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Autore: Bellis    06/12/2010    1 recensioni
I benefici dell'arte sono molti e vari: ma più di tutto, essa solleva il velo della cecità degli uomini, e restituisce l'udito a chi di essi è abituato a parlare, più che ascoltare.
One-Shot Terza Classificata al "Contest: La Tempesta - William Shakespeare" indetto da (Vienne).
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Gratia Artis
Citazione Scelta:
18, Il vostro racconto, signore, / guarirebbe dalla sordità, dalla traduzione de La Tempesta di William Shakespeare a cura di Agostino Lombardo.
Rating:
Giallo, per il linguaggio (chiedo perdono! So che all'interno del contest avevo specificato, invece, Verde).
Avvertimenti:
Surrealtà, Meditatività. OneShot (3100 parole circa).
Note dell’Autore:
Redatta per il Contest: La Tempesta - William Shakespeare, indetto da (Vienne). Confido che riesca a strappare almeno un melanconico sorriso e che le cogitazioni sui temi pseudo-filosofici non siano troppo ardite. Il titolo si può intendere in duplice modo, si scelga l'interpretazione più gradita.
Ulteriori Note Post-Contest:
Il testo è stato revisionato in seguito al commento della Giudice del Contest, (Vienne), disponibile a questo indirizzo.
Stupendo bannerino a cura di Shurei.

Per Mr. Bell, che ha letto questo racconto sorridendo.
E per Miss Evangeline, per la quale
contorto equivale a bello.





I - Il gran giorno

L'evento che cambiò la mia vita si presentò assai inopportunamente in un radioso mattino di sole. Avrei preferito un paesaggio più drammatico, più maestoso, uno scenario che riunisse in sé la furia degli elementi e la grandiosa superiorità della natura, ad accompagnare un fatto di tale sublime importanza. Ma, ahimè, siam costretti a subire ciò che il crudele Fato ci riserva, nel bene e nel male.

Eppure - questo debbo ammetterlo in tutta onestà - probabilmente la pioggia avrebbe guastato l'atmosfera (più avanti sarà chiaro il perché; per ora basti sapere che, col sovvenire dell'età, ho appreso l'ottimismo). Quell'alba scintillante di luminosa quiete non mi fu affatto sgradita: intervenne sulla mia mente e sul mio spirito diradandone la metaforica nebbia che li avviluppava, quasi come i raggi caldi stavano realmente dissipando lo smog giallastro dalle strade impolverate della città.

Ma andiamo per ordine.
Passeggiavo, come era mia abitudine, attraverso i viali alberati di Hyde Park. Pochi anni dopo, smisi bruscamente di frequentare quel posto, perché la pubblicazione di un certo signor Stevenson, che scoprii con estremo interesse e conclusi con un profondo senso d'inquietudine, mi fece venir in odio il nome del luogo. Ebbene, con calma. Forse giungeremo anche a questo.
In quei giorni di promettente primavera, mi definivo uno studente, e non ero di altrettanto buone speranze; mi dilettavo nelle discipline delle scienze, seppure i miei docenti usassero affermare che l'unica soddisfazione che il mio intelletto potesse offrir loro consistesse nell'eleganza del testo delle mie dimostrazioni, e non certo nel disastroso esito delle mie sfortunate sequenze di calcoli: ma la descrizione che mi si addiceva maggiormente, a detta dei miei illustri parenti, era quella di nullafacente (anche se, con artistica indignazione, ora li correggerei con un più elegante disoccupato).

Camminavo percorrendo i vialetti di pietra, meditando cupamente sul mio futuro, e cercando disperatamente quella x mancante di un'equazione differenziale troppo complessa, involuta, fornita di altre gigantesche, ineludibili incognite delle quali non sarei mai riuscito a fornire un'accettabile stima: la strampalata formula della mia esistenza.
Così, assorto nei miei pensieri, preso dai miei pressanti interrogativi, mi imbattei nel giovine che ebbe il potere di costituire ad un tempo la risoluzione dei miei problemi ed il mio definitivo distacco dall'accademia.

