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Autore: Atlantislux    05/01/2011    5 recensioni
Tutto ha un prezzo a questo mondo. Soprattutto la pace. Loro l'hanno dimenticato.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Irreparabile'
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Meth



Nova


Mlada era una donna alta e forte, per cui, quando prese Kassel per il colletto della giacca e lo sbatté contro il muro, lui sentì le costole scricchiolare.

"Te l'avevo detto" gli sibilò lei forse per la decima volta da quanto era cominciato l'attacco, "questo posto non è un fortino. Non c'è modo di fermare quelle cose. Sono stufa di vedere morire i miei amici."

"Cosa suggerisci, allora? L'hai detto tu che le porte tagliafuoco sono bloccate, e quello sarebbe l'unico modo per poterli fermare."

Mlada scosse la testa. "Ritardare, semmai. Abbiamo un maledetto problema informatico, ma i ragazzi ci stanno lavorando. Risolto quello potremo chiudere le porte ed evacuare i civili intanto che quei mostri perdono tempo a sfondarle. La baia di carico principale è ancora nelle nostre mani, possiamo riuscirci" La donna gli lasciò il colletto e picchiò un pugno contro la parete, accanto alla testa di Kassel. "Essen è pronto sulla catapulta, facciamolo uscire e che distrugga lo shuttle. Una volta bloccati qui dentro faremo esplodere il satellite."

Era un buon piano ma, prima che il numero due di Nova potesse parlare, una voce bassa, impostata per essere melodiosa, si frappose fra lui e Mlada.

"Non possiamo andare da nessuna parte, quante volte vi ho ripetuto che non c'è più posto per noi sulla Terra? E comunque non abbiamo abbastanza shuttle, come sceglierai chi se ne deve andare?"

Sia Kassel che Mlada si voltarono verso Requiem, finalmente riapparso in sala controllo.

La donna socchiuse gli occhi, rossa in volto, e quando gli parlò il suo tono fu tagliente. La deferenza che tutti i Nova tributavano al loro leader sembrava essere scomparsa da Mlada. "E quindi? Dobbiamo rimanere qui tutti a farci massacrare?"

"Cosa ti succede? Dubiti della nostra missione? Della promessa che hai fatto quando ti sei unita alla nostra comunità?"

Lei scosse la testa. "No. Ma quello che stiamo facendo non ha senso. Ti ho dato la mia parola che sarei stata fedele alla causa, ma tu ci avevi garantito che avremmo avuto giustizia."

Un sorriso illuminò l'espressione di Requiem che, nonostante tutto, sembrava perfettamente rilassato. "Ed è quello che succederà. Torna al tuo lavoro, e cerca di ritardare i commando il più possibile. Lascia a me tutto il resto."

Il leader di Nova fece un cenno verso Kassel. "Andiamo, sono pronto a parlare al mondo. Gli faremo pentire di averci attaccato."



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Miguel si stava annoiando in una maniera indicibile, e si era pentito mille volte di aver accompagnato i suoi ragazzi all'attacco su Bandit, quando avrebbe potuto essere a fianco di Yzak e Athrun. Fino a quel momento non aveva fatto nulla se non monitorare la situazione sul satellite, inviando al comando principale della coalizione le informazioni in arrivo, spedite dal gruppo di STORM.

Aveva riso leggendo la lista dei collaboratori di Nova, sicuro che quella gente sarebbe stata messa in condizioni di non nuocere non appena i nominativi fossero giunti nelle mani di Shiho Hahnenfuss, che con il suo team stava coordinando le operazioni di polizia internazionale. Cellule dei servizi segreti di tutti gli stati coinvolti erano pronte ad arrestare i terroristi, e Miguel era certo che l'operazione fosse già scattata.
Per buona misura aveva fatto una copia per sé di tutti i dati. Erano stati pagati profumatamente per quel lavoro, ma sarebbe stato da stupidi non ricavarci un bonus gratuito che poteva venire utile a Serpent Tail in futuro.

Il biondo pilota si stiracchiò, lanciando un'occhiata ai monitor quieti da un bel po'. Come per rispondere ad una sua silenziosa preghiera, il radar gli segnalò un oggetto in partenza da Bandit.

"Oh oh, e tu cosa sei?" si chiese il biondo mercenario ad alta voce. Una rapida scansione lo rivelò come un modello di mobile suit della stessa serie del GAT-X105 Strike.

"GAT-X610 Strike Black" lesse Miguel, controllando i sistemi offensivi dell'avversario. Era armato più pesantemente del suo Nebula Blitz e, soprattutto, reggeva tra le mani uno spadone preoccupante.

Miguel, però, si mise a ridere sonoramente. "Per tutti gli dei, vuoi affettare il mio piccolo shuttle con quell'affare? Come voler recidere un fiorellino con una mannaia. Sei proprio esagerato! Non te lo posso proprio lasciar fare, sai. E, anche se avrei voglia di divertirmi un po' con te, vediamo di non fare lo stesso errore di quel cretinetto di Amalfi."

