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Autore: mony_spacegirl    05/01/2011    2 recensioni
vecchia storia sui buoni vecchi McR, una reinterpretazione personale della loro evoluzione, forse un po' banale, ma scritta con impegno ai tempi del liceo!
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rieccoci dopo le vacanzine natalizie ecc ecc con un altro capitolo, spero abbiate passato tutti delle buone feste e auguri a tutte le befane di domani =D
Ringrazio alessiafavaron ahaha purtroppo wonder iero e mony avranno solo un grandissimo rapporto d'amicizia...ma faranno il possibile e l'impossibile l'un per l'altro..non sarà in secondo piano di certo..grazieeeeeeeee
Grazie a Acid_Queen ahahah grazie ahahah si la mia fantasia...una volta era tanta...ora regredisce...anyway, spero che anche questa continuazione vi possa garbare...=)
Grazie a BBBlondie ahahah avete tutte questo odio verso Jamia? io la adoro, l'ho sempre ritenuta un gran personaggio, si si ok, all'inizio ero un po' hmmmmmm anche io, ma...ora mi piace come donna, mi piace un sacco! Anyway, grazie e continua anche la tuaaaaaaa
Grazie anche a tutti coloro che seguono o leggono solamente...


Capitolo 41
 
Facemmo l’amore un’altra volta quella notte, era davvero emozionante sentire il suo corpo sul mio, accarezzargli la pelle liscia della schiena, sentire il suo respiro fare a battaglia col mio.
Mi strinse tra le sue braccia, e gli passai un braccio attorno alla vita sentendo ancora il suo calore forte. Non appena si addormentò piansi, piansi tanto, sperando che non mi sentisse.
Mi sentivo così debole, fragile e troppo innamorata forse, avevo paura di lui, del giorno dopo, avevo paura di quelle bottiglie, delle sue mani, delle sue parole…e così, presa dalle convulsioni e dalle lacrime mi addormentai, tranquillizzandomi senza rendermene conto.
Non sognai quella notte, non ne fui capace, ero troppo stanca.
Mi svegliai con una luce forte che mi violentava le palpebre e fui costretta a girarmi dalla parte opposta e aprire gli occhi.
Lui non c’era, e richiusi gli occhi sentendo una fitta al cuore. Distesi il braccio sul suo posto, le lenzuola erano ancora calde, doveva essersi alzato da poco.
Mi stiracchiai e sbadigliai, quando uscì dal bagno coperto solo da quell’asciugamano bianco stretto attorno alla vita. Mi sorrise, ancora un po’ assonnato, come un bambino innocente che aveva bisogno di un bacio dalla mamma. Tesi le braccia verso di lui che mi venne incontro. Mi bagnò il collo e le spalle coi capelli appena lavati, mi baciò delicatamente la pelle, facendomi rabbrividire dalla sensazione piacevole.
Buongiorno amore mio, ben svegliata, fatti la doccia che poi usciamo…” disse sussurrandomi all’orecchio come se fosse un segreto che a malapena io potevo sentire.
Buongiorno…ok, e dove andiamo?!” gli chiesi con vocina assonnata mangiandomi mezze sillabe. “Beh, ti porto in un posto abbastanza cool.. dai veloce….” Mi fece scivolare fuori dal letto, scostando il lenzuolo; mi infilai gli slip velocemente per la timidezza, e lo vidi sorridere.
Perché ridi?!” chiesi un po’ scocciata. “Non fare la timida..” mi disse accarezzandomi i capelli mentre ero seduta accanto a lui ancora sul letto. “Ma….scusa tanto se mi imbarazza essere senza vestiti davanti a qualcuno…” mi sentivo la faccia avvampare sempre più. “Beh, tesoro, sarai tu l’unica a vedermi senza maglietta, non mi farei mai vedere da nessuno a petto nudo, mi imbarazza pensare a quello che può pensare la gente…da piccolo…ero…insomma…beh…” mi faceva tenerezza, e gli diedi un bacio sulla guancia, poi mi alzai e continuò “beh, sai com’ero…te l’ho detto in fondo che ero uno sfigato tutta ciccia…però, so che di te mi posso fidare, so che mi accetti per quello che sono, e non mi imbarazzo più..” mi sentivo ancora più in imbarazzo, e tutto ciò che potei fargli fu una carezza sulla guancia per poi andarmene sotto al getto d’acqua che mi tolse il suo odore dalla pelle.
