Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: Nisi    24/12/2010    1 recensioni
Ayumi non ha più scelta: se non vuole perdere con Maya dovrà evolversi anche come persona e fare i conti con se stessa. I susini come contorno di questa storia e la Dea Scarlatta a far ripercorrere le sue vicende ad altre due anime gemelle. Ayumi capirà, crescerà grazie anche a coloro che incontrerà sul suo cammino. Ayumi Himekawa/Peter Hamil
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Ayumi Himekawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I tre volti della Dea'
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“Bonsoir, Mademoiselle Ayumi.”
“Bonsoir, Monsieur Hamil. La ringrazio per essere venuto.”
“Non mi deve ringraziare, Mademoiselle. E non c’è bisogno di essere così formali.”
Ayumi ignorò di proposito le sue parole.
“E’ stato molto gentile a disturbarsi per me.”
Hamil sorrise, un po’ tra il divertito e l’esasperato; meglio giungere subito al punto, visto che era chiaro che lei non lo aveva chiamato per dirgli frasi carine. “Bon, allora, cosa posso fare per lei?”
 “Ho provato recitare la parte di Helen, come mi ha consigliato lei. Aveva… aveva ragione. La mia Helen di oggi non è quella di tanto tempo fa. Vorrei avere un suo parere sulla mia recitazione, per quella questione dei sentimenti.” La voce le si incrinò e Hamil si sentì invadere dalla tenerezza, ma non osò fiatare. Sapeva benissimo che se avesse fatto un qualsiasi gesto di affetto, Ayumi gli avrebbe staccato la testa a morsi… e non era sicuro solamente in senso figurato.
“Va bene.”
“Ma mi deve dare un parere sincero e spassionato.”
“D’accordo.”
“Mi deve dire la verità.”
“Non lo faccio sempre, mademoiselle?”.
Ayumi storse la bocca: “Già, questo è vero. Ora andremo nella stanza che uso per le prove. Reciterò solamente le parti in cui Helen è da sola o le scene incentrate su di lei.”
“Molto bene.”
“Kobayashi-san, ci accompagnerebbe, per favore?”
“Non ce n’è bisogno, se mi dice dove si trova la stanza…”
“Non si disturbi.”
Ancora quella gelida cortesia. Avrebbe preferito sentirla sbraitare, arrabbiarsi, ma non quella quieta indifferenza. Gli faceva male al cuore, in una ragazza tanto giovane non andava bene.
“Reciterò le parti in cui Helen gioca, mangia e beve. E quando cerca di scappare da Miss Sullivan.”
“Bien, vas-y, la sto a guardare.”
Ayumi rimase in piedi per qualche minuto prima di cominciare e fece qualche esercizio di respirazione, anche per calmarsi. Recitare sola davanti a quell’uomo aveva il potere di innervosirla, anche se poche volte aveva sofferto di panico da palcoscenico.
Cominciò a recitare quasi senza rendersi conto di quello che stava facendo. Lei oramai era una ragazza che non vedeva e sapeva esattamente cosa volesse ciò comportasse.
Ancora non sapeva cosa ci fosse nella stanza e ciò stranamente l’aiutò nella sua interpretazione: si mosse come Helen, mangiò come Helen e pianse come Helen mentre lo sguardo di Peter Hamil la seguiva attento.
 
Quando tutto fu finito, Ayumi era stravolta, aveva un mal di testa martellante ed era coperta di sudore. Era pure caduta a terra qualche volta, ma le protezioni che l’avevano costretta a indossare avevano attutito i colpi anche se sospettava che il giorno dopo avrebbe avuto una natica tutta blu, ma tanto non l’avrebbe vista nessuno.
“Ecco, prenda”, Hamil le aveva teso un bicchiere d’acqua fresca e Ayumi lo bevette avidamente.
“Posso averne ancora?”
Hamil rise a bassa voce e le riempì di nuovo il bicchiere, e ancora Ayumi bevve.
Hamil pareva non aver intenzione di parlare, né di muoversi da lì. Non riuscendo più a contenere la propria impazienza, Ayumi chiese a bruciapelo: “Allora?”
“Mademoiselle, avevo visto la registrazione della sua interpretazione e mi era sembrata ottima.”
“Grazie. E cosa ne dice di questa?”