"Vi chiedo perdono, buon uomo," esclamai, con tutto il mio educato garbo, giacché effettivamente i miei piedi avevano calpestato il lembo del suo grembiule macchiato di gesso e calce, ed il mio dignitoso sembiante si era scontrato con la sua, decisamente più robusta, persona.

"Perdono un accidente," sbottò lui, raccogliendo il cappello - null'altro, in realtà, che un berretto da manovale. "Foss'anche solo per me, vi perdonerei di cuore. Ma, incosciente che non siete altro, voi state tuttora sostando sul cielo della mia raffigurazione!"

Vagamente infastidito dall'eloquio volgare del ragazzino, riuscii tuttavia a mantenere il distacco che si conviene ad un gentiluomo dotato di buona creanza; mi limitai dunque a fare qualche misurato passo indietro ed abbassare lo sguardo, con preventivo scherno, sul suolo coperto di pietre.

Anch'io, avvezzo com'ero a mantener nascosta la vera essenza dei miei sentimenti celando il loro prorompente ìmpeto dietro una maschera di quieta e beneducata decenza, non potei reprimere un moto di sorpresa ed una esclamazione traboccante d'ammirazione.
Mi resi conto di ciò che avevo fatto: avevo potuto ignorare la solennità delle costruzioni cittadine, che circondavano, in un lontano anello di denso fumo, la freschezza delle foglie verdeggianti che mi circondavano; il profondo gelo delle mie oscure cogitazioni mi aveva precluso la bellezza dell'alba, la purezza del canto di alcuni cardellini, che facevano capolino da dietro gli ampi calici dei fiori in boccio. Ero stato insensibile alle risate dei bambini, li avevo a malapena evitati mentre correvano tenendo ritti i loro cerchi con esili bacchette di legno; mi era sfuggita l'espressione di quieta e gioiosa commozione delle loro attente madri, che si affannavano a seguirli... eppure, quel dipinto, quello schizzo, fatto con gessi e friabili pastelli sul lastricato duro e grigio, esprimeva tutto questo in poco più di un metro quadrato di lacca multicolore; la sua potenza espressiva era riuscita a risvegliare un'immagine così vivida dentro di me, a ricondurre insieme un numero tale di ricordi, di sentimenti, di immagini nascosti chissà dove nella mia memoria... che d'improvviso la realtà prese vita e forma intorno a me.

Mi ritrovai a sorridere, sinceramente affascinato, spensierato come non ero da settimane.
"Signor mio, tutto ciò è straordinario!" feci, dimentico delle precedenti male parole, tendendogli la destra, accomodante. Ma il mio interlocutore non reagì come avevo immaginato; non ricambiò il gesto, continuando a squadrarmi con sospetto e con leggera perplessità.

"Vi ho visto prima, sapete? Camminavate a testa bassa, a spalle chine, come fanno coloro che non hanno in cuore che se stessi. Eravate cieco. Vedo che ora avete socchiuso gli occhi; debbo forse fidarmi del vostro giudizio?"

Rimasi interdetto. "La decisione spetta a voi. Dovrete... giudicare il mio giudizio, e trarne le debite conclusioni. Trattasi infine solo di parole, di gesti, che debbono esser valutati e soppesati. Certo non sono un critico d'arte..." presi a pontificare, iniziando a compiacermi della solennità del mio scrosciante fiume di parole proprio quando, neppure a farlo apposta, il pittore pose una improvvisa diga a questo roboante flusso, interrompendolo.

"Forse, oltre che cieco, siete anche sordo." sbottò, inginocchiandosi ed iniziando a riunire in una cassettina i suoi attrezzi; raccolse alcuni panni umidi, coi quali rifinì la cornice (anch'essa disegnata) dell'opera prima di riporli con cura.

Corrucciato e deciso a non lasciar correre, mi chinai anch'io, sollevando il lembo del mio soprabito per evitare che finisse nel fango di una vicina aiuola, "Cosa intendete?"

