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Autore: Haemoglobin    19/12/2010    2 recensioni
Tyki Mikk si racconta ad un anonimo esorcista morente che, tanto, non potrà più parlare.
Capitolo 2- It's the end of the World as we know it (and I feel fine)
Poteva! Perché se non avesse potuto sarebbe ricaduto nel suo immobile mondo senza emozioni, e anche se quella sensazione era cattiva e lo consumava dentro, se non altro era qualcosa… E qualcosa è meglio di nulla, sempre.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tyki Mikk
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Al fine di non farvi diventare pazzi mentre leggete, vi dico solo che la prima parte è ambientata nel presente, mentre invece le parti che cominciano con scritte in grassetto sono ambientate nel passato.

Avevo provato a mettere tutto il presente in corsivo, ma mi sembrava molto peso da leggere ^^

 

 

1. Son of Mother Earth

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Bom dia, exorcista.>>

L’uomo con il cappello elegante, da gran signore, saluta educatamente l’esorcista che, riverso miseramente a terra, solleva con sguardo stravolto gli occhi. Le sue pupille, una volta vista la carnagione cinerea e le iridi color topazio dell’uomo, si dilatano. Ha compreso, lo ha riconosciuto, e a quel punto l’uomo si concede un sorriso così ampio e smagliante, così diverso dalla smorfia scomposta che solitamente gli deforma il viso mentre massacra il nemico, da farlo apparire quasi angelico.

L’uomo cerca di reprimere il sorriso e, con un gesto fluido, si sfila il copricapo.

<< Il mio nome è Tyki Mikk. Ma questo lei, mi sembra, lo sa già.>>

Tyki Mikk si accovaccia tranquillamente accanto all’esorcista agonizzante e si accende una sigaretta. Sa che c’è tempo, e che quell’esorcista sta per morire.

Soffia il fumo della sigaretta e ne assapora un altro tiro, prima di rivolgersi all’uomo.

<< Il tuo nome, esorcista?>>

Il pover’uomo ha un sussulto, ed inizialmente non risponde.

<< Su, su>>, lo esorta fiaccamente Tyki Mikk, al che l’esorcista deglutisce rumorosamente.

<< Hamlet Elliott.>> balbetta lui, e Tyki Mikk sospira scontento, scostandosi i ricioli neri dalla fronte e spingendoli all’indietro.

<< Non sei sulla lista.>>, dice seccato, come se fosse colpa di Hamlet Elliott. Come se Hamlet Elliott avesse anche una vaga idea di che cosa sia, la lista. Come se al momento gli importasse.

<< Signor Elliott>>

Riprende Tyki Mikk come se nulla fosse

<< Ha già conosciuto Tease? E’ un interessante golem cannibale…>>

E via, con quella storia che aveva già raccontato a cento altre persone, se non di più; la sua mente vaga mentre il discorso esce come automatico, e dai palmi delle sue mani sbocciano farfalle nere come petrolio, che paiono fatte di carta.

L’esorcista, ormai allo stremo ed alla fine della sua corsa, si sforza di parlare

<< Pietà.>> esala a fatica. Tyki Mikk corruga le sopracciglia, quindi scoppia a ridere.

<< Pietà? Che motivo avrei di concedertela, la pietà? Cosa dovrebbe impedirmi di strapparti il cuore dal petto mentre ancora batte, esorcista?>>

Un bisbiglio troppo debole per essere udito, anche da orecchie non umane. Tyki Mikk, si vede, si sta irritando.

<< Ripeti.>> esorta iroso, chinandosi sull’uomo morente.

<< Fu anche lei umano. Da qualche parte lo è ancora.>>

Il Noah, sentendo queste parole, sospira seccato.

<< Una frase poetica ma inesatta, esorcista. Non c’è più nulla di umano in me ma, indovina? La cosa mi piace.>>

<< Lei fu umano.>> insiste Hamlet Elliott, con una cocciutaggine che, seppur debole al momento, di sicuro l’ha accompagnato in vita. Usa le sue ultime forze per strappare al Noah il privilegio di una morte dignitosa.

Tyki Mikk, che ovviamente l’ha intuito, decide di stare al gioco. Ha ancora molte sigarette ed una notte intera: nessuno sta cercando quell’esorcista, almeno per ora.

<< Fui umano>> concede Tyki Mikk, sedendo composto a terra ed accendendosi un’altra sigaretta

<< Ma fu molto tempo fa. Tu non eri ancora un pensiero nella testa di tua madre, esorcista, anche se ora come ora il tuo aspetto da umano è più vecchio del mio.>>

L’esorcista, disteso a terra, tace, ma non è ancora morto. Tyki Mikk aspira fumo dalla sigaretta e comincia a parlare.

 

 

 

                                                                        

 

 

Se da bambino Tyki Mikk avesse potuto parlare, avrebbe detto che la vita faceva schifo.

Era figlio di un minatore e di una contadina, e fino a cinque anni non spiccicò parola, perché nessuno parlava con lui.

