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Autore: Emily Doe    03/12/2005    16 recensioni
"E quando ti serve qualcosa, riesci sempre a trovare quel che cerchi?"
Ron si fermò per un secondo e sollevò in aria, con aria trionfante, una penna tutta stropicciata. Abbassò nuovamente lo sguardo su di lei e Hermione avvertì qualcosa vibrare nel proprio cuore. Con intensità.
"Certo." Rispose lui, sorridendo spensierato. "Riesco sempre a trovare quello che per me è importante."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Disclaimer: Ron, Hermione e tutti gli altri personaggi appartengono a J.K.Rowling ed alle rispettive case editrici. Non scrivo questa fanfiction a scopo di lucro, non si ritiene infranto alcun copyright.
Nota dell'Autrice: Nata da un momento delirante, dopo un'interrogazione di italiano durata più o meno due ore. Stavo tentando di riprendermi guardando fuori dalla finestra (._. segue molto le lezioni, la ragazza!) e mi è venuta in mente questa storiella strampalata, quindi sappiate che vi comprendo pienamente se avete già pronti i pomodori da lanciarmi (guardate, dato che mi rendo conto dell'orrore sfornato, mi privo anche del solito ombrello: sono indifesa ^^). Tendenzialmente è una storia semplice semplice ^^
Ehi, scusate, ma ci vuole la dedica: a Ginny85, la mia tess (o Ginnuzza, come la chiamo sempre io ^^), che ha sempre l'incredibile pazienza (ed inspiegabile voglia) di leggere ogni mia orripilante creazione e che mi ha scritto a sorpresa una bellissima James/Lily qualche tempo fa ^^ andatela a leggere! (< - dai, tess! Ti faccio anche pubblicità ^^) Spero ti piaccia, tessorina! (So che questi due assieme ti piacciono tanto ^^)
Lievissimo spoiler "Harry Potter and the Half-Blood Prince" (non lo ricalca alla perfezione... è come se questo fosse un finale 'alternativo' per i due). Mooolto lieve, ma c'è. (<-melius abundare quam deficere, anche negli avvisi ^^;;)







Delle cose, la più importante




Se le avessero mai detto che ogni singola cosa poteva andare non male, ma così male, Hermione Granger non ci avrebbe creduto. Dopotutto bastava un po' d'impegno e di buona volontà, bastava stringere i denti e tenere duro per andare avanti, no? ... No. Non bastava più. Non bastava più tentare di concentrare tutta se stessa sui libri, non bastava più chiudere gli occhi e dirsi 'non ragionar di lor, ma guarda e passa', non bastava più nulla di tutto questo. Forse perché non era mai bastato, forse perché aveva sempre taciuto. Forse perché Hermione Granger aveva ormai diciassette anni e non era più in grado di pensare che tutto si sarebbe risolto con un sorriso. Era vero, probabilmente non si trattava di cose di un'importanza estrema, anzi, agli occhi di persone più adulte, di persone più mature e di quasi tutte le persone che, fondamentalmente, non erano Hermione Granger, tutte queste cose potevano sembrare superabili con il tempo, delle piccole ed insignificanti scaramucce che nel corso della vita prima o poi tutti devono affrontare. Avrebbero avuto ragione. Ma Hermione, da sola, non ce la faceva. Tutte quelle insignificanti scaramucce andavano costituendo un muro invisibile e, proprio per questo, insuperabile; un ostacolo fantasma che non puoi vedere, che non puoi conoscere nella sua totalità, che non puoi, in poche parole, affrontare. E' qualcosa che ti mina dentro, lentamente, in una maniera così subdola che, accidenti!, quasi non te ne rendi conto... ti sembra che ogni dolore, che ogni ferita sia passata, ti sembra di essere di nuovo forte ed al sicuro. Continui a sentirti così per qualche tempo, fino a quando arriva il momento in cui, inevitabilmente, crolli.
Ed Hermione lo aveva fatto. In senso metaforico e non.
Due ragazzine del terzo anno si voltarono incuriosite distraendosi momentaneamente dai loro compiti di Storia della Magia, un sorriso divertito comparve sui loro volti mentre la giovane Grifondoro si rialzava brontolando lamentele sconnesse tra loro.
"Santo cielo, ti sei fatta male?"