Un paio d'occhi neri, adombrati da una chioma scarmigliata altrettanto scura, si sollevarono su di me. Un sospiro ed un accenno d'esitazione precedettero la risposta.
"Vi soffermate all'apparenza. Non v'importa nulla di ciò che è stato raffigurato, o delle sensazioni che hanno guidato la mano di colui che ha tracciato una linea dopo l'altra, pazientemente, rincorrendo un concetto, un'idea, un ricordo. Siete rimasto abbagliato, tutto qui: non vedete la luce come una guida, ma come un riflesso della vostra immagine. Tutto ciò che sapete riconoscere è la superficie: non potete veder oltre."

E dopo questo, si rialzò.
Allibito, balzai al suo seguito, accigliandomi. "Con ciò, cosa volete dire? Io vedo solamente un giovane indisponente, seppur dotato di un enorme talento nella pittura, che rischia di farsi incarcerare da un bobby di passaggio per l'aver deturpato... oh, sì, deturpato, non fate quella faccia, lo sapete bene ch'è il detto ufficiale della legge comune... il suolo di Sua Maestà!"

"Siete sordo. Ve l'ho già detto. Ah, già, ma se lo siete, non potete sentirlo." borbottò il mio improvvisato interlocutore, cercando di seminarmi. Non glie lo concessi.

"Vi assicuro che non lo sono." ribattei, seccato, ma decisamente più serio. "Ho visto più di quanto credete in quella vostra immagine. Prima ero cieco, è vero: tutte le pareti sembravano riflettere il grigiore della mia vita. Tutti gli alberi mi intralciavano, come ostacoli posti da una dispettosa Natura. Le foglie frusciavano, ma non era piacevole, il loro rumore - rumore, non melodia: piuttosto, era inquietante. Ma grazie al vostro dipinto..."

"Vi faccio notare che state parlando ancora. Non sapete ascoltare?"

Annuii tra me, cogliendo il sottinteso. "M'importa di voi, invece, e di ciò che v'è dietro la facciata di tempera e gesso. Anche perché non riesco a comprendervi. Voi non chiedevate l'elemosina su quel marciapiede, dico bene? Piuttosto, avete l'aria intimamente compiaciuta di chi la fa; di chi è conscio d'aver portato sollievo a un animo afflitto. Oh, lo vedo, non negatelo! Raccontatemi ciò che vi è accaduto."

L'artista si fermò di scatto, e per un attimo pensai che volesse riversarmi addosso qualche altro esempio delle sue profonde conoscenze in materia di gergo popolare. Ma, inaspettatamente, i suoi lineamenti erano più distesi, assomigliavano in misura maggiore a quelli di un fanciullo, ed il suo viso esprimeva un incredulo ed esasperato divertimento. Sbuffò.
"A che servirebbe parlare ad un sordo?"

Sorrisi a mia volta, amabilmente. "Dato che il vostro dipinto ha avuto il magico potere d'innalzare il velo della cecità dai miei occhi, immagino che il vostro racconto, signore, guarirebbe dalla sordità."

Il ragazzo scoppiò a ridere, ed io seppi che mi avrebbe accontentato.

II - La narrazione

In capo a pochi minuti, ci trovammo presso un locale dall'aspetto modesto nelle vicinanze di Knightsbridge, seduti di fronte a quella che avrebbe voluto essere una tazza di tè, ma mi sembrava solo una sorta di infuso bruno dalla non chiara identificazione. Ci volle un po' di tempo per convincere il mio ancora sconosciuto ospite ad aprir bocca. A dispetto della precedente familiarità da lui dimostrata nei miei confronti e dalla promessa fatta, si rivelò essere una persona piuttosto ritrosa, dall'indole timida e non incline all'espansività.

Riuscii ad ogni modo, esibendo un poco di dialettica, ad estorcergli alcune informazioni. Compresi innanzitutto che il suo nome di battesimo era Bartholomew, il che deponeva senza dubbio a suo favore, trattandosi di un appellativo assai importante ed infine apprezzabile.