Sua madre era una presenza evanescente, che appariva saltuariamente durante la giornata per cucinare o sistemare la casa; la sera mangiava in silenzio, e poi andava a dormire senza guardare in faccia nessuno.

Il padre di Tyki, invece, era un uomo bellissimo: era alto e solido, con i capelli folti e lucidi e gli occhi profondi come pozzi neri. Cosa più importante, era un gran lavoratore, responsabile ed instancabile: lavorava in miniera ogni giorno per estrarre stagno dalla terra, e si spaccava la schiena dalle dieci alle dodici ore al giorno. A volte rimaneva in miniera giornate, altre volte settimane intere, per poi tornare a casa stanco e di cattivo umore; Tyki, già da bambino, aveva deciso che sarebbero andati bene tutti i lavori del mondo tranne quello.

Non voleva, per colpa del suo lavoro, odiare la sua famiglia, quando mai ne avesse avuta una.

Tyki parlò per la maggior parte dell’infanzia (almeno, quando si decise a parlare) solo con i ragazzini che, come lui, passavano le giornate a giocare in strada: imparò quindi ad imprecare, a scappare dopo aver rubato le mele al fruttivendolo, imparò a conoscere tutti gli angoli e le strade della sua città finchè non fu sicuro di conoscerli tutti a menadito. La sera tornava a casa, si sedeva alla tavola dove la sua famiglia consumava una cena frugale e silenziosa e poi andava a dormire.

Passò così tutta l’infanzia fino a che, a dieci anni, convinto di essere più figlio della strada che di sua madre e suo padre, decise che gli bastava così.

 

 

 

 

 

 

<< Così presi le mie cose e partii. Non erano tante, non riempivano neanche una borsa da viaggio. Avevo una mappa del territorio che era tutta macchiata e che, comunque, segnava i terreni sbagliati, una coperta ed un paio d’abiti, e non avevo bisogno d’altro, almeno finchè non fossi stato in grado di rubare… E credimi, esorcista, lo ero. Lo ero.>>

Tyki Mikk abbassa lo sguardo per controllare che l’esorcista sia ancora vivo: il suo petto si alza e si abbassa impercettibilmente. Almeno per ora, potrà continuare ad ascoltare; tra un po’, invece, Tyki Mikk parlerà a vuoto.

 

 

 

 

 

 

All’età di sedici anni, Tyki Mikk vagava senza meta per le aride terre del Portogallo centrale: passava di treno in treno senza sapere dove andava, e non gli interessava affatto saperlo. Nord o sud che fosse, si trovava sempre immerso in paesaggi di campagne e di città che erano tanto drammaticamente uguali tra loro da fargli venire l’emicrania; spesso, steso su un letto d’albergo (o, molto più probabile, raggomitolato sotto la sua coperta) si chiedeva se non stesse per caso girando in tondo. Non potevano esistere così tante città talmente simili l’una con l’altra.

Per mantenersi lavorava saltuariamente nei campi dei grandi proprietari terrieri, guadagnando poco o niente e spaccandosi la schiena dalla mattina alla sera curando la terra, con il sole che gli bruciava implacabile la nuca ed il sudore che scorreva a rivoli, talmente tanto che a fine della giornata aveva la camicia zuppa. Cominciò a togliersi la camicia per lavorare, fregandosene delle bruciature provocate dal sole, ed il suo fisico si irrobustì.

La sera, sporco e di cattivo umore, spendeva tutti i soldi guadagnati in giornata in cibo, o alcolici o, quando fu abbastanza grande per permetterselo, donne; le trattava rudemente, senza gentilezza, perché pensava di non dovergliela visto che le ragazze facevano il loro lavoro, non di certo un piacere a lui, e mentre era con loro si chiedeva se suo padre si sentiva come lui quando tornava dalla miniera in una casa calda dove c’erano una famiglia silenziosa ed una moglie che non l’amava. Si convinse che probabilmente era così, e lo comprese un po’ di più.

Le prostitute, dal canto loro, ammiravano la bellezza del ragazzo e la sua prestanza e spesso, mentre lui fumava imbronciato una sigarette guardando ostentatamente davanti a sé, parlavano del più e del meno, coprendo i suoi gelidi silenzi. Dopo anni di lavoro erano abili nel capire la differenza tra un uomo che passava per una toccata e fuga prima di tornare a casa dalla famiglia ed un ragazzo che non parlava perché nessuno parlava mai con lui.

La più utile per Tyki, tuttavia, fu una certa Trànsito Soto, prostituta di un locale di Leira.  Era una prostituta a stampo classico, di un’età variabile tra i ventotto ed i trentatrè anni, con una cascata di riccioli neri che le ricadevano sulla pelle olivasta, che si vestiva con abiti così succinti da coprire a malapena le sue forme più che floride. Aveva un neo appena sopra le carnose labbra dipinte di rosso, fumava almeno venti sigarette al giorno ed aveva una risata tonante che si sarebbe sentita da una parte all’altra di un teatro.