Il mercenario sogghignò pericolosamente, attivando i propulsori del Blitz e armando i dardi esplosivi. Poi si mosse per intercettare il nemico, senza uscire dall'occultamento.



DSS Terminal


La frusta del mezzo di Nova si abbatté come un colpo di maglio sul suo scudo, e Athrun sentì tremare distintamente le leve di comando tra le sue mani, nonostante tutti gli smorzatori d'impatto. Attento a non farsi strappare il fucile a raggi l'Ammiraglio di Orb aprì il fuoco contro il torso del mobile suit nemico, distraendo il pilota a sufficienza per permettergli di disimpegnarlo.

Guadagnato un relativo spazio vitale, Athrun controllò velocemente lo stato dei suoi armamenti. Le batterie al deuterio gli garantivano efficienza illimitata per le armi laser e al plasma, ma nello scontro aveva danneggiato lo scudo, e perso una delle spade. Soprattutto, aveva la netta sensazione che la sua resistenza sarebbe durata molto meno dell'energia del suo Unlimited Justice.

Disdegnando le armi a distanza, il pilota di Nova l'aveva impegnato subito in un corpo a corpo estenuante, colpendo duramente e senza esclusione di colpi come se, per qualche oscura ragione, ce l'avesse personalmente con lui.

Elegantemente Athrun evitò un altro affondo, prendendo tempo e fiato e facendo finta di non sentire gli insulti della ragazza che lo stava chiamando codardo.

"Diciamo piuttosto che sono fuori forma" si disse a bassa voce, odiando ogni secondo che passava e la consapevolezza che avrebbe dovuto dare ragione ad Yzak, una volta uscito da quel pasticcio. "Sono proprio un generale da salotto" sospirò, studiando il suo avversario a distanza.

Oltre alla stanchezza fisica, se c'era una cosa che psicologicamente lo stava esaurendo era l'assoluta impossibilità di far ragionare il suo avversario. Non era come il terrorista che aveva affrontato ad Orb; il pilota del mobile suit nemico aveva la voce giovane di una ragazza forse non più che ventenne, e doveva essere anche parecchio intelligente per riuscire a manovrare un mezzo di quella complessità tenendogli testa, ma aveva anche tutta la cocciutaggine di qualcuno che è certo di essere nel giusto.

"Non puoi vincere" le ripeté, quasi stancamente. "Controlla sul radar. I tuoi compagni sono stati quasi tutti abbattuti, e ormai l'Eclipse avrà raggiunto Terminal. Non hai più nessun luogo dove fuggire né niente da difendere. Arrenditi."

Esitò a dirle dell'attacco principale a Bandit. C'era sempre la possibilità che facesse qualche stupidaggine, sapendo che avevano individuato la loro base principale. Gli sembrava proprio il tipo capace di farsi saltare in aria dopo aver finto al resa, come altri Nova. D'altronde, se fosse riuscito ad impegnarla abbastanza a lungo, magari nella foga avrebbe commesso un errore. Athrun strinse le labbra, nella ferma intenzione di avere ragione della ragazza senza ucciderla. "Smettila!" gli urlò lei. "Non hai ancora capito che non me ne importa niente di quelli? Mi hanno solo dato i mezzi per vendicarmi dei bastardi che mi avevano rovinato la vita, ma io non ho nessuna lealtà verso quei pazzi."

Athrun corrugò le sopracciglia. Questo era qualcosa che non si era aspettato. "E allora perché combatti? Di chi ti vuoi vendicare?"

"Di quelli come te. Che pontificate chiusi nei vostri parlamenti mentre i poveracci come me vengono uccisi in guerra."

Un colpo di laser sottolineò le parole della ragazza, che Athrun parò facilmente, seguito però da una salva di granate che esplosero contro l'Unlimited Justice senza che l'Ammiraglio riuscisse a bloccarle. Non avevano causato danni, ma le scariche elettromagnetiche accecarono gli strumenti di Athrun un istante di troppo perché il pilota di Nova trovasse un varco nella sua difesa.

Il beep del radar lo avvertì del contatto imminente e Athrun seppe che solo un miracolo l'avrebbe salvato ma, proprio in quell'istante, lo strano senso di compiutezza che ogni tanto lo assaliva durante le più concitate battaglie si manifestò.

Non cedette all'istintivo gesto di alzare lo scudo perché l'avversario, che stava calando contro il suo lato sinistro una falce laser, l'avrebbe facilmente trapassato tagliandolo in due. Di tutte le mosse che poteva fare, Athrun scelse la meno prevedibile.

Si lanciò in basso nel momento in cui l'avversario chiudeva su di lui, evitandone abilmente la lama, poi innestò i venier dando all'Unlimited Justice una traiettoria di quarantacinque gradi verso l'alto, in rotta di collisione con il mezzo di Nova. L'ampia parabola aveva reso la falce inutilizzabile per il pilota che, preso di sorpresa, non poté reagire quando la spada di Athrun tagliò entrambe le braccia del suo mobile suit.