Era un manovale, ed aveva trascorso gli ultimi mesi presso il porto, ad aiutare occasionalmente i marinai delle navi delle compagnie orientali a scaricare merci di ogni genere e di ogni peso, a gran detrimento della sua salute. Da molti impieghi, per quanto fossero di basso livello, era stato cacciato, per la sua abitudine di soffermarsi, sognante, ad osservare tutto ciò che si trovasse accanto a lui. Il più piccolo dettaglio accendeva in lui un genuino interesse.

"Alcuni dicono che l'arte è il fondamento della memoria. Che il concetto che è figurato e rielaborato s'apprende con più prontezza di ciò che è scritto. Io non credo sia così." disse, meditabondo.

"Eppure, ai bambini che apprendono i primi vocaboli si mostrano oggetti ed immagini, non certo un testo in prosa," gli feci notare, tentennando il capo.

"Ma solo perché quel testo non lo saprebbero ancora leggere, Amos." replicò subito, con un sorriso, "Un oggetto non è arte in sé, lo è quando un artista ne accoglie l'idea, l'essenza, nella sua mente."

"Cielo, Bart," sospirai, innervosito. "Cosa intendete voi per arte, di grazia?"

Inclinò il capo verso destra, con quell'espressione che gli avevo visto poco prima, nell'atto di abbandonare il suo dipinto, e che lo faceva sembrare di svariati anni più anziano di quanto non fosse in realtà, "Non lo immaginate? Pensateci. A cosa può mai servire l'arte?"

"Perbacco, a cosa può servire!" allargai le braccia poggiando la tazzina, "L'arte è bellezza. Essa non serve l'artista, semmai è il contrario, figliolo!"

"Tutto ha uno scopo," mi fece notare quello, "Bisogna oltrepassare la superficie, per quanto doloroso sia, ed immergersi nei flutti dell'oceano."

"Accompagnatemi voi negli abissi." sorrisi, l'irritazione che lasciava posto alla curiosità, "So che è la seconda volta quest'oggi, ma abbiate pazienza con me."

"Ma anche voi conoscete la risposta. Siete, a modo vostro, un artista. Un letterato. E' così? Parlate in modo sciolto ed avete la replica sempre pronta. Forse siete un giornalista?" m'incalzò, con quel suo fare divertito e sincero, lasciandomi ad affogare, solo e sperduto, nel mare delle infinite sfumature della conoscenza e bevendo un sorso di infuso caldo.

"No affatto, in realtà," confidai, sospirando, "Anche se, lo ammetto, mi definisco piuttosto svelto in quanto a parole. Ma qual è il punto, se posso?"

"Vi farò una domanda, allora: quale proposito si pone colui che sceglie di esprimersi in un lessico forbito ed altisonante piuttosto che nel dialetto masticato a Whitechapel?"

Riflettei con attenzione, impegnandomi al massimo delle mie capacità.
"... forse intende riservare il suo eloquio a chi sia sufficientemente istruito da comprenderlo?"

Bart mi fissò a lungo; quindi esplose in una secca risata che fece voltare i tranquilli avventori della bettola e fece arrossire un poco il mio viso cereo.

"Per Giove, Amos! Non credevo che qualcuno come voi potesse esistere. Ebbene, questa è giornata di scoperte. Sì, senza dubbio quello che avete enunciato voi con tale spirito di osservazione per il materiale mondo terreno è giusto e vero. Ma voi pensate in modo smaliziato, con gli occhi di chi è tanto pieno della City che la sagoma degli edifici rende opaca l'infinita sequenza di vetrate multicolori che son presenti al di là della semplice realtà."

"Pensavo fosse inutile veder altro al di là della realtà. Mi state dimostrando il contrario." attesi pazientemente che l'accesso di ilarità terminasse, ormai trascinato dalla curiosità suscitata in me da quel dialogo; una parte della mia mente già dentro di sé collegava alcuni fili che quell'incontro organizzato dalla Fortuna aveva offerto come salvezza alla mia persona, perché riuscisse ad uscire dal profondo baratro nel quale era immersa.

