SMOKING
A Carlo tremavano le mani e i polsi mentre correva
lungo la discesa che lo avrebbe portato verso il vecchio parco giochi del
paesino di campagna dove passava ormai da anni le estati, non sentiva nulla di
quello che lo circondava, vedeva solo la strada grigia e le scalette piene di
sterpaglie, e le sagome colorate delle altalene ormai in disuso e dei tavoli
mezzi rotti.
Col fiato corto si fermò vicino alla recinzione del
campo da tennis, poggiandosi con la schiena contro di essa, aveva gli occhi
chiusi nel vano tentativo di arrestare le lacrime; si portò la mano a pugno
sulla fronte e premette con forza, quasi volesse farsi uscire in quel modo tutto
il dolore e la tristezza che provava.
“Stupido Matteo…” borbottò il ragazzo, scivolando
accucciato, “Stupido idiota…” singhiozzò, aumentando la
pressione.
Una mano gentile si poggiò sulla sua, sciogliendone la
tensione e accarezzandola sul dorso.
Con gli occhi gonfi di pianto, il ragazzo alzò lo
sguardo, incrociando il viso preoccupato di Emanuela, la sua migliore amica,
quasi una sorella; a tracolla, aveva la sua
postina!
Ma quando…?
“Ti ho visto scappare via lasciando la borsa ai piedi
di Matteo, che è successo? Mi ha detto che lo hai schiaffeggiato.” chiese lei,
passandosi il braccio dell’amico dietro la nuca per alzarlo; lo fece sedere su
una delle panchine ormai arrugginite, ma lei restò in piedi, osservandolo
preoccupata.
Il rosso sospirò, ricacciando indietro lacrime e
singhiozzi: “Quell’idiota… Sono rimasto a casa a studiare sino a poco fa poi
sono sceso di volata per vederlo giocare a calcio. E come lo trovo? Con una
sigaretta in bocca e quel suo sghembo sorriso da bambino pescato con le mani
nella marmellata! Sa che detesto chi fuma, e soprattutto sa che non può fumare!
Cazzo, soffre di asma!” sbottò lui, colpendo con un pugno lo schienale di
ferro.
Non ci riusciva, le lacrime continuavano a
scendere.
Emanuela era una persona buona e gentile, dai folti e
lunghi capelli neri, ma era anche, all’occorrenza, molto vendicativa e
spietata.
Soprattutto in casi del
genere.
Era cresciuta coi due gemelli e odiava vederli
litigare, di solito sgridava sempre Carlo per il suo carattere impossibile e
solitario, ma Matteo… Oh, quella volta l’aveva fatta
grossa…
Troppo grossa per essere
perdonata.
Difatti, con estrema lentezza, lei prese di tasca il
telefonino e poggiò la borsa dell’amico accanto a lui: “Aspettami qui, non ti
muovere, sono stata chiara?” disse lei seria, i grandi occhi scuri sembravano
plasmati nel ghiaccio tanto erano gelidi e pieni di
rabbia.
§§§
La ragazza balzò giù dalle scale del campetto da
calcio asciugandosi i palmi sudati delle mani nei calzoncini corti che
indossava; in campo, il gruppo di amici bloccò un momento il gioco per
salutarla, ma lei li ignorò, dirigendosi a larghi passi verso l’angolo più
estremo del campo, era certissima di trovare Matteo
lì.
E infatti aveva ragione, il gemello di Carlo era
seduto sul muretto assieme ad alcune ragazze che conosceva anche lei, ma non si
fermò a salutare. Semplicemente, afferrò l’amico per il colletto della maglietta
e lo sbatacchiò un po’, per poi buttarlo per terra: “RAZZA DI CRETINO!” gli
urlò, strappandogli il pacchetto di sigarette di mano assieme all’accendino e
buttando il tutto nel cassonetto della spazzatura, “Ci sei o ci fai?!” gridò
lei, con gli occhi fuori dalle orbite, “Sentiamo, hai una spiegazione per
questo?”.
