Bitter
end
Every
step we take that's synchronised
Every broken bone
Reminds me of the second time
That I followed you home
Questa
volta sentì che non ce l'avrebbe fatta. Avrebbe
urlato se non avesse avuto la gola così secca.
Tre giorni.
Era da tre giorni che non si faceva una
dose, e spararsi metadone in vena ormai era come cercare di asciugare
un fiume
con una spugna. Se l'ustione di Mello era stata dolorosa quanto quella
crisi
d'astinenza, giurò che non gli avrebbe mai più
rinfacciato tutte le grida e le
lamentele che aveva dovuto sopportare in quel periodo.
E a
proposito di quella puttana psicolabile, in una
remota regione della sua coscienza Matt sentì la chiave
raspare nella serratura
e la porta aprirsi e chiudersi sbattendo.
Emise un
gemito che avrebbe potuto essere a seconda dei
casi di dolore o di sollievo: di dolore perché quando Mello
lo avesse trovato
in quello stato non avrebbe fatto altro che aumentare l'emicrania che
gli stava
devastando il cervello, e di sollievo perché la presenza del
biondo voleva dire
soldi, e soldi significava potersi comprare una benedetta dose di
eroina
tagliata con una schifezza qualsiasi, fosse stata pure farina. Il solo
pensiero
lo fece sudare ancora di più e contorcere sulla stoffa
ruvida del divano su cui
si era accasciato, le gambe che scalciavano a causa dei riflessi
involontari
dei muscoli.
Mello fece
il suo ingresso nel salotto e non disse
nulla. Si levò la giacchetta nera dal collo di pelo e piume
e la lasciò su una
sedia prima di dirigersi verso il bagno e chiudercisi dentro, ignorando
la
massa gemente e tremante che invocava il suo nome dal sofà.
Prima di poter
affrontare il suo compagno, almeno nello stato in cui si trovava
attualmente,
Mello aveva bisogno di una lunga doccia per cercare di levarsi quel
senso di
sozzume che si sentiva addosso.
Quando
uscì dal bagno, però, notò due cose:
la prima fu
che Matt era sparito. La seconda fu che nella stanza aleggiava un odore
estremamente sgradevole. Arricciò il naso ed
individuò la fonte di quel tanfo
terribile: una macchia giallastra e bianchiccia di bile e schiuma,
tutto quello
che una volta doveva essere stato il contenuto dello stomaco di Matt.
Cercando di
evitare di rimettere lui stesso quel poco
che si era sforzato di ingurgitare dopo aver finito col cliente, Mello
riempì
un secchio d'acqua e con uno stracciò pulì lo
schifo che aveva prodotto il suo
"amico". Poi, cercando di combattere lo sconforto che ormai
cronicamente lo assaliva, cercò nelle tasche del giubbino
quello che era
riuscito a guadagnare quella notte.
Vuote.
Le tasche
erano completamente vuote. Il collegamento tra
l'assenza di Matt e l'improvvisa scomparsa dei SUOI soldi fu
istantaneo, e una
rabbia cieca lo assalì. Quando quel figlio di puttana fosse
tornato a casa,
avrebbe rimpianto i dolori dell'astinenza. Li avrebbe rimpianti molto
amaramente.
Matt si
sentiva una merda per aver fregato i soldi di
Mello, ma aveva bisogno di una dose, e ne aveva bisogno subito.
Il suo
pusher abituale spacciava nel sottopassaggio
della metro a meno di cento metri dal buco che loro osavano chiamare
appartamento, e a Matt quel tragitto parve infinito quanto un viaggio
fino a
Plutone.
"Ehi, ma
guarda chi si rivede!" esclamò l'uomo
sfregandosi le mani arrossate dal freddo decembrino.
Matt non si
premurò nemmeno di rispondere al saluto
dello spacciatore.
"Quanto mi
dai per cinquanta sterline?" la sua
voce risuonò patetica persino alle sue stesse orecchie.
