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Autore: Candy Floss    07/12/2010    7 recensioni
Dovevano essere stati innamorati una volta, innamorati sul serio. Fare l'amore doveva essere stato appagante, la compagnia l'uno dell'altro piacevole, ma a quel punto l'unica amante di Matt era l'eroina e Mello oramai trovava impossibile pensare al sesso come ad una cosa bella.[...] Matt aveva perso l'unico pilastro che lo avesse tenuto legato alla realtà e che gli avesse impedito di fare stronzate, come ad esempio accettare la proposta di uno di quei fattoni dei suoi amici geek. Solo una pera, giusto per provare. Ed era stato l'inizio della fine. (Rating per i contenuti)
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Bitter end

 

 

 

 

Every step we take that's synchronised
Every broken bone
Reminds me of the second time
That I followed you home

 

Questa volta sentì che non ce l'avrebbe fatta. Avrebbe urlato se non avesse avuto la gola così secca.

Tre giorni. Era da tre giorni che non si faceva una dose, e spararsi metadone in vena ormai era come cercare di asciugare un fiume con una spugna. Se l'ustione di Mello era stata dolorosa quanto quella crisi d'astinenza, giurò che non gli avrebbe mai più rinfacciato tutte le grida e le lamentele che aveva dovuto sopportare in quel periodo.

E a proposito di quella puttana psicolabile, in una remota regione della sua coscienza Matt sentì la chiave raspare nella serratura e la porta aprirsi e chiudersi sbattendo.

Emise un gemito che avrebbe potuto essere a seconda dei casi di dolore o di sollievo: di dolore perché quando Mello lo avesse trovato in quello stato non avrebbe fatto altro che aumentare l'emicrania che gli stava devastando il cervello, e di sollievo perché la presenza del biondo voleva dire soldi, e soldi significava potersi comprare una benedetta dose di eroina tagliata con una schifezza qualsiasi, fosse stata pure farina. Il solo pensiero lo fece sudare ancora di più e contorcere sulla stoffa ruvida del divano su cui si era accasciato, le gambe che scalciavano a causa dei riflessi involontari dei muscoli.

Mello fece il suo ingresso nel salotto e non disse nulla. Si levò la giacchetta nera dal collo di pelo e piume e la lasciò su una sedia prima di dirigersi verso il bagno e chiudercisi dentro, ignorando la massa gemente e tremante che invocava il suo nome dal sofà. Prima di poter affrontare il suo compagno, almeno nello stato in cui si trovava attualmente, Mello aveva bisogno di una lunga doccia per cercare di levarsi quel senso di sozzume che si sentiva addosso.

Quando uscì dal bagno, però, notò due cose: la prima fu che Matt era sparito. La seconda fu che nella stanza aleggiava un odore estremamente sgradevole. Arricciò il naso ed individuò la fonte di quel tanfo terribile: una macchia giallastra e bianchiccia di bile e schiuma, tutto quello che una volta doveva essere stato il contenuto dello stomaco di Matt.

Cercando di evitare di rimettere lui stesso quel poco che si era sforzato di ingurgitare dopo aver finito col cliente, Mello riempì un secchio d'acqua e con uno stracciò pulì lo schifo che aveva prodotto il suo "amico". Poi, cercando di combattere lo sconforto che ormai cronicamente lo assaliva, cercò nelle tasche del giubbino quello che era riuscito a guadagnare quella notte.

Vuote.

Le tasche erano completamente vuote. Il collegamento tra l'assenza di Matt e l'improvvisa scomparsa dei SUOI soldi fu istantaneo, e una rabbia cieca lo assalì. Quando quel figlio di puttana fosse tornato a casa, avrebbe rimpianto i dolori dell'astinenza. Li avrebbe rimpianti molto amaramente. 

 

Matt si sentiva una merda per aver fregato i soldi di Mello, ma aveva bisogno di una dose, e ne aveva bisogno subito.