Una voce maschile ben conosciuta le fece scuotere il capo seccamente, ma con un qualcosa di stanco. I ribelli boccoli castani le scivolavano sulle spalle ben disegnate, dondolavano dolcemente nel vuoto, qualcuno giocava impertinentemente sul suo viso accigliato.
Dolce, premuroso, attento.
Harry.

Pulì con un gesto rapido della mano la gonna della divisa, leggermente sporca di polvere a causa della rovinosa caduta. Non si affrettò neppure a rispondere all'amico, sapendo che l'alquanto indisponente intervento di qualcun altro sarebbe di lì a pochissimo giunto. Era come in attesa. Una rassegnata attesa.
"Ehi, Hermione... è diventato un hobby, quello di cadere ogni due per tre?"
Colpo finale: Hermione sospirò senza trovare neppure la forza di reagire.
Inopportuno, indisponente, irritante.
Ron.

Anzi, inconfondibilmente Ron.
Si chinò per raccogliere i libri che li erano sfuggiti di mano ed incrociò lo sguardo di Harry, che diceva di sapere fin troppe cose. La ragazza fece un sorriso stiracchiato, mentre l'amico l'aiutava a riappropriarsi di ciò che nel volo improvvisato - o meglio, nella discesa a caduta libera degli ultimi cinque gradini - aveva perduto. Era vero, negli ultimi tempi distrazione sembrava essere diventato il suo secondo nome e non negli affari di studio o cosa, quanto nelle cose più sciocche: dimenticava gli appuntamenti con gli amici, perdeva continuamente le proprie penne e le capitava spesso di non fare attenzione a dove metteva i piedi, così che, spesso, si trovava in terra, sotto gli sguardi divertiti dei più. Ma da qui a definirlo un hobby, specie quando se ne era una delle cause, se non la principale, ce ne voleva. Così come ce ne voleva di coraggio, per dirlo, di insensibilità. In poche parole, ci voleva uno come Ronald Bilius Weasley.
Ma ormai Hermione aveva perso ogni voglia di ribattere, non la sfiorava più neppure lontanamente l'idea di provare a farlo ragionare: era inutile. Ronald Bilius Weasley era un inopportuno, insensibile, irritante idiota e lo sarebbe sempre stato.
Mentre si rialzava e non lanciava neppure un'occhiata di sfuggita all'amico dai fulvi capelli scompigliati che si adoperava per farsi notare dalle stesse due ragazzine di prima, incrociò per la seconda volta lo sguardo serio e smeraldino di Harry. Ancora, rispose con un sorriso stanco e tirato. "Hermione..." Fece lui, poggiandole una mano dietro la schiena ed osservando il pallore che le faceva risaltare il viso per contrasto rispetto al mantello nero della divisa scolastica. "Tutto bene?"
Domanda inutile. Lo sapevano entrambi.
Eppure era tutto ciò che si poteva fare. Domandare, sperare che passasse.
Inutilmente.
Perché, anche questo lo sapevano bene entrambi, Ron era Ron.
Inevitabilmente Ron.
"Sì, Harry." Replicò lei in un soffio, scostandosi un boccolo dal viso, tentando di suonare dolce e tranquilla. "Tutto bene, davvero."
Lui la sospinse con delicatezza verso una poltrona scarlatta, lasciandosi scivolare in quella accanto.
"Forse dovresti dirgli qualcosa." Mormorò appena, accertandosi che l'amico fosse ancora troppo impegnato nello scompigliarsi i capelli per rendersi conto delle mezze parole che i due si scambiavano.
Hermione sorrise, ancora una volta. Ancora una volta, stancamente.
"Forse." Rispose scuotendo il capo in un movimento inconscio e lento, dettato dalla confusione estremamente chiara - e dall'ambivalenza così indisponente - che aveva dentro "Ma a che pro? Non risolverei nulla, lo sai."
Harry la fissò intensamente, poi sbuffò.
"Lo so." Ammise. "Ma non posso vederti così. "
"Ascolta, Harry, è molto dolce da parte tua, davvero... ma non preoccuparti per me. Non più di tanto. E' semplicemente un periodo in cui sono parecchio stanca, tutto qui. Mi passerà, credimi. Sono o non sono Hermione Granger?"
"Ma lui riuscirà a passare?" La sua frase le mozzò il respiro. "Nel tuo cuore, lui passerà?"
No.