"In effetti," replicò l'artista, riprendendosi, mentre il divertimento sui suoi lineamenti giovanili sfumava lasciando posto ad una lieve malinconia. "Voi pensavate che su quel marciapiede io sfogassi solamente il mio estro, vero, senza secondi fini? Vi dirò, il cappello che avete inavvertitamente calpestato non era a terra per caso."

Sollevai le sopracciglia, con noncuranza, "Vi comprendo. Fossi solo al mondo, non avrei certo una capacità pari alla vostra, per mantenermi in vita ed in salute."

Sorrise alla mia onestà e rimase in silenzio per qualche tempo. Poi riabbassò la tazza del tè dopo averne bevuto l'ultimo sorso.
"Volete sapere la risposta alla mia domanda? Anche se temo che la troverete talmente banale da prendermi per un folle o un burlone."

"Son rimasto qui per questo, cosa credete?" scherzai, prestandogli la mia completa attenzione.

"L'arte è un mezzo di comunicazione per l'uomo. E' il mezzo di comunicazione proprio del nostro genere, della nostra stirpe. E' la capacità di vedere qualcosa, coglierne l'essenza, rielaborarla ed unirvi le proprie sensazioni, per poi porgere un dipinto, o uno scritto, o una scultura ai nostri simili ed affermare: ecco, questo sono io, e questo stesso prodotto della mia immaginazione e del mio genio è il mondo! Galileo affermava che l'universo fosse scritto in linguaggio matematico, rammentate, voi che avete studiato ad Oxford? Quanto grande può essere un numero, se esso deve definire il Globo? E come rappresentare in lettere ogni sfumatura di un insieme infinito di cifre? L'arte conosce infinite sfumature. Il lessico forbito di cui parlavamo prima non è altro che un esempio di queste centinaia e centinaia di sfumature, tasselli indispensabili all'espressione."

Boccheggiai, confuso, "Ma l'arte è soprattutto genio! L'arte è pura inventiva!"

"La conoscenza è fondamento primo ed essenziale dell'arte. Nulla si crea dal nulla, Amos, dovete comprenderlo. Il genio sta nell'espressione, non nel concetto. E la stessa espressione, per sua natura, dipende in modo totale da ciò che esprime... e dall'apprendimento di questa materia grezza, che solo Lei saprà trasformare in un'opera cesellata."

"Ancora mi sfugge qualcosa," esclamai, con rammarico, scuotendo il capo, "Permettetemi una domanda."

"Dite pure. Quest'oggi non ho impegni pressanti!" mi sorrise, ora in disposizione d'animo decisamente migliore di quanto non lo fosse stata prima.

Lo favorii con un'occhiata di impazienza, "Dunque l'arte, secondo voi... ha un senso sintantochè ha qualche concetto, più o meno celato e tuttavia sempre possente e dominante, da esprimere?"

"Precisamente! Sapevo che avreste inteso." approvò, felice.

"E' strano detto da voi, che avete rinunciato a molto a causa delle Muse."

Si strinse nelle spalle, "Se avessi fatto altrimenti, avrei mancato lo scopo primario dell'arte. Non avrei più unito genio e conoscenza: sarebbe rimasta solamente l'esperienza, ad accompagnare i miei giorni di vecchiaia."

"Rimango dell'opinione che il vostro aspetto non si addica a quello d'un artista."

Il giovane mi rivolse un triste sorriso, "Vi conosco da meno di un giorno, ma so già che non cambierete mai, Amos. Il vostro eloquio è altisonante, i vostri modi garbati, ma il vostro cuore è quello di uno scienziato."

