Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: Nisi    16/12/2010    1 recensioni
Ayumi non ha più scelta: se non vuole perdere con Maya dovrà evolversi anche come persona e fare i conti con se stessa. I susini come contorno di questa storia e la Dea Scarlatta a far ripercorrere le sue vicende ad altre due anime gemelle. Ayumi capirà, crescerà grazie anche a coloro che incontrerà sul suo cammino. Ayumi Himekawa/Peter Hamil
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Ayumi Himekawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I tre volti della Dea'
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Anche dietro le bende, gli occhi di Ayumi Himekawa assunsero un’espressione stupita.
“Oh…” fu tutto quello che fu in grado di dire.
Aveva davanti a sé Maya Kitajima. “Ho chiesto alla signora Tsukikage di aspettare fino quando tu sarai guarita… cioè, quando vedrai di nuovo.”
“Non devi fare questo per me.” ribatté Ayumi.
“Non dirlo nemmeno!” la sentì avvicinarsi mentre la voce di Maya si faceva accalorata. “Tu mi hai aspettato fino a quando non ho ricominciato a recitare professionalmente. E’ giusto.”
“La signora Tsukikage non sta molto bene…”
“Si riposa molto e sembra stare meglio. Sono venuta da te solo dopo essere andata da lei.”
Le parole di Maya chiusero la discussione una volta per tutte.
“Allora… grazie.”
“Non è niente. Come ti senti, Ayumi?”
“Sto facendo degli esami perché devono avere un’idea delle mie condizioni generali prima di potermi operare. Per ora sono andati bene, anche se sto aspettando altri esiti, ma ci vorrà tempo.”
“Sono contenta che tu stia bene”, esclamò Maya con calore. Ad Ayumi sembrò quasi di vederla, le mani giunte, lo sguardo pieno di preoccupazione. Oramai, dopo tanti anni, poteva dire di conoscerla un po’.
“Sono contenta anche io.” rispose seria Ayumi.
“E’ permesso?”
“Kobayashi-san? Prego, entri pure”.
“Signorina Ayumi, sono arrivati ancora dei fiori per lei.”
“Grazie.” e stese le braccia in un gesto elegante per ricevere il dono.
Avvicinò piano i fiori al viso e inalò. Non appena riconobbe il profumo, il suo viso si rabbuiò in una smorfia di disappunto.
A Maya non era sfuggita quella smorfia. “Non ti piacciono?”
“Non è questo. Sono giorni che ricevo fiori da qualcuno e non so chi sia.”
“Allora anche tu hai un ammiratore dei…” Maya gettò un’occhiata verso il mazzo che Ayumi teneva ancora tra le braccia.
“Frangipani. Sono frangipani.”
“Come fai a…”
“Il profumo… è inconfondibile.”
“Ah, ah, ah,” rise Maya, leggermente imbarazzata. “Io conosco solamente il profumo delle rose.”
Ayumi levò una mano per accarezzare i petali setosi. “Sì, me lo immagino”, rispose sorridendo appena.
“Allora io vado. Se vuoi torno a trovarti, cioè, se non ti disturbo.”
“Non mi disturbi, ma spesso sono fuori dalla stanza per i miei esami…”
“Va bene, allora ci vediamo.” E si voltò verso l’uscita.
“Maya!” la richiamò indietro Ayumi.
“Il signor Hayami sa già di questa decisione?”
“La signora Tsukikage è d’accordo, è l’unica cosa che importa… e anche che tu riprenda presto la vista.”
“Glielo dovete dire, però.”
“Preferirei andare dal dentista a farmi strappare tutti i denti.”
La solita risposta di Maya quando si parlava del presidente della Daito. Però… ad Ayumi era sembrato di avvertire nella voce di Maya una punta di qualcosa di diverso dal rancore. Ma sicuramente si stava sbagliando.
“Li metto in un vaso?”
Nessuna risposta.