Quei gesti l'Ammiraglio di Orb li aveva fatti nello spazio di pochi secondi, automaticamente, e riguadagnò piena coscienza di sé solo per accorgersi con orrore del pugnale che la sua unità reggeva nel pugno sinistro; l'arma stava calando impietosa contro l'abitacolo della pilota di Nova.



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Stancamente, Kira si guardò attorno. Le unità di Nova erano state quasi completamente spazzate via, anche se la lotta aveva richiesto un alto tributo di sangue da parte delle forze della coalizione. Come promesso, i piloti nemici non se ne erano andati senza combattere, giocandosi il tutto per tutto. A volte con successo.

D'altra parte Kira poteva contare sulla punta di una mano i Nova che erano riusciti a scampare, che sarebbero stati consegnati alle forze di polizia militare e, su tutta quella storia, cominciava a sorgergli qualche legittimo sospetto.

Controllò che Yzak non fosse impegnato in uno scontro, poi gli inviò una richiesta di collegamento, immediatamente accettata.

Il volto del Comandante di ZAFT, segnato dalla fatica, apparve sul monitor.

"Yzak, chiariscimi una cosa" gli chiese Kira senza preamboli. "Quali sono le regole di ingaggio della squadra che avete mandato su Bandit?"

"Le sai benissimo. Sottrarre i database ai terroristi e metterli in condizioni di non nuocere."

"La qual cosa lascia agli incursori un ampio spettro di azione."

Yzak sollevò le spalle, tanto quanto gli permettevano le cinture di sicurezza. "Sono professionisti. Dubito che si facciano sparare addosso senza reagire, se è questo che ti preoccupa. E comunque lo so cosa ti tormenta ma, non temere, faranno il possibile per ottemperare agli ordini del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite."

Bruscamente, l'albino chiuse il collegamento e si lanciò a dare man forte ad uno dei suoi uomini, lasciano Kira a chiedersi se, dal momento che lì la situazione era quasi stabilizzata, non avesse dovuto agganciare i booster al suo Enduring Freedom e andare ad accertarsi che su Bandit tutto stesse andando come legalmente previsto.

Il giovane lasciò emergere sul volto solitamente compassato una smorfia annoiata. Yzak probabilmente gli avrebbe sparato addosso per prevenire una cosa del genere. Già mal tollerava la presenza di uno che gli era gerarchicamente uguale, figuriamoci se Kira si fosse preso una libertà del genere... pensiero che rafforzò solo la sua determinazione.

Insignito del FAITH, rispondeva solo al Presidente di PLANT e poteva lasciare il campo di battaglia quando voleva, ma non l'avrebbe fatto se solo uno dei suoi compagni fosse stato in difficoltà.
Il giovane fece una scansione del quadrante, controllando le forze in campo e la loro dislocazione. "Athrun…" mormorò, vedendo lampeggiare sul monitor il segnale del mobile suit dell'amico. Da quanto tempo era impegnato in combattimento? Kira non avrebbe potuto stabilirlo ma era da un bel po' che l'aveva perso di vista. Un brivido lo colse, e decise che le sue preoccupazioni sull'esito della missione dovevano essere accantonate.

Innestò i venier e si precipitò verso l'amico d'infanzia.



Nova


Il mobile suit di Nova avrebbe dovuto affrontare solo pochi minuti di volo dall'uscita dell'hangar fino al punto dove era atterrato lo shuttle dei loro nemici, ma Mlada ne seguì il lancio dal satellite con profonda apprensione. Non solo perché era il suo amante che lo pilotava, ma anche perché le sembrava impossibile che quelli che li stavano attaccando avessero davvero lasciato indifeso l'unico mezzo con cui potevano andarsene.

Mlada si avvolse una ciocca di capelli corvini attorno all'indice e la tirò forte, soffocando una smorfia. Prima che quella storia fosse finita sarebbe diventata calva, sempre se non fosse morta prima.

Con la coda dell'occhio spostò la sua attenzione ai monitor dai quali si poteva controllare la situazione nei corridoi. Non andava per niente bene, e l'unica notizia positiva era che erano riusciti a riattivare l'impianto di condizionamento degli alloggi dei civili prima che morissero soffocati; anche se oramai il danno di esasperare e spaventare i difensori era fatto.

Per il resto, non riuscivano a chiudere le porte stagne a causa di un virus informatico impossibile da sradicare, mentre i commando di ZAFT continuavano ad avanzare facendo strage di compagni.

Per qualche ragione Mlada si era convinta che quelli non potessero in nessun caso essere Natural; un solo sguardo alla ragazza dai capelli rossi, l'unica che combatteva senza casco, diceva alla donna che quella era una Coordinator, anche se la sua bellezza era ancora più singolare di quanto fosse normalmente per gli abitanti di PLANT.