“Mi lasci finire. Quando ho visto la versione di qualche anno fa, ho pensato che lei fosse una grande attrice. In questo caso, ho pensato di avere davanti una povera ragazza cieca e sordomuta.” concluse con un sorriso.
“Allora le sono piaciuta?”
Hamil scoppiò a ridere: “Se è per questo, lei mi piace sempre.” Ayumi divenne paonazza dall’imbarazzo. “Ma se intende la recitazione, sì, in qualche momento mi ha emozionato.”
Ayumi, estremamente delusa, si limitò a tacere. Solo in qualche momento?
Doveva essere più trasparente di quanto pensasse perché Hamil le prese le mani ed esordì, in tono di scusa: “Ayumi, è stata bravissima, ma pensa che per avere il ruolo della Dea Scarlatta possa bastare una prova estemporanea? Se così fosse, la Dea Scarlatta non sarebbe quella che è, e nemmeno lei. Vorrebbe dire sottovalutarvi entrambe.”
Aveva odiosamente ragione. E aveva anche l’abitudine di toccarla, quell’uomo. “Mi lasci” gli intimò gelida, ritirando bruscamente le sue mani da quelle di lui.
Hamil rimase a guardarla allibito. Sapeva di non piacerle, ma la reazione di Ayumi al tocco delle sue mani era stata quella di puro disgusto. Non era un uomo da abbattersi per poco, ma quel tono e quel suo ritrarsi di scatto lo ferirono.
“Le chiedo scusa. Penso sia ora di andare e lei ha bisogno di riposarsi.”
Dopo un secondo lui non c’era già più e Ayumi si ritrovò sola nella stanza.
Era irritata con Hamil, che tutte le volte che la vedeva la corteggiava, ma il quale giudizio era il più delle volte corretto e le diceva la verità, sempre. A voler ben guardare, forse era più arrabbiata con se stessa per non averlo saputo stupire e averlo sentito lodare la sua stupenda recitazione. Sapeva di essere una persona terribilmente orgogliosa, d’altronde, il suo ego era uscito da quegli ultimi giorni piuttosto ammaccato. Anzi, a voler ben guardare, era da quando Maya Kitajima era comparsa all’orizzonte che il suo amor proprio aveva preso una botta dopo l’altra.
 * * *
Il parco dell’ospedale era piacevole e ben curato. C’erano parecchie panchine, ma a quell’ora non c’era molta gente. C’era anche un laghetto circondato da alberi frondosi e Hamil si avvicinò.
Non era ancora riuscito a trovare un modo per raggiungere il cuore di Ayumi Himekawa. Quando l’aveva vista per la prima volta, la sua bellezza e la sua dedizione al teatro l’avevano impressionato, però, lui, di donne belle e impegnate ne aveva conosciute tante; poi, man mano che il tempo passava, era rimasto sempre più affascinato da lei come persona, fino a quando una sera, davanti a un bicchiere di whiskey irlandese, aveva deciso di fare i conti con se stesso e aveva ammesso che desiderava conoscere Ayumi quanto più intimamente possibile. Non era un ingenuo ed era un uomo che aveva un passato; non credeva al colpo di fulmine e infatti l’anima di quella ragazza l’aveva lentamente intrigato, senza fretta e sempre di più, senza che se ne accorgesse, fino a che era stato troppo tardi per porvi rimedio.
Il fotografo in lui ebbe il sopravvento e si avvicinò ancora di più al laghetto: a quell’ora la luce era perfetta. Non aveva voglia di fare delle foto, ma di vedere qualcosa di bello, sì.
* * *
Ayumi ritornò in camera accompagnata da Kobayashi-san, la quale non poté fare a meno di notare il suo pallore. “signorina Ayumi, perché non andiamo a prendere una boccata d’aria nel parco?”
“E’ una buona idea, dell’aria fresca mi farà bene.”
Scesero con l’ascensore e uscirono dall’edificio. C’era una bella luce e fuori si stava bene.
“Mi può descrivere il parco?” chiese Ayumi.