Lo sentivo fischiettare una melodia che avevo già sentito al loro ultimo concerto in palestra, chissà dove mi avrebbe portata, e quando sarei arrivata avrei forse pensato a “perché mi ha portata qui?!”. La mia curiosità mi spinse a velocizzarmi, la doccia fu breve, mi vestii subito e tornai fuori da lui che fischiettava con le mani in tasca girando in cerchio per la camera.
Hahah, che stai facendo?!” gli chiesi sorridendo perché sì, era così buffo, con quei capelli ancora umidi e un po’ spettinati, con quelle labbra così belle, un po’ storte, ma così particolarmente belle. “Ti stavo aspettando, ce ne andiamo?!” mi chiese come se fosse stato impaziente e non avesse voluto dirmelo. “Ma, e…la colazione?!” hem, avevo fame, proprio un bel buco nello stomaco. “La farai quando arriveremo…anzi, ti prendo un caffè per strada..” mi prese per mano e uscimmo, senza che nemmeno potessi truccarmi o dirgli se potevo passare in camera mia a prendere qualcosa.
Salimmo sulla sua auto, c’ero salita solo 2 volte, in genere uscivamo sempre con il van di Frank. “Cacchio Gerard, ma non pensi di dovergli dare una lavata?” lui sorrise, mi guardò mentre partiva in retromarcia e mi disse “se ti offri volontaria mettendoti in costume potrei anche pensarci, però sai, questo catorcio forse presto lo cambierò…abbiamo già registrato una decina di canzoni…credo che per fine anno il cd potrà uscire…ci mancano un altro po’ di canzoni…però ci fermeremo un mesetto probabilmente, volevamo andarcene in vacanza…i soldi per ora ci bastano, riusciamo a pagare la scuola e a toglierci qualche sfizio.” Azzardai una domanda riguardo la composizione del gruppo. “Ma….e con Matt?!” Gerard cambiò la marcia e si immise in una strada grande che portava fuori Belleville. “Con Matt, beh, abbiamo risolto un po’ di cose, è tornato con noi…Mony…posso chiederti una cosa?!” il mio cuore cominciò a battere più forte, non sapevo mai come comportarmi e cosa dire quando partiva a fare quella domanda prima di quella che voleva fare. “Dimmi…” dissi voltando il viso e guardando degli alti palazzi un po’ diroccati attorniati da sterpaglie giallastre, secche.
Veramente, io e i ragazzi…ecco, pensavamo di andare a farcene un giro a Los Angeles in quel mese di vacanze…e io, ecco, mi chiedevo se ti andava di venire…ma..non sapevo se e in che momento dirtelo…” socchiusi gli occhi e un pensiero repentino andò a quella donna, la quale erano anni che non mi interessava più. “Beh, io…solo che, forse, non ho i soldi per permettermelo Gerard, mio padre non lo sento ultimamente ed ecco, veramente l’ultimo mese ho dovuto chiederli a Bob i soldi per pagare la rata della scuola..” mi sentivo una volta ancora una povera piccola, che aveva bisogno sempre di aiuto da tutti per continuare a vivere.
Amore, non ti preoccupare, ci sono io ora…tu stai con me, non temere…”. Ci fermammo ad un take-away e mi prese un caffè e una brioche. “Ecco qua…cibati…tra poco arriviamo…” mi disse porgendomi un sacchetto di carta mentre saliva in macchina. Ripartì e prese una strada piuttosto lunga e deserta. “Cazzo Gee, ma dove stiamo andando?!” “Haha, amore, sta tranquilla, ci siamo quasi..” rimanemmo in silenzio per il resto del tragitto, circa venti minuti. Non riprendemmo più il discorso di prima, probabilmente aveva capito che mi ero imbarazzata e voleva cercare di essermi utile.