'Innaturale' si ripeté Mlada, impossibilitata a scacciare l'opprimente sensazione di orrore che le serrava lo stomaco. C'era qualcosa di strano in quei soldati, che solo la loro origine genetica non avrebbe potuto spiegare. Raramente sbagliavano mira, erano impossibili da abbattere, e procedevano sicuri come se tutto quello che si trovavano davanti fosse solo una seccatura.

Lei non sapeva che pensare, e si ritrovò a fissare su uno dei monitor l'avanzata del terzo gruppo che avevano scoperto. Come gli altri due, stava convergendo verso la loro sala comando, di cui dovevano conoscere la localizzazione se avevano crackato il mainframe come sembrava.
Mlada corrugò le sopracciglia e si strofinò le palpebre. Possibile che non ci fosse proprio nulla che li potesse fermare?

'Ragiona, ragiona' si impose. Avevano tenuto d'occhio gli altri due gruppi fin da subito, e non avevano fatto altro che combattere. Quindi, se qualcuno si era divertito con i loro sistemi informatici doveva per forza essere tra quei tre.

La donna di Nova puntò il dito verso il monitor. "Di' a Zagreb e Linz di concentrare il contrattacco su quelli" ordinò ad uno degli operatori. "Che portino un elevatore. Devono farli fuori prima che si ricongiungano con i loro amici."

Pregando di avere fatto la cosa giusta, e non aver diviso le loro forze inutilmente, Mlada tornò a fissare lo schermo principale che mostrava lo Strike Black in volo radente. Aveva quasi raggiunto il suo bersaglio, e lei era già pronta ad esultare, quando il grido le morì in gola.

Sbucato dal nulla, quasi come se si fosse materializzato dalle tenebre cosmiche, un dardo si conficcò nel back pack del mobile suit, esplodendo e spedendo lo Strike fuori controllo a schiantarsi contro la superficie del satellite.

Mlada si premette le mani sulla bocca, agghiacciata, mentre attorno a lei calava il silenzio degli uomini e le donne di Nova costretti ad assistere al terrificante spettacolo.

La loro unità si raddrizzò immediatamente, sganciò il back pack inservibile alzando davanti a sé la spada di cui era dotata. Peccato che, quando l'avversario finalmente si manifestò, fu alle spalle dello Strike.

Nessuno riuscì a capire come c'era arrivato, ma era là. Minaccioso nonostante l'incongrua vernice arancio che lo ricopriva. Mlada, che aveva fatto parte del personale militare della Federazione Euroasiatica, riconobbe il modello a prima vista e, soprattutto, il curioso back pack che montava, con ali ripiegate simili a due gigantesche chele di granchio.

"È una serie GAT-X200" urlò all'indirizzo di Essen. "Togliti di lì."

Troppo tardi, perché il pilota nemico non perse un secondo. Le chele agganciarono il mezzo di Nova che, nel giro di qualche istante, fu completamente drenato della propria energia. Poi la lama laser affondò nella schiena dello Strike trapassandone il generatore, e fu con indicibile orrore che Mlada la vide spuntare sul davanti, all'altezza dell'abitacolo. Lo Stike cadde in avanti, oramai inservibile rottame, mentre l'altra unità si alzava in volo dal satellite e scompariva nel nulla, come estremo sfregio ai Nova.

Il cervello di Mlada aveva registrato tutto, vedendo ma senza davvero rendersi conto di quello che stava succedendo fino a quando la donna non sentì le ginocchia cedere sotto di lei. Poi chiuse gli occhi, accasciandosi sul pavimento della sala controllo.



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Come sempre, ascoltare i proclami di Requiem era un toccasana per il morale di Kassel. Purtroppo quella volta solo lui e pochi tecnici avevano potuto sentirli, per non distogliere l'attenzione dei difensori del satellite, ma l'uomo era certo che, dal momento in cui fosse arrivata alle orecchie giuste, i loro problemi sarebbero stati risolti.

Aprì la porta della sala controllo sapendo che i loro agenti dormienti sulla Terra si stavano recando nelle principali borse d'affari, negli aeroporti, e nelle sedi delle maggiori industrie di PLANT e della Terra, dove esplosioni mirate ne avrebbero messo in ginocchio la già traballante economia. Era un passo in avanti rispetto alla loro strategia originaria, che avrebbe causato molte vittime civili, ma era necessario, e l'opinione pubblica avrebbe perdonato sapendo che erano loro, i Nova, le vittime attaccate da veri mostri.

Per far svanire il relativo buon umore di Kassel bastò un'occhiata alle facce degli operatori.

"Che è successo? Dov'è Mlada?"

Due dei ragazzi si scambiarono un'occhiata, poi uno di loro sembrò prendere coraggio e si alzò stancamente dalla sua postazione.

"È di là" gli rispose facendo un gesto verso una stanza laterale. "Uno dei medici è arrivato e la sta aiutando a riprendersi."

In due passi Kassel fu davanti all'operatore. "Che stai dicendo, perché non sono stato avvertito?"

"È appena successo. È svenuta dopo aver visto lo Strike Black distrutto."

