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Autore: Yvaine0    08/12/2010    2 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Cows and jeans
 
3


 

Kameron era uscito nel cortile ed ero rimasta sola in casa. Si sentivano lui e Agatha armeggiare con qualcosa sul cassone del pickup. Probabilmente erano le cassette della verdura per il mercato di cui mi avevano parlato.

Decisi di iniziare il mio soggiorno in quel posto con un'esplorazione della casa, visto che non c'era nessuno lì a dirmi dove stare o non stare.

Continuavo a pensare che mio nonno fosse un vecchio irresponsabile: quale uomo abbandonerebbe a sè stessa una diciottenne di città in mezzo alla campagna e poi in una casa vuota di cui peraltro lasciava le chiavi sotto lo zerbino? Bè, ora capivo da chi aveva preso mio padre. E anche mio fratello. In fondo era colpa di quei due se ora mi ritrovavo in mezzo alla vecchia fattoria dello squilibrato Abraham Fletcher.

Respirai a fondo. Sarei dovuta ricorrere di nuovo al manuale di sopravvivenza. Due volte nel giro di... secondo l'orologio del mio cellulare solo due ore. Ma per quanto mi riguardava in quel luogo il tempo avrebbe anche potuto scorrere al contrario, non me ne sarei stupita, a quel punto.

"Inspira, espira. Ce la puoi fare, Pan." sussurrai, conscia di sembrare una stupida. Ma tanto ero in una casa socnosciuta e vuota, no? Chi poteva vedermi?

Deglutii. Con la fortuna che mi ritrovavo era pure infestata dai fantasmi.

Sbuffai, rendendomi conto delle assurdità che mi frullavano nella testa, e mi decisi a riaffidarmi al Manuale di Sopravvivenza.

Regola numero tre, trovare almeno tre fattori favorevoli nella situazione. 

...potevo riciclare quelli di prima?

Ridacchiai tra me e mi avventurai all'interno, alla ricerca dei miei amici elementi positivi. Lasciai i bagagli a terra e oltrepassai la prima porta a destra. Oh!

Punto positivo primo: nella cucina c'erano tutti gli elettrodomestici essenziali e persino un televisore non troppo antiquato. Sospirai di sollievo.

Il secondo non fu difficile da trovare: il frigorifero era pieno e persino funzionante.

Ok, tutto ciò era decisamente buono. Dopo la vernice scrostata al di fuori della casa e le chiavi sotto lo zerbino malandato mi ero aspettata topi che uscivano dalle credenze, un televisore ante-guerra e un frigorifero assolutamente sgombero se non per un paio di lattine di birra e degli avanzi di insalata appassita. 

E invece no! Formaggi, latte, burro, verdura, acqua in bottiglia, bistecche e persino un contenitore con del pesce.

Aprii uno sportello e trovai un sacchetto pieno di pane. Fresco, a giudicare dal profumo.

In mezzo alla tavola da quattro posti un cestino di frutta dall'aspetto invitante.

Curiosai nei vari scaffali in legno e trovai tutto l'occorrente per cucinare, e in più spezie, un sacchetto di caffè da macinare, diversi infusi per il tè, ciotole, contenitori, bicchieri. Passai ai cassetti sul piano da lavoro e trovai tovaglie, posate, tappi di sughero e qualche altro oggetto. Sotto il lavandino c'erano i detersivi e un capiente secchio pieno di stracci. Dietro la porta persino un'aspirapolvere. 

Ok, il tutto non era poi così male. Senza contare poi che data l'assenza del nonno avevo probabilmente tutto il tempo per sistemarmi ed esplorare la casa in tranquillità.

Finalmente le cose sembravano andare per il verso giusto.

Scostai le tende lasciando entrare la luce del sole nella stanza.

Guardai fuori.

