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Autore: Savannah    09/12/2005    50 recensioni
"Un libro abbracciato come un cuscino in un letto vuoto, come il pupazzo di un bambino la prima notte che dorme da solo"
Genere: Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Piccolo colpo di testa, la posto anche se è molto diversa da quello che scrivo di solito

Piccolo colpo di testa, la posto anche se è molto diversa da quello che scrivo di solito.

Questa storia, si colloca in un momento non ben precisato del sesto libro, e contiene dei lievi spoiler, nulla di terribile, ma vanno comunque segnalati perchè ci sono ^_^

 

*******************************************************************

 

 

ANOTHER DAY

 

 

 

Here's another day, she waits and pulls herself away
At just the right moment to save her face
I watch the time go ticking down,

The waters falling on the ground

 

Il gelo regnava intorno a lei, sotto forma di  una pioggia densa, fonda, che lavava le cortecce degli alberi anneriti e l’erba rada e bruciata. Trafiggeva di aghi d’acqua la distesa inquieta del lago, che si estendeva come metallo fuso nella luminosità incerta del pomeriggio. Filtrava attraverso i rami dell’albero le cui radici che ribollivano dal terreno le avevano offerto rifugio.

Una parodia di sole si frangeva contro la cappa spessa di nuvole grigie, vincendo solo quel tanto che bastava per regalare l’illusione del giorno.

Lei chinò il capo sulle ginocchia che stingeva tra le braccia – raggomitolata, sporca, infangata – e lasciò che quella pioggia le cadesse addosso come un sudario troppo prezioso per potervi rinunciare.

(Quando piove qualcosa regala una voce a quello che sei).

A volte, a volte.

*

I catch myself and try to speak with grace
You needed just enough anger, to get you through the door
And you got just enough honesty, to make you want a little more

 

I sotterranei del castello erano immersi nel silenzio, quella caricatura di pace che può prendere l’udito fino a immergere una mente in un’ovattata estraneità fatta soltanto del rimbombo di passi su un pavimento di pietra, duro e freddo, appena scuro dove le fiamme delle torce proiettavano ombra.

L’ombra che lei stava schiacciando sotto i tacchi delle scarpe, dispiacendosi soltanto che le suole non fossero abbastanza sporche.

All’esterno al pioggia lavava le mura del castello, giungendo in quei sotterranei dimenticati dalla luce soltanto in forza di rumori cupi di tuoni lontani.

La porta dell’aula di Pozioni era semichiusa e lei posò la mano sul battente aspettandosi quasi che se ne staccassero schegge per conficcarsi nel suo palmo.

Dallo spiraglio che andava allargandosi dietro la spinta della sua mano, giunse un fumo tiepido e profumato di erbe, insieme a una luce fioca di candele.

Hermione Granger sollevò le sopraciglia: quando aveva chiesto di poter utilizzare l’aula per un’esercitazione supplementare su un tipo di pozione che avevano preparato a lezione, era convinta che sarebbe stata da sola. Un’espressione di disappunto le attraversò il viso.

Impazienza, esasperazione, quei piccoli inconvenienti che sono solo gocce che vanno a riempire un vaso già pieno, dove il sudore e le lacrime hanno già raggiunto la misura dell’orlo.

Aprì la porta del tutto e incontrò solo silenzio.

Il silenzio di due occhi che si alzarono un istante dal ribollire di un calderone, distanti della concentrazione che l’arrivo di lei aveva interrotto.

Distanti di quella distanza siderale di due piani diversi di essere e di esistere.

Il ragazzo misurò in un cucchiaio d’argento una sostanza rossastra - forse sangue di salamandra, pensò lei con quella parte automatica della mente che nota dettagli per estraniare una porzione di pensieri dal presente – poi la versò nel calderone dal quale si alzò una nuvola di fumo purpureo come una vampata che subito si spense.

Ha sbagliato, pensò lei ancora, distrattamente, e una linea di sorriso le piegò le labbra.

Draco Malfoy rimase un istante, immoto, a osservare il suo calderone e con un colpo di bacchetta ne regolò la fiamma a un’intensità più bassa, dopodiché si girò verso un banco dove giaceva un libro aperto scorrendo con la punta di un dito le righe sulle pagine ingiallite.