Svoltammo in una strada stretta costeggiata da una parte da un fosso, dall’altra da un campo di zucche finché non ci trovammo davanti a uno stabile immenso con un parcheggio grande davanti, il tutto circondato da dei cancelli alti.
Do….dove..siamo?!” chiesi, anche se lo immaginavo. Parcheggiò accanto al van di Frank. “Cazzo Gerard, ma…tu…hahaaa….oddio!!!!”
Mi sorrise mentre tirava il freno a mano. “Ti amo amore…voglio far vivere anche te con me, voglio che tu viva al mio fianco, voglio che tu viva serenamente ma soprattutto voglio iniziare a farti sorridere perché stai bene con me e con i miei amici e con quello che faccio e perché ti amo…” gesticolava come un pazzo, non sapeva più cosa dire, ma l’idea l’aveva resa benissimo.
Mi sporsi in avanti dandogli un bacio “Gerard, io..ti ringrazio, io ti amo, e io spero infinitamente che anche tu stia riuscendo a superare i tuoi momenti duri, spero di poterti stare accanto e che assieme con forza riusciamo a reagire e costruirci qualcosa di nuovo…grazie..dal più profondo del mio cuore..” mi sorrise e mi diede un bacio molto dolce, tenendo delicatamente il mio viso tra le sue mani. “Dai, andiamo…non vorrai fare tardi..” gli dissi. Così entrammo in quello stabile così grande e quando fui dentro, odorai il profumo di un nuovo inizio, anche se qualcosa sapeva ancora di bruciato, ma era pur sempre un bruciato spento. E subito mi furono chiare molte cose…anche le più banali…….
 
Capitolo 42
 
Lo tenevo stretto per mano, sprigionavo gioia da tutti i pori, andammo lungo un corridoio dove incontrammo un tipo un po’ rozzo con dei caffè in mano. “Eccheccazzo, sempre a me…ma uffa…sti stronzi infami…ma porca troia…uffa…” mi scostai per lasciarlo passare, e mi strinsi a Gerard che mi prese tra le sue braccia guardando per storto quel tipo.
Ma guarda che stronzo..” disse guardando quel tipo mentre girava l’angolo. “Dove dobbiamo andare noi?!” chiesi, ingenua e disorientata. Era la mia seconda volta in una casa discografica, c’ero stata una volta con mio padre, ebbene sì, faceva, quand’ero piccola, il manager di una band di poco conto, ma era sempre un intrico di corridoi e stanze e non mi capivo verso dove andare.
Di sopra, vieni…” mi prese per mano e come se fosse padrone di me e di quel luogo mi guidava di qua e di là, come se fossi la sua schiava alle spalle.
Fummo al piano di sopra, vidi davanti alla porta di una sala relax un tipo con i capelli lunghi, unti, un po’ di barba e appena vide Gerard sorrise e gli venne incontro allargando le braccia.
A quel punto gli lasciai la mano, affinchè potesse stringere quel tipo, che non mi diede una piacevole impressione.
Ciao vecchio Bert!! Come stai?!” disse Gerard sorridendo. “Gerard, da quanto tempo!! Stai registrando?!” sciolsero l’abbraccio e continuarono a parlare. “Si, anche se finirò di registrare verso fine anno, adesso voglio prendermi un periodo di pausa, me ne vado in vacanza…e tu piuttosto?!” il tipo gli rispose “Beh, sono venuto a cercarmi un batterista, registro anche io…prossimamente…lei?!” mi guardò come se mi stesse disprezzando, sto infame. “Beh, lei, lei è il mio braccio destro, e anche la mia salvezza, la mia dolce metà in poche parole” Gerard mi riprese per mano e io sorrisi forzatamente abbassando gli occhi di fronte a capelli unti.