E lo sapevano. C'erano parecchie cose di cui sia Hermione sia Harry erano perfettamente a conoscenza, pur senza averne mai parlato.
Lui non sarebbe passato. Sarebbe stato sempre Ron.
Eternamente, dolorosamente Ron.
Harry sprofondò maggiormente nella sua poltrona, senza staccarle gli occhi di dosso mentre lei volgeva altrove lo sguardo, colpita. Affondata. Distrutta da quella situazione. Spaventata per le prepotenti sensazioni che le lanciava letteralmente addosso. Spaesata nel non saperla gestire.
Era la sua migliore amica, Harry la adorava, avrebbe fatto di tutto per lei. Ma in quel momento la cosa che lo angustiava e lo tormentava era la piena consapevolezza di non poter fare nulla in quella occasione. Nulla di nulla.
Possibile che lui non capisse? Possibile che Ron fosse così… così dannatamente Ron?
"Ehi, di che state confabulando voi due? Cosa c'è, una tresca?" Esordì allegramente Ron.
Si lasciò sfuggire un gemito soffocato alzando gli occhi al cielo, mentre Hermione sistemava apparentemente impassibile i suoi fogli di pergamena.
Sì. Orrendamente sì.
Sarebbe bastata l'eccezione (anche se conferma la regola), invece nulla. Erano mesi che le cose andavano avanti così.
Da quando Ron aveva deciso di intraprendere una relazione che Harry avrebbe osato definire 'cannibale' - sulla scorta del pensiero di Ginny, secondo cui ogni volta che Ron baciava la sua ragazza sembrava che le stesse sbranando il viso - con Lav-Lav - perché oltre quella relazione non andava, i due non parlavano neppure -, Hermione aveva, come dire?, subito un tracollo psicologico, principalmente. Prima aveva reagito dolorosamente, aveva anche pianto un paio di volte, poi era venuto il peggio: aveva nascosto tutto. Si era rifugiata dietro una maschera di apparente impassibilità affastellando ogni piccolo dolore, ogni piccola ferita, ogni piccola delusione, sapendo bene che sarebbe arrivato il giorno in cui tutto le sarebbe crollato addosso, piegandola in ginocchio.
"Beh?" Fece ancora Ron, osservando prima l'uno, poi l'altro. "Allora?"
"Niente, Ron, niente. Parlavamo della gita a Hogsmeade."
Lui sfoderò un sorriso entusiasta.
"Giusto! Devo chiedere a..."
Almeno questa volta aveva avuto la decenza di non andare oltre. O meglio, aveva avuto la decenza di tacere sotto intimidazione di un potente calcio sferratogli da sotto il tavolo di legno da un Harry letteralmente furioso.
"Devi chiedere a Hermione se viene con noi a Hogsmeade questo fine settimana, visto e considerato che è ormai quasi un mese che non mette piede fuori dal castello, giusto?"
Ron rispose con un'occhiata perplessa, mentre Hermione lanciava a Harry uno di quegli sguardi che volevano sicuramente dire 'Per piacere, Harry. Abbi pietà di me'.
"Ehm… sì, proprio quello," Fece l’altro, confuso. "a proposito, Hermione... com'è che ti sei rinchiusa qui dentro?"
Harry dovette fare del proprio meglio per reprimere l'irreprimibile istinto di prendere la penna d'oca con cui Hermione aveva cominciato a scrivere qualcosa su di un foglio di pergamena e di infilarla su per il naso di Ron, tentando di estrarre il suo cervello come facevano quegli antichi Babbani egizi di cui Hermione gli aveva tanto parlato: così, almeno, una volta per tutte avrebbero avuto conferma ad un quesito esistenziale: cosa faceva il cervello di Ron, invece di lavorare?
O meglio, Ron aveva un cervello?
"Non mi sento molto in forma in quest'ultimo periodo..." Rispose laconicamente Hermione con voce sottile, osservando apparentemente tutta concentrata ciò che stava scrivendo.
Non era una bugia. Non del tutto. "Dai, Hermione, non farti pregare!" Fece Harry, alzandosi ed inginocchiandosi accanto a lei -"Vieni con noi questo fine settimana!"
Lei sorrise brevemente sapendo su cosa Harry stesse facendo affidamento: come poteva dire di no a quegli occhi dolci?
"No, Harry, davvero... è meglio di no, credimi."