Il ragazzo gli indicò uno dei monitor, dove la perdita del loro unico mobile suit era ritrasmessa in tutto il suo orrore. Kassel avvertì la presenza di Requiem accanto a lui, ma il leader sembrò poco impressionato davanti a quella disfatta, che gli fece giusto scuotere la testa.
Il numero due di Nova invece sentì distintamente un tuffo al cuore. Come potevano andarsene con quell'affare invisibile che gli ronzava attorno? Avrebbe abbattuto ogni shuttle in partenza, sebbene un'evacuazione paresse la cosa più lontana dai pensieri di Requiem.

"Che sta succedendo lì?" chiese infatti, puntando il dito verso un altro schermo.

"I nostri stanno eseguendo l'ultimo ordine di Mlada" rispose uno degli operatori. "I team di Linz e Zagreb dovevano cercare di fermare l'ultimo gruppo di commando che abbiamo scoperto."

"Dovevano" ripeté Requiem sottovoce. "Non mi pare ci siano riusciti."

Kassel avrebbe voluto distogliere lo sguardo ma l'insana curiosità ebbe la meglio sull'orrore.

Era la ripetizione di quello già visto in precedenza; i loro uomini erano a terra, fagotti caduti in pose scomposte e sanguinanti, mentre i tre attaccanti non sembravano aver nemmeno un graffio. Si guardavano però attorno stranamente guardinghi, reggendo davanti a sé fucili mitragliatori.

Era come se sapessero che la battaglia non era ancora finita e, infatti, il muro alla loro destra cedette improvvisamente, rivelando un elevatore che si fece rumorosamente strada nel corridoio. Non aveva armi, ma la potenza dei suoi bracci meccanici era sufficiente per uccidere un uomo, ed era riuscito ad irrompere sufficientemente vicino ai tre commando. Indifferente alle raffiche di mitra, spazzò via quello alla sua sinistra, schiacciando quello che invece si trovava a destra contro il muro. L'impatto devastante deformò la parete dietro l'uomo. Kassel deglutì. Non importa se Natural o Coordinator, quel colpo doveva avergli spappolato gli organi interni e frantumato la colonna vertebrale.

Invece, vide il soldato alzare con tutta calma il mitra con una mano sola, e sparare un singolo colpo verso l'unico punto dell'elevatore in cui l'operatore era vulnerabile: il visore frontale. Immediatamente il mezzo si bloccò e il soldato –anche se Kassel adesso era positivamente certo che non lo fosse per niente- scivolò a terra e alzò la testa verso la telecamera. Che prontamente si oscurò, come tutte le altre.

Praticamente ciechi a quello che stava succedendo nella loro stessa casa, urla di orrore si alzarono nella sala, e anche Kassel avrebbe fatto lo stesso, se uno dei ragazzi non l'avesse afferrato brutalmente per un polso.

"Abbiamo ripreso il controllo delle porte tagliafuoco" gridò l'operatore per superare il caos.

Fu Requiem stesso a dare l'ordine. "Calatele tutte e chiudiamoci dentro."



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Nell'istante passato tra il momento in cui aveva realizzato la parabola del colpo, e quello successivo, quando si era ritrovato schiacciato contro la soffice paratia di alluminio, Nicol pensò che era veramente stanco di fare sempre il solito errore.

'Dovrò chiedere a mio padre se mi hanno fatto geneticamente incapace di indovinare certe traiettorie' meditò quasi divertito. Forse era per quello che le lezioni di scherma all'Accademia di ZAFT erano un tormento per lui: veniva regolarmente battuto da tutti.

D'altra parte, da così vicino l'elevatore non era più un problema. Nicol alzò il fucile e bastò un solo proiettile attraverso la testa del mezzo –e quella dell'operatore- per arrestare la macchina.

Dopo averne spostato leggermente il braccio che lo bloccava contro il muro, il Coordinator si lasciò scivolare a terra. Alzò la testa verso la telecamera, sperando che lo show fosse piaciuto a chiunque ci stesse dietro.

"Avete visto abbastanza" mormorò, immettendo in rete il comando che bloccava tutto l'impianto video del satellite.

Poi si alzò agevolmente, tastandosi lo stomaco per controllare che tutto fosse a posto: le munizioni e il suo prezioso palmare. Sapeva di non avere niente altro di rotto, non per così poco, anche se la sintopelle avrebbe reagito facendogli comunque venire un bel livido.

Con un pensiero passeggero rivolto alla sua Cecilia, e a quanto la donna si era raccomandata di tornare tutto intero, Nicol si riunì con i suoi due compagni. Anche loro non sembravano feriti.

"Sono stati fortunati, stavolta" commentò Colin, che si stava massaggiando il collo. Nicol l'aveva visto colpire il muro tanto duramente quanto lui.

L'altro Coordinator alzò le spalle. "Non capiterà più. Da qui in avanti i corridoi si fanno troppo stretti, non riusciranno più ad usare gli elevatori."

Nicol si limitò ad annuire, mentre ricaricava il mitra e abbassava la testa per accedere alla rete di Nova e verificare se le condizioni del campo di battaglia fossero cambiate.