Il suo pusher abituale spacciava nel sottopassaggio della metro a meno di cento metri dal buco che loro osavano chiamare appartamento, e a Matt quel tragitto parve infinito quanto un viaggio fino a Plutone.

"Ehi, ma guarda chi si rivede!" esclamò l'uomo sfregandosi le mani arrossate dal freddo decembrino.

Matt non si premurò nemmeno di rispondere al saluto dello spacciatore.

"Quanto mi dai per cinquanta sterline?" la sua voce risuonò patetica persino alle sue stesse orecchie.

"Ehi Matty, stai proprio messo una merda!"

Il rosso avrebbe voluto sparare a quello stronzo, un perdente quasi più strafatto di lui, ma si era venduto la pistola per comprarsi una pera mesi prima, e si limitò a guardarlo con occhi invasati mentre l'altro ravanava nelle tasche della giacca per tirare fuori cinque bustine piene di polvere bianca.

Le afferrò con mani tremanti e praticamente corse a rintanarsi in uno dei bagni della stazione.

Non si prese il disturbo di chiudersi in uno dei cubicoli, che ormai erano provvisti di quelle luci violette che impedivano ai drogati come lui di spararsi le dosi seduti su uno di quei cessi lerci, e magari di morirci pure su quei cazzo di water.

No, Matt si limitò a levarsi una scarpa scalciandola via con l'altro piede, sfilarsi il calzino e sedersi sul pavimento lurido del bagno, dove chiunque, da una famigliola felice ad un altro tripper fottuto, avrebbe potuto vederlo.

Estrasse da una delle tasche del gilet di pelo un sacchetto con tutto il necessario per farsi la sua santissima dose. Versò un po' della polverina nel cucchiaino ormai ossidato, ci sputò dentro, mischiò il tutto con l'ago della siringa e scaldò la sostanza con un accendino. Quando inserì la punta accuminata nella caviglia ossuta e vide il sangue mischiarsi al cocktail di eroina e saliva gli venne quasi da piangere. Poi, quando premette lo stantuffo e sentì la droga entrare in circolo, seppe per certo di trovarsi all'inferno.

 

Dovevano essere stati innamorati una volta, innamorati sul serio. Fare l'amore doveva essere stato appagante, la compagnia l'uno dell'altro piacevole, ma a quel punto l'unica amante di Matt era l'eroina e Mello oramai trovava impossibile pensare al sesso come ad una cosa bella.

Tutto aveva cominciato ad andare a puttane quando Near era morto di leucemia: allora la successione al ruolo di L aveva perso qualsiasi significato e Mello era caduto in una profonda depressione. Matt aveva perso l'unico pilastro che lo avesse tenuto legato alla realtà e che gli avesse impedito di fare stronzate, come ad esempio accettare la proposta di uno di quei fattoni dei suoi amici geek.

Solo una pera, giusto per provare.

Ed era stato l'inizio della fine.

 

Non era come se Mello non se lo fosse aspettato, anzi, quasi si stupì del fatto che ci avesse messo tanto tempo. Diciamo che era più come vedere in cielo lampi senza tuoni e improvvisamente sentire la tempesta scatenarsi in tutta a sua furia.

Quando udì il telefono squillare dormiva già da un pezzo: quella sera avrebbe dovuto lavorare, e stava cercando di racimolare quante più ore di sonno possibili. La suoneria fastidiosa del cellulare interruppe il suo riposo già agitato da incubi di fiamme e mani striscianti sul suo corpo, da sottofondo a quelle immagini angoscianti la nostalgia per un odio che un tempo gli aveva dato la forza di combattere.

"Pronto?" ringhiò nel ricevitore, scostandosi ciocche bionde e spettinate che gli pungevano gli occhi.

"Pronto, parlo con Michael Keen?"rispose una voce sconosciuta, femminile e timida.