- Che cosa vuoi, Granger? -

Gelida e dura, come solo una pietra sbrecciata poteva essere, la sua voce la raggiunse da dietro le spalle che le aveva voltato senza alcun ritegno.

Lei si strinse al petto il grosso libro che aveva preso in Biblioteca, la pelle della copertina intiepidita dal calore delle sue braccia.

- Devo lavorare -

Nessuna risposta.

Ancora il libro premuto con entrambe le braccia al petto, uno scudo di pagine fitte, rilegatura in pelle e nervature di bronzo, abbracciato come un cuscino in un letto vuoto, come il pupazzo di un bambino la prima notte che dorme da solo.

Malfoy si voltò di nuovo verso il calderone, rivolgendole il profilo e togliendole del tutto la sua attenzione se non fosse stato per il malevolo incresparsi della fronte, quella linea di disprezzo e sufficienza tra le sopraciglia bionde che lui non le tributava neppure direttamente, come se la sua presenza fosse ormai soltanto una disgustata constatazione fatta con se stesso.

Hermione trattenne un sospiro e col tacco diede una lieve spinta all’indietro, alla porta che rientrò con un cigolio lieve nella sua cornice senza chiudersi del tutto.

Posò il libro su un banco, le braccia che lo avevano accolto di colpo vuote, il petto senza alcuna protezione. La dispensa degli studenti era aperta, le ampolle spostate senza nessun criterio, le scatoline accatastate distrattamente da mani che avevano frugato trai ripiani senza usare alcun rispetto a chi avrebbe cercato qualcosa dopo.

- Malfoy, hai lasciato un disordine indecente qui dentro – disse con freddezza – Quando hai finito rimetti a posto o ti farò rapporto -

- Rimetti a posto tu, se ci tieni tanto -

L’educazione era qualcosa che, quelle rare volte che decideva di averne una, Draco Malfoy riservava a persone che non avevano nulla a che vedere con lei.

Hermione si impossessò di una scatola di lingue di gatto e di un sacchetto di argilla nera, il resto degli ingredienti li fece levitare con la bacchetta e li spedì con precisione sul tavolo che si era scelta.

- Sono un prefetto – rispose tranquillamente, allontanandosi dalla dispensa – Ti conviene fare quello che ti ho detto. Non c’è più il professor Piton a dirigere il Dipartimento di Pozioni, quindi non hai le spalle al sicuro questa volta -

Lui si voltò gettandole un’occhiata al di sopra della spalla sinistra, il calore che saliva dal calderone gli imperlava il viso di sudore, che pure sembrava troppo abbondante considerando la temperatura del sotterraneo e la modica quantità di fumo intorno a lui. Non per la prima volta in quei giorni lei notò che il ragazzo aveva un aspetto malsano.

La pelle bianca si tendeva sugli zigomi e il suo pallore diafano lasciava intravedere un pulsare di vene azzurrine sulle tempie, gli occhi erano cerchiati di scuro e la smorfia sulle sue labbra scopriva i denti con la perenne fissità della bocca di un teschio.

Non è bello.

Quel pensiero spassionato le attraversò la mente, distratto, collegando per un istante alla persona che aveva davanti la stucchevole ammirazione che tante volte aveva visto nei modi di Pansy Parkinson quando gli era attorno.

Occhi che se avessero avuto una luce diversa avrebbero illuminato quel volto di tutt’altra anima.

Non lo è.

- Prefetto o meno – proferì lui – resti sempre una sporca Mezzosangue, Granger. Sei così in basso nella scala sociale che non dovresti nemmeno permetterti di rivolgermi la parola -

Era talmente abituata a quell’insulto che nemmeno la toccava più di tanto.

Non fosse stato per lo sguardo stomacato che le stava rivolgendo, non fosse stato perché forse era più onesto l’insulto di chi l’aveva sempre disprezzata a confronto di quello che proveniva da chi invece le aveva stretto le mani e le braccia per anni, in quel vincolo di affetto e di fiducia, che in quel momento era solo un’altra ferita che suppurava.

Lei serrò di scatto le braccia al petto, ma la sua espressione rimase distaccata. Ricambiò lo sguardo del ragazzo – quel grigio che era un’ assenza totale di colore, non abbastanza deciso per avvicinarsi ai suoi estremi, bianco o nero – cercando di concentrare negli occhi tutto il disprezzo di cui disponeva.