Fu con una smorfia di stizza che si accorse che, mentre era distratto, i terroristi erano riusciti a riprendere il controllo delle porte stagne; adesso risultavano sigillate.

"Abbiamo un problema" fece agli altri due, segnalandogli di ricominciare a camminare.



Ci misero solo qualche minuto ad arrivare davanti alla prima porta tagliafuoco. E Nicol capì che, nell'impossibilità di usare così presto gli esplosivi, come aveva fatto Alpha avrebbero dovuto scardinarla.

Mentre esaminava la porta il computer multifunzione integrato nel casco avvertì il giovane di una chiamata in arrivo. Era Dominic, uno di quelli della squadra di Lorran. Nicol ascoltò la comunicazione con le labbra pallide che poco a poco si torsero in una smorfia. Alla fine, si girò verso i suoi compagni, lieto che la visiera polarizzata nascondesse la sua espressione sconcertata.

"Abbiamo un problema più grande di questo" li informò. "Lorran si è infilata sotto una delle porte non appena si è accorta che si stavano chiudendo."

Solo un secondo di silenzio passò dalla notizia alla prevedibile reazione.

Zechs pestò il piede a terra. "Quella cretina! E come cazzo pensa di riuscire ad uscire da lì?"

Nicol non ne aveva la minima idea.



DSS Terminal


Kira aveva assistito da troppo lontano per poter intervenire all'ultima parte dello scontro tra l'Unlimited Justice e l'unità di Nova, e non riuscì a non esalare un sospiro di sollievo quando vide i due mezzi separarsi.

Il mobile suit di Athrun non sembrava aver riportato danni strutturali ingenti, mentre l'altro aveva perso entrambi gli arti superiori, e il pugnale laser del Justice era finito conficcato nel suo torso, pericolosamente vicino all'abitacolo, che aveva mancato per un soffio.

Precipitosamente, Kira aprì la comunicazione con Athrun.

"Stai bene?" gli chiese urlando. Dalla scansione a cui aveva sottoposto il suo mobile suit risultava che i parametri vitali dell'amico sembravano normali, a parte il polso esageratamente accelerato.

Athurn gli rispose ansimando. "In qualche modo sì. Maledizione, l'ho quasi ammazzata."

Un lieve sorriso incurvò le labbra di Kira. Di certo l'Ammiraglio di Orb non condivideva l'obiettivo di Yzak per quella missione.

Rassicurato sulle condizioni di Athrun, rivolse la sua attenzione all'unità di Nova.

"Esci da lì e arrenditi. Il tuo mezzo è troppo danneggiato per continuare la battaglia."

Un lungo silenzio accolse le sue parole, seguito da una risatina secca e sgradevole. "Sono ancora viva, non finirà fino a quando non mi avrete disintegrata."

"Sono stanco di sentirvi dire le stesse cose! Quel santone vi ha fatto il lavaggio del cervello?" urlò Kira, infine esasperato dalla cocciutaggine di quei piloti.

"Non riuscirai a farle cambiare idea. Si rifiuta di ascoltare. Lascia perdere" gli fece eco Athrun, suonando stanco come raramente l'aveva sentito.

Kira disdegnò il consiglio. Nonostante l'aria mite, aveva una reputazione di fermezza da difendere e, soprattutto, aveva vissuto troppo a lungo con Lacus Clyne per non sapere quali esatte parole lei usava per convincere gli irremovibili a darle ragione. Riuscendoci tutte le volte.

Il Coordinator dai capelli bruni prese un bel respiro, DRAGOON sempre puntati sul mezzo di Nova. Questa volta non voleva correre rischi.

"E cosa pensi di risolvere con la tua morte? O con la mia? Credi che il mondo cambierà grazie al tuo sacrificio? Perché combatti, ragazzina? Qual è il significato di tutto questo massacro?"

"Che dovete sparire!" gli urlò lei, interrompendolo. "È per colpa di voi soldati, di quello che avete fatto otto anni fa, che il mondo è quello che è! E nessuno ha pagato. Io voglio giustizia!"

La voce di Kira si fece squillante. "Mi spiace se hai sofferto, ma così è stato anche per noi. O credi che non abbiamo perso amici e famigliari in quel conflitto, e in quello precedente? Ma uccidere chi ha ucciso qualcuno che ti era caro non è mai la risposta. O pensi che scomparso io, o Athrun Zala, i tuoi morti torneranno in vita? E, comunque, gli attentati che i tuoi compagni hanno perpetrato hanno coinvolto persone che non c'entravano nulla, né militari né politici, ma semplici passanti. Mamme che accompagnavano a scuola i figli, padri che andavano al lavoro, bambini che giocavano. È questa la tua giustizia? E pensi di conquistarla morendo?" terminò il Coordinator, cercando di non suonare particolarmente accusatorio.