Harry Potter scoprì - precisamente riscoprì - in quel momento che Hermione Granger poteva tutto.
O quasi.
In quel momento delle risatine acute risuonarono nella Sala Comune e scendendo le scale, lanciando occhiate languide a destra e manca, fece la sua mai meno apprezzata - per Harry e Hermione - comparsa Lavanda Brown, seguita a ruota da Calì Patil. La ragazza adocchiò i tre - un Harry decisamente ed incredibilmente orripilato alla sua vista, un Ron che osservava compunto Hermione che scriveva il suo compito per casa, una detestata Hermione, come sempre china su quegli odiosi libri, con i suoi orribili capelli castani sempre crespi, con quei suoi occhi svegli e quella sua intelligenza sagace, acuta...i n poche parole, quell'odiosa Hermione Granger, che aveva nella vita di Ron un ruolo che lei non avrebbe mai ricoperto. Per quanto lei potesse essere la sua ragazza, Hermione era qualcosa di più intimo per il ragazzo. Hermione era l'amica di infanzia, ma non solo. C'era sempre un qualcosa di non detto tra i due, qualcosa di non detto ma di presente, presente e pesante per un terzo incomodo, ovvero Lavanda, quando Ron parlava di Hermione, quando lo vedeva ridere con lei, quando lo sorprendeva a fissarla - proprio come in quel momento - e si fermò.
Ron era proteso sul tavolo verso Hermione cercando di sbirciare il suo compito.
"Ti vedo, Ron." Borbottò lei, senza smettere di scrivere.
In tutta risposta il giovane prese la propria borsa dei libri e la rovesciò sul tavolo in cerca di una penna per cominciare a scopiazzare ciò che riusciva a leggere. Hermione si fermò ed alzò il capo giusto per vedere un Ron frugare in quel marasma di cose che erano uscite dalla sua borsa - cartacce di dolci, riviste di Quidditch, addirittura la vecchia foto di quando lui e la sua famiglia erano andati in Egitto - alla ricerca della penna. Lui colse il suo sguardo.
"Non mi va mai di mettere a posto niente, così ficco tutto qua dentro."
"E dovresti vedere cos'è la nostra stanza dopo che ci è passato lui!" Aggiunse Harry giocherellando con una di quelle che sembravano Pasticche Vomitose, ovviamente opera di Fred e George Weasley.
Hermione inarcò entrambe le sopracciglia.
"E quando ti serve qualcosa, riesci sempre a trovare quel che cerchi?"
Ron si fermò per un secondo e sollevò in aria, con aria trionfante, una penna tutta stropicciata. Abbassò nuovamente lo sguardo su di lei e Hermione avvertì qualcosa vibrare nel proprio cuore. Con intensità.
"Certo." Rispose lui, sorridendo spensierato. "Riesco sempre a trovare quello che per me è importante."
Quello che per lui è importante...
Subito Lavanda riprese a camminare e rapidamente giunse davanti a Hermione e Harry e di fianco a Ron, una volta lì si accasciò morbidamente sulle ginocchia di lui, emettendo quello che più che un saluto, pareva uno squittio deliziato.
"Oh, Won-Won, ecco dov'eri finito!" Ron la osservò distrattamente, come se non avesse fatto caso a lei prima che gli si fiondasse sulle gambe, e borbottò un 'ciao' sbrigativo per poi riprendere a tartassare Hermione, sperando che cedesse per la disperazione dettata dalla sua insistenza. "E dai, Herm... l'ultima volta!" "No." Replicò seccamente lei, senza alzare gli occhi dalla pergamena ormai scritta per gran parte. "L'ultima-ultima, lo giuro!" Insistette lui, veemente. "Dici sempre così, Ron." Lo freddò lei, glaciale nella sua indifferenza ai suoi attacchi. "Ma dai, Hermione... che ti costa! Un compito e via! Ti offro qualcosa a Hogsmeade!"
Mentre Harry si passava una mano tra i capelli, sprofondando nuovamente nella sua poltrona, le due ragazze reagirono a quelle parole in maniera differente; Lavanda sembrò congelarsi, come impietrita, il suo sorriso cristallizzato, ma incrinato, sul viso truccato. La mano di Hermione si bloccò nel suo incessante scrivere fiumi di parole; lei alzò lentamente il capo fino ad incrociare gli occhi limpidi del ragazzo che aveva di fronte.