Le forme sinuose di Trànsito Soto erano lontane dall’idea di bellezza che, con il tempo, si erano formate nella mente di Tyki Mikk, ma Trànsito aveva una qualità che nessun’altra donna aveva: era un’abilissima giocatrice di poker.

Era inoltre una donna intelligente, nonostante la sua rudezza. Tyki aveva passato mesi cercando la sua compagnia e spendendo tutti i suoi soldi per lei, finchè non aveva imparato tutti i trucchi del poker che lei poteva offrirgli.

Per prima cosa gli aveva insegnato a contare, perché Tyki non era mai andato a scuola e sapeva scrivere a malapena il suo nome; poi, una volta superato l’ostacolo più grande rappresentato dalla sua ignoranza, gli aveva insegnato a contare le carte. Dopodichè era passata a tutto il resto.

<< Quando nascondi le carte, capo, non metterle dove le metto io.>>, sogghignò una sera Trànsito, tirando fuori un asso di picche dal corpetto intrecciato. Tyki deglutì ed abbassò lo sguardo, e Trànsito Soto rise.

<< Penso che li metterò all’interno della manica.>>

Commentò lui, girandosi le carte di mano in mano. Trànsito annuì

<< O all’interno dei pantaloni. Capo, da qualsiasi parte le metti, basta che non ti fai beccare mentre le tiri fuori. Mano lesta ed occhio veloce.>>

Tyki annuì, concentrato sul mazzo.

Se fosse riuscito a diventare così bravo da non poter mai perdere, pensava, non avrebbe mai più dovuto lavorare la terra.

Mai più pelle ustionata, mai più sudore, mai più quella sensazione di sporco che pareva non andarsene mai via.

Continuò a vedere Trànsito Soto per mesi e mesi, finchè lei non decise che era abbastanza bravo da potersi esercitare da solo

<< Eri portato, capo.>>

Gli disse l’ultima sera che si videro, nella stanza semibuia del secondo piano.

<< Ormai devi solo allenare l’occhio e velocizzare la mano. Sai tutto quello che potevo insegnarti. Non l’avrei mai pensato, ma penso che mi mancherai. Perché ora partirai, vero, capo?>>

Tyki annuì, abbassando lo sguardo. Doveva molto a Trànsito Soto, ma voleva che, una volta sul treno per la sua nuova vita, restasse un avvenimento del passato.

<< Non posso fregare quelli che mi vedono da mesi girare in città>>, spiegò, <qui da te solo per il poker. Nessuno accetterebbe una partita con me, con questi presupposti… Soprattutto considerando che tu li hai spennati tutti prima di me.>>

Trànsito Soto, in effetti, quando ancora non era famosa per le sue forme sinuose e le sue danze sensuali, aveva sfidato e derubato con l’imbroglio buona parte della popolazione maschile di Leira e dintorni.

<< Andrò verso nord.>>

Aggiunse Tyki, mentre Trànsito sogghignava.

<< Non hai mai fatto un discorso così lungo da quando ti conosco, capo.>>

Tyki si strinse nelle spalle senza aggiungere nulla.

Il giorno dopo, Tyki Mikk si trovava alla stazione dei treni, con la sua sacca da viaggio impolverata buttata malamente sulla spalla ed il mazzo di carte incastrato tra l’anca e la cintura.

 

 

 

 

 

 

 

<< Fu un viaggio lungo fino al nord, esorcista.>> Tyki soffia il fumo verso l’alto, pensieroso.

<< Era più freddo e più ventoso, e l’aria odorava talmente di mare che dopo un po’ l’odore ti rimaneva addosso e non c’era doccia che potesse togliertelo.

Ma lì non fu male.>>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota dell’autrice

Salve ^^

Ho deciso di cominciare questa fic per raccontare la storia di Tyki da prima che diventasse Noah. Non durerà molto, ma era una fiction che da tempo avevo voglia di scrivere.

Spero che il personaggio di Tyki sia IC… Nel caso non lo fosse, avvertitemi, per favore xD non vorrei mai renderlo OOC proprio in questa ambientazione.

Se mai vi preoccupaste per il personaggio di Trànsito Soto (il cui nome, e ahimè non solo, è stato rubato dallo splendido libro di Isabel Allende, La casa degli Spiriti) e pensate che sia una Mary Sue, allora buttate via le vostre preoccupazioni, perché non la vedremo più. Mi sono resa conto rileggendo che può sembrare un personaggio principale, ma per quanto sia a suo modo “importante”, non lo è.

Spero che abbiate voglia di commentare, perché scrivere una fanfiction, per quanto bella o brutta sia, almeno per me, è sempre un lavoro che va fatto con pazienza, volontà e impegno, ed è bello veder apprezzati i propri sforzi ^^

Grazie mille per aver letto e/o recensito, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto.

                                                                                

  
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