Scioccato, il ragazzo rimase a terra, asciugandosi il
sangue che usciva dal taglio sul mento: “Che ti è preso!?” chiese una delle
altre, aiutando Matteo a tirarsi in piedi, “Tu stanne fuori, Silvia. È una
faccenda tra me e lui. Tuo fratello è preoccupato, razza di decerebrato, tu non
mi hai detto che ti aveva sorpreso a fumare, cristo! E se ci lasci la pelle? Hai
pensato a questo?”.
Poggiandosi all’amica, il gemello si alzò: “Ma una
sigaretta non fa nulla!” esclamò lui con un mezzo sorriso, cosa che fece
incazzare ancora di più Emanuela, “Ascoltami bene, incosciente che non sei
altro.” ringhiò lei, afferrandolo per il polso e torcendoglielo, “Una sigaretta
potrà anche non fare niente, ma se continui a fumare, primo, rischi di giocarti
i polmoni, che già di loro non sono poi messi granchè bene, punto secondo… Sai a
cosa mi riferisco, vero?” esclamò lei
arrabbiata.
Per un attimo, il moro la fissò senza capire, poi
sembrò improvvisamente rinsavire perché i suoi occhi si inumidirono, segno che
aveva capito quello che la “sorella” gli aveva
detto.
Lo sapeva.
“Se ti è tornato un po’ di cervello in quella zucca
vuota, vai a cercare tuo fratello.” decretò lei, mollando la
presa.
“Ehi!!! Manu!” gridò qualcuno dietro di loro, al di là
della recinzione che delimitava il campetto c’era Paolo, un altro dei loro
amici: “Che vuoi?” chiese lei brusca, prendendo il marsupio di Matteo, “Se
cercate Carlo, l’ho visto correre via con la
bicicletta.”.
§§§
Seduto sul bordo della vasca dell’abbeveratoio, con le
gambe scoperte che dondolavano distrattamente, Carlo fissava la strada deserta e
le macchine posteggiate.
La bicicletta, miseramente abbandonata contro il muro,
era impolverata.
Così come le sue ginocchia, graffiate e
sanguinanti.
Il ragazzo strinse i pugni, sentendosi un po’ in colpa
per il suo comportamento, eppure Emanuela gli aveva chiesto di restare al parco
giochi, ma lui non ce la faceva, aveva voglia di piangere e non poteva
sopportare di farsi vedere in lacrime come un
bambino.
Detestava dare spiegazioni, spiegazioni che
sicuramente avrebbero fatto il giro del paese in mezzo
secondo.
Si, forse aveva esagerato, ma si preoccupava per lui,
era una cosa così strana?
Tutti lo apostrofavano come noioso, appiccicoso come
una cozza e morbosamente attaccato al fratello, tanto che molte ragazze, al suo
passaggio, ridevano.
Però nessuno sapeva veramente il perché del suo
comportamento.
E Carlo non voleva tanto stare a dilungarsi sui perché
e sui percome, loro non c’erano quando lui, bambino di appena 8 anni, aveva
passato un pomeriggio intero seduto sul tappeto del salotto a spulciare
l’enciclopedia medica alla ricerca di un qualcosa che spiegasse come mai il
fratello, disteso sul divano a pochi metri da lui, respirasse così male, oppure
una giornata intera da solo sulle piste da sci assieme a degli amici dei
genitori, spaventato perché Matteo era stato portato a valle in barella dopo una
caduta.
Non c’erano e non potevano capire la paura e lo
spavento.
E se a volte si mostrava eccessivamente
preoccupato…
Beh, forse era anche
normale…
Si ricordava come bruttissimo il periodo in cui era
stato col papà perché mamma era assieme al gemello all’ospedale e non voleva
ripeterlo.
“Hai finito di fissare il vuoto con quell’espressione
da scemo?!”
Il tono brusco che riscosse Carlo dai suoi pensieri
per poco non lo fece cascare all’indietro nell’acqua del trogolo ma una mano
ferma lo bloccò, afferrandolo per la
maglietta.
Alla luce del Sole al tramonto, il ragazzo distinse
l’espressione corrucciata del fratello.
