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Autore: SakiJune    15/12/2010    2 recensioni
In "Fly Little Wagtail" avevamo lasciato Clarissant risvegliata ad una nuova vita e ad un nuovo amore. Qui ritroveremo Bedivere, Lucan, Amren ed Eneuawc; conosceremo Elyan e quel bacchettone di suo padre Bors, Garanwyn e le sue canzoni. E con i loro occhi vedremo il mondo disfarsi, la gloria farsi vergogna, la realtà vacillare."Guardando i propri figli inginocchiati davanti al re, mentre pronunciavano il loro giuramento, Bors e Bedivere sorridevano. Ma non confondete, ecco, questi due sorrisi, badate. L'uno significava dominio, orgoglio, sollievo; l'altro tenerezza, partecipazione, amore."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedivere
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Itonje reloaded'
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Sono abbastanza soddisfatta. Ho rimurginato l'ultima scena di questo capitolo per molti mesi, vagando per strada con le cuffiette dell'mp3 nelle orecchie, ma finalmente me la sono lasciata alle spalle. Ci sono immagini che non mi convincono (per esempio Clarissant che si butta contro la porta e quasi casca dentro, stile Buster Keaton, oppure le foglie che cadono d'estate, anche se mia madre mi assicura che esistono alberi con più "cambi" durante l'anno) ma va bene così e non riesco a fare di meglio :P
...
Ma sono megalomane a far parlare Dio?

Saki






Conn era seduto in un angolo della cucina con una tazza di minestra tra le mani. Ancora non riusciva a credere di essere a casa. Mai quella stanza calda e satura di odori, il regno di sua madre, gli era sembrata un paradiso in terra come ora. E Maryel era lì a guardarlo, pulendosi le mani con uno straccio dopo aver riattizzato il fuoco, con una lucente gratitudine negli occhi bruni circondati da rughe sottili.
La tenda si scostò e lui deglutì quando alzò gli occhi sulla donna che ora gli stava davanti, su quel viso pallido e sciupato dalle lacrime, e che tuttavia non aveva perso nulla della propria fierezza.
- Signora...
- Lady Clarissant!
La videro chinare la testa di lato, in quel gesto che le era usuale e che esprimeva un misto di riservatezza e indecisione, ma poi ella si risolse a chiedere alla cuoca di lasciarla sola con il ragazzo.
Maryel obbedì con un certo stupore, scambiando con il figlio un fugace sguardo di preoccupazione. Avrebbe voluto raccomandargli di evitare i dettagli sulle vicende di Camlann, ma forse non ce n'era affatto bisogno; Conn non era uno stupido. Ed era cresciuto, tanto, troppo.

- So che avresti voluto parlarmi non appena sei arrivato. Ma non ne avevo la forza. Poi ho capito. Tutto quello che ricordo non succederà, e se non lo ricordo si può ripetere. Io ricordavo Colgrevance, Branwen, Orkney. Ed è andato tutto in un altro modo... perciò... sono felice che tu sia qui.
Lui non comprendeva quelle parole, ma non mostrò di compatirla o, peggio, farle pensare di crederla pazza. Posò la ciotola sul tavolo, mentre Lady Clarissant gli passava una mano tra i capelli e continuò con voce trasognata: - Gli... somigli... di più.
Conn chiuse gli occhi, colto da vertigine. Quand'era bambino era solo una questione di colori, ma negli ultimi tempi aveva dovuto ammettere a se stesso che stava diventando sempre più simile a suo cugino. E se prima lo considerava motivo d'orgoglio e speranza, ora ciò gli trasmetteva solo tristezza. Perché lui non era Amren, non lo sarebbe mai stato e non avrebbe potuto né voluto sostituirlo.
- Andrà tutto in un altro modo... anche dopo. Deve funzionare così, per forza. Non so cosa ci aspetta, ma sono certa che riavrò mio marito. Ora devi dirmi tutto.
Egli fu molto attento a misurare le parole, a non andare oltre. Ma lei voleva sapere di più, di più.
- Non avrebbe comunque potuto viaggiare, le ferite si sarebbero riaperte. Non potrebbe essere più al sicuro di dov'è... anche se... - Riflettendoci, c'erano sì dettagli inutilmente crudeli, ma anche informazioni crudelmente utili. - È così fragile, ora. Non deve credere di essere rimasto solo... potrebbe chiudere la sua mente fino a dimenticare quel ch'è più importante. Non lo permetterete, vero, signora?