La finestra si affacciava sul lato destro della casa. Fuori si estendevano prati e campi fino all'orizzonte, una casa qua e là. Il paesaggio era rilassante, certo, ma per una che come me era cresciuta tra mura di altissimi palazzi fatti di vetro, acciaio e cemento, era anche un po' strano. Vedere la vastità di tutto ciò mi dava un senso di claustrofobia al contrario. Come se fossi completamente allo scoperto, in un posto in cui non c'erano nascondigli. Mi sentivo piccola, ecco. Piccola e fuori luogo.

Sospirai e tornai in corridoio, sperando di ambientarmi presto in quel luogo.

Passai alla stanza di fronte. 

Un divano verde cupo, un largo tappeto tarlato, una poltrona di pelle color legno e un'enorme libreria piena di volumi polverosi che mi attiravano come una calamita. Decisi che una volta sistematami, quelli sarebbero stati la prima cosa di cui occuparsi. Alla sinistra della porta c'era un tavolo di mogano circondato da sei eleganti sedie coperte da cuscini rossi. Su di un mobile un'antica radio che mi fece venire in mente quella di cui cantava Freddie Mercury in "Radio gaga", con la sua luce che irradiava le giornate adolescenziali e regalava notizie al cantante. Ero molto affascinata da tutto ciò. I mobili sembravano sussurrare una vita di ricordi ed emozioni.

Mi costrinsi a lasciare la stanza e mi recai in quella accanto: il bagno. Un piccolo bagno fornito solo dei sanitari essenziali -wc e lavandino- più una vecchia lavatrice. Aprii l'oblò e mi corressi: una vecchia lavatrice piena di panni da asciugare e stirare. Un secchio poggiato in terra attendeva di essere riempito con la biancheria pulita.

Sospirai di nuovo. Avrei fatto anche quello, quindi.

Dopo il piccolo gabinetto vi erano delle scale di legno che portavano al piano superiore. Le salii con riluttanza tenendomi stretta al corrimano. Mi aspettavo che si sfondassero da un momento all'altro, in effetti. Tuttavia il mio pessimismo risultò superfluo.

Aprii la porta che dava sul secondo piano e mi trovai in una stanza da letto decisamente spoglia: un divano-letto in mezzo al pavimento, dei vestiti gettati sulle coperte sgualcite e alcuni in terra in mezzo alla polvere. Persino della biancheria -non ebbi voglia di verificarne la pulizia- su di un vecchio baule aperto, pieno di abiti spiegazzati e messi alla rinfusa.

A destra una porta aperta che mostrava un bagno molto più accogliente di quello al piano inferiore, fornito di vasca, bidè e anche doccia. (In uno troppo, nell'altro niente, insomma).

Dalla parte opposta c'erano altre due porte che scoprii nascondere due stanze da letto identiche nella loro semplicità, tranne per il fatto che nella prima c'era un letto matrimoniale rifatto frettolosamente e un libro sul comodino, mentre nella seconda un letto singolo, sul cui materasso erano piegate le lenzuola pulite. 

Evidentemente il nonno non era poi così sprovedduto: mi aveva preparato le lenzuola. 

Dopo una capatina al bagno, decisi di rimandare l'esplorazione della libreria del vecchio, e mi dedicai invece a portare le valigie nella mia camera e a preparare quello che sarebbe stato il mio letto per un bel po' di tempo. 

La mia mente bacata non si era chiesta nemmeno lontanamente perchè ci fossero ben tre letti, due dei quali sfatti. La verità era che ero troppo occupata a sistemarmi in modo da sentirmi a casa per notare altro che non fosse quell'unico gesto di consapevolezza del mio arrivo lasciato dal nonno: le lenzuola pulite sul materasso. Mi stavo aggrappando a quell'unico gesto come se fosse l'unica cosa a non farmi sprofondare nel pavimento polveroso. Ed era normale: mi era stato strappato tutto ciò che avevo e mi avevano spedita come un pacco postale in luogo che non conoscevo, da un vecchio parente che avevo visto solo in foto, il quale sembrava non sapere nemmeno che sarei arrivata. La mia politica per sopravvivere mi impediva di sfogarmi piangendo, sperando di riuscire a diventare più forte. Tuttavia la malinconia si faceva sentire nonostante i miei tentativi di trovare un lato positivo in tutto. 