Era stata forse una scelta, quell'ultima affermazione? Aveva forse preferito lei a Lavanda?
"Lo faccio per te, Ron." Disse piano.
Nel giro di un secondo una sensazione bruciante si diffuse nello stomaco di Ron, un brivido saettò su per la sua colonna vertebrale; quello sguardo lo conosceva, gli era familiare... lo metteva a proprio agio, ma nel contempo lo faceva sentire terribilmente a disagio. Quegli occhi erano gli occhi di Hermione, quella Hermione che conosceva da anni, erano quegli occhi caldi, vellutati, quello sguardo affettuoso e dolce sotto le apparenze, e questo gli piaceva. Eccome se gli piaceva. Ma quel brivido strano, quella sensazione di disagio, quella lontana consapevolezza che qualcosa stava andando per un verso che lui non aveva previsto, quella lontana coscienza di un qualcosa che c'era, era forte e radicato dentro di lui e che stava sfuggendo al suo stesso controllo, qualcosa che istintivamente scacciava e nascondeva sotto tutte le sciocchezze che davanti a lei perdevano ogni significato... quel qualcosa, cos'era? Da quando, guardando la sua migliore amica, provava quella singolare sensazione? Ron Weasley detestava i cambiamenti: a lui piaceva il suo mondo tranquillo, i suoi affetti più cari accanto a sé, una sfera sicura dove sorridere e respirare. Erano quindi mesi, forse anni, che Ron Weasley tentava di ignorare e nascondere quel qualcosa di diverso - peraltro senza riuscirci -, dal loro quarto anno lì a Hogwarts. Perché quel qualcosa sconvolgeva tutto il suo mondo, arrivava e ribaltava tutte le sue convinzioni, come un'onda impetuosa lo lasciava naufrago e, sì, anche spaventato, spaventato perché nulla del genere aveva mai sperimentato in vita sua; perché quel qualcosa lo isolava dal resto del mondo lasciandolo stordito e confuso. Perché, quel qualcosa, non lo capiva proprio.
Una leggera gomitata lo fece ripiombare con i piedi per terra, con ancora addosso quella sensazione di stordimento, con ancora addosso quel calore strano, simile a quello di quando ci si è appena svegliati, con ancora impressi nella mente quegli occhi castani, che sembravano avergli svuotato la testa - ora incredibilmente leggera - di tutto. Perplesso batté le palpebre un paio di volte e si trovò faccia a faccia con Lavanda.
"E-eh?" Borbottò con voce indistinta ed impastata.
La ragazza corrucciò le sopracciglia, evidentemente contrariata.
"Non mi stai neppure ascoltando." Sentenziò offesa, nella sua mente era chiaro il motivo, o meglio, la persona che le avevano rubato, seppure per pochi secondi, l'attenzione del Re.
"Ah… oh, scusa, mi dispiace, mi ero distratto... cosa... cosa hai detto?" Rispose Ron trovando estremamente fastidioso il peso di Lavanda sulle sue gambe. Non che la ragazza fosse realmente pesante, ma in quel momento in cui si sentiva assolutamente svuotato di tutto, come se quel momento non lo stesse vivendo lui, la presenza di Lavanda gli risultava alquanto indisponente.
Lavanda gli passò le mani dietro il collo, il sorriso che sempre aveva per lui sostituì il broncio di poco prima; un'impercettibile occhiata a Hermione e gli sfiorò le labbra con le proprie. Lì per lì Ron rimase come inebetito, poi si scansò appena. Era tutto così confuso…
"Ehm," Mormorò appena, mentre la ragazza lo osservava perplessa ed alquanto arrabbiata. "Scusa, non mi sento molto bene..."
"Oh!" Esclamò mordace Lavanda. "Sembra che il virus dell'influenza si stia diffondendo molto rapidamente." Continuò accennando a Hermione e scendendo dalle ginocchia del ragazzo.
Harry pregò tutti i santi Babbani che conosceva - non che fossero poi molti - perché donassero a Hermione la forza d'animo necessaria per rimanere calma, dopo tutto quello che aveva passato in quei mesi, senza che Ron se ne rendesse conto. L'amica sembrava apparentemente calma, ma la sua testa era tornata china sul compito e la mano, ora ferma, stringeva con forza la penna d'oca.
"E poi, sbaglio o mi avevi promesso che questo fine settimana saremmo andati a Hogsmeade soli soletti?" Insistette Lavanda con le mani sui fianchi.