No, non lo permetterò. Per tutti questi anni, per quanto fossimo lontani, sapevo che sarebbe tornato da me non appena possibile, che mi pensava così come io pensavo a lui. Sapevo che dovunque fosse, agiva con lucidità, onore e coraggio. Ma chiunque può perdersi... anche l'uomo più forte al mondo. Ora spetta a me aiutarlo, prenderlo per mano e riportarlo a casa.

- Partiremo domattina - fu la risposta.
Conn era ancora spossato, ma in fondo non vedeva l'ora di accompagnarla a Glastonbury. Fu quindi molto più che sorpreso quando seppe che la signora non aveva nessuna intenzione di portarlo con sé. Aveva per lui ben altri progetti.


- Cosa sei diventato, tu?
- No, non è possibile. Ci crederò quando lo vedrò scritto su una pergamena. Farai andare tutto in rovina, altroché!
Le sorelle erano sbalordite dalla notizia, anzi, addirittura orripilate. Alla morte di Sir Griflet si erano sentite abbandonate, naturalmente; avevano superato l'età delle nozze da qualche anno e si domandavano cosa sarebbe stato del loro futuro, ma finché Lady Clarissant aveva tenuto le redini del castello per loro non era cambiato quasi nulla. Ora, invece, erano sotto il controllo di un marmocchietto bastardo.
- La signora non può averti nominato amministratore di Lindsey. Sei il figlio della cuoca... sei... niente!
Conn non era meno sorpreso e spaventato della sua nuova condizione, ma capiva che doveva mostrarsi sicuro di sé. - Ascoltate, per favore. Non ho intenzione di sbandierare nessun titolo o inseguire sogni di potere. Mentre voi passavate le giornate allo specchio o a raccogliere fiori, io osservavo nostro padre mentre svolgeva il suo lavoro. Sì, sono il figlio della cuoca, perciò sarà proprio alla servitù che chiederò consiglio in ogni mio passo, a quelle persone che voi sbeffeggiate. Ma sono anche vostro fratello, e desidero rispetto. Non lo pretendo: lo desidero e farò in modo di meritarlo.
Le due fanciulle si guardarono, stringendo le labbra con dispetto.
- Sir Bedivere tornerà, ne sono certo. È lui il nostro signore. Facciamo del nostro meglio e rendiamolo fiero del nostro operato. - A questo esse non ebbero nulla da obiettare e si ritirarono, forse a meditare sulle nuove responsabilità che attendevano tutti loro, più probabilmente a lamentarsi della situazione incresciosa.
Sospirò. Era sopravvissuto a Camlann, poteva ben tener testa a quelle due donzelle viziate. Sorrise brevemente allo specchio del salone, e scandì il proprio nome nella mente con inusuale orgoglio.


Sir Bors si tormentava la barba ripensando ai mesi trascorsi, ai duelli in cui era stato sconfitto, alle volte in cui aveva sfiorato la morte. Ma più di tutto lo indispettiva l'inutilità di tanti avvenimenti di fronte al presente così squallido e deserto. No, si corresse, non c'era il deserto. C'erano ancora nemici e soprattutto c'era Lancelot che vagava disperato in cerca di espiazione, forse, più probabilmente in cerca della regina.
- Non siamo nulla, senza di lui - aveva dichiarato Lionel, ignorando la stessa volontà di Lancelot che restassero a Dover: - Questo esercito... sono solo uomini. Lui è la nostra guida, per lui abbiamo sacrificato ogni cosa e con gioia lo faremmo ancora. Devo trovarlo ad ogni costo.
"Sacrificio per modo di dire, fratellino, perché siete più felice tra le braccia di Lady Juliana di quanto lo foste mai stato qui in Britannia al servizio di re Arthur" aveva pensato Bors, ma aveva tenuto quegli inutili ragionamenti per sé e non gli aveva impedito di partire per Londra. Era stato un terribile errore di cui ora si pentiva amaramente.
Ma venne facilmente distratto dalle sue gravi considerazioni quando si accorse che Elyan era immerso in un'analoga pozza di pensieri profondi ed inquieti.
- Mi pare di sentirti ruminare. Smettila.
- Penso a Lady Juliana, padre. Il bambino nascerà presto e non so con quale cuore dovremo dirglielo. - rispose Elyan, i folti capelli biondi gettati all'indietro mostrando gli occhi appesantiti da molte notti insonni.
- Ebbene, se davvero avessi pensato a lei quando ti avevo comandato di sposarla, ora non sarebbe vedova! - replicò Bors. - Sempre e solo le donne! La maledizione di ogni buon cristiano! Oh, dimenticavo, tu hai una religione tutta tua. Come se si potesse sfuggire a Dio. Sei uno stolto. Finirai all'inferno, come tua madre...
Si interruppe, conscio di aver oltrepassato il limite.
Claire di Estangore era un argomento tabù nel clan de Ganis, com'è ovvio. Ma ben più strano, anche Brandegoris era sempre stato restìo a parlare della figlia. Non era tristezza o rabbia a disegnarsi sul suo volto grinzoso, quando Elyan gli chiedeva di lei, ma piuttosto rispetto, cautela. Ma non vi era anche una punta di orgoglio? E perché era sempre più convinto che non fosse affatto morta?