"Ehi Matty,
stai proprio messo una merda!"
Il rosso
avrebbe voluto sparare a quello stronzo, un
perdente quasi più strafatto di lui, ma si era venduto la
pistola per comprarsi
una pera mesi prima, e si limitò a guardarlo con occhi
invasati mentre l'altro
ravanava nelle tasche della giacca per tirare fuori cinque bustine
piene di
polvere bianca.
Le
afferrò con mani tremanti e praticamente corse a
rintanarsi in uno dei bagni della stazione.
Non si
prese il disturbo di chiudersi in uno dei
cubicoli, che ormai erano provvisti di quelle luci violette che
impedivano ai
drogati come lui di spararsi le dosi seduti su uno di quei cessi lerci,
e
magari di morirci pure su quei cazzo di water.
No, Matt si
limitò a levarsi una scarpa scalciandola via
con l'altro piede, sfilarsi il calzino e sedersi sul pavimento lurido
del
bagno, dove chiunque, da una famigliola felice ad un altro tripper
fottuto,
avrebbe potuto vederlo.
Estrasse da
una delle tasche del gilet di pelo un
sacchetto con tutto il necessario per farsi la sua santissima dose.
Versò un
po' della polverina nel cucchiaino ormai ossidato, ci sputò
dentro, mischiò il
tutto con l'ago della siringa e scaldò la sostanza con un
accendino. Quando
inserì la punta accuminata nella caviglia ossuta e vide il
sangue mischiarsi al
cocktail di eroina e saliva gli venne quasi da piangere. Poi, quando
premette
lo stantuffo e sentì la droga entrare in circolo, seppe per
certo di trovarsi
all'inferno.
Dovevano
essere stati innamorati una volta, innamorati
sul serio. Fare l'amore doveva essere stato appagante, la compagnia
l'uno
dell'altro piacevole, ma a quel punto l'unica amante di Matt era
l'eroina e
Mello oramai trovava impossibile pensare al sesso come ad una cosa
bella.
Tutto aveva
cominciato ad andare a puttane quando Near
era morto di leucemia: allora la successione al ruolo di L aveva perso
qualsiasi significato e Mello era caduto in una profonda depressione.
Matt
aveva perso l'unico pilastro che lo avesse tenuto legato alla
realtà e che gli
avesse impedito di fare stronzate, come ad esempio accettare la
proposta di uno
di quei fattoni dei suoi amici geek.
Solo una
pera, giusto per provare.
Ed era
stato l'inizio della fine.
Non era
come se Mello non se lo fosse aspettato, anzi,
quasi si stupì del fatto che ci avesse messo tanto tempo.
Diciamo che era più
come vedere in cielo lampi senza tuoni e improvvisamente sentire la
tempesta
scatenarsi in tutta a sua furia.
Quando
udì il telefono squillare dormiva già da un
pezzo: quella sera avrebbe dovuto lavorare, e stava cercando di
racimolare
quante più ore di sonno possibili. La suoneria fastidiosa
del cellulare
interruppe il suo riposo già agitato da incubi di fiamme e
mani striscianti sul
suo corpo, da sottofondo a quelle immagini angoscianti la nostalgia per
un odio
che un tempo gli aveva dato la forza di combattere.
"Pronto?"
ringhiò nel ricevitore, scostandosi
ciocche bionde e spettinate che gli pungevano gli occhi.
"Pronto,
parlo con Michael Keen?"rispose una
voce sconosciuta, femminile e timida.
"Chi
è?" Mello si rigirò tra le lenzuola
sgualcite guardando l'ora della sveglia su comodino. Le quattro. Aveva
dormito
cinque ore.
"Chiama
l'ospedale St. Quentin, una persona che
conosce è stata ricoverata qui. Lei era l'unico contatto
della rubrica."
Matt. Il solo
pensiero bastò a risvegliarlo del tutto. Alla
fine era successo. Quel coglione aveva scherzato troppe volte con la
sorte, e
quella alla fine lo aveva fottuto.