L’infermiera sospirò e ripeté pazientemente: “Li metto in un vaso?”
Ayumi si riscosse: “Ah, sì, certo. Grazie”.
Quei fiori… era almeno una settimana che ogni giorno le venivano consegnati quei rametti dal profumo inebriante e dolce. Le sarebbe piaciuto vedere quei petali bianchi e carnosi screziati di giallo.
Come diceva Maya, ora anche lei aveva un ammiratore che le inviava dei fiori, i suoi fiori preferiti, per di più.
Chi poteva essere? E soprattutto, chi la conosceva tanto bene da sapere i suoi gusti?
Lei era diversa da Maya, che dietro a tutti quei regali vedeva un affezionato ammiratore. Lei no, e la cosa aveva cominciato ad impensierirla.
Fino a quel momento non si era posta il problema, aveva ricevuto molti mazzi di fiori, ma nessun altro le aveva mandato dei frangipani e parlare con Maya aveva risvegliato la sua curiosità.
“Kobayashi-san”, chiamò “Mi sa dire chi li ha portati?”
“Ah, sì, certo. Un uomo alto, uno straniero. Capelli lunghi e ricci.” Kobayashi-san si portò una mano alla guancia che era diventata rossa. “Signorina, è fortunata ad avere un ammiratore tanto fedele.”
Fortunata un bel fico secco. Peter Hamil, uno degli scocciatori peggiori che avesse avuto la sfortuna di incontrare. E uno dei più sfacciati, per di più. Ma lei era una persona educata e si vantava di esserlo.
“Non è molto che se ne deve essere andato, riuscirebbe a raggiungerlo, per caso” disse con un sospiro. Non aveva voglia di vederlo, non in quelle condizioni di debolezza e soprattutto, non dopo le ultime cose che lui le aveva detto. Questi stranieri, sempre così fastidiosamente sinceri. Un giapponese non l’avrebbe mai definita “bambola” e le sue parole l’avevano ferita profondamente.
“Permesso?”
“Prego, si accomodi” e quasi le venne da ridere perché una stanza di ospedale era tutto tranne un posto nel quale si stava comodi e a proprio agio.
“Sono felice di vederla, mademoiselle Ayumi. La vedo bene”.
Ayumi era troppo beneducata per ridere sardonicamente. Si limitò a fare un cenno del capo.
“Volevo ringraziarla per i fiori.”
“Di niente, è stato solo un piccolo pensiero”.
Ayumi ristette per qualche secondo e poi chiese a bruciapelo: “Perché mi ha mandato proprio dei frangipani?”
“Perché trovavo inutile, viste le sue condizioni, inviarle fiori che non le avrebbero dato alcun piacere. Hanno un buon profumo e non è necessario vederli per apprezzarli. Spero di aver scelto bene”.
Ancora una volta infastidita dalla brutale sincerità di quell’uomo, Ayumi ammise: “In verità, sono i miei preferiti…”
Le sembrò quasi di vedere il sorriso di quel fotografo, ma sentì chiaramente la nota di trionfo nella sua voce: “Sono contento! I suoi fiori preferiti!”
Ayumi non sperava altro che lui se ne andasse, e presto, possibilmente. Rimase dunque ferma e zitta, il volto una maschera di indifferenza e disapprovazione. Essere un’attrice aveva i suoi vantaggi, anche in quelle situazioni sgradevoli.
Hamil sembrò non accorgersi del silenzio ostinato della ragazza e proseguì: “Visto che le piacciono, gliene porterò tutti i giorni, io…”
“No, grazie” lo interruppe, la voce fredda e tagliente. “Non si deve disturbare per me.”
“Nessun disturbo, sono felice di offrirle i suoi fiori preferiti”.
Niente, era inutile, non capiva.
“Non si deve disturbare”, il tono ancora più ostile, se possibile.
“Lo faccio volentieri, Ayumi.”