In quell'istante Elyan aveva sentito un filo spezzarsi dentro di sé.
Il filo che l'aveva legato a suo padre dal momento in cui era giunto ad Estangore rivendicando il suo diritto a prenderlo con sé, quel legame così forzato e fragile ed incerto e che tuttavia non aveva mai trascurato di rispettare. Per lui aveva rotto il fidanzamento con l'unica fanciulla che avesse mai amato. Per lui, non per Sir Lancelot né per la regina, aveva accettato di infiltrarsi a Camelot mettendo in pericolo l'onore dei suoi migliori amici. Per lui aveva combattuto a Joyous Gard - con il terrore di trovarsi a faccia a faccia con Amren, tra l'altro, cosa che non era successa per pura e semplice fortuna. E l'aveva vegliato quando sembrava davvero che stesse per morire, entrambe le volte in cui si era scontrato direttamente con Sir Gawain e aveva avuto la peggio.
E come era stata ripagata la sua devozione?
Con ironia.
Con scherno.
Con allusioni.
Quasi come se fosse lui il traditore, non Sir Mordred. Allora capì.
"Per lui non c'è differenza tra Mordred, figlio di un incesto, e me, figlio della magia. Qualunque cosa io faccia per ottenere la sua approvazione, lui la considera una goccia nel mare della vergogna che la mia nascita ha rappresentato."
Fu un sollievo, davvero, si sentiva meglio... nonostante le tragedie passate e presenti, nonostante le incognite, era sereno. Sir Bors era suo padre, ma non il suo padrone; non aveva più alcun diritto sulla sua vita, sulle sue scelte. Lui non era davvero un de Ganis, non lo sarebbe mai stato. Si era sentito un estraneo in terra di Francia e solo l'amicizia di Lady Juliana e madamigella Aline gli avevano reso sopportabile quel soggiorno. Ora, tornato in Britannia, aveva ormai un'unica destinazione, una sola ragione per vivere, un solo nome sulle labbra.
- Eneuawc...


Nonostante i suoi ottimi propositi di ritrovarla e dichiararle amore eterno, Elyan de Ganis era l'ultimo pensiero di Eneuawc.
La fanciulla si stava specchiando in un secchio colmo d'acqua fresca, nel cortile del convento di Glastonbury. Era spettinata, con il viso segnato e la pelle arrossata dal sole.
Avrebbe dovuto chiedere ospitalità, ma si era limitata a domandare da bere. Stava seriamente prendendo in considerazione, mentre la stanchezza del viaggio iniziava a farsi sentire, di seguire la madre - per quanto ella le avesse raccomandato il contrario - in cerca dell'eremo del vescovo. Voleva rivedere suo padre più di quanto desiderasse un comodo letto o un piatto di cibo. Quei sogni a cui già da qualche anno aveva iniziato ad abbandonarsi, sogni d'amore e d'indipendenza (come se queste due parole avessero un senso, una vicina all'altra!), le sembravano davvero molto stupidi ora; come aveva potuto pensare di affidare la propria vita ad un estraneo? Non esisteva nulla al mondo più sacro e sicuro della famiglia, di quelle persone con cui hai condiviso ogni respiro ad iniziare dal primo. E quando sei certa, certissima, che chi ti sta intorno non vuole che il tuo bene, cos'altro puoi desiderare? Come mai puoi sopportare di perderli uno ad uno?
Ringraziò le monache e tornò in strada, sotto quel sole inverosimilmente bruciante. Il mare non era lontano, lo sapeva, ma non era Grainthorpe. Non ci sarebbero più stati giorni felici sulla spiaggia. E nemmeno i falò giganteschi alla festa del raccolto, la musica che non finiva mai e la testa che girava per il troppo volteggiare. Oh! In quei giorni c'erano tutti i suoi uomini, a contendersi una danza con lei. Nessuno tra i cavalieri di Lindsey era mai a Camelot in quel periodo dell'anno, e Sir Kay poteva brontolare finché voleva, ma quella era una licenza intoccabile che il re avrebbe concesso ad ogni costo. Perché loro erano una famiglia vera.