Inoltre la mia mente romantica si stava chiedendo se quella non fosse stata un tempo la stanza di mio padre, quella in cui aveva dormito da bambino, in cui aveva giocato e in cui si era sfogato prendendo a calci tutto quanto o piangendo come se non ci fosse stato un domani. 

Avevo l'mp3 nelle orecchie e stavo sistemando il cuscino dentro la federa, canticchiavo. Ripiegai il lenzuolo in un bel risvolto e sospirai. Uno dei lavori era concluso. I vestiti li avrei messi nell'armadio con comodo, ora mi attendevano quelli sporchi nel bagno al piano di sotto.

Freddie Mercury cantava dentro gli auricolari. Andai a scostare le tende alla finestra e mi incantai nuovamente ad osservare fuori. Non sapevo cosa pensare. 

Don't stop me now

I'm having such a good time 

I'm having a ball 

Il senso di smarrimento continuava a pervadermi ogni volta che mi rendevo conto di essere in mezzo al nulla. 

Don't stop me now 

If you wanna have a good time just give me a call 

Sospirai per l'ennesima volta da quando ero arrivata in quel posto. Mi sembrava di essere diventata una locomotiva. Il trenino Thomas, ecco. Quello che guardava Joshua da piccolo su PlayHouseDisney. Bè, lo guardavo anche io, in effetti. Ma non mi era mai piaciuto.

Erano sempre andate così le cose. Joshua decideva, il mondo si piegava al suo volere. Nemmeno fosse Dio in terra. Feci una smorfia e ascoltai le parole del cantante...

Don't stop me now ('Cause I'm having a good time) 

Don't stop me now (Yes I'm havin' a good time)

I don't want to stop at all 

...poi mi voltai per andare di sotto, rincuorata un po' dalla carica che mi dava la canzone.

Gridai di spavento, mentre gli auricolari mi venivano strappati per la seconda volta in quella mattina: un ragazzo alto e biondo mi fissava in cagnesco. "Che diavolo ci fai qui?" mi chiese, burbero. No, mi correggo: incazzato. Era proprio incazzato.

E la cosa mi diede sui nervi. Io ero in casa mia! O almeno, in quella che presto lo sarebbe stata. "Cosa diavolo ci fai TU, qui? Questa è casa di mio nonno!"

"Io qui ci vivo!" sbuffò lui, lanciando il MIO mp3 sul letto, con noncuranza. Quel tipo mi dava già sui nervi. 

Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!" 

"Che diamine dici?" domandò, irritato. Io lo fulminai con lo sguardo, mentre iniziava a misurare la stanza a grandi passi. Prima che potessi rispondere si bloccò di colpo e si voltò fissandomi con astio. "Sei la nipote."

"Cacchio, sei acuto." Gli avevo appena detto che Abraham era mio nonno. "Vuoi una medaglia?"

Lui fece una smorfia e finse di ridere della mia battuta. "Simpatica. Sei proprio una principessina di città." sputò quelle parole come un insulto. 

Mi sforzai di non mettermi a sbraitare. Tutta quella situazione, dalle pecore a quel tizio pieno di sé era incredibilmente irreale e frustrante. "E tu, di grazia, chi sei?" cercai di rimanere tranquilla, con scarsi risultati. L'irritazione trasudava dal mio tono di voce, me ne rendevo conto persino io. 

"Dean" si limitò a rispondere, sbuffando.

Thomas. Il trenino Thomas. Ritiravo tutti i pensieri di poco prima: decisamente era LUI il trenino Tom. Sbuffava e mi irritava. Io ero una delle povere locomotive che dovevano sorbirselo, probabilmente.
Dean.
Thomas.
Dean Thomas! E inevitabilmente, come una perfetta cretina, gli scoppiai a ridere in faccia.

  
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