A quell'ora
del pomeriggio, in moto, per arrivare dal
loro appartamento all'ospedale in cui era stato ricoverato il rosso ci
volevano
quindici minuti. Mello ne impiegò tre. Se non fosse stato
più che abituato a
bruciare semafori rossi e schivare macchine che avrebbero speronato
chiunque
altro, sarebbe già morto da un pezzo. A volte Mello si
domandava il perché si
ostinasse a restare
aggrappato ad una
vita tanto schifosa, squallida e senza senso. Anche Near aveva mollato,
era
riuscito ad arrivare primo persino alla morte. Si rendeva conto, quando
cercava
di darsi una risposta, che in lui c'era ancora speranza. La speranza di
una
vita migliore per sé, per Matt e per il mondo.
Mentre dava
gas e cambiava marcia, vide quella speranza
morire nei fumi di scarico della sua potente moto da corsa.
Fece il suo
ingresso nella hall tinta di giallo pastello
con i capelli spettinati e vestito di pelle. Tutti lo fissarono come se
fosse
stato un alieno, o sporcizia che avesse infangato il pulitissimo
zerbino
all'ingresso delle loro favolose abitazioni medio borghesi, ma lui se
ne
infischiò, dirigendosi a grandi passi verso il banco
accettazione.
"Mi hanno
chiamato per un amico."
"Nome
prego?" la donna seduta dietro il
bancone aveva una voce fredda impersonale, modi efficienti e bruschi.
Mello
pensò che probabilmente per avere a che fare con tutta la
merda che passava di
lì era necessario distaccarsi il più possibile.
Le diede la
sua identità falsa e lei lo indirizzò verso
gli ascensori, terzo piano, prendere a destra nel corridoio, chiedere
del
dottor Cavanaugh.
Il biondo
seguì alla lettere le istruzioni e il dottor
Cavanaugh lo guidò fino ad una stanza, dove lo
lasciò dicendogli che sarebbe
tornato dopo dieci minuti.
Mello
entrò e lo individuò subito, essendo l'unico
paziente della camera.
Sembrava
così fragile, sprofondato tra le pesanti coltri
del letto d'ospedale. Una sacca di soluzione fisiologica gocciolava
nella flebo
inserita nell'incavo del suo collo morbido. Un tubo era fissato sulla
sua
bocca, un canale che doveva arrivargli fin nello stomaco per cercare di
ripulire il suo organismo contaminato.
Gli si
avvicinò e si sedette al suo capezzale, gli prese
una mano tra le sue e osservò il braccio pallido, dalle vene
bruciate
dall'eroina.
"Brutto
coglione." mormorò stringendo le dita
scheletriche dell'amico incosciente. "Inutile…
stupido…" la voce gli
si spezzò in gola e baciò il dorso della sua mano
dalla pelle sottile come la
buccia di un acino d'uva. "Perché… E' davvero
tutta colpa mia?"
Se lo era
domandato così spesso, da quando tutto aveva
cominciato ad andare a rotoli. Era stata davvero colpa sua se Matt
aveva
cominciato a drogarsi? Perché non si era più
preso cura di lui nel modo
adeguato? Era giusto che solo lui dovesse essere forte, che dovesse
portare il
peso di tutti e due sulle spalle?
"Perché,
Matt?"
Gli
accarezzava piano il viso latteo, le lentiggini si
stagliavano in netto contrasto con la pelle cadaverica. Mello lo aveva
sempre
trovato così bello, bello in modo infantile, e ora era come
se quella bellezza
stesse appassendo, di pari passo con la propria.
Voleva
aiutarlo, voleva far tornare il colore su quel
viso lentigginoso, voleva tornare a vedere il sorriso solare di cui si
era
innamorato, tanti anni prima.