Chi siamo noi per restare a guardare?
Nelle terre di Sir Bors l'uva diventa direttamente aceto.
Tornerò, come sempre.

Le girava la testa davvero e sentiva un calore come di fuoco, ma era ormai fuori dai ricordi.
Faceva caldo, tanto caldo che l'aria aveva cominciato a tremare - era possibile?
Poteva formare quelle onde davanti a lei, ma rimanere ferma alle sue spalle?
E perché ora, laggiù, vedeva una caverna dove poco prima era sicura ci fossero soltanto alberi, e perché sembrava più in basso di dove stava?
Allungò un braccio e sentì la pelle formicolare. Lo ritrasse, spaventata, e la sensazione scomparve. Ma ci provò di nuovo... e ancora... e poi il vento si alzò sul serio, l'avvolse come un mantello, spingendola delicatamente a terra e facendola rotolare per una discesa d'erba soffice.

Restò a guardare il cielo, stupefatta. Era un altro cielo.
L'aria era più fresca. I lievi rumori delle fronde e del mare e i versi degli animali, era tutto diverso.
Lentamente si alzò a sedere e si accorse di essere vicina all'imboccatura della caverna che aveva visto in lontananza. D'istinto guardò in alto, a cercare la strada, ma sembrava essere scomparsa nel nulla. Al suo posto, la collinetta da cui era appena ruzzolata giù appariva sormontata da una sorta di tempio, un cerchio di alte pietre con qualcosa al centro che non riusciva ad identificare. L'odore del mare era decisamente più intenso.
In quel momento capì dove si trovava, e la paura scomparve.
- Sono ad Avalon - balbettò, emozionata. Aveva sentito parlare innumerevoli volte dell'isola sacra dove donne del suo stesso sangue pregavano la Dea Madre per la salvezza della Britannia, esattamente come i vescovi nelle cattedrali invocavano il Dio cristiano. Ma mai aveva pensato, né forse nemmeno desiderato, di potervi mettere piede. Sua madre si era sempre mantenuta a rispettosa distanza dalla religione; ed era rispettosa perché moglie di un cavaliere cristiano, distante perché entrambi i culti presupponevano la rinuncia ad una parte di sé, cosa che mai una dama così fiera avrebbe accettato. Così Eneuawc non aveva mai sognato di diventare sacerdotessa della Dea, così come non si immaginava badessa - suo padre le aveva sempre detto che i suoi capelli erano troppo vivi per lasciarli appiattire dietro un velo, e questo pensiero era uno dei motivi per cui poco prima non era rimasta nel cortile del convento che lo stretto necessario per dissetarsi. Temeva che l'avrebbero attirata all'interno e rinchiusa per sempre.
Come Clarissant, lei era nata per amare. Si somigliavano così poco, madre e figlia, fisicamente. Nere le chiome della donna, rosse quelle della fanciulla; alta e forte l'una, minuta e delicata l'altra. Ma nell'anima di entrambe albergava lo stesso cuore fedele al primo virgulto di sentimento - che spesso fatica a farsi strada tra le erbacce del dispetto e del riserbo, ma attende acqua e nutrimento senza nemmeno contemplare la possibilità di una resa.
Se ne rese conto proprio allora: quando, in piedi di fronte alla caverna, sbirciò dentro e vide il cavaliere addormentato.