Kobayashi-san la guardò incerta e cominciò a parlare: “Qui ci sono parecchi alberi, li sente gli uccelli che cantano? Ecco, ci sono tanti susini, i parenti dei pazienti a volte fanno il picnic proprio sotto a questi alberi. Ci sono tante panchine di legno, ma ora non c’è tanta gente, è tranquillo. C’è un laghetto…”
“Per caso c’è una panchina vicino al laghetto?”
“Sì, ce n’è una proprio laggiù. Vuole sedersi?”
“Sì, grazie.”
Si erano sedute da qualche minuto quando Ayumi sentì i passi di qualcuno avvicinarsi: “Kobayashi-san? Potrebbe venire all’accettazione? C’è bisogno di lei.”
Kobayashi-san si girò verso Ayumi con uno sguardo preoccupato.
“Non si preoccupi per me, vada pure. Non durerà molto, no? Posso aspettarla.”
“La ringrazio, signorina Ayumi. A dopo, allora.”
”A dopo.”
Era tanto tempo che non si sedeva su una panchina del parco a godersi il fresco. Si alzò in piedi per sgranchirsi le gambe… e lo vide.
 
* * *
Peter Hamil sentì l’impulso prepotente di avvicinarsi di più al laghetto. Fu proprio in quel momento che la vide, vide Ayumi avvicinarglisi raggiante, passo dopo passo. Non poté fare a meno di andarle incontro e quando fu a un soffio dal prenderla tra le braccia, lei mosse il capo in segno di diniego e sussurrò: “Aspettami…” Ma sorrideva e lo guardava con uno sguardo dolce che non le aveva mai visto.
Piano piano la sua immagine andò svanendo, lasciandolo debole e vulnerabile.
Quando si riebbe appena un po’ pensò che doveva essere stato uno scherzo della sua mente: Ayumi aveva ancora gli occhi bendati e quella… qualunque cosa fosse stata, quella sembrava vederci benissimo. Non era possibile. Forse il caldo di Tokyo gli aveva dato alla testa. Tornato a casa avrebbe fatto una doccia gelata.
 
* * *
Vide Peter Hamil andarle incontro, le braccia tese verso di lei. Una forza irresistibile la fece muovere verso di lui e prima che potesse stringerla a sé, solo un attimo prima, sentì se stessa mormorare: “Aspettami!” e poi più nulla. Era stata felice di vederlo lì, e gli aveva sorriso con grande calore.
In qualche modo, riuscì a sedersi sulla panchina, visibilmente turbata. “E’ la mia testa che mi fa dei brutti scherzi, io non ci vedo. Dovrei farmi visitare.” Tuttavia, non era preoccupata per la sua salute, l’unica cosa che sentiva in quel momento era una sensazione di calma che non provava da tempo.
Sarebbe rimasta lì ancora un po’, tanto Kobayashi-san non era ancora tornata e dopotutto lei doveva aspettarla lì.
* * *
Si era ripreso. Non del tutto, ma abbastanza da poter camminare e uscire da quel posto. Che strana cosa era accaduta. E non poteva nemmeno dire di aver bevuto.
“Signor Hamil!”
Riconobbe subito la voce decisa della signora Tsukikage. “Signor Hamil,” ripeté, “Si sente bene? Dalla sua faccia si direbbe che ha visto un fantasma!”
“S… sto bene, Madame. Forse sono un po’ stanco.” La sua immaginazione continuava a giocargli dei brutti scherzi: gli sembrava quasi che Madame lo stesse prendendo in giro.
“Tenga, beva!” nel frattempo la signora aveva tirato fuori dalla borsa una bottiglietta d’acqua. “E’ pallidissimo, beva, si sentirà meglio.”
“Merci beaucoup, Madame” bevve qualche sorso ed effettivamente si sentì un po’ rinfrancato.
“Mi dica, è venuto a trovare Ayumi Himekawa?”
“Trovare è una parola grossa, piuttosto le ho dato un parere sulla sua recitazione.”
“E cosa ha recitato?”
“Helen in Anna dei Miracoli. Mi è sembrata brava.”
“Ayumi è sempre brava.” Rimbeccò freddamente la signora Tsukikage. “Perché proprio quella parte?”
Hamil sprofondò le mani in tasca. “Perché gliel’ho detto io.”