La degenza
ospedaliera fu difficile per entrambi. Matt
soffriva di dolori lancinanti, e a volte si erano trovati costretti a
legarlo
al letto perché non si facesse del male da solo. Mello era
completamente
esausto: ogni notte andava a battere per poter pagare le spese
ospedaliere, e
aveva deciso di mettere da parte dei soldi per poter ricoverare il
rosso in una
struttura per la disintossicazione.
Una volta
superato l’apice dell’astinenza, tuttavia, le
cose parvero prendere una piega migliore: Matt sembrava, se non
entusiasta,
almeno desideroso di “guarire” dalla sua
dipendenza. Mello ne era felice, aveva
avuto il timore che avrebbe dovuto costringerlo a farsi aiutare.
Una volta
dimesso dall’ospedale, i due si fecero
indicare dal medico un centro che raccoglieva ragazzi dipendenti dalle
droghe,
e a Matt fu impedito di vedere Mello per tre mesi, durante i quali
seguì
diligentemente la terapia. Il posto non era male, ma la gente che lo
frequentava non era della migliore e il rosso sentiva terribilmente la
mancanza
del biondo, per quanto sapesse che fosse necessario evitare contatti
col mondo
esterno, per non rischiare di vanificare tutti i suoi sforzi.
Quando lo
rivide, si riempì di buoni propositi: non
avrebbe mai più toccato la droga, avrebbe trovato un lavoro
e avrebbe impedito
a Mello di vendersi ancora per lui, ripagandolo di tutti i suoi
sacrifici.
Anche se
Mello avrebbe preferito evitarlo, quella notte
fecero l’amore sul letto dalle molle esauste del loro piccolo
appartamento. Lo
fece per Matt, come premio per i suoi sforzi, anche se quando ebbero
finito gli
rimase dentro un senso di nausea.
Tutto
sembrava andare per il meglio: Matt un giorno
tornò annunciando che aveva trovato impiego in un negozio di
informatica a
poche fermate di metropolitana da dove abitavano.
Mello ne fu
felice. Non trovarlo ogni giorno piegato in
due dal dolore o stravaccato con gli occhi vacui dalla stupefazione
della droga
era qualcosa che migliorava il suo umore.
Ma come
sempre nella sua vita, qualcosa andò storto.
Un giorno
tornò a casa un po’ prima, il corpo e
l’anima
dolenti per le ferite e l’umiliazione ricevute quella notte.
Matt avrebbe
dovuto essere a letto a quell’ora, la sua sveglia avrebbe
suonato solo tre ore
dopo, ma non c’era.
Mello non
vi badò, troppo stanco per preoccuparsene, e
andò a farsi una doccia per risciacquarsi degli umori
dell’ultimo uomo con cui
era stato costretto a fare sesso.
Una volta
uscito dal bagno notò che il gilet di Matt era
su una sedia, segno che l’altro doveva essere rientrato.
“Matt?”
lo chiamò, desideroso di guardare in faccia un
poco di quella speranza che aveva faticosamente riconquistato
nell’ultimo mese.
“Matt?”
nessuno rispose.
Mello
sentiva un campanello d’allarme risuonare nella
propria testa. Si diresse nella camera da letto che condividevano e vi
trovò il
ragazzo sdraiato sul letto, in viso la stessa espressione che sperava
essere
scomparsa per sempre.
Il biondo
rimase a bocca aperta, sbalordito prima,
infuriato poi.
Gli
vomitò addosso parole di rancore ed odio, lo
picchiò
furiosamente, l’altro che si limitava ad una debole quanto
goffa resistenza.
Mello pianse amare lacrime, la sconfitta che gli mangiava il cuore, la
domanda
che lo logorava nell’anima:
“Perché?”
Perché?
Perché
la vita per una volta non poteva essere dalla sua
parte? Perché, quando sembrava che la prospettiva della
felicità gli si parasse
davanti, gli veniva crudelmente strappata?
Dormì
sul divano, o meglio, si girò e rigirò, i pugni
in
bocca per soffocare i singhiozzii di dolore che gli grattavano la gola.