"Chi è?" Mello si rigirò tra le lenzuola sgualcite guardando l'ora della sveglia su comodino. Le quattro. Aveva dormito cinque ore.

"Chiama l'ospedale St. Quentin, una persona che conosce è stata ricoverata qui. Lei era l'unico contatto della rubrica."

Matt. Il solo pensiero bastò a risvegliarlo del tutto. Alla fine era successo. Quel coglione aveva scherzato troppe volte con la sorte, e quella alla fine lo aveva fottuto.

 

A quell'ora del pomeriggio, in moto, per arrivare dal loro appartamento all'ospedale in cui era stato ricoverato il rosso ci volevano quindici minuti. Mello ne impiegò tre. Se non fosse stato più che abituato a bruciare semafori rossi e schivare macchine che avrebbero speronato chiunque altro, sarebbe già morto da un pezzo. A volte Mello si domandava il perché si ostinasse  a restare aggrappato ad una vita tanto schifosa, squallida e senza senso. Anche Near aveva mollato, era riuscito ad arrivare primo persino alla morte. Si rendeva conto, quando cercava di darsi una risposta, che in lui c'era ancora speranza. La speranza di una vita migliore per sé, per Matt e per il mondo.

Mentre dava gas e cambiava marcia, vide quella speranza morire nei fumi di scarico della sua potente moto da corsa.

Fece il suo ingresso nella hall tinta di giallo pastello con i capelli spettinati e vestito di pelle. Tutti lo fissarono come se fosse stato un alieno, o sporcizia che avesse infangato il pulitissimo zerbino all'ingresso delle loro favolose abitazioni medio borghesi, ma lui se ne infischiò, dirigendosi a grandi passi verso il banco accettazione.

"Mi hanno chiamato per un amico."

"Nome prego?" la donna seduta dietro il bancone aveva una voce fredda impersonale, modi efficienti e bruschi. Mello pensò che probabilmente per avere a che fare con tutta la merda che passava di lì era necessario distaccarsi il più possibile.

Le diede la sua identità falsa e lei lo indirizzò verso gli ascensori, terzo piano, prendere a destra nel corridoio, chiedere del dottor Cavanaugh.

Il biondo seguì alla lettere le istruzioni e il dottor Cavanaugh lo guidò fino ad una stanza, dove lo lasciò dicendogli che sarebbe tornato dopo dieci minuti.

Mello entrò e lo individuò subito, essendo l'unico paziente della camera.

Sembrava così fragile, sprofondato tra le pesanti coltri del letto d'ospedale. Una sacca di soluzione fisiologica gocciolava nella flebo inserita nell'incavo del suo collo morbido. Un tubo era fissato sulla sua bocca, un canale che doveva arrivargli fin nello stomaco per cercare di ripulire il suo organismo contaminato.

Gli si avvicinò e si sedette al suo capezzale, gli prese una mano tra le sue e osservò il braccio pallido, dalle vene bruciate dall'eroina.

"Brutto coglione." mormorò stringendo le dita scheletriche dell'amico incosciente. "Inutile… stupido…" la voce gli si spezzò in gola e baciò il dorso della sua mano dalla pelle sottile come la buccia di un acino d'uva. "Perché… E' davvero tutta colpa mia?"

Se lo era domandato così spesso, da quando tutto aveva cominciato ad andare a rotoli. Era stata davvero colpa sua se Matt aveva cominciato a drogarsi? Perché non si era più preso cura di lui nel modo adeguato? Era giusto che solo lui dovesse essere forte, che dovesse portare il peso di tutti e due sulle spalle?

"Perché, Matt?"

Gli accarezzava piano il viso latteo, le lentiggini si stagliavano in netto contrasto con la pelle cadaverica. Mello lo aveva sempre trovato così bello, bello in modo infantile, e ora era come se quella bellezza stesse appassendo, di pari passo con la propria.