Dall'altra parte ci fu un lungo silenzio, interrotto da un leggero ticchettio che, sul momento, Kira non riuscì a interpretare. Fu solo quando lo scanner gli segnalò che una reazione nucleare si era innescata nel mezzo di Nova, che il giovane realizzò.

Innestò i venier dell'Enduring Freedom al massimo, alzando gli scudi ed agganciando l'Unlimited Justice nella manovra di allontanamento. Erano oramai a distanza di sicurezza quando l'esplosione disintegrò l'unità di Nova.

Il volto di Athrun gli apparve sullo schermo. "Non sei stato molto persuasivo, Kira…"

L'amico sorrideva di sbieco, le parole dette a mezza bocca, quasi sussurrate. Tutta quella storia era una sconfitta anche per loro.

Kira scosse la testa, compiendo un'ultima scansione del quadrante prima di allontanarsi. E le sue ricerche diedero esito positivo. Inviò ad Athrun il risultato.

"Vedi quel puntino lampeggiante?" gli disse trionfante. "Il pilota di Nova ha eiettato l'abitacolo."

"L'hai convinta!"

Kira sorrise senza sottolineare all'amico che, presumibilmente, più che credere alle sue parole alla ragazza fosse mancato il coraggio di farsi saltare in aria. Come ad Athrun tanto tempo prima.



Nova


Nicol era rimasto un minuto buono a fissare la porta tagliafuoco, cercando con i suoi occhi bionici una qualunque fessura, una infima crepa o segno di cedimento. Senza trovarli. Poi l'aveva riempita di proiettili, insulti, l'aveva presa a calci e, non potendo usare l'esplosivo come gli sarebbe piaciuto, aveva ordinato ad Alpha di raggiungerlo. Ed era stato talmente convincente che il gigante aveva ottemperato all'istante, apparendo con il suo gruppo cinque minuti esatti dopo essere stato contattato. Nove minuti dopo che Lorran era sparita dietro una di quelle paratie.

"È inutile" gli fece Alpha scrollando le spalle, notando la sua aria stravolta. Nicol si era anche levato il casco, sentendosi soffocare. "Quelle due che siamo riusciti a forzare non si erano chiuse del tutto, e non è questo il caso. Vuoi forse controllarle tutte per vedere se ne è rimasta qualcuna aperta?"

La domanda era stata quasi neutrale, ma aveva comunque un'intonazione sarcastica che non piacque per niente a Nicol. Nonostante la voglia che improvvisamente lo colse di raggiungere Alpha e tirargli un calcio nello stomaco si trattenne. Se si fosse avvicinato avrebbe dovuto alzare la testa per guardarlo, e non era proprio il caso di sembrare più inadeguato di quello che già era.

Il giovane pianista cercò di calmarsi, e indicò la porta dietro di lui. "Dobbiamo passare. Lorran a parte, l'esplosivo che portiamo non funzionerà se fatto detonare da questa parte."

L'espressione imperturbabile di Alpha si fece truce. "Non fare finta di non saperlo, Bambi, sarà Lorran a farli saltare in aria, altrimenti perché si sarebbe infilata là sotto? Dopotutto non hai detto anche tu che una dose di esplosivo basta e avanza?"

Nicol finse di non sentire l'odioso vezzeggiativo con cui il compagno l'aveva apostrofato, reliquia dei primi mesi a Nassau, quando tutto lo chiamavano così visto che si era rifiutato di rivelare il suo nome.

"E secondo te come farà ad andarsene una volta che avrà innescato il timer? Noi non possiamo entrare, ma lei non può uscire" sibilò ad Alpha, in un tono che stentò a riconoscere come proprio. Furioso con se stesso per non aver capito cosa Lorran avesse in mente, e per non aver saputo impedire quel disastro, Nicol non aveva nessun altro se non Alpha su cui scaricare la propria frustrazione.

Il gigante dai capelli azzurri indicò la porta. "Lo so benissimo. E immagino lo sappia anche lei. E tu? Fai anche finta di non capire che l'ha fatto apposta? O ci tieni così tanto a Lorran da volerla riportare a casa a tutti i costi, mettendoci in pericolo tutti?" Alpha sogghignò divertito. "Commovente attaccamento. Chissà cosa direbbe la mamma."

In quell'istante Nicol seppe che l'avrebbe ucciso. E dovettero pensarlo anche i suoi compagni, perché si affrettarono a togliersi di mezzo, allineandosi contro il muro. Ma, prima che potesse fare un passo, gli arrivò una richiesta di connessione. Era Lorran.

La sua immagine gli apparve davanti agli occhi in trasparenza, lasciandolo per un secondo disorientato prima di capire che la ragazza stava guardando in uno specchio. Non sembrava ferita, né particolarmente turbata dagli sviluppi della loro missione.

Nicol si girò verso il muro, e contro la sua superficie neutra l'immagine si fece più nitida.

- Esci immediatamente di lì! - le ordinò, ma Lorran scosse la testa, e un sorriso le apparve in volto.