Un matematico i cui errori di calcolo hanno compromesso la sua esistenza, corressi dentro di me, sospirando amaramente. Poi, un'idea, quella che aveva iniziato a crescer nel mio petto e nella mia mente qualche minuto prima, mi assalì con tale foga che per parecchio tempo rimasi immobile, impietrito, senza respirare e senza sbatter le palpebre. Fissavo il mio interlocutore senza vederlo.

"Vi sentite bene?" interloqui quello, preoccupato.

Balzai in piedi, con un ampio sorriso di trionfo, ed afferrai di slancio la mano che prima il mio nuovo amico non aveva voluto porgermi. Quindi, gettando alcune monete sul bancone, trascinai senza tanti complimenti lo sbalordito giovanotto verso la porta d'uscita.

"Rallegratevi, Bart! Ho trovato! O, come proferivano gl'incliti maestri Greci, èureka!"

"A-avete trovato?" balbettò, senza fiato, l'artista.

"Sì! Esattamente! Ed è tutto merito vostro! Sapevo che avreste guarito la mia sordità e la mia cecità!" esultai, muovendomi verso Kensington e tenendo stretto il braccio della mia nuova sbalordita conoscenza. Poi mi fermai, d'un tratto, e lo fissai con aria solenne.
"Giornalista, eh? Giornalista, sì, sì! Non certo letterato, né scrittore... ma giornalista... di sicuro! Si tratta di descriver fatti di realtà, alla fine... e non avrò la stretta necessità d'immergermi in un mare d'introspezione, per la cronaca! In quanto al mio lessico, confido si riveli esser bastante."

"Oh." accennò un sorriso, iniziando a capire, e cercando di sottrarre alla mia presa il suo sgualcito e logoro soprabito. "Un'ottima pensata, congratulazioni. Ma, se posso, cosa c'entro io?"

Lo guardai di sottecchi, a mento alto.
"I giornali usano pubblicare illustrazioni, per condensare in una singola figura la drammaticità, o la letizia d'un evento... lo sapevate? Non mi par che sia molto dissimile dalla vostra concezione di arte, questo... si tratta di esprimere coi tratti del pennino fine e della china il messaggio dalle mille sfumature che un testo impiegherebbe altrettante parole ad esplicare. E l'utilità del mestiere mi pare indubbia, ragazzo mio."

La realizzazione albeggiò sul suo viso, man mano che gli esponevo la mia illuminazione, e ne prese possesso insieme ad una notevole misura di piacevolmente colpito sbalordimento. Sorrisi ancora, fiero di me stesso, e senza indugio ripresi la strada, conducendolo a passo marziale verso il centro di Londra, le ampie falcate così differenti dai passi piccoli e svogliati che avevano segnato la ghiaia biancastra dei vialetti del parco, quella mattina.

"Prima, però, dovrete procurarvi un vestito decente, se permettete la franchezza... ed apparire al vostro meglio. Dovremo usare professionalità e presentarci in modo da apparire come persone degne di fiducia e rispettabili."

"La forma non è al culmine dell'importanza, Amos."

"Suona inconsueto, detto da parte di un artista."

"Pensateci su, e capirete che non è poi così strano."

Gli rivolsi un'occhiata benevola, con una bassa e breve risata, lasciando il suo braccio e giungendo le mani dietro la schiena. "Temo che dovrete ripetermelo molte volte, amico mio."

Lo osservai per un momento, notando nelle sue iridi un brillìo di divertita risposta, quindi m'incamminai senza di lui. Non ebbe affatto bisogno della mia sollecitazione per decidere di seguirmi.


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L'iniziativa di (Vienne) ha avuto per me un beneficio fondamentale: quello di riportarmi alla tastiera non per scrivere lunghe e pesanti linee di codice, ma per comporre un - piuttosto goffo - tentativo di narrativa. Ringrazio la Giudice, di cuore; ringrazio le mie colleghe partecipanti, con le quali sono onorata d'aver potuto concorrere; e ringrazio i proprietari dei due nomi che sono apposti a inizio pagina: senza di essi, a quest'ora, non sarei altro che una povera folle.
Bellis


   
 
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