Ora era veramente irritata. Ma perché non se ne andava, quel gaijin testardo? “Non mi importa se lo fa volentieri. Sono io che non voglio i suoi fiori. Anzi, per quanto mi riguarda, questi può anche riportarseli a casa o dove diavolo sta. Francamente, non riesco a capire perché si dia pena di portare dei regali proprio a me, che mi considera….” Fece finta di stare pensando “Ah, sì. Come aveva detto? Sì, una bambola.”
Ayumi non potè vederlo, ma Hamil scattò all’indietro come se la ragazza gli avesse mollato un ceffone.
“Non la deve prendere così, signorina Himekawa”. Da Ayumi era diventata “signorina Himekawa”. Era forse riuscita a rendere l’idea?
“Mi spiace se l’ho offesa…” ecco, finalmente. “Ma me l’ha chiesto lei di darle un parere. La sua recitazione era fumo negli occhi… ”
Ora Ayumi era infuriata, profondamente infuriata. “Signor Hamil, la ringrazio per avermi spiegato ancora una volta il suo punto di vista e penso di aver afferrato il senso delle sue parole. Quello che non ho capito è perché lei stia a perdere tempo con me, visto che considera la mia recitazione così…”
Si odiò, Ayumi, perché la voce la tradì e un groppo le strinse la gola.
Hamil si sedette sul letto e le prese le mani. “Ayumi, mi perdoni se l’ho ferita. Io…”
“Non mi tocchi!” sibilò Ayumi ritirando di scatto le mani da quelle di lui.
“Quello che volevo dirle è che in quel momento mi è sembrata una bambola e che il suo lavoro non mi è sembrato… Mon Dieu, come dite voi qui in Giappone? All’altezza dei suoi standard.”
Se c’era un modo per risvegliare l’interesse di Ayumi Himekawa era proprio quello, parlare di recitazione. “Cosa intende dire?” chiese seria.
“Io sono un fotografo e di recitazione so poco, ma… vederla provare quel giorno mi ha fatto pensare a un’artista da circo.” Il fotografo si avvide che Ayumi dopo le sue parole aveva serrato i pugni. “Quelle pirouettes, quelle mosse… bellissime, eleganti, ma non mi hanno dato emozioni. Lei è un’artista molto brava, ma quel giorno non mi ha trasmesso niente. La sua amica Maya invece…”
“Non mi parli di Maya Kitajima!” ruggì Ayumi e Hamil capì di aver colpito un punto debole, tuttavia proseguì. “Quella ragazza non ha la sua presenza scenica, né la sua bellezza o la sua preparazione. Però è vera…”
Quell’uomo aveva colpito nel segno, doveva ammetterlo.
“Vuole dire che la mia recitazione è falsa e che non trasmette niente?” chiese piano.
“No, non ho detto questo.” Si morse le labbra prima di proseguire.”E’una cosa che non capisco di lei, Ayumi… Quando eravamo lassù in montagna, io l’ho seguita tante volte di nascosto mentre provava nel bosco da sola… Sì, lo so che sono cose che non si fanno” esclamò vedendo l’espressione furiosa di Ayumi. “ma… la Ayumi che ho visto in mezzo a quegli alberi mi ha colpito profondamente. E’ curioso, per un’attrice, ma sembra quasi che lei riesca a recitare al suo meglio solamente quando non ha un pubblico a guardarla.”
“Quello che dice è assurdo, signor Hamil!”
“E’ lei quella che conosce la recitazione. Ma il mestiere di un attore non è forse quello di suscitare emozioni? Mi ha affascinato di più vederla camminare per il bosco in tuta, spettinata e sudata piuttosto che durante le prove ufficiali. Oltretutto era…” la voce gli si incrinò. “Era bellissima…”
Un ennesimo groppo strinse la gola di Ayumi. Era abbastanza intelligente da riconoscere delle parole sincere e Peter Hamil non stava mentendo. In realtà, non pensava l’avesse mai fatto, non con lei, almeno. E nessuno le aveva mai detto che era bellissima, non in quel modo.