Rimasi sorpresa, dato che mi porse la mano e si presentò “Molto piacere, io sono Bert…cantante dei The Used…” strinsi con forza la sua mano, per mostrargli che ero una tipa tosta e risposi “Io sono Monika, la ragazza di Gerard…” e il finto sorriso sul mio volto si spense di nuovo mentre lasciavo la presa.
Gerard non siamo in ritardo?!” chiesi, scocciata. “Oh cazzo è un po’ vero… beh, Bert, a presto!! Ci si vede! Stammi bene!” si abbracciarono di nuovo e poi ce ne andammo avanti. “Chi è quell’individuo squallido e puzzolente Gerard?!” gli chiesi subito. Mi fece una smorfia, come per difendere il suo amico dalla battuta poco simpatica. “E’ Bert, il cantante degli Used, te l’ha detto no?!” risposi io con una smorfia. “Ci siamo conosciuti ad un concerto l’anno scorso, è un tipo simpatico, e poi, beh, mi piace la sua musica…” ribattei subito “Sarà anche bravo…ma è zozzo, e ha la faccia da violentatore…pedofilo, mettila come ti pare”.
Gerard sorrise “Basta con gli insulti gratuiti ora, se non vuoi essergli amica nessuno te lo chiede…siamo arrivati…”.
Entrammo in una sala piuttosto grande, il nano mi venne subito incontro e mi abbracciò porgendomi una tazza di caffè caldo. “Ma grazie nano, vedi che quando non ti si chiede niente intervieni sempre nel modo più giusto?!” sorrisi. “Ci ragionerò…devo pensare a una nuova tattica” disse stringendosi il mento con due dita.
Gerard mi diede un bacetto sulla guancia, dicendomi di andare a sedermi su un divano, indicandomi la direzione. Diedi uno sguardo al divano per poi tornare a guardare lui, e tornare di nuovo di scatto a guardare il divano. Non potevo crederci, Iero me l’avrebbe pagata in grande quella. C’era la sua amata amichetta seduta tutta composta sul divano più grande.
Cazzo Gerard, che ci fa qui quella?!” chiesi sottovoce con aria scazzata. “Beh, non lo so, ma se la sarà portata qui Frank, beh che aspetti?! Vai lì e parlaci no? Magari non è male come credi!!”. Sentii gli occhi esplodere, volevo fulminare Gerard e tutta quella gente lì attorno, ma tutto ciò che potei fare fu andarmene con la coda tra le gambe a sedermi su quel divano.
Appena mi vide mi sorrise semplicemente, anche se non ricambiai. Non era una di quelle che appena ti vedeva arrivare correva a saltarti addosso per fortuna.
Ciao..” disse, forse spaventata del mio comportamento. “Ciao.” Ribattei volendo solo farla star zitta.
I ragazzi iniziarono a suonare un pezzo, interrompendosi di tanto in tanto. Ad un tratto la moretta mi venne vicino. “Mony, ti disturbo?!” feci un respiro a fondo e sperai di non diventare un cane contro di lei. “No…” beh, ero sfacciata comunque, non riuscivo proprio a fare la normale. “Senti, ti va di uscire a bere un caffè? Te lo offro io, vorrei parlarti…” mi disse, forse impaurita di ottenere solo una risposta negativa e sfacciata nuovamente.
Beh, ok…” grande Mony, fai passi da gigante!
Ci alzammo in silenzio e ce ne andammo verso un’area ristoro, accanto alla mensa, al piano di sotto. Mentre andavamo giù non parlammo, ci limitammo a fare meno rumore possibile. Ci sedemmo a dei tavolini fuori nel piccolo giardinetto e mi accesi una sigaretta mentre aspettavamo i caffè.