E in quel momento era tanto.

- Fai come ti ho detto e comunque ti farò rapporto – rispose, secca, e poi sollevò le sopraciglia per accennare al calderone del ragazzo – Alza la fiamma, non vedi che si sta spegnendo? -

La prima di minuscole perfide vittorie, aghi in una bambolina costruita per un maleficio. Nulla è innocente come un pupazzo, prima che la mano sbagliata decida di infierire su fragili cuciture e su un corpo di stoffa soffice.

Lui si voltò precipitosamente verso il calderone e trattenne un’imprecazione mettendo subito mano alla bacchetta e facendo divampare le fiamme. Con troppo impeto, stavolta, così la mistura nel calderone ribollì e si gonfiò, traboccando dai bordi e scivolando lungo le pareti. Sfrigolò sulla fiamma insieme alla risatina della ragazza, bassa e divertita.

La violenza che chiama violenza.

Forse se lei non fosse stata presente Draco Malfoy si sarebbe preso la testa tra le mani o avrebbe immerso le dita nei capelli, Hermione se ne accorse dal vago indurirsi della sua espressione in un moto di sconforto e dallo scatto convulso delle mani che si staccarono dai fianchi salendo verso l’alto, per poi interrompere a metà il loro movimento. Sembrò dimenticarsi anche di risponderle e girandole di nuovo, decisamente, le spalle, si piegò sul banco a consultare il manuale. Le mani posate ai lati del libro, la schiena curva come sotto il peso di un’enorme stanchezza e la testa rovesciata in avanti, tra le spalle, la nuca vulnerabile e scoperta, i capelli luminosi come un velo intorno al viso.

Forse controllare quelle pagine ingiallite era solo il pretesto per concedersi il lusso di  un attimo di abbandono.

Hermione distolse lo sguardo e in silenzio cominciò a preparare la sua postazione di lavoro, accese un fuoco violetto sotto il calderone, dispose sul tavolo la bilancina e i misurini, un cucchiaio d’argento e gli ingredienti che aveva prelevato dalla dispensa.

Gliene occorrevano altri che nella dispensa non aveva trovato e con la coda dell’occhio guardò sul tavolo di Malfoy e individuò il sangue di salamandra e la polvere di lunaria. Lo sguardo corse rapido a esaminare gli altri ingredienti e si accorse che stavano lavorando alla stessa pozione.

Con un lieve scrollare di spalle cominciò la preparazione, al momento in cui le sarebbero occorsi quegli ingredienti glieli avrebbe chiesti, per fortuna andavano aggiunti soltanto alla fine.

Mentre misurava e gettava ingredienti nel calderone sbirciò ancora il piano di lavoro del ragazzo che adesso esaminava la sua pozione mordendosi leggermente le labbra, indeciso.

Accanto al manuale era steso un foglio di pergamena su cui spiccavano larghe scritte in rosso scuro: era il compito di pozioni che avevano consegnato due giorni prima, la parte teorica della pozione che stavano preparando in quel momento. A giudicare dal volume delle correzioni a Malfoy non doveva essere andato poi tanto bene. La ragazza si girò cercando di assumere una posa del tutto casuale e gettò un’altra occhiata verso l’apice di quel foglio, dove, cerchiato in rosso, c’era il voto assegnato.

Lei naturalmente aveva preso il massimo.

Non riuscì a vederlo, era troppo lontano, ma alzando gli occhi da esso incontrò quelli di Malfoy e non seppe trattenere un brivido istintivo.

Si ritrasse di mezzo passo senza accorgersene, le guance che si imporporavano di imbarazzo e di dispetto. Lui sbatté furiosamente una mano sul tavolo, senza distogliere lo sguardo da suo.

- Bada ai fatti tuoi –

La voce bassa era intrisa di minaccia, secca e di gola raschiava l’udito come unghie su una lavagna vuota, accompagnata da un respiro che era il sibilo tra le zanne di un serpente che raccoglie le spire prima di attaccare.

- Da quando Piton non è più l’insegnante di Pozioni la tua situazione è molto cambiata, non è così? -

Il contrattacco disonesto di chi sa di essere in torto, lui esitò un istante e le diede modo di continuare.

