Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: SHUN DI ANDROMEDA    29/12/2010    1 recensioni
"Il rosso sospirò, ricacciando indietro lacrime e singhiozzi: “Quell’idiota… Sono rimasto a casa a studiare sino a poco fa poi sono sceso di volata per vederlo giocare a calcio. E come lo trovo? Con una sigaretta in bocca e quel suo sghembo sorriso da bambino pescato con le mani nella marmellata! Sa che detesto chi fuma, e soprattutto sa che non può fumare! Cazzo, soffre di asma!” sbottò lui, colpendo con un pugno lo schienale di ferro."
Nuova fic della serie di Carlo e Matteo, questa volta i due gemelli sono alle prese con un problema abbastanza comune negli adolescenti ma che Carlo non sopporta.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Carlo&Matteo, Carlotta&Matteo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
kk

SMOKING

A Carlo tremavano le mani e i polsi mentre correva lungo la discesa che lo avrebbe portato verso il vecchio parco giochi del paesino di campagna dove passava ormai da anni le estati, non sentiva nulla di quello che lo circondava, vedeva solo la strada grigia e le scalette piene di sterpaglie, e le sagome colorate delle altalene ormai in disuso e dei tavoli mezzi rotti.

Col fiato corto si fermò vicino alla recinzione del campo da tennis, poggiandosi con la schiena contro di essa, aveva gli occhi chiusi nel vano tentativo di arrestare le lacrime; si portò la mano a pugno sulla fronte e premette con forza, quasi volesse farsi uscire in quel modo tutto il dolore e la tristezza che provava.

“Stupido Matteo…” borbottò il ragazzo, scivolando accucciato, “Stupido idiota…” singhiozzò, aumentando la pressione.

Una mano gentile si poggiò sulla sua, sciogliendone la tensione e accarezzandola sul dorso.

Con gli occhi gonfi di pianto, il ragazzo alzò lo sguardo, incrociando il viso preoccupato di Emanuela, la sua migliore amica, quasi una sorella; a tracolla, aveva la sua postina!

Ma quando…?

“Ti ho visto scappare via lasciando la borsa ai piedi di Matteo, che è successo? Mi ha detto che lo hai schiaffeggiato.” chiese lei, passandosi il braccio dell’amico dietro la nuca per alzarlo; lo fece sedere su una delle panchine ormai arrugginite, ma lei restò in piedi, osservandolo preoccupata.

Il rosso sospirò, ricacciando indietro lacrime e singhiozzi: “Quell’idiota… Sono rimasto a casa a studiare sino a poco fa poi sono sceso di volata per vederlo giocare a calcio. E come lo trovo? Con una sigaretta in bocca e quel suo sghembo sorriso da bambino pescato con le mani nella marmellata! Sa che detesto chi fuma, e soprattutto sa che non può fumare! Cazzo, soffre di asma!” sbottò lui, colpendo con un pugno lo schienale di ferro.

Non ci riusciva, le lacrime continuavano a scendere.

Emanuela era una persona buona e gentile, dai folti e lunghi capelli neri, ma era anche, all’occorrenza, molto vendicativa e spietata.

Soprattutto in casi del genere.

Era cresciuta coi due gemelli e odiava vederli litigare, di solito sgridava sempre Carlo per il suo carattere impossibile e solitario, ma Matteo… Oh, quella volta l’aveva fatta grossa…

Troppo grossa per essere perdonata.

Difatti, con estrema lentezza, lei prese di tasca il telefonino e poggiò la borsa dell’amico accanto a lui: “Aspettami qui, non ti muovere, sono stata chiara?” disse lei seria, i grandi occhi scuri sembravano plasmati nel ghiaccio tanto erano gelidi e pieni di rabbia.

§§§

La ragazza balzò giù dalle scale del campetto da calcio asciugandosi i palmi sudati delle mani nei calzoncini corti che indossava; in campo, il gruppo di amici bloccò un momento il gioco per salutarla, ma lei li ignorò, dirigendosi a larghi passi verso l’angolo più estremo del campo, era certissima di trovare Matteo lì.