Beh, Mony…se ti posso chiamare così…” disse, era impaurita, fantastico…ero la belva della compagnia. “Certo, perché non dovresti?!” cercai di addolcirmi, e forse, provata dalla sua soggezione ci riuscii. “Beh, ti conosco da troppo poco, anzi, dire che ti conosco non è vero, comunque, direi che..non ti sto molto simpatica, lo posso ben capire; sai, capisco che ti eri abituata a stare in camera da sola, io ho anche provato a chiedere in segreteria, ma non mi fanno spostare in altre camere, io…beh, volevo solo dirti che non ti darò alcun fastidio, e se dovessi farlo senza accorgermene ti prego di farmelo notare…” dio, mi stava veramente facendo stringere la bocca dello stomaco. “Jamia, ecco…io, ti chiedo di perdonarmi, ma, vedi, non è un periodo facile per me, la faccio breve, ma visto che dovremo condividere la stanza tanto vale che ti racconto un po’ di cose, non si sa mai che poi diventiamo anche amiche..” ok quella potevo risparmiarmela, ma in effetti era la verità. “Dunque…sto insieme a Gerard, è un tipo che ha avuto dei problemi di depressione, sta male, e spesso subisco io i suoi sfoghi, poi guarda, io…non ho più una famiglia, mio fratello se n’è andato in tour con una band, mia madre era un’alcoolizzata, mio padre se n’è andato un sacco di tempo fa. Vivevo a Los Angeles, lo adoravo quel posto, e sono finita qui, in culo al mondo con un sacco di gente che agli inizi neppure mi accettava…devo solo ringraziare il nano…” abbassai lo sguardo. “Poi, ecco, mi ero abituata a stare da sola, potevo piangere, sfogarmi, fare quello che mi pareva, ora, sono io che ho paura che ti disturberò…” Jamia mi strinse una mano, vedendomi un po’ immersa nella merda con tutto quel casino. “Mony, vedrai che saremo in sintonia, io spero che non sarò un peso, e spero che tu possa trovarti bene con me, io ti sono vicina, a partire da questo momento, e fino a quando resteremo unite…te lo prometto.” Buttai per terra la sigaretta e le sorrisi, con il cuore e finii per abbracciarla.
Forse Gerard aveva davvero ragione, forse non era poi così male. Bevemmo il nostro caffè, e poi tornando a parlare di quanto fuori di crapa era Frank tornammo su sorridendo.
Ma una cosa mi venne in mente come un fulmine improvviso. “Cazzo!!” esclamai. Jamia mi guardò con espressione interrogativa. “Quello…oddio mio….io…ho visto…Bert degli Used…ma mio fratello è un tecnico degli Used!!! Devo correre a cercarlo!!!” e cominciai a correre per i corridoi e a guardare per le stanze, con Jamia che mi seguiva col fiato lungo e che cadeva e inciampava ogni due minuti seguendomi chiedendomi di spiegarle, ma non avevo tempo, volevo solo notizie di Bob, che non vedevo da un po’.
E quando cerchi qualcosa non lo trovi mai, nemmeno se è qualcuno che non ti piace, e continui a soffrire, pensando a quello che potresti aver trovato all’altro estremo del tuo ricercato. E continui a pensare a quella persona, tanto vicina ma tanto lontana nello stesso momento, e fu ancora l’attesa a impossessarsi dell’attimo….
 
Capitolo 43
 
Durante la pausa pranzo riuscii a recuperare le energie e a parlare con Gerard in disparte.
Amore…ma Bert non è quello lì della band dove lavora Bob?!” Gerard mi guardò un secondo e poi si accese una sigaretta mentre ci sedavamo su una panchina all’ombra di quel posto immenso, se non fosse stato per una grande insegna alla prima occhiata sarebbe sembrato un carcere.
Si..” mi disse Gerard, senza commentare altro, come se avesse avuto paura di rivelare qualcosa. “Vuoi una sigaretta?!” mi chiese porgendomi il pacchetto.
La presi e l’accesi, ma ciò non mi fece trascurare il discorso. “Tu sai dov’è Bob?! Sai perché ultimamente non si fa più sentire né vedere…?!” glielo chiedevo implorante, mi stavo già immaginando in ginocchio, davanti a lui con la sigaretta che mi bruciava la pelle solo perché mi dicesse dove cavolo era mia fratello e perché mi stavano nascondendo tutto.