- Le cose sono cambiate, vero Malfoy? -

C’erano domande retoriche che forse di risposte ne avrebbero avute un’infinità, l’obbligo dell’assenso implicito in un tono di voce che pone quesiti con sollievo ipocrita, poteva non essere rispettato.

Lui però non rispose, solo una breve luce divampò un attimo nel suo sguardo e lei immaginò che fuori nella pioggia le ferite livide dei lampi dovevano lasciare sulle nuvole quello stesso colore pallido e grigiastro che adesso gli vedeva in volto.

Quando Malfoy parlò però la sua voce era calma.

– Adesso capisco perché anche i tuoi cosiddetti amici ti evitano: controlli anche i loro, di compiti, per sentirti sempre più brava? -

L’odio in quegli occhi grigi adesso era un pulsare di veleno, vivido alla luce delle candele che spargevano un odore dolciastro di cera e di fumo.

Eppure così trasparenti.

 

I wish for nothing but the rain, to fall and wash away
Everything that I've done wrong,

 

Se la pioggia si fosse riversata su una lama dal filo rovinato, scheggiata e ossidata, prima dal troppo uso e poi dall’abbandono; una lama dalla tempra anticamente lussuosa e spezzata nell’atto di pugnalare una pietra

(Graffiata)

ecco quella lama avrebbe avuto lo stesso colore. La stessa consistenza di un pugnale non abbastanza affilato da tagliare e che per questo squarcia entrando e uscendo porta con sé brani di pelle e di viscere malamente slabbrate.

Hermione ricambiò quello sguardo stringendosi solo leggermente nelle spalle, con una voluta indifferenza, per non mostrare quanto quel colpo fosse andato a segno e che il rossore che le era salito al volto era vergogna.

La vergogna istintiva del ladro scoperto sul fatto.

Recidiva cleptomane compulsiva dei fallimenti altrui.

Era così che l’aveva fatta sentire Ron più di una volta, e anche quel lampo di impazienza che molto volte aveva scoperto anche negli occhi di Harry.

Lei la chiamava curiosità, a volte premura, altre volte scrupolo e forse il paravento dell’ipocrisia era troppo sottile perché uno come Malfoy non riuscisse ad attraversarlo in virtù di un’unica occhiata.

Non era bello, pensò ancora lei, non aveva nulla di piacevole.

Nulla che potesse colmare quel senso di schifo che le aveva infiltrato nelle vene con quell’iniezione precisa.

Se voleva farla sentire spazzatura, ci era riuscito.

O forse altri avevano gettato le basi perché quella una delle sue cattiverie finalmente avesse presa.

Provò l’impulso di correre fuori e lasciarsi lavare dalla pioggia, ma la pietra del sotterraneo la tratteneva e la pozione sobbolliva dolcemente nel suo calderone richiamandole alla mente il lavoro da svolgere.

Il sollievo che provava ogni qual volta che “perfezione” era l’unico modo di definire quanto aveva prodotto.

Quegli occhi odiosi non si staccavano da lei.

L’impulso infallibile con cui il carnefice si accorge di essere tale in un momento di trionfo e sa di avere affondato la lama nel punto esatto in cui fa male, il nervo scoperto e infiammato sotto il dente che duole, la lingua a batterci sopra ripetutamente fino a staccarlo. E poi soltanto sangue.

- Ci ho preso, vero? -

L’improvvisa, soffice dolcezza di quella voce le rese la completa misura del disastro, scoperta la tortura, l’aguzzino vi si aggrappa con le unghie, con gioia, sapendo che non è necessario andare oltre, è sufficiente non mollare la presa.

- Non vale nemmeno la pena, di ascoltare le tue sciocchezze -

Quel sorriso rimase, se c’era armonia nel modo in cui le ciglia scure del ragazzo si curvavano intorno agli occhi chiari, non esisteva  grazia alcuna in quello scherno cupo e gioioso che gli animava il viso.

Hermione scrollò ancora le spalle e guardò il proprio calderone, il fumo perlaceo che si levava da esso e improvvisamente si sentì più leggera.

- Perfetto – disse con una sfumatura di soddisfazione nella voce – Non ci ho messo più di venti minuti -

Girò intorno al ragazzo e si avvicinò al suo tavolo da lavoro appropriandosi velocemente dell’ampolla di sangue di salamandra e della scatolina contenente la polvere di lunaria.