“Lei potrebbe anche aver ragione, signor Hamil, tanto ora cosa importa? Sono qui, in una stanza d’ospedale e non ci vedo. Non fa nessuna differenza ora che sia brava o no.”
“E perché mai!?” sembrava sinceramente stupito e ad Ayumi pareva di avere a che fare con un bambino un po’ troppo ingenuo.
“Perché non posso provare, perché mentre sono qui a letto ad aspettare non so bene cosa, Maya Kitajima continua a lavorare alla Dea Scarlatta e io… io non riuscirò a stare al passo, Maya sarà sempre due passi davanti a me, ecco perché.” Ringhiò, ma rimase a bocca aperta quando Hamil scoppiò a ridere. “Signorina Ayumi, lei mi stupisce!”
“E per quale ragione?”
Le si avvicinò e sussurrò: “Lei non ha forse recitato la parte di una ragazzina cieca?”
Helen, Helen di Anna dei Miracoli, Helen Keller che non vedeva, non sentiva e non parlava.
“Presto la opereranno e riacquisterà la vista, perché non approfitta di questo periodo di cecità per mettersi alla prova e per capire se la sua interpretazione di Helen potrebbe essere diversa? Se ora che sa cosa si prova a trovarsi nella situazione di quella ragazzina, lo faccia! Cerchi di confrontare la sua interpretazione di allora con una nuova di adesso che sa cosa significa non poter vedere. Usi questa sfortuna per crescere ancora di più come attrice! Questo l’avvicinerà alla Dea Scarlatta, e anche se non ci si dedicherà per qualche giorno non succederà niente, tanto quel copione lo sa a memoria.”
Quell’uomo cosa andava a pensare! “Si sbaglia, signor Hamil, se dovessi recitare ancora la parte di Helen sarebbe esattamente la stessa di qualche anno fa.”
Peter si alzò e levò le mani davanti a sé: “Convinta lei… Va bene, credo sia ora di andare, penso di averla disturbata abbastanza.”
“Già” rispose acida Ayumi.
“Tornerò a trovarla presto…”
“Non si disturbi”.
“Ha ragione, lei sarà troppo impegnata a provare la parte di Helen.
Decisamente, con quell’uomo Ayumi non riusciva mai ad avere l’ultima parola, le sue risposte erano sempre così imprevedibili e non sapeva cosa fosse il ritegno.
Ma non era né uno sciocco, né uno stupido. Dopo che fu uscito, Ayumi si perse nei suoi pensieri, mordicchiandosi l’unghia del pollice nervosamente, fino a farlo sanguinare.
* * *
Utako Himekawa era una donna attiva, impegnata e sempre in giro per il mondo e ciò le faceva apprezzare i pochi momenti di riposo dei quali poteva godere. E quel pomeriggio non fece eccezione. Si era fatta preparare una bella teiera di tè verde e si era sdraiata sul divano per leggere un libro. Di solito ne approfittava per esaminare i copioni che le inviavano, ma decise che aveva bisogno di una pausa. Era rincasata da poco dalla visita ad Ayumi e non l’aveva trovata affatto bene: il problema di vista era superabile con un’operazione, era dello stato d’animo di sua figlia che la preoccupava. Utako aveva deciso di rilassarsi per un po’ e poi avrebbe cercato una maniera per aiutare Ayumi. Di solito era così sicura e indipendente e vederla così giù di corda la spiazzava, la faceva sentire a disagio. Non conosceva quel lato del carattere di sua figlia e ne aveva un po’ paura.
In realtà era passata almeno una buona mezz’ora da quando si era accomodata su quel morbido, confortevole divano, ma non aveva ancora cominciato a rilassarsi. Si era persa nei suoi pensieri, e quando il suo telefonino iniziò a squillare, sobbalzò.
Non c’erano molte persone in possesso di quel numero e a tutti coloro che lo conoscevano, lo aveva dato lei personalmente, per cui rispose senza leggere sul display chi fosse il mittente della chiamata.
“Utako Himekawa”

“Come, prego?”
….
“Va bene, vengo subito.”
* * *
Il medico era piuttosto irritato, per cui Utako Himekawa fece del suo meglio per trattenere una risata schiarendosi la voce rumorosamente. Ridergli in faccia non sarebbe stato affatto cortese, ma lei si sentiva talmente sollevata che quella risata le era salita spontaneamente alle labbra.
“Mi scusi, Sensei, mi deve essere andato qualcosa in gola. Mi stava dicendo che Ayumi…”
“Sì, signora, sua figlia continua a chiedere insistentemente una stanza per provare.”
Se Ayumi voleva provare e addirittura pretendeva un ambiente nel quale poterlo fare, significava che stava uscendo dal suo stato di prostrazione.
“Ed è un problema?”
“Signora Himekawa, lei si rende conto delle condizioni di sua figlia?”
“Mia figlia gode di ottima salute.”
“Sì, ma è momentaneamente cieca.”
“E lei lo vede come impedimento?” Utako era una donna di mondo: “Se è per i soldi, non importa”.
“La ringrazio, signora, ma non è questo il problema. Non voglio che provi in quelle condizioni in una stanza, da sola… è sotto la mia personale responsabilità, sua figlia e se le dovesse accadere qualcosa…”
“Capisco perfettamente e condivido la sua preoccupazione. Pensa che farle indossare delle protezioni potrebbe ridurre i rischi? Insieme a una liberatoria che la scaricherebbe di ogni responsabilità?”
“Certamente il rischio di incidenti con conseguenti traumi si ridurrebbe di molto, ma…”
Utako si alzò dalla sedia e gli porse la mano: “Molto bene, allora è deciso”.
Ora poteva andare a casa a rilassarsi, ma sul serio, questa volta.
* * *
“Signorina Ayumi, è sicura di quello che sta facendo?”
“Certamente. Kobayashi-san? Mi aiuterebbe a indossare l’imbottitura per le ginocchia e il caschetto, per favore?”
“Sì, ma…”
“Ha portato l’ovatta che le ho chiesto? E le garze? E il cerotto?”
“E’ tutto qua.”
“Molto bene”. Ayumi annuì soddisfatta. “Ora mi accompagnerebbe alla stanza che mi hanno assegnato?”
“Se riesce a risollevarle l’umore, sì.”
“Certo che mi risolleverà l’umore. Sempre meglio che stare a letto a non fare niente, non le pare?”
“Sarà”, rispose dubbiosa l’infermiera mentre entrambe si avviavano verso l’ascensore, la mano della ragazza appoggiata al braccio di Kobayashi-san.
“Ecco, è qui. Come ha richiesto, le porteremo i pasti e da bere. Ma quando il dottor Yamamoto dirà che deve riposare, lei dovrà ascoltarlo, va bene?”
“Certo, grazie, Kobayashi-san.”
L’infermiera sorrise. “Non c’è di che. Ma la prego, faccia attenzione.”
“Sì, senz’altro.” Mormorò Ayumi mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
Si sentì un po’ disorientata, l’avevano chiusa in una grande stanza che non conosceva e che, per sua espressa richiesta, non era stata svuotata da tutti gli arredi e cianfrusaglie che conteneva. Tastando il muro con cautela, Ayumi si sedette sul pavimento. Sempre a tentoni, cercò il pacco di ovatta che le aveva lasciato l’infermiera, lo aprì e ne ricavò delle palline che si infilò nell’orecchio.
Fissò la garza sulla bocca col cerotto e sentì un moto di agitazione. Ora, tecnicamente, aveva riprodotto le condizioni nelle quali si trovava Helen. Non vedeva, non sentiva e non poteva nemmeno parlare. E in quella stanza non ci era mai stata. Quando aveva preparato la parte di Helen per le audizioni, si era limitata ad osservare il comportamento di ragazzini che versavano nelle identiche condizioni della protagonista dell’opera. Ora, aveva deciso di adottare lo stesso metodo che aveva utilizzato Maya per calarsi nella parte di Helen. Se come diceva Hamil il suo problema era capire e trasmettere i sentimenti e diventare tutt’uno col suo personaggio, ora il personaggio sarebbe stata lei medesima. Analizzare quello che provava sarebbe stato sicuramente più semplice e da lì sarebbe partita.
* * *
Era inquieta. Non aveva paura, ma il suo animo era pieno di quel sentimento strisciante che cresce di minuto in minuto. Non sapeva da quanto tempo si trovasse in quella stanza, ma non aveva ancora avuto il coraggio di esplorarla. Sapeva benissimo che non c’erano pericoli, tuttavia qualcosa dentro di lei la teneva ancorata a quel muro e forse non c’era nemmeno una ragione per la quale dovesse scoprire cosa ci fosse in quella stanza. Non sapeva se fosse mattina, pomeriggio, sera oppure notte inoltrata. Non c’era nessuno al quale domandare. Il riscaldamento era troppo alto, per cui bruciava dalla sete, solo che non era in condizioni di poter chiedere ad anima viva. Era completamente sola, in quel piccolo mondo artificiale che si era creata e non era in grado né di comunicare, né di vedere o di sentire. Era straziante.
Rimase lì, ancora per molto tempo, quando, ad un tratto, si sentì prendere una mano. Sobbalzò perché logicamente non aveva sentito o visto nessuno entrare. Avvertì che le stavano porgendo qualcosa, ma non riuscì ad afferrare quel che le veniva offerto e mancò la presa. Dopo un secondo, sentì che un liquido caldo le scottava una coscia e gemette per il dolore e  per la frustrazione.
Chiunque fosse quella persona, le mise in mano un’altra tazza, facendo in modo che la afferrasse bene prima di lasciare la presa. Ayumi non sapeva bene cosa le avessero dato, per cui si chinò per annusare il contenuto. Il suo odorato non era allenato per cui non riuscì a capire bene di che bevanda si trattasse e affondò il naso nella tazza. Doveva sforzarsi a capire, Helen avrebbe fatto esattamente in quel modo.
Gradatamente, il suo olfatto le trasmise l’informazione che cercava: avvertì un lieve profumo di fiori. Annusò ancora e finalmente capì che si trattava di tè al gelsomino. Staccò il cerotto che le copriva la bocca e con cautela, per paura di rovesciare il tè, si portò la tazza alle labbra. Bevve avidamente e con gratitudine.
Aveva fame, sperava le avessero portato anche qualcosa da mangiare. Mosse la mano con circospezione fino a quando urtò contro un piatto. Ancora con più cautela, cercò di afferrare il cibo senza rovesciarlo. Sembrava qualcosa tagliato in piccoli pezzi, facile da prendere in mano. Lo annusò, aveva un buon odore. Sembrava carne… assaggiò. Era pollo teriyaki, era buono, ma… se non le fosse piaciuto? Helen non era in grado nemmeno di dire “oggi preferisco mangiare della carne invece che della verdura.”, oppure chiedere del sale perché la zuppa era sciapa o dire che non si sentiva bene. L’unico modo che aveva era… urlare, sbraitare perché non poteva fare altro.
Ma era vita, quella?
Forse nemmeno la stoffa dei vestiti che le facevano indossare le piaceva e magari le grattava la pelle.
E neanche il latte che le davano da bere tutte le mattine, probabilmente era troppo freddo o troppo caldo o addirittura non le piaceva.
E non poteva uscire di casa senza sapere che tempo facesse perché non era in grado di far domande.
Cosa potevi aver provato, Helen?
Tanta frustrazione, ma soprattutto una immensa, infinita rabbia, il suo stesso corpo una prigione dalla quale non poteva uscire.
Alla rabbia non aveva mai pensato e questa consapevolezza la lasciò spiazzata, completamente.
Appoggiò la testa contro il muro, in un gesto di resa incondizionata. “Hamil, avevi ragione tu. Devo ammetterlo, la Helen che porterei in scena oggi è totalmente diversa da quella di qualche anno fa”.
Però… però c’era qualcosa in positivo in quel disagio: aveva cominciato a capire cosa poteva aver provato quella ragazza e per la prima volta, ne aveva abbracciato la sofferenza. Erano bastate solamente poche ore per farle capire la ragione per la quale sua madre su quel palco aveva baciato Maya invece che lei, Ayumi, sua figlia. Dopo tanto tempo, quel bacio le bruciava ancora dentro. La sua Helen era stata impeccabile. Tecnicamente. Ma quella di Maya aveva avuto un impatto devastante. E lei aveva provato il gusto amaro della sconfitta al quale non era abituata.
Era abbastanza sicura di avere compreso cosa fosse mancato alla sua resa del personaggio di Helen, ma aveva bisogno di un’ultima conferma, della prova del nove.
Si alzò di scatto, ma rovinò a terra. Digrignando i denti, inconsapevolmente proprio come avrebbe fatto Helen, si tirò in piedi e a tentoni cercò la porta. Dopo averla trovata, si strappò rabbiosamente il cerotto dalla bocca e cominciò a picchiare sul vetro. “Fatemi uscire! Fatemi uscire! Venite ad aprire!” Finalmente, arrivò qualcuno. Ancora una volta, non poté capire di chi si trattasse perché aveva ancora l’ovatta nelle orecchie. La gettò via e finalmente, dopo tante ore, riuscì a sentire qualcosa. Che sollievo! Si trattava dell’infermiera Kobayashi. “Signorina Ayumi? Sta bene?”.
“Sì, sto bene.” Ed era vero. “Devo chiederle un altro favore, infermiera.”
“Mi dica, se posso.”
“Dovrebbe trovarmi un numero di telefono.”
Kobayashi la guardò incuriosita, piegando la testa da un lato, ma non fece domande.
Qualche ora dopo, l’infermiera compose quel numero sul cellulare di Ayumi e lasciò la stanza.
Ayumi, dal canto suo, avrebbe preferito non fare quella telefonata, ma sapeva bene che non c’erano alternative.
“Pronto? Buongiorno sono Ayumi Himekawa. Sì, sto bene, grazie. E lei? Bene, mi fa piacere. Le ho telefonato perché dovrei chiederle un favore. Sì, dovrebbe darmi un parere. Uno di questi giorni verrebbe qui in ospedale? Oggi stesso? Beh, ecco… Sì, come vuole. L’aspetto. A più tardi”
Ayumi chiuse la comunicazione e non poté fare a meno di sentirsi tesa.
Decise che avrebbe cercato di riposarsi, più tardi avrebbe avuto bisogno di tutto il suo sangue freddo e di nervi saldi.
 

* * *
Buona sera, come state?
E' la prima storia che scrivo su Glass No Kamen per cui penso che parecchi non mi conoscano.
Ho letto da pochi mesi il manga e me ne sono innamorata. Mi piace molto il personaggio di Ayumi, per cui... ecco una storia che parla di lei.
Ho scritto questa fanfic per una sfida sul sito di Anonima Autori, è già finita per cui aspettatevi aggiornamenti abbastanza celeri.

Spero che vi sia piaciuta.
Volevo ringraziare Floriana di Murasaki no bara no Yume e la mia cara Lunetta che hanno letto "Princesse" in anteprima e che mi hanno dato l'ok.
Un abbraccio dalla Nisi
 
   
 
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