Non lo so Mony, non so…” riuscì a dire come se avessi insistito e tanto per rispondere disse qualcosa a caso. “Cazzo Gerard, tu lo sai, e allora dimmi..perchè cazzo devi sempre tenermi tutto nascosto??!!!” sentivo le guance arrossarsi, i nervi tendersi.
Mony, c’è un motivo, e non vogliamo che tu lo sappia solo perché sappiamo come sei fatta e rischieresti di fare stronzate..”
Mi stavano per venire i 5 minuti, buttai la sigaretta e mi alzai in piedi. “Cazzo Gerard, se non me lo dici ora giuro che le cazzate le faccio lo stesso…e anche peggio di quello che potresti aspettarti..” dissi col dito puntato verso di lui in segno minaccioso.
Mony…” mi prese le braccia delicatamente dopo che buttò la cicca e cercò di tirarmi verso di lui, ma testarda, opposi resistenza.
Mony, ti prego, vieni qua…” non ne avevo la più pallida idea, volevo solo scappare, correre via da tutti, da lui, dal mondo. Avrei tanto voluto gridare “fermate il mondo, voglio scendere”.
Ma il mondo non si sarebbe mai fermato per me, una stupida, un’ingenua ragazza che si opponeva alla forza del suo fidanzato.
Mony..stai ferma…dio santo, non puoi fare nulla…” si alzò in piedi anche lui, cercando di stringermi contro il suo corpo, mentre io pensavo al peggio. Quel “non puoi fare nulla” mi fece preoccupare, era successo qualcosa, qualcosa di brutto, e io dovevo sapere, dopotutto, ne avevo il diritto, Bob era parte di me, era la mia famiglia.
Riuscii a dimenarmi tanto da scappare e correre verso l’uscita. Gerard provò a rincorrermi, ma sentii una voce provenire dalle nostre spalle, era Frank, il saggio Iero, che gli diceva “Lasciala stare…ha ragione lei dopotutto…”.
E scappai, e corsi, veloce, per il campo, tra gli alberi di frutti, fino a giungere alla strada principale, dove ero stremata.
Pensai un attimo mentre riprendevo fiato, avrei potuto mettermi a fare l’autostop, continuare a correre, ma verso dove, non ricordavo la direzione esatta, e segnali in quel punto nemmeno uno. Andai verso destra, e puntai fuori il dito facendo l’autostop, tutto mi sarebbe passato per la testa, ma non avrei mai creduto che un giorno l’avrei veramente fatto. Ebbene, ora ero leggermente nei guai, se si fosse fermato un maniaco o che altro…io ero fottuta.
Dopo che percorsi circa 200 metri si fermò un auto, un piccolo van un po’ scassato, marroncino. “Hey bella, sembri stanca, dove sei diretta?!” un ometto, con la barba, dei capelli ricci castani che uscivano da un cappellino rosso e degli occhi blu metallici che mi violentavano il viso. Rischiai comunque. “A Belleville…” dissi deglutendo. “Beh, io non proprio, ma ti ci posso portare, come pensi di pagarmi??!” il sorriso sulle sue labbra si allargò.
Mentre stavo per ribattere che avevo tutti i contanti che voleva una macchina a me nota accostò dietro al van e il clacson suonò un po’ di volte. Guardai il tipo riccioluto e dissi “mi dispiace..”
A testa bassa feci qualche passo indietro e salii in macchina. Gerard non disse nulla, e partì a tutto gas verso la scuola.
Quando fummo lì, parcheggiò l’auto, salimmo in camera sua e chiuse la porta. Mi fermai davanti al letto, a testa bassa, pensando che me ne avrebbe dette su un bel po’, o forse mi avrebbe semplicemente compresa abbracciandomi forte e spiegandomi tutto dicendo che mi sarebbe stato vicino.
SLAP!! Invece… Fu una sberla del tutto inaspettata. E fu ancora silenzio.