- Scusami, - fece in tono dolciastro – mi servono per completare la mia pozione, così finalmente posso andarmene e lasciarti a penare sulla tua -

Lui strinse i pugni, lanciandole uno sguardo che era un avvertimento e insieme, da solo, un insulto che non aveva bisogno di essere formulato a parole.

- E’ qui che hai sbagliato – continuò lei, la voce era la parodia della gentilezza, condita di una certa condiscendenza, voluta, pesante.

– Il sangue di salamandra deve essere aggiunto col contagocce e non a cucchiaiate -

Fece seguire a quelle parole i fatti, gesti precisi di mani capaci, sangue di salamandra che cadeva, trenta gocce rosse, nel calderone, seguito da appena un pizzico di lunaria.

Lo guardò sorridendo, il cuore più leggero, l’anima più pesante. Osservò la rabbia farsi strada sul viso di Draco Malfoy come un fiume che rompe gli argini, gonfio della pioggia malevola di quel cielo incattivito e di nuvole peste come membra contuse.

- Domani abbiamo di nuovo Pozioni, vero? – domandò lei – Beh, vedrò se sei riuscito a recuperare il compito o meno. A giudicare da questo – e con un’alzata di sopraciglia indicò il calderone di Malfoy dal quale ormai si levava uno sgradevole odore di bruciato – direi di no -

- Non devo recuperare – esclamò lui a denti stretti, le mani magre raggomitolate nei pugni sollevati verso di lei.

Era una bugia e lo sapevano entrambi.

Hermione sorrise ancora, con dolcezza, e gettò uno sguardo ammirato al proprio calderone – E’ perfetta – disse a voce bassa e nitida.

Bastò.

Era abbastanza.

Un calcio preciso sul sostegno e il calderone cadde con il suono cupo di una campana percossa malamente, il contenuto si sparse sul pavimento, roseo e bollente, con la sua nebbiolina perlacea, gli ingredienti ben dosati e la perizia costata ore e ore di studio. Schizzi bollenti le raggiunsero le scarpe e lei ne sentì il tepore attraverso la pelle e le calze.

Era stato un gesto così meschino, così infantile, così assolutamente inutile che gli occhi le si riempirono all’istante di lacrime di rabbia.

No, inutile decisamente no, perché adesso lui rideva.

Draco Malfoy stava ridendo come se avesse sotto gli occhi la situazione più ridicola del mondo, rideva così forte che gli angoli degli occhi adesso erano umidi.

Umidi.

Si teneva la pancia con un braccio e la indicava con l’indice della destra, un gesto di scherno verso un fenomeno da baraccone.

- Stai piangendo? – ansimò – Dio Granger, sapessi quanto sei ridicola -

Lo guardò, senza riuscire a muoversi, senza riuscire a reagire, desiderando disperatamente di avere un libro da stringere al petto indifeso.

- Nessuno ti ha mai insegnato il vecchio detto che è inutile piangere su una pozione versata? – Malfoy emise un sospiro, un sospiro appagato – O forse è il caso di farlo quando una pozione è l’unica cosa che hai? -

 

Find a way to make you strong
If only for another day

 

- Hai altro a parte i tuoi libri e i tuoi bei voti? -

Libri, bei voti.

- Dove sono finiti i tuoi amici? -

Amici.

- Stiamo parlando del valoroso Weasley che è troppo occupato a sbaciucchiare la Brown in giro per classi vuote per ricordarsi di te? Oppure se ne ricorda se gli servono dei compiti da copiare? -

Ron.

- E Potter? Che cosa mi dici di Potter? Essere un eroe è una responsabilità troppo grande per preoccuparsi di te, ma non per perdere gli occhi dietro a una sgualdrinella dai capelli rossi -

Harry.

- E la Weasley? La sua enorme popolarità la rende troppo preziosa per essere ancora amica di una palla al piede come te? -

Draco Malfoy si passò un dito all’angolo dell’occhio, solo un’infinitesimale tensione delle labbra, congelava il suo sorriso d’amarezza.

- Mi correggo: non sei ridicola, sei patetica -

Il ragazzo fece un ampio gesto della mano ad abbracciare la pozione che si spandeva sul pavimento di pietra, raffreddandosi velocemente e perdendo il suo bel colorito rosato e la sua eterea nebbiolina di perla.