Voleva aiutarlo, voleva far tornare il colore su quel viso lentigginoso, voleva tornare a vedere il sorriso solare di cui si era innamorato, tanti anni prima.

La degenza ospedaliera fu difficile per entrambi. Matt soffriva di dolori lancinanti, e a volte si erano trovati costretti a legarlo al letto perché non si facesse del male da solo. Mello era completamente esausto: ogni notte andava a battere per poter pagare le spese ospedaliere, e aveva deciso di mettere da parte dei soldi per poter ricoverare il rosso in una struttura per la disintossicazione.

Una volta superato l’apice dell’astinenza, tuttavia, le cose parvero prendere una piega migliore: Matt sembrava, se non entusiasta, almeno desideroso di “guarire” dalla sua dipendenza. Mello ne era felice, aveva avuto il timore che avrebbe dovuto costringerlo a farsi aiutare.

Una volta dimesso dall’ospedale, i due si fecero indicare dal medico un centro che raccoglieva ragazzi dipendenti dalle droghe, e a Matt fu impedito di vedere Mello per tre mesi, durante i quali seguì diligentemente la terapia. Il posto non era male, ma la gente che lo frequentava non era della migliore e il rosso sentiva terribilmente la mancanza del biondo, per quanto sapesse che fosse necessario evitare contatti col mondo esterno, per non rischiare di vanificare tutti i suoi sforzi.

Quando lo rivide, si riempì di buoni propositi: non avrebbe mai più toccato la droga, avrebbe trovato un lavoro e avrebbe impedito a Mello di vendersi ancora per lui, ripagandolo di tutti i suoi sacrifici.

Anche se Mello avrebbe preferito evitarlo, quella notte fecero l’amore sul letto dalle molle esauste del loro piccolo appartamento. Lo fece per Matt, come premio per i suoi sforzi, anche se quando ebbero finito gli rimase dentro un senso di nausea.

Tutto sembrava andare per il meglio: Matt un giorno tornò annunciando che aveva trovato impiego in un negozio di informatica a poche fermate di metropolitana da dove abitavano.

Mello ne fu felice. Non trovarlo ogni giorno piegato in due dal dolore o stravaccato con gli occhi vacui dalla stupefazione della droga era qualcosa che migliorava il suo umore.

Ma come sempre nella sua vita, qualcosa andò storto.

Un giorno tornò a casa un po’ prima, il corpo e l’anima dolenti per le ferite e l’umiliazione ricevute quella notte. Matt avrebbe dovuto essere a letto a quell’ora, la sua sveglia avrebbe suonato solo tre ore dopo, ma non c’era.

Mello non vi badò, troppo stanco per preoccuparsene, e andò a farsi una doccia per risciacquarsi degli umori dell’ultimo uomo con cui era stato costretto a fare sesso.

Una volta uscito dal bagno notò che il gilet di Matt era su una sedia, segno che l’altro doveva essere rientrato.

“Matt?” lo chiamò, desideroso di guardare in faccia un poco di quella speranza che aveva faticosamente riconquistato nell’ultimo mese.

“Matt?” nessuno rispose.

Mello sentiva un campanello d’allarme risuonare nella propria testa. Si diresse nella camera da letto che condividevano e vi trovò il ragazzo sdraiato sul letto, in viso la stessa espressione che sperava essere scomparsa per sempre.

Il biondo rimase a bocca aperta, sbalordito prima, infuriato poi.

Gli vomitò addosso parole di rancore ed odio, lo picchiò furiosamente, l’altro che si limitava ad una debole quanto goffa resistenza. Mello pianse amare lacrime, la sconfitta che gli mangiava il cuore, la domanda che lo logorava nell’anima: “Perché?”

Perché?

Perché la vita per una volta non poteva essere dalla sua parte? Perché, quando sembrava che la prospettiva della felicità gli si parasse davanti, gli veniva crudelmente strappata?