Non aveva
intenzione di farli uscire: Mello era forte,
Mello era indistruttibile, non avrebbe permesso all’uomo che
amava di
distruggerlo ancora una volta. Tutta la speranza e il desiderio di
cambiare il
rosso parvero svanire in quell’istante. Lo aveva deluso e
ferito troppo
profondamente, non lo avrebbe perdonato questa volta.
Per un paio
di settimane nulla parve cambiare, fino a
quando una mattina Matt semplicemente non si alzò dal letto.
Quando Mello lo
interrogò, rispose che lo avevano licenziato.
Il biondo
non disse nulla, assolutamente indifferente.
Era come se la sua mente avesse deciso che per evitare di impazzire
fosse
necessario restare assolutamente glaciale di fronte a qualunque evento,
nessuno
escluso.
Ripresero
la routine interrotta il giorno del ricovero di
Matt: la sera il biondo usciva, la mattina rientrava per trovare il
rosso in
stato catatonico o di tremenda agonia. Quasi non si parlavano
più, se si poteva
fare eccezione per poche imprecazioni e per le invocazioni di Matt.
Una mattina
assolutamente identica a tutte le altre,
Mello aprì la porta e ritrovò Matt sul pavimento,
a pancia in su. Una spessa
schiuma gli usciva dalla bocca e il naso colava sangue.
Il biondo
poteva dire con assoluta certezza che il
ragazzo era ancora vivo, considerato che lo seguiva con lo sguardo, per
quanto
non pareva che lo vedesse.
Il rosso
era riuscito a racimolare abbastanza soldi per
potersi comprare una bustina della roba più nuova sul
mercato. Aveva sentito
dire dal suo spacciatore che a quanto pareva era davvero una bomba, e
ne aveva
immediatamente comprato una dose.
Non era
ancora al punto da non riuscire a resistere fino
a casa per potersela iniettare, e una volta giunto in salotto si era
seduto sul
tappeto liso e aveva ripetuto il rituale in modo automatico, senza
nemmeno
pensare.
Quando
aveva sentito la droga entrare in circolo si era
accasciato in terra, aspettando di sentirne l’effetto, ma
qualcosa non andava.
Girava tutto, sentiva lo stomaco dolergli come se gli stessero
strappando le
viscere con uno stuzzicadenti. Un rigetto gli era arrivato alla bocca,
ma era
troppo debole per alzarsi e andare in bagno. Il cervello non
connetteva, vedeva
ciò che lo circondava come attraverso un vetro spesso.
Un’altra
overdose.
In modo
inconscio aveva registrato l’aprirsi della porta
e l’ingresso del suo compagno.
Mello!
Mello
avrebbe sistemato le cose, Mello avrebbe chiamato
l’ambulanza e tutto si sarebbe sistemato!
Notò
che lo stava fissando coi suoi bellissimi occhi
color non-ti-scordar-di-me. Perché non si sbrigava? Il
dolore stava diventando
insopportabile e sentiva la coscienza sfilacciarsi a poco a poco. Lo
vide
scavalcarlo come se fosse stato un pezzo dell’arredamento e
dirigersi in
camera. No, non andava. Perché non chiamava aiuto?
Perché non gridava, perché
non si preoccupava per lui?
Lo vide
tornare con una grande borsa. Non lo degnò
nemmeno di uno sguardo. Ancora una volta lo superò e
aprì la porta. La udì
richiudersi, la chiave girare una, due, tre volte.
Di nuovo
solo.
Solo.
Dolore.
Buio.
Mello
caricò il borsone sulla moto, la assicurò con
delle cinghie, indossò il casco e accese il motore. Se ne
andò senza guardarsi
indietro. Lasciò la speranza in quel appartamento, assieme
al cadavere del più
grande amore e alla più grande delusione della propria vita.
As
you're walking away
Reminds me that it's killing time
On this fateful day
See you at the bitter end
Non
possiedo Death Note, né la canzone “Bitter
End” dei Placebo.