- Raccogli questa roba dal pavimento, Granger – aggiunse – E non venire a parlare a me di fallimenti e di cambiamenti –

*

When I’m all alone, just me and my ghosts
Standing three deep, just like sentries at their post
They make sure I remember, just a little more than most
They make sure that I understand the consequence of past

 

Se quelle gocce avessero smesso di colpirle i capelli e le spalle non avrebbe avuto ancora motivo di restare fuori e questo la terrorizzava.

Tornare indietro, cercare di scivolare di soppiatto nel suo dormitorio, perché nessuno le chiedesse il motivo dei vestiti infangati e dei capelli bagnati. Perché se qualcuno l’avesse guardata in faccia per un solo momento, avrebbe capito.

Il silenzio che è l’ultimo pudore di chi soffre, il riserbo che evita solo quel rincaro di dolore che è vedere l’indifferenza altrui.

Le parole che restano in gola perché tradurre in voce quella pietra che aveva nei polmoni avrebbe reso tutto più banale di quanto non si sentisse lei in quel momento.

Forse, dopotutto, erano stati più onesti gli insulti dei nemici.

Se non fosse arrivata mai a credere che in ogni momento avrebbe avuto il conforto di un abbraccio, forse non avrebbe affondato le mani nel fango, in quel momento.

Qualcuno avrebbe dovuto dirle che sarebbe arrivato l’istante in cui avrebbe capito che non c’era valore che la riscattasse, non c’era bravura che potesse valerle l’affetto altrui nel momento in cui qualcosa di crudele si annidava dentro di lei.

Che non c’era aiuto che avrebbe ricevuto indietro.

Le radici dell’albero ribollivano nel fango, la terra bagnata punteggiata di erbette riarse dal freddo, l’unica cosa che l’aveva accolta era quel pezzetto di parco e il lago davanti a lei, adesso increspato di vento e trafitto di aghi di pioggia.

Se tutti loro volevano farla sentire spazzatura, ci erano riusciti.

 

*

When you see me chasing daydreams

And you know that I’m not there
I’m not the one who sits across from you

Who, returns your stare

 

La pioggia si inclinò, docile allo spirare del vento, adesso era una carezza sulle spalle e lei alzò il viso sbattendo le palpebre per disperdere quelle gocce pure di cielo che si mescolavano a quelle calde che le rigavano il viso, irritato dal salmastro e dallo strofinio della lana ruvida del mantello.

Un movimento lieve dietro di lei, un fruscio che non era solo il vento, allungò le gambe consapevole di non essere più sola e prese un profondo respiro, sentendo formicolare la nuca al contatto di uno sguardo.

Attese immobile, troppo stanca per scappare un’altra volta, ma nessuno si avvicinò.

Il pomeriggio piovoso cedeva al crepuscolo, consegnandogli il possesso del cielo sulla linea di confine dell’orizzonte, oltre il lago e le montagne che orlavano lo sfondo, le lievi creste di vento sulla superficie del lago si frangevano in piccole onde sul pietrisco fine della riva.

Il rumore si ripeté, ma la sua solitudine rimase, grata, a consentirle di non dare spiegazioni.

La curiosità prese il sopravvento sul pudore e allora girò appena la testa, scandagliando la zona in cui l’intrico di alberi addormentati dal freddo si diradava verso le rive del lago.

Lui era lì.

Non ha nulla di bello.

C’erano rami anneriti, allunganti a gremire il grigio del cielo, sopra la sua testa. Le mani posate sulla corteccia bagnata del tronco alle sue spalle, quella tensione evidente all’altezza delle spalle, la fatica con cui piegò il capo all’indietro posando la testa bionda contro il tronco, la smorfia che sembrò costargli quel semplice gesto.

Non c’erano foglie a offrire riparo, la pioggia gli scorreva sul viso e sugli occhi chiusi inondandolo d’acqua scintillante.

Gocce che scendevano lievi dalla fronte lungo la pelle delicata delle palpebre, impigliandosi nelle ciglia scure, per poi cadere lentamente sugli zigomi tesi e lungo le guance fino alla linea decisa e delicata della mandibola.

Scivolavano lungo la linea del naso altre gocce che andavano perdendosi nelle pieghe amare ai lati della bocca,  stillando fino alle labbra che lui socchiuse per accoglierle.