- Assolutamente no. Voi ve ne potete pure andare, non ho più bisogno di voi. -

Nicol si dovette appoggiare alla porta alla sua destra, esterrefatto. - Cosa stai dicendo? Io non posso lasciarti qui! -

- Non dire cazzate. Prendi i ragazzi e vattene. – Sebbene non sentisse la sua voce, il pianista poteva immaginare il tono sprezzante e un po' arrogante di Lorran. - Non preoccuparti Nicol, hai fatto un buon lavoro e non è colpa tua se io sono finita qui. Vedi, l'ho voluto io. L'ho desiderato fin dall'inizio, e aspettavo solo l'occasione di sganciarmi da voi. -

Quello che Lorran stava scrivendo non aveva assolutamente senso per lui, e Nicol glielo sottolineò. - Sei impazzita? La vuoi piantare con i tuoi stupidi scherzi? -

La Nexus si sciolse i capelli, che le caddero serici sulle spalle. – Non è uno scherzo. Io sono pronta. Aspettavo da mesi un'occasione come questa, per fare la differenza in questo schifoso mondo. - L'espressione sul suo viso si indurì, e lo sguardo si fece crudele. - Credi che voglia morire prima o poi per una pallottola vagante, così fortunata da trapassare il mio cranio ad alta tecnologia? O spegnermi tra qualche anno per un tumore al cervello, molto probabile con tutte le schifezze che abbiamo in circolo? - Lorran scosse la testa. - No, Nicol. Io ho fatto la mia scelta e ho preparato tutto, non c'è niente che tu possa dire o fare che mi possa far cambiare idea. È tempo che questo Golem perda l'anima che hanno così tenacemente legato a questo corpo meccanico. -

Nicol sbatté le palpebre e, tra tutte le sciocchezze che Lorran aveva scritto, lui pensò che quell'ultima non era affatto una frase da lei, troppo melodrammatica. Confusamente si chiese cosa significasse, fino a quando la ragazza non si aprì la tuta, e non gli mostrò il petto. Il tatuaggio che lui stesso le aveva fatto era là, sopra i suoi seni. 'Emeth', Verità. Ma con le unghie Lorran aveva cancellato la prima lettera, l'aleph, cambiando radicalmente il significato della parola.

"Meth" lesse ad alta voce Nicol, improvvisamente ricordando la leggenda che lui stesso, tanti anni prima, le aveva raccontato.

Lorran annuì, molto più seria di quanto lo fosse mai stata da quando lui la conosceva. - Sì. Morte. Cancellata l'aleph dalla fronte i Golem del Rabbi Loew ritornavano semplice argilla. E così voglio fare io. Va tutto bene, sono pronta, ti ripeto. Non insistere. -

Sconfitto, e consapevole che non solo non l'avrebbe mai convinta ma che, a quel punto, la missione era davvero completamente nelle mani della ragazza, Nicol si arrese appoggiandosi pesantemente contro la porta che così crudelmente divideva lui e tutti gli altri da lei.

- Come farò a dirlo a Cecilia e Miguel? – fu l'unica cosa che riuscì a scriverle.

Lorran scosse le spalle, riacquistando il sorriso. - Lei ne soffrirà, ma finché sarai tu a tornare, Cecilia si riprenderà sempre. Quanto a Miguel, capirà da solo che non potevo fare sul serio con lui mentre pianificavo la mia eroica dipartita. - In qualche modo, il sorriso eternamente beffardo della rossa si addolcì. - Siete stati buoni amici per me, e mi siete molto più cari della famiglia che ho lasciato su PLANT, tutti voi, ma adesso vattene. Mi sono barricata in un bagno ma qui fuori bussano per entrare, è meglio che non li faccia aspettare o se la faranno addosso. - Il tono del messaggio era leggero, e Lorran lo sottolineò facendogli l'occhiolino. - Vi voglio fuori di qui. Dammi venti minuti, mi farò portare al cospetto del santone e mi accerterò che sia il primo a morire. E non fare quella faccia, Bambi. Sei un bravo ragazzo e un ottimo soldato, anche se a letto sei davvero noioso! –

Con quello, Lorran chiuse la comunicazione, lasciando Nicol a fissare il muro. I suoi compagni, pur non avendo visto nulla, dovevano aver capito abbastanza per circondarlo ammutoliti. Lorran aveva però condiviso la trasmissione con Alpha, che Nicol non osava guardare in faccia. Sentì però benissimo la sua voce profonda.

"Andiamocene, non abbiamo più niente da fare qui. Tu vieni o ti devo caricare in spalla?"

Certo che l'avrebbe fatto, Nicol annuì. "Non ci provare, non sei tu che comandi" gli rispose freddamente. Poi raccolse casco e fucile e guidò gli STORM allo shuttle, mordendosi il labbro inferiore nella titanica impresa di non mettersi a piangere davanti a loro.



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Dopo aver interrotto il collegamento, Lorran fissò per qualche istante ancora il suo riflesso allo specchio. Sovrappensiero, si sistemò i capelli, e inumidì una salvietta di carta per rinfrescarsi la faccia. Non che pensasse di