Dormì sul divano, o meglio, si girò e rigirò, i pugni in bocca per soffocare i singhiozzii di dolore che gli grattavano la gola.

Non aveva intenzione di farli uscire: Mello era forte, Mello era indistruttibile, non avrebbe permesso all’uomo che amava di distruggerlo ancora una volta. Tutta la speranza e il desiderio di cambiare il rosso parvero svanire in quell’istante. Lo aveva deluso e ferito troppo profondamente, non lo avrebbe perdonato questa volta.

Per un paio di settimane nulla parve cambiare, fino a quando una mattina Matt semplicemente non si alzò dal letto. Quando Mello lo interrogò, rispose che lo avevano licenziato.

Il biondo non disse nulla, assolutamente indifferente. Era come se la sua mente avesse deciso che per evitare di impazzire fosse necessario restare assolutamente glaciale di fronte a qualunque evento, nessuno escluso.

Ripresero la routine interrotta il giorno del ricovero di Matt: la sera il biondo usciva, la mattina rientrava per trovare il rosso in stato catatonico o di tremenda agonia. Quasi non si parlavano più, se si poteva fare eccezione per poche imprecazioni e per le invocazioni di Matt.

Una mattina assolutamente identica a tutte le altre, Mello aprì la porta e ritrovò Matt sul pavimento, a pancia in su. Una spessa schiuma gli usciva dalla bocca e il naso colava sangue.

Il biondo poteva dire con assoluta certezza che il ragazzo era ancora vivo, considerato che lo seguiva con lo sguardo, per quanto non pareva che lo vedesse.   

Il rosso era riuscito a racimolare abbastanza soldi per potersi comprare una bustina della roba più nuova sul mercato. Aveva sentito dire dal suo spacciatore che a quanto pareva era davvero una bomba, e ne aveva immediatamente comprato una dose.

Non era ancora al punto da non riuscire a resistere fino a casa per potersela iniettare, e una volta giunto in salotto si era seduto sul tappeto liso e aveva ripetuto il rituale in modo automatico, senza nemmeno pensare.

Quando aveva sentito la droga entrare in circolo si era accasciato in terra, aspettando di sentirne l’effetto, ma qualcosa non andava. Girava tutto, sentiva lo stomaco dolergli come se gli stessero strappando le viscere con uno stuzzicadenti. Un rigetto gli era arrivato alla bocca, ma era troppo debole per alzarsi e andare in bagno. Il cervello non connetteva, vedeva ciò che lo circondava come attraverso un vetro spesso.

Un’altra overdose.

In modo inconscio aveva registrato l’aprirsi della porta e l’ingresso del suo compagno.

Mello!

Mello avrebbe sistemato le cose, Mello avrebbe chiamato l’ambulanza e tutto si sarebbe sistemato!

Notò che lo stava fissando coi suoi bellissimi occhi color non-ti-scordar-di-me. Perché non si sbrigava? Il dolore stava diventando insopportabile e sentiva la coscienza sfilacciarsi a poco a poco. Lo vide scavalcarlo come se fosse stato un pezzo dell’arredamento e dirigersi in camera. No, non andava. Perché non chiamava aiuto? Perché non gridava, perché non si preoccupava per lui?

Lo vide tornare con una grande borsa. Non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Ancora una volta lo superò e aprì la porta. La udì richiudersi, la chiave girare una, due, tre volte.

Di nuovo solo.

Solo.

Dolore.

Buio.

 

Mello caricò il borsone sulla moto, la assicurò con delle cinghie, indossò il casco e accese il motore. Se ne andò senza guardarsi indietro. Lasciò la speranza in quel appartamento, assieme al cadavere del più grande amore e alla più grande delusione della propria vita.

 

 

As you're walking away
Reminds me that it's killing time
On this fateful day

See you at the bitter end

Non possiedo Death Note, né la canzone “Bitter End” dei Placebo.

  
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