Clarissant sbucò tra gli alberi, sporca d'erba e con le vesti strappate dai rami, il volto graffiato e gli occhi lucidi, affannata. La preoccupazione per aver lasciato Eneuawc alla porta del convento, senza nessuno a proteggerla, era dimenticata. Né sentiva il bruciore a mani e ginocchia, ferite per essere inciampata più volte durante la corsa nel bosco.
Nella radura spiccava una semplice costruzione in pietra, senza finestre visibili. Pochi passi più in là, una tomba adorna di fiori e foglie cadute, e una figura china su di essa, grigia e perfettamente immobile.
Il paradosso.
Quella lapide era più vivace, nei suoi colori di fine estate, dell'uomo che vi era appoggiato come una cosa morta.
Fu presa da un capogiro che le fece socchiudere gli occhi, ma non era il caldo né la fatica a farla sentire debole e inerme. Solo, il suo cuore aveva riconosciuto ciò che cercava, colui da cui dipendeva interamente.
Lo vide rianimarsi un poco e spazzar via con la mano le foglie ancora verdi dalla pietra. Era un gesto delicato e triste, del tutto estraneo al suo carattere, alla sua persona. Ne fu così sconvolta che in principio non riuscì a muovere quei pochi passi che li separavano. Nemmeno riuscì ad aprire la bocca per chiamare il suo nome. Pochi attimi che permisero al vescovo Baldwin di intromettersi nella scena, schiudendo l'uscio e interrogando la donna con lo sguardo. Lei lo fissò a sua volta, ed egli rispose accostando l'indice alle labbra. Poi si avvicinò alla figura grigia e scarna e l'aiutò a sollevarsi, lasciando che si appoggiasse a lui nel percorrere il tragitto fino alla porta dell'eremo. Clarissant era come paralizzata lì sulla soglia del bosco, ancora incapace di raggiungerli e farsi riconoscere. Solo nel momento in cui quella porta inghiottì i due uomini, qualcosa scattò in lei e si slanciò a battervi contro, fin quasi a cadere in avanti quando essa venne nuovamente aperta.
- Chi siete, signora? Perché turbate la pace di questo luogo?
- Io... sono... la duchessa di Lindsey - dichiarò Clarissant con un sospiro. Sbirciò dall'apertura, ma una tenda divideva la stanza a metà. L'eremita la squadrò con severità.
- Siete qui per rendere omaggio alla tomba del nostro amato re Arthur Pendragon? - chiese con finta cortesia.
- Naturalmente, pregherò con voi per l'anima del nostro compianto sovrano, ma prima di ogni cosa, lasciatemi vedere Sir Bedivere. Lui è mio marito, il mio signore, il mio amore, il mio bene.
Egli si oppose con decisione. Spiegò le condizioni fisiche e spirituali in cui il duca gli si era presentato e come non si fosse risparmiato nel prodigargli le cure più assidue. Parlò di misericordia divina e redenzione dei peccati, della colpa insita nell'essere umano e della necessità di rinunciare ad ogni legame terreno per raggiungere la pace. Cercò di convincerla che l'unico modo in cui Bedivere poteva raggiungere la piena guarigione fosse di affidarsi totalmente a Dio, lontano da "diaboliche tentazioni".
- Vedete in me il diavolo, dunque? - Il volto di Clarissant s'accese di disappunto. Non riusciva a capacitarsi di essere trattata in quel modo. - È vero che i miei genitori non erano cristiani, e che porto in me il sangue di Avalon. Vi vedo impallidire, vi fa così paura questo nome? - Baldwin aveva effettivamente sfiorato la piccola croce di legno che portava al collo, in un gesto istintivo. - Ma in me non può esserci il Male. Mai ho osato pronunciare una parola di bestemmia, sacrilegio, o semplice ingratitudine. Io... ricordo... foste voi a celebrare il nostro matrimonio, vescovo Baldwin. Con quale diritto ora attribuite sacralità ad un voto pronunciato per disperazione, e vorreste cancellarmi dalla sua vita?
- Voi? - Il sant'uomo la scrutò attentamente, e la sua barba tremò. - Voi siete Lady Clarissant di Orkney, la sua prima moglie?
- La sua unica moglie - disse lei, ed egli ammise che non aveva una risposta, e si ritirò pregando.
Quella notte fece un sogno.
Una luce di tuono -
una voce splendente -
lo fecero crollare in ginocchio.


"Baldwin, inchinati al mio volere. Non ti è concesso decidere del futuro dei tuoi fratelli su questa terra. Quell'uomo ha ancora una lunga strada da percorrere nel mondo, e una stirpe regale a cui dare inizio. È questa la mia volontà. Lascialo andare, sarai ricompensato dalla mia benevolenza."


   
 
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