E infatti aveva ragione, il gemello di Carlo era seduto sul muretto assieme ad alcune ragazze che conosceva anche lei, ma non si fermò a salutare. Semplicemente, afferrò l’amico per il colletto della maglietta e lo sbatacchiò un po’, per poi buttarlo per terra: “RAZZA DI CRETINO!” gli urlò, strappandogli il pacchetto di sigarette di mano assieme all’accendino e buttando il tutto nel cassonetto della spazzatura, “Ci sei o ci fai?!” gridò lei, con gli occhi fuori dalle orbite, “Sentiamo, hai una spiegazione per questo?”.

Scioccato, il ragazzo rimase a terra, asciugandosi il sangue che usciva dal taglio sul mento: “Che ti è preso!?” chiese una delle altre, aiutando Matteo a tirarsi in piedi, “Tu stanne fuori, Silvia. È una faccenda tra me e lui. Tuo fratello è preoccupato, razza di decerebrato, tu non mi hai detto che ti aveva sorpreso a fumare, cristo! E se ci lasci la pelle? Hai pensato a questo?”.

Poggiandosi all’amica, il gemello si alzò: “Ma una sigaretta non fa nulla!” esclamò lui con un mezzo sorriso, cosa che fece incazzare ancora di più Emanuela, “Ascoltami bene, incosciente che non sei altro.” ringhiò lei, afferrandolo per il polso e torcendoglielo, “Una sigaretta potrà anche non fare niente, ma se continui a fumare, primo, rischi di giocarti i polmoni, che già di loro non sono poi messi granchè bene, punto secondo… Sai a cosa mi riferisco, vero?” esclamò lei arrabbiata.

Per un attimo, il moro la fissò senza capire, poi sembrò improvvisamente rinsavire perché i suoi occhi si inumidirono, segno che aveva capito quello che la “sorella” gli aveva detto.

Lo sapeva.

“Se ti è tornato un po’ di cervello in quella zucca vuota, vai a cercare tuo fratello.” decretò lei, mollando la presa.

“Ehi!!! Manu!” gridò qualcuno dietro di loro, al di là della recinzione che delimitava il campetto c’era Paolo, un altro dei loro amici: “Che vuoi?” chiese lei brusca, prendendo il marsupio di Matteo, “Se cercate Carlo, l’ho visto correre via con la bicicletta.”.

§§§

Seduto sul bordo della vasca dell’abbeveratoio, con le gambe scoperte che dondolavano distrattamente, Carlo fissava la strada deserta e le macchine posteggiate.

La bicicletta, miseramente abbandonata contro il muro, era impolverata.

Così come le sue ginocchia, graffiate e sanguinanti.

Il ragazzo strinse i pugni, sentendosi un po’ in colpa per il suo comportamento, eppure Emanuela gli aveva chiesto di restare al parco giochi, ma lui non ce la faceva, aveva voglia di piangere e non poteva sopportare di farsi vedere in lacrime come un bambino.

Detestava dare spiegazioni, spiegazioni che sicuramente avrebbero fatto il giro del paese in mezzo secondo.

Si, forse aveva esagerato, ma si preoccupava per lui, era una cosa così strana?

Tutti lo apostrofavano come noioso, appiccicoso come una cozza e morbosamente attaccato al fratello, tanto che molte ragazze, al suo passaggio, ridevano.

Però nessuno sapeva veramente il perché del suo comportamento.

E Carlo non voleva tanto stare a dilungarsi sui perché e sui percome, loro non c’erano quando lui, bambino di appena 8 anni, aveva passato un pomeriggio intero seduto sul tappeto del salotto a spulciare l’enciclopedia medica alla ricerca di un qualcosa che spiegasse come mai il fratello, disteso sul divano a pochi metri da lui, respirasse così male, oppure una giornata intera da solo sulle piste da sci assieme a degli amici dei genitori, spaventato perché Matteo era stato portato a valle in barella dopo una caduta.

Non c’erano e non potevano capire la paura e lo spavento.

E se a volte si mostrava eccessivamente preoccupato…

Beh, forse era anche normale…

Si ricordava come bruttissimo il periodo in cui era stato col papà perché mamma era assieme al gemello all’ospedale e non voleva ripeterlo.

“Hai finito di fissare il vuoto con quell’espressione da scemo?!”

