti devo dire anche io una cosa.

Sussurrò lei, senza nemmeno accorgersene. L’ex alchimista drizzò le orecchie. Winry si corresse subito, alzandosi da letto e fuggendo verso la porta, probabilmente per dirigersi in bagno, lasciando il povero Ed quasi inginocchiato a terra, accanto al letto.

-          Ma è un segreto.

Ridacchiò infine, scappando via per tentare di nascondere quel rossore che stava velocemente prendendo possesso delle sue guance accaldate. Chiuse a chiave la porta del bagno, lasciandosi scivolare a terra con delicatezza.  Posò una mano sul ventre e una sulla fronte, sorridendo tra i ciuffi di capelli color miele.

Edward, non trovando più alcuna traccia di Winry, raccolse i suoi vestiti dal pavimento e se li infilò velocemente. Si avvicinò alla finestra e ne spalancò i vetri, facendo sì che il caldo tepore mattutino lambisse con la sua luce ogni singolo tratto di quella camera semivuota.

Fece slittare lo sguardo verso il comodino, dove ancora giaceva l’orologio. Fu catturato improvvisamente dal suo luccichio, così intenso, prezioso, metallico. Lo afferrò e lo rigirò tra le mani, ammirandone le raffinate rifiniture d’argento. Un lampo attraversò di colpo la sua mente.

Sorrise, stringendo tra le mani l’orologio, per poi gettarlo in tasca e cercare la sua palandrana rossa, che trovò stropicciata su una sedia poco distante da lui.

La indossò distrattamente, seguendo con lo sguardo quella stradina sterrata che portava al di là di quella collina che era la casa della sua infanzia.

In fondo, una capatina a Central ci poteva anche stare. Sorrise, consapevole della pazzia che stava per compiere, cosa che andava completamente al di fuori delle sue idee. Scrisse velocemente un biglietto su un foglietto di carta strappato e lo infilò sotto la porta del bagno dove si trovava Winry.

Poco dopo, la ragazza ammirò quelle spalle larghe sparire tra l’erba alta che nascondeva l’orizzonte di quella via campagnola. Alphonse le si avvicinò, confuso.

-          Dove sta andando il fratellone?

-          A Central City.

-          Cosa?! Perché?

-          Non lo so, Al. Ma tornerà, ne sono certa.

Winry posò una mano sul cornicione della finestra, scrutando il lontano volo di uno stormo di rondini. Sorrise, stringendo tra le mani un piccolo pezzo di carta.

 

“ Non preoccuparti per me.

Vado a Central, starò via per un po’.

Ma non ti sto abbandonando.

Ricordi ciò che ti ho detto?

Metà della mia vita

In cambio di metà della tua.

È uno scambio equivalente.

Aspettami lì, Winry.

Edward”

 

Lesse nuovamente quelle poche righe, sentendo il cuore uscirle dal petto ad ogni battito. Di nuovo quella frase, nella quale erano racchiusi milioni di significati a lei ancora ignoti.

Socchiuse le palpebre, assaporando il fresco profumo che proveniva dalla finestra aperta. Il suo profumo era sempre lì, anche quando lui era lontano. Era sempre stato così, e sarebbe sempre continuato ad esserlo.

-          Hey, Al.

Sussurrò Winry, in un sospiro di voce. Alphonse le si avvicinò, incuriosito dal suo tono addolcito e dallo sguardo perso, probabilmente alla ricerca di qualcosa di inesistente.

-          Sai, credo di doverti dire una cosa.

Ridacchiò lei, mentre il minore degli Elric si chinava per poter accostare un orecchio alle sue labbra, dischiuse in un sorriso che celava qualcosa di completamente nuovo, splendente come la luce del sole in quella tiepida mattina.

 

Et voilà! xD concluso – son fatica devo dire! – anche il penultimo capitolo. Ora mi spetta la sfida più dura, cioè scrivere la fine!

Allora, come vi è sembrato questo frammento della storia? Lasciate una recensione, se volete J

Scusate tanto, risponderò alle vecchie recensioni domani o nei prossimi giorni, perché ora sono troppo stanca. Ringrazio comunque tutti quelli che ancora seguono la mia storia, e non si sono ancora stancati dopo 25 lunghi capitoli.

Grazie a tutti, davvero.

 

Al prossimo capitolo, baci.

MeggyElric___

 

 

   
 
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