La signora Tsukikage lo fissò, senza dire niente. “Qualche giorno fa le ho detto che sembrava una bambola…” si sentiva lo sguardo penetrante dell’anziana donna su di sé, sembrava quasi che gli stesse leggendo dentro. “che la sua recitazione trasmetteva poco. Credo di averla ferita molto, anzi ne sono sicuro.”
Non si aspettava certo che la signora scoppiasse a ridere: “Certo che sì, Ayumi è una ragazza estremamente orgogliosa.”
“C’est vrai. E io l’ho sfidata a provare ancora a recitare la parte di Helen. Ora che non ci vede, deve essere stato più facile per lei capire come si sente una ragazza cieca e questo potrebbe aiutarla a migliorare la sua sensibilità. Mi ha chiesto di assistere alla sua prova e cosa ne pensavo.”
“E cosa ne ha pensato?”
“Rispetto alla Helen che ho visto nelle vecchie registrazioni è molto più emozionante, ma le ho detto che per poter recitare la Dea Scarlatta è troppo poco.”
La signora Tsukikage scoppiò ancora a ridere: “Signor Hamil! Lei vuole rubarmi il mestiere!”
L’idea era talmente folle e ridicola che anche il fotografo si unì alla risata.
“Ayumi si fida di lei…”
“No, mi ha chiamato solamente perché sa che quello che le dico è esattamente quello che penso.” L’espressione addolorata sul volto del fotografo le fece capire molte cose.
Gli sfiorò una mano con la sua, ossuta e avvizzita. “Non pretenda troppo da Ayumi, con lei deve avere pazienza…”
Peter levò su di lei gli occhi chiari. “Vede, Ayumi è come una bambina piccola. Maya Kitajima, pur con tutte le esperienze negative che ha dovuto affrontare è più matura: ha dovuto lottare per essere quello che è, però ha una vita normale, ha delle amiche e ora si è anche innamorata. Ayumi, invece…”
“Ayumi cosa?”
La signora Tsukikage sospirò…
* * *
Kobayashi –san non era ancora tornata. Cominciava a far freddo e voleva tornare in camera. Si alzò dalla panchina e fece qualche passo. Che strano, le era sembrato di sentire la voce ben impostata della signora Tsukikage. Si mosse nella direzione dalla quale proveniva quella voce. Sì, era la sensei e stava parlando di lei.
Sentì la signora Tsukikage sospirare: “Ayumi è nata in una famiglia ricca e benestante. Non ha mai avuto problemi, è sempre stata perfetta in tutto, ma non ha un amico, non ha avuto particolari esperienze di vita, non si è mai innamorata, ha solo pensato a recitare. Non conosce il mondo e tutto ciò che lo fa girare, per cui ora come ora non è in grado di dar vita a una Dea Scarlatta credibile. Quella ragazza ha bisogno di crescere, di vivere per davvero. La Dea Scarlatta si manifesta pienamente solamente a chi è in grado di accoglierla nel suo cuore. Ayumi non lascia avvicinare le persone a sé e credo che lei ne sappia qualcosa, signor Hamil.”
Ogni parola della Tsukikage fu una pugnalata al cuore di Ayumi. Mentre ascoltava quelle parole non piangeva, ma tremava come una foglia. Non era come Hamil che si era limitato a criticare la sua recitazione, ma la sua maestra, l’attrice che per lei era un esempio pensava che lei non fosse altro che una bambina senza esperienza. Non dubitò nemmeno per un attimo che la sensei non pensasse ogni singola parola di quello che aveva appena detto, e per quella ragione, la ferita bruciò ancora di più. Allora era così, si era rinchiusa in una bella torre d’avorio dalla quale non era mai uscita, ecco perché non aveva nessun amico e perché invidiava a Maya la sua vita così semplice, ma piena. Sì sentì ferita, sia come attrice che come persona.
“Signorina Ayumi! Mi scusi per averla fatta aspettare. Ma… si sente male? E’ così pallida!”
“Non si preoccupi, Kobayashi-san, sono solo un po’ stanca. Possiamo rientrare in camera?”
* * *
Ci fu un momento di silenzio tra Peter Hamil e la signora Tsukikage. “Capisco… E’ venuta a trovare Ayumi?”
“Sì, ma ora penso che tornerò a casa. Dopotutto, Ayumi sa come la penso.” Disse mentre guardava una ragazza bionda allontanarsi al braccio di un’infermiera.