La sua rabbia crebbe ancora di più quando vide Ron lanciare un'occhiata a Hermione, prima di risponderle.
"Ecco, io..." Tentennò.
"Non ti preoccupare, Ron. Vai pure." Lo interruppe la voce freddamente cordiale della sua... migliore amica... "Io e Harry ce la caveremo anche da soli."
Ron non sarebbe mai stato in grado di scegliere.
Forse Hermione in quella scelta proprio non rientrava, forse di lei davvero non gli importava nulla.

Harry era praticamente diventato un tutt'uno con la poltrona, Hermione si alzò e cominciò diligentemente a riordinare le sue cose.
"Ma... i-io..."
"Davvero, Ron. Non c'è alcun problema." Tagliò corto lei, e senza guardarlo imbracciò il libro di Pozioni che non le entrava nella borsa e si voltò, allontanandosi, diretta sicuramente verso la Biblioteca. Un luogo in cui si poteva studiare in santa pace senza doversi sorbire nauseanti sbaciucchiamenti di stupidi ragazzini.
"Oh, Won-Won!" Squittì ancora Lavanda. "Come sono contenta!"
Mentre stava per baciarlo nuovamente, Ron, che seguiva con lo sguardo l'amica, le rivolse un'occhiata frettolosa ed un sorriso appena accennato. E tirato. Non certo come i sorrisi che aveva per Hermione Granger, l'odiosa saputella di Hogwarts.
Non poté fare altro che lanciare un'occhiata seccata a Harry, serissimo, mentre Ron seguiva l'amica.
Dovette correrle dietro per un bel po' prima di raggiungerla; diamine se Hermione aveva il passo veloce! Sembrava quasi che avesse corso!
"Ehi!" Esclamò Ron, ansimando. "Hermione, aspetta!"
Solo quando la superò e le si mise davanti sbarrandole la strada, Hermione si fermò. Glaciale, alzò gli occhi su di lui.
"Sì?"
Quello sguardo non era lo sguardo di prima, questo era distaccato, secco. Quasi di un'ira gelida, ma anche di una cupa tristezza.
"Ecco, io... grazie per prima, Hermione. Mi hai davvero salvato, Lavanda non l'avrebbe presa bene, sai..."
Lei strinse le mani attorno ai bordi del pesante volume che portava tra le braccia, stretto al petto, come sua ultima difesa.
Stava per crollare. Stava per crollare di nuovo.
Harry l'aveva capito: Hermione Granger poteva tutto.
O quasi.
"Sono felice per te, Won-Won, e per Lav-Lav."
Lui assunse un'espressione perplessa.
"C'è... c'è qualcosa che non va?”
"Assolutamente nulla, Ronald."
"Allora perché mi chiami con il mio nome per esteso? E perché mi guardi così?"
Sembrava davvero che Ron non capisse. Era così stupido, irritante!
Poteva tutto, o quasi.
"Posso risponderti con sincerità, Ronald?" Domandò lei con un sorriso sul viso, sorriso che dentro la stava distruggendo.
"Certo che sì." Ribatté lui con il candore tipico della sua personalità.
Così disperatamente, adorabilmente Ron.
La vide alzare poco una mano, sentì la sua sicurezza vacillare, vide lo spacco profondo, il baratro che si celava dietro quel sorriso, vide tutto nel giro di un nanosecondo.
Non posso nulla, con lui.
Poi sentì solo la mano di Hermione calare senza molta decisione sulla sua guancia, in uno schiaffo bruciante più per le emozioni che trasmetteva ed il significato, il fardello che con sé recava, che per la violenza con cui era stato dato.
"Sei un idiota, Ron."
E vide dietro la sua voce spezzata, il suo dolore. Tutto il suo dolore.
Senza parole, senza pensieri che non fossero concentrati su di lei, rimase in piedi come un baccalà al centro del corridoio, mentre la ragazza correva via.
Aveva evitato, aveva scansato, aveva nascosto quel qualcosa, ma alla fine tornava sempre a galla.
Sempre.