I capelli mi ricoprivano parte del viso e sentivo la pelle che iniziava ad arrossarsi. Non avevo voglia di vendicarmi, né di piangere. Avrei voluto scappare ancora una volta, o semplicemente mi sarei distesa sul letto e avrei dormito ben volentieri.
Ci ritrovammo uno di fronte all’altra, percepivo la tensione, che era quasi tastabile. Con la calma più assoluta mi voltai, e feci per aprire la porta. “Dove pensi di andare?!” la sua voce, una lama tagliente contro la pelle della mia schiena. “A dormire” risposi, fredda.
Feci scattare in giù la maniglia ma il suo gesto fu rapido. Richiuse la porta e mi prese per un braccio. Mi trascinò sul letto e mi fece distendere mentre tirava le tende scure delle finestre per rabbuiare la stanza. “Dormi qui, quando ti sveglierai parleremo…” mi disse tremendamente incazzato. E io non sapevo che fare. E io non sapevo nemmeno come comportarmi.
Lui si sedette sul letto accanto e appoggiò i gomiti alle ginocchia e il viso tra le mani, rimanendo lì ad osservarmi. Tolsi la maglietta per il caldo, e mi distesi bene sul letto morbido e rilassante.
Fu un sogno tremendo a lacerare la tranquillità di quegli attimi.
Vidi tutto limpido, fin troppo limpido in quell’incubo così perfetto. C’era Bob, Bob che portava una bara, da solo, da un lato, mentre dall’altro lato c’erano tre perfetti sconosciuti. Sembravano quasi fantasmi. Vidi me stessa, accanto ad un carro funebre, in un giorno di pioggia, mamma stava abbracciata a me, e piangeva, piangeva.
Mio padre non lo vidi, potevo solo scorgere una sua figura, tra le mani di mia madre, nemmeno le mie nonne c’erano.
Vai in macchina….vai in macchina….vai in macchina…” diceva Bob, serio come non lo avevo mai visto. Io stavo rigida e ferma accanto a questo veicolo, con una rosa nera in mano, con il volto privo di espressione, solo un trucco pesante, nero e leggermente sbavato, ma mai si sarebbe detto che avrei pianto.
Bob continuava a scendere dai gradini della chiesa, con questa bara sulla spalla. Non sembrava facesse grande sforzo, sebbene era il solo a reggerla dal lato destro. Le scale sembravano non terminare mai, la bara non voleva giungere al carro funebre.
Tutto ad un tratto un lampo rosso squarciò il cielo, e smise di piovere.
Bob scomparve come per magia, mia madre si accasciò al suolo e diventò un cumulo di polvere, tutti i presenti volarono via come fantasmi evanescenti. Ma la cosa più sconvolgente fu vedere la bara cadere, aprirsi, e al suo interno centomila foto. Mi avvicinai, e ne presi tra le mani qualcuna, foto che ritraevano me, e la mia famiglia per intero. In particolare c’erano un sacco di foto con me, Bob e le nonne, tutte e due insieme. Ma sapevo bene, che con le nonne assieme io e Bob avevamo soltanto una fotografia, una sola, fatta alla mia prima Comunione.
Un urlo ne fece susseguire un altro, e poi un altro, ed erano tutte grida roche, come di pianto, di disperazione assoluta, non di tristezza.
Mi svegliai improvvisamente piombando a sedere sul letto. Vidi Gerard dormire in quello accanto con la bocca un po’ aperta e in principio di cominciare a russare.
Respirai profondamente cercando di calmarmi. Ma fui colta dalla follia. Ebbene, l’invito del ragno per la mosca era ancora valido. E la mosca ne approfittò. Scorsi nell’angolo della stanza dietro all’armadio una bottiglia di gin. Mi sporsi in avanti e la presi, tracannai quasi un terzo della bottiglia, tutto d’un fiato, finché non sentii che aveva raggiunto il fegato e se lo stava mangiando ben bene.
Mi ributtai a pancia sopra, chiudendo gli occhi e dopo che chiusi la bottiglia la tenni stretta tra le mie braccia, riaddormentandomi colpita dalle vertigini.
  
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