Il tono brusco che riscosse Carlo dai suoi pensieri per poco non lo fece cascare all’indietro nell’acqua del trogolo ma una mano ferma lo bloccò, afferrandolo per la maglietta.

Alla luce del Sole al tramonto, il ragazzo distinse l’espressione corrucciata del fratello.

“Che ci fai qui?” chiese il rosso, divincolandosi dalla sua presa con tono chiaramente furioso, “Non eri troppo impegnato a fare il figo con le ragazze?” lo apostrofò duramente, voltandosi poi dall’altra parte, “Non ho bisogno di te.”.

“Non fare il bambino,” lo sgridò Matteo, sedendosi accanto a lui, “Sai bene che non è così.”.

Quelle parole resero ancora più furibondo il rosso: “NON È COSÌ? NON È COSÌ!? E ALLORA, SENTIAMO! SPIEGAMI COS’È!” urlò, prendendolo per il polso e torcendoglielo, “Io so quello che ho visto! Stavi fumando! E mi sembra più che sufficiente.” gridò, mollando la presa sul braccio del gemello e saltando poi in piedi, “Non hai la minima giustificazione per questo. Passi una birra ogni tanto, ma il fumo proprio no!”.

Massaggiandosi l’avambraccio dolorante, il moro sospirò, notando solo in quel momento i segni delle lacrime sul viso arrossato del fratello: “Vorrei capire perché te la prendi tanto…” borbottò il moro, allungandosi per poggiargli la mano sulla spalla, “È la mia vita, se fumo o mi drogo non credo siano cose che ti riguardano.” disse lui con tono gelido.

Carlo alzò la testa di scatto e lo colpì con un pugno talmente rapido che non avrebbe potuto minimamente evitarlo; Matteo cadde a testa in giù nella vasca con tutte le scarpe e i vestiti.

“Ascoltami bene, razza di stupido! Non sono affari solo tuoi, sono anche affari miei, sono stato chiaro?! Siamo fratelli, gemelli! Sai cosa vuol dire questa parola? Non solo vivere assieme sotto lo stesso tetto, ma vuol dire avere una parte identica, una parte che è la nostra metà che ci è sempre vicino, una parte da cui si è stati separati ma che continua a vivere assieme a noi! Senza questa metà, non ha molto senso essere in vita! Vuoi annientarti? Benissimo, ma se hai intenzione di lasciarci le penne, ti preannuncio già che non sarai il solo. Perché io ti seguirò e ti prenderò a calci all’inferno per l’eternità. Non voglio che tu stia male… Perché sei mio fratello e ti voglio bene. E non potrei sopportare di perderti come…” ma Carlo non riuscì a terminare la frase.

Non ci riusciva, soffriva a ricordare.

Due grossi lucciconi inondarono quegli occhi grandi e tristi, scivolando giù per le guance e andando a morire tra le labbra del ragazzo.

Lentamente, reggendosi alla struttura in pietra, Matteo uscì dall’acqua, completamente zuppo e intontito per la caduta, ma non distolse un attimo lo sguardo dalla figura tremante di Carlo.

“lo sai che sei davvero stupido?” lo rimbrottò quello, barcollando nel tentativo di scendere dal muretto: “Emanuela me lo aveva detto, ma non pensavo fossi rimasto così sconvolto… Lo sai che manca anche a me, manca a entrambi purtroppo… Ma lui ha fumato per tanti anni, era ancora più giovane di me quando ha iniziato. Posso capire che tu sia spaventato, ma rifletti. Anche mamma e papà hanno fumato per tanti anni, però stanno benissimo.” tentò di dire ma subito Carlo lo bloccò, “Lo stupido sei tu, perché parli come un bambino senza cervello: qui non c’entra se loro abbiano fumato tanto o poco, c’entra che tu sei già compromesso per altre ragioni. L’hai capito, adesso?”.

E senza aspettare nemmeno la risposta del fratello, inforcò la bicicletta e si allontanò: “Non dirò nulla a nessuno, ma tu pensa a quello che ti ho detto.”.

E mentre il ragazzo si allontanava, già nella sua mente Matteo aveva capito che stava sbagliando.

Ma l’avrebbe mai ammesso?

E soprattutto, avrebbe dato retta alle parole del gemello?

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: SHUN DI ANDROMEDA