Si accorse che lo stava fissando quando lui aprì gli occhi e con calma abbassò la testa per incontrare i suoi. Nessuna sorpresa mutò la sua espressione, sapeva benissimo che lei era lì.

Draco Malfoy si volse a guardare ancora il lago e il suo sguardo non recava segni della rabbia e della derisione che l’avevano spinta, col loro impatto violento e silenzioso, quando lui aveva smesso di parlare e si era limitato a osservarla, lontano dall’aula di pozioni e dai sotterranei.

Lontano dall’ingannevole riparo delle mura della scuola.

Non è una bella persona.

Non c’era nulla di bello in lui, nulla che potesse indurre a guardare con favore quegli occhi trasparenti o l’innata eleganza con cui adesso si scostava da una guancia una ciocca di capelli bagnati.

Draco Malfoy non piaceva e lei per la prima volta si ritrovò a riconoscergli l’onestà di non tentare nemmeno di riuscirci.

Ripensò a quando lo aveva visto piegarsi sul libro, l’immagine delle sue dita, strette contro i bordi di legno del banco, la stanchezza immensa che per un momento era apparsa a gravargli sulle spalle.

Il vuoto in quegli occhi che lei non si era data la pena di riconoscere.

Eppure era solo un ragazzo, con cui aveva condiviso un momento, in uno di quei giorni che scorrevano solo in attesa del successivo.

Se in quei giorni non era riuscita a dividere nulla di sé, quel pomeriggio aveva diviso con Draco Malfoy la rabbia e lo sconforto, parole d’odio e la derisione che circonda le verità svelate, segreti dell’anima troppo vergognosi per essere confidati a qualcuno che le era vicino.

Se non lasciava entrare nessuno, a volte, era soltanto per paura di quello che avrebbe potuto trovare.

L’umiliazione era un prezzo troppo alto quando già non trovava un sé più nulla di prezioso.

Restava solo il silenzio, l’ultima difesa di chi soffre.

Anche Malfoy restava silenzioso, nella pioggia di vetro che scendeva dal cielo, così densa e fonda da essere improvvisamente un riparo.

Non qualcosa da cui ripararsi.

Per qualche momento aveva pensato che lui fosse lì per raccogliere i frutti di quanto seminato, il vincitore che insegue il soldato sconfitto, con l’ordine superiore di non fare prigionieri.

Invece, a distanza di due o tre alberi e di qualche raffica di vento, se ne rimaneva tranquillo a guardare il lago.

Come prima, nel sotterraneo quando avevano lavorato in muta diffidenza alla stessa pozione, poi scambiandosi sgradevolezze e attaccandosi l’un l’altra, colpi talmente bassi che rendevano giustizia solo a chi li aveva provocati.

E dopo giorni interi, un po’ di rabbia le era uscita dalle labbra, violando la consegna del silenzio aveva avuto l’occasione di riversarsi in veleno e lacrime su chi, per caso, le era capitato accanto.

Che forse aveva fatto la medesima cosa con lei.

Quando si colpisce una persona - un calcio, un pugno, uno schiaffo -  per il breve istante occorso per perpetrare quella violenza due esseri vengono a contatto, avvicinati dall’odio, quel gorgo che prima o poi precipita due antagonisti verso lo stesso centro.

Se si ferisce qualcuno si vede il suo sangue correre fra le proprie mani, si impiegano interi minuti, forse ore, per distinguere il sangue dell’altro dal proprio.

Era rendere onore a quel momento buio della loro vita, restare a guardare lo stesso lago, zitti e immobili, per non turbare quel momento di pace.

Hermione sollevò lo sguardo dalle propria ginocchia strette e lo sorprese a guardarla, lui però non distolse gli occhi, si limitò a fissare i suoi con una calma che la sorprese e un’emozione, rapida come un’increspatura di vento su quella pelle diafana, gli attraversò il viso. Solo un’impressione, probabilmente la rifrazione dell’acqua negli occhi che per un istante aveva deformato la realtà.

Lei batté rapidamente le palpebre per disperdere le gocce che le annebbiavano la vista.

E la pioggia.

Un attimo dopo, lui era andato via.

 

And I watch as you grow quiet like you always did

And I wait to get what I deserve
Its the part that doesn't die that makes it hurt...

 

         Nine Day, Another Day

   
 
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