*** *** ***

Quel fine settimana era probabilmente il peggiore di tutti: non solo pioveva a dirotto - almeno avesse nevicato! E invece... - e faceva un freddo cane, ma Harry era riuscito addirittura a convincerla ad andare a Hogsmeade insieme a lui, e lei non aveva neppure finito di avvantaggiarsi i compiti per i tre giorni seguenti. Camminava in silenzio, avvolta strettamente nel suo mantello nero, mentre i guanti dei colori di Grifondoro le scaldavano appena le mani congelate.
"Ti farà bene uscire un po'. Devi distrarti."
Harry le camminava di fianco, attento ad ogni suo gesto, con una premura particolare ed un affetto che solo un migliore amico poteva avere.
Anche perché non posso fare nient'altro, in questa situazione...
"Hm." Mormorò lei, fissando le proprie scarpe nere che si muovevano sulla neve candida.
"Dico davvero, Hermione. Vedrai che un giorno mi ringrazierai." Proseguì Harry.
Lei lo osservò scettica, mentre le gocce di pioggia scorrevano sui cappucci dei loro mantelli.
"Ehi, dico davvero!" Si finse indignato. "Vedrai che arriverà il giorno in cui ripenserai a questi momenti, quando mi guardavi scettica ed ironica e ti pentirai come non mai per non aver dato retta al tuo migliore amico! Allora mi dovrai delle scuse!" Continuò in tono ironicamente profetico.
"Ma certo," Lo apostrofò ancora lei, non senza un sorriso. "la speranza è l'ultima a morire, no?"
Harry le regalò uno dei suoi dolci, sentiti sorrisi e le strinse una mano.
"Proprio così, Hermione."
Quando comparve Ginny fu a fatica che Hermione li convinse a godersi la giornata e a non sprecarla con lei, che sarebbe andata a fare un giro alla biblioteca proprio lì accanto. Fu anche a fatica che si separò dal suo migliore amico, ma voleva che si godesse ogni minimo momento con la sua ragazza.
E così si era ritrovata ad osservare distrattamente i vecchi libri nella vetrina di un'altrettanto vecchia biblioteca, mentre coppie e gruppi di amici le passavano attorno allegramente. Alzò appena il capo verso il cielo nuvoloso, ormai la pioggia le bagnava completamente il viso.
"Ma quale speranza..." Si disse, caustica.
Si voltò e fece per scendere dal marciapiede per attraversare la strada quando sdrucciolò sulla neve, che in quel punto si era ghiacciata, e cadde malamente in terra.
"Sei proprio un caso disperato, Hermione Granger." Si disse mentre le lacrime cominciavano a confondersi con le gocce di pioggia.
Seduta in terra, stanca, desolata, vedeva attraverso il velo appannato delle lacrime tanti ragazzi ridere spensieratamente, sorridere, darsi la mano, anche solo passeggiare vicini. Mai come in quel momento si sentì sola.
Così, quando una mano le si posò sulla spalla, non fece in tempo ad asciugarsi le lacrime - gesto inutile, visto che aveva il viso comunque bagnato di pioggia - e sollevò gli occhi arrossati di pianto verso chi le si era inginocchiato di fronte.
"Io non credo."
Quella voce l'avrebbe riconosciuta tra miriadi; quella dolcezza, quel tepore, quella tenerezza che trasmetteva.
Aveva quasi paura di sbagliarsi, ma quello sembrava proprio...
"Come... come hai fatto a trovarmi tra tutte queste persone? Credevo fossi con..."
Lui si lasciò illuminare il viso da un sorriso dolce, appena imbarazzato. Uno di quelli che aveva solo per lei.
"Te l'ho detto, no?" Rispose, mentre le porgeva una mano e l'aiutava ad alzarsi. "Riesco sempre a trovare quello che cerco."
Hermione allora chiuse gli occhi, assaporando quel momento tanto atteso, con la propria mano ancora stretta in quella di lui.
Quella era decisamente una scelta.
Sorrise senza sentirsi stupida mentre la pioggia le correva lungo il viso, senza sentirsi stupida mentre le lacrime sembravano non volersi fermare, senza sentirsi stupida mentre si stringeva a lui, sentendo nonostante il tempo ed i vestiti, il suo profumo, riconoscibile tra mille.
Fresco, caldo - contraddittorio? Forse -, dava una sensazione di sicurezza.
"Riesco sempre a trovare la più importante delle cose."
Irritantemente, scioccamente, infantilmente, sì...
... ma anche dolcemente, teneramente, inconfondibilmente Ron.
E... sì, doveva delle scuse a Harry.
   
 
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