“Che ci fai qui?” chiese il rosso, divincolandosi
dalla sua presa con tono chiaramente furioso, “Non eri troppo impegnato a fare
il figo con le ragazze?” lo apostrofò duramente, voltandosi poi dall’altra
parte, “Non ho bisogno di te.”.
“Non fare il bambino,” lo sgridò Matteo, sedendosi
accanto a lui, “Sai bene che non è così.”.
Quelle parole resero ancora più furibondo il rosso:
“NON È COSÌ? NON È COSÌ!? E ALLORA, SENTIAMO! SPIEGAMI COS’È!” urlò, prendendolo
per il polso e torcendoglielo, “Io so quello che ho visto! Stavi fumando! E mi
sembra più che sufficiente.” gridò, mollando la presa sul braccio del gemello e
saltando poi in piedi, “Non hai la minima giustificazione per questo. Passi una
birra ogni tanto, ma il fumo proprio no!”.
Massaggiandosi l’avambraccio dolorante, il moro
sospirò, notando solo in quel momento i segni delle lacrime sul viso arrossato
del fratello: “Vorrei capire perché te la prendi tanto…” borbottò il moro,
allungandosi per poggiargli la mano sulla spalla, “È la mia vita, se fumo o mi
drogo non credo siano cose che ti riguardano.” disse lui con tono
gelido.
Carlo alzò la testa di scatto e lo colpì con un pugno
talmente rapido che non avrebbe potuto minimamente evitarlo; Matteo cadde a
testa in giù nella vasca con tutte le scarpe e i
vestiti.
“Ascoltami bene, razza di stupido! Non sono affari
solo tuoi, sono anche affari miei, sono stato chiaro?! Siamo fratelli, gemelli!
Sai cosa vuol dire questa parola? Non solo vivere assieme sotto lo stesso tetto,
ma vuol dire avere una parte identica, una parte che è la nostra metà che ci è
sempre vicino, una parte da cui si è stati separati ma che continua a vivere
assieme a noi! Senza questa metà, non ha molto senso essere in vita! Vuoi
annientarti? Benissimo, ma se hai intenzione di lasciarci le penne, ti
preannuncio già che non sarai il solo. Perché io ti seguirò e ti prenderò a
calci all’inferno per l’eternità. Non voglio che tu stia male… Perché sei mio
fratello e ti voglio bene. E non potrei sopportare di perderti come…” ma Carlo
non riuscì a terminare la frase.
Non ci riusciva, soffriva a
ricordare.
Due grossi lucciconi inondarono quegli occhi grandi e
tristi, scivolando giù per le guance e andando a morire tra le labbra del
ragazzo.
Lentamente, reggendosi alla struttura in pietra,
Matteo uscì dall’acqua, completamente zuppo e intontito per la caduta, ma non
distolse un attimo lo sguardo dalla figura tremante di
Carlo.
“lo sai che sei davvero stupido?” lo rimbrottò quello,
barcollando nel tentativo di scendere dal muretto: “Emanuela me lo aveva detto,
ma non pensavo fossi rimasto così sconvolto… Lo sai che manca anche a me, manca
a entrambi purtroppo… Ma lui ha fumato per tanti anni, era ancora più giovane di
me quando ha iniziato. Posso capire che tu sia spaventato, ma rifletti. Anche
mamma e papà hanno fumato per tanti anni, però stanno benissimo.” tentò di dire
ma subito Carlo lo bloccò, “Lo stupido sei tu, perché parli come un bambino
senza cervello: qui non c’entra se loro abbiano fumato tanto o poco, c’entra che
tu sei già compromesso per altre ragioni. L’hai capito,
adesso?”.
E senza aspettare nemmeno la risposta del fratello,
inforcò la bicicletta e si allontanò: “Non dirò nulla a nessuno, ma tu pensa a
quello che ti ho detto.”.
E mentre il ragazzo si allontanava, già nella sua
mente Matteo aveva capito che stava
sbagliando.
Ma l’avrebbe mai
ammesso?
E soprattutto, avrebbe dato retta alle parole del
gemello?