* * *
“Permesso? Ayumi, ciao! Ti ho portato dei takoyaki…”
Le parole di Maya vennero completamente ignorate perché Ayumi stava discutendo animatamente con sua madre.
“Mamma, per favore!”
“Non se ne parla nemmeno! Tu devi rimanere qui a farti curare, uscire dall’ospedale è una pazzia. Ti rendi conto che potrebbe succederti qualcosa e noi non ne sapremmo niente!”
“Cosa vuoi che mi succeda, mamma! Io sto benissimo!”
“Già, stai benissimo, ti dimentichi soltanto che tu al momento sei cieca!”
“Lo sai cosa voglio dire!”
Maya rimbalzava lo sguardo da Ayumi a Utako ad Ayumi e non capiva niente di quello che stesse succedendo tra madre figlia. La tentazione di lasciare i takoyaki sul comodino e di darsela a gambe era forte, però era strano vedere Ayumi, sempre tanto controllata, perdere le staffe in quel modo. L’aveva vista infuriata solamente quando se l’erano date di santa ragione, lassù in montagna. E aveva picchiato duro.
“Cosa è questo baccano? E’ un ospedale, questo!” esordì Kobayashi-san entrando nella stanza.
“Kobayashi-san, non riesco a far ragionare mia figlia…”
“Kobayashi-san, mia madre non vuole farmi l’unico favore che le abbia mai chiesto”.
Peccato che le due avessero parlato contemporaneamente, per cui l’infermiera ne sapeva quanto prima. Sospirò: “signora Himekawa, prego…”
“Mia figlia vuole che firmi le carte per farla uscire dall’ospedale.” Il viso di Kobayashi-san assunse un’espressione terrea.
“Signorina Ayumi, si rende conto, vero?”
“Io sto bene. Io devo far qualcosa, devo provare… devo cercare di crescere!”
L’infermiera tacque. Aveva assistito alla scena del giorno prima, ma si era tenuta in disparte e aveva reso nota la sua presenza solamente qualche minuto dopo. Con voce dolce domandò alla paziente: “Se sua madre la facesse uscire, cosa farebbe…”
“Io… io non lo so bene, ma a qualcosa…”
Kobayashi-san si girò verso la signora Himekawa. “Signora, penso di capire la ragione per la quale sua figlia vuole uscire dall’ospedale. Qual è il motivo per il quale lei non vuole che Ayumi esca?”
“Ho paura per lei… Non voglio che le succeda niente di male, è mia figlia e ci tengo a lei.”
“Senta… sua figlia si trova qui solo in osservazione e perché è più semplice farle degli esami. Se dovesse andare in un altro posto protetto, lei acconsentirebbe?”
“Kobayashi-san, mi meraviglio di lei!”
“Mi rendo conto che non è il comportamento più professionale per una infermiera, ma ho già avuto pazienti che sono fuggiti dall’ospedale… e ho due figli adolescenti. Dopotutto, il mio lavoro è assicurare il benessere di sua figlia e non c’è ragione perché debba rimanere qui in ospedale a intristirsi.”
La signora Himekawa la guardò dubbiosa: “Dovrebbe essere affidata a qualcuno di…”
“Certamente.”
Per la prima volta, Ayumi parlò, mentre Maya osservava la scena, ancora cincischiando la scatola dei takoyaki.
“Ha in mente qualcosa, Kobayashi-san?”
“Mia sorella è una monaca. Vive allo Zenko-ji, a Nagano e hanno uno shukubo per gli ospiti e i pellegrini.”
Fu la volta di Maya, di intervenire: “Nagano! E’ un bel posto, si sta bene e fa fresco!”. Ayumi non la poteva vedere, ma Maya al ricordo di quei momenti in montagna, era diventata tutta rossa. Kobayashi-san la guardò incuriosita, mentre Utako Himekawa la fissò come se la volesse incenerire.
“Scu… scusatemi… io non…”
“E’ tutto a posto, Maya.” La interruppe Ayumi, alla quale era venuta una voglia improvvisa di farsi un giro a Nagano per stare allo Zenkoji con la sorella di Kobayashi-san. Non che fosse una gran praticante, ma…
Utako Himekawa capitolò: erano in tre contro una e non poteva vincere, soprattutto con quella testarda di sua figlia. “E sia, però a Nagano ti ci accompagno io, voglio conoscere la sorella di Kobayashi-san e tu ritorni in tempo per gli esiti degli esami e per farti operare.”
“Ha dieci giorni, signorina.” Puntualizzò l’infermiera.
Solo dieci giorni per crescere, pensò Ayumi, voleva dire che avrebbe fatto in modo di farseli bastare.
* * *
“Kobayashi-san?”
“Sì, signorina?” l’infermiera alzò gli occhi dalla borsa che stava preparando.
“Lei… lei ha sentito quello che ha detto la signora vestita di nero, vero?”
“Sì, ho sentito.”
“E’ per questo che ha deciso di aiutarmi?”
“Sì, ma non solo per questo. Vede, mia madre è un’appassionata di teatro e aveva assistito alla Dea Scarlatta della signora Tsukikage. Me ne ha sempre parlato come uno dei momenti più emozionanti della sua vita, la conosce a menadito. Ho capito che per poterla interpretare bisogna essere un tutt’uno con la natura e Nagano potrebbe essere un buon posto per lei, per far pratica.”
“Le sono grata, Kobayashi-san.”
“Far star meglio i miei pazienti è il mio dovere, signorina.”
“Cercherò di sfruttare al meglio questa occasione, allora.”
”Mi sembra un’ottima idea. Ora andiamo, sua madre la starà sicuramente aspettando.”
* * *
Il taxi le lasciò proprio davanti al Daimon e Utako gettò un’occhiata al tempio che si trovava al termine del breve viale che si stendeva dinnanzi a loro.
“Non capisco questa tua ostinazione ad andartene via. Capisco la Dea Scarlatta, ma voler lasciare l’ospedale…”
“Mamma, la Dea Scarlatta mi sta sfuggendo di mano e non posso perderla.”
Utako esitò un momento: “Forse perché è destino che non sia una Himekawa ad interpretarla, te lo sei mai chiesto?”
“Forse, ma ci voglio provare comunque…”
“Va bene, non voglio che tu abbia rimpianti a causa mia. Vieni, andiamo.”
Le due donne si incamminarono lungo il Nakamise e arrivarono davanti all’ingresso.
“Le signore Himekawa?” una voce decisa dietro di loro le fece trasalire.
Utako Himekawa si trovò faccia a faccia con una ragazza giovane dalla faccia tonda e dalle guance rosse che assomigliava all’infermiera di Ayumi in maniera impressionante. Sembrava solo molto più giovane, aveva la tonsura e vestiva la tunica delle sacerdotesse del tempio.
“Hajimemashite, sono Sayaka Tsukimoto, sono la sorella di Kobayashi Tsuruko” la ragazza si inchinò profondamente e prese la valigia dalle mani di Utako senza troppi complimenti.
“Himekawa-san, prego, mi segua, la accompagno alla sua stanza.”
“Tsukimoto-san, mia figlia attualmente è priva della vista.” Fece notare gelida Utako.
“E’vero, mi scusi. Ecco, si appoggi a me. Arrivederci, signora, ci vediamo tra dieci giorni!”
Ayumi sospirò maledicendo il suo destino ingrato:  anche in quel luogo di santità, le era capitata una persona a dir poco strana. Non si era vestita abbastanza pesante e faceva freddo, in più era di cattivo umore. Mancava soltanto che arrivasse quel fotografo gaijin e il quadro sarebbe stato perfetto.
 
* * *
“Himekawa-san? Ora di pranzo, le ho portato da mangiare?”
“Grazie.” Annusò l’aria per capire cosa le avessero servito. “Mi potrebbe aiutare? Vorrei capire cosa c’è nei piatti.”
“Oh, certo! Allora in questo piatto c’è…”
”No, non così, voglio capirlo con l’olfatto, ma vorrei che mi reggesse i piatti e le ciotole mentre cerco di…”
”Ah, sì, ho capito. Allora, cominciamo con questo…” e Tsukimoto-san le avvicinò una ciotola.
“Fate la shojin riyori, qui, vero?”
“Sì.”
“Mmmm… questa è zuppa di miso, vero?”
“Giusto. Assaggi, il nostro tempio ha un’ottima cucina.”
Ayumi cominciò a sorbire la zuppa. “E’ buonissima…” esclamò sorpresa.
“Vero? E’ l’ideale per oggi che fa fresco. Vediamo… cerchi di capire che cosa è questa, è più difficile, però…”
”Non si sente niente…”
“Provi ancora, forza.”
“No, non ce la faccio… anzi… sembra qualcosa di fritto…”
“Molto bene. E’ del tempura, assaggi!”
Ed era buono davvero. Sarà stata l’aria di montagna, la fatica del viaggio, ma Ayumi aveva una gran fame.
Riuscì a indovinare quasi tutte le pietanze che componevano il suo pranzo. “Grazie per l’aiuto, Tsukimoto-san.”
”Mi chiami solo Sayaka, per favore”
“Oh, ma ci conosciamo appena…”
”Sì, lo so, ma Tsukimoto-san è mia madre e non sono abituata a sentirmi chiamare così…”
”Va bene, allora mi chiami anche lei solamente Ayumi.” Non era venuta lì per preoccuparsi delle formalità e dalla voce Sayaka sembrava una ragazza giovane.
“Molto bene. Ha da fare nel pomeriggio, Ayumi-san?”
“No, non ci ho ancora pensato…”
“Mia sorella mi ha telefonato e mi ha spiegato perché è venuta qui.”
Ayumi non trattenne un moto di irritazione. Non le piaceva essere oggetto di conversazione.
“Non deve arrabbiarsi, volevo solo aiutarla: il pomeriggio vado a fare meditazione nel bosco. E’ un bel posto, si trova al sole e non è lontano da qui. Potrebbe cominciare ad avere qualche contatto con la natura.”
Ayumi sorrise, addolcita: “Sì, è una buona idea, vengo volentieri.”
”Va bene, allora se vengo tra mezz’ora…”
“Io sono già a posto, se vuole possiamo andare adesso.”
“Come vuole, allora si vesta comoda perché non si può andare a fare meditazione nel bosco con i tacchi e la gonna stretta. Faccia con calma, io intanto devo fare una visita in bagno!”
Quella ragazza non sembrava una monaca, era un vero turbine. Peggio di Maya Kitajima.
Si cambiò e indossò una tuta calda con delle scarpe da tennis. Era diventata brava a vestirsi da sola e quando Sayaka tornò dalla sua “visita”, era pronta.
“Andiamo, allora!”
Il bosco iniziava esattamente dietro la montagna, ma quei primi passi Ayumi li percorse su un terreno completamente piatto. “Ecco!”
“Siamo già arrivate? Non mi sembra un bosco, questo.”
“No, ha ragione. Siamo davanti al bruciatore dell’incenso. Attiri il fumo sacro verso di lei, per la salute.”
Ayumi fece come le veniva richiesto. L’incenso aveva il suo caratteristico aroma e quel gesto vecchio di secoli la fece sentire bene.
Sayaka approvò annuendo vigorosamente. “Ora andiamo. Risparmi il fiato, ne avrà bisogno!”
Era vero. Ayumi si ritrovò presto boccheggiante e grondante di sudore, sembrava stessero percorrendo un sentiero piuttosto ripido. Sayaka se la trascinava dietro apparentemente senza alcuno sforzo.
“Quanto manca?” riuscì ad articolare Ayumi.
“Oh, poco, manca poco… coraggio, resista! Un po’ di movimento fa bene.”
Ayumi pensava di essere in forma, dopo tutte quelle ore passate a danzare, ma non era abituata a camminare velocemente su una mulattiera. E aveva anche paura, visto che non poteva vedere dove stessero andando
Quando pensava ormai che sarebbe stramazzata a terra, Sayaka annunciò: “Ecco, ci siamo!”
E poi, in tono molto più tranquillo e pacato che Ayumi stentò a riconoscere: “Vorrei potesse vedere quanto è bello, qui.”
“Purtroppo non è possibile.” Rispose Ayumi un po’ acidamente.
“Anche se non vede, lei può godere di questo posto. Ecco, venga, si sieda qui. Questo è il mio masso da meditazione. Si metta comoda, può incrociare bene le gambe. Bene. Ora, chiuda gli occhi e cerchi di non pensare a niente. Anche se un pensiero dovesse affacciarsi alla sua mente, non si inquieti, lo faccia andare via e si concentri sul niente. Ora, si concentri sulla respirazione, faccia partire il respiro dalla pancia e lo faccia arrivare su, su, fino alle sue spalle. Respiri solo con il naso… Molto bene, così. I suoi muscoli sono rilassati e il respiro scorre facilmente. Ora, rivolga la sua attenzione all’ambiente che la circonda, cerchi di avvertirlo su di sé. Senta il vento che le accarezza la pelle, i raggi del sole che le scaldano il viso e il profumo di questo bosco.”
Ayumi non seppe dire quanto tempo fosse passato dall’inizio della meditazione, ma arrivò il momento in cui Sayaka pronunciò le frasi di conclusione: “E ora, piano piano ritorni in sé, prenda consapevolezza del suo corpo, dei suoi muscoli e delle sue ossa, ritorni in questo mondo e al qui e ora.”
“Io…”
Sayaka le prese delicatamente una mano. “Come si sente?”
“Mi sento un po’ stordita, ma… “ sorrise esitante. “Mi sento bene e rilassata. Da quanto tempo…”
“Un bel po’”, rise Sayaka. “Ora si riprenda per qualche minuto che poi torniamo al tempio”.
“Va bene.”
Ayumi rimase in silenzio seduta sul suo masso e ascoltò i rumori del bosco: uccelli che cantavano, le fronde degli alberi che fremevano agitati dalla brezza; sentiva il sole che le scaldava il viso e il vento che le carezzava la pelle. Vicino a lei dovevano crescere delle erbe perché ne avvertiva chiaramente l’aroma e respirò profondamente. Non ci aveva mai fatto molto caso a queste sensazioni, forse perché non aveva mai prestato attenzione alle altre sue percezioni diverse da quella visiva. E decise che era bello e che le piaceva. Forse, Akoya si sentiva proprio così quando si trovava a contatto con la natura.
Si alzò lentamente per non cadere.
 “Se vuole, possiamo tornare, io sono pronta.”
“Prima assaggi questa.” Le cacciò in mano una borraccia. “Non si può dire di essere stati in montagna se non si beve l’acqua di fonte.”
Ayumi bevve. L’acqua era fredda e buona e la dissetò.
“Ora andiamo!”
La discesa fu meno faticosa della salita e ancora più rapida. Sayaka sembrava una capra di montagna: saltava, quasi correva e Ayumi faceva fatica a starle dietro.
Arrivarono al tempio che era quasi buio. “Che ne dice di un bel bagno?”
Ayumi sapeva che Nagano era famosa per le sue acque termali. Si sentiva sudata, stanca e accaldata e un bel bagno le avrebbe fatto bene.
Senza però aspettare la risposta, Sayaka se la trascinò dietro nel bagno, le piazzò un cestino di vimini tra le braccia dentro il quale c’erano degli asciugamani. “Ecco, le farà bene”, sentenziò, inconsapevolmente facendo eco ai pensieri di Ayumi.
Entrambe si sedettero sugli sgabelli di plastica e si lavarono accuratamente.
“Serve aiuto per lavare la schiena?”
“Sì, grazie.”
In verità, più che lavarle la schiena, le scorticò quasi la pelle. Quando fu il suo turno di ricambiare, Ayumi, malignamente, fece altrettanto e ci andò giù pesante. “Una bella mano vigorosa, Ayumi-san!”
“Grazie, sono contenta che apprezzi, Sayaka-san.” Rispose mentre entrambe si avviavano alla vasca termale.
“Ahhh, questa sì che è vita!”
Ayumi uscì dal bagno termale letteralmente bollita: l’acqua era molto calda e le aveva causato una grande sonnolenza. Sayaka l’aiutò a indossare lo yukata e l’accompagnò in camera sua. “Arrivo fra un attimo con la cena” e fece scorrere la porta dietro di sé.
Quando ritornò qualche minuto dopo, Ayumi era sdraiata sul futon che dormiva tranquilla.
Certo che si era addormentata, poverina, doveva essere stanca morta. La coprì col piumino del futon e pensò che era proprio un peccato buttare via quel buon cibo, per cui si servì della cena mentre Ayumi continuava a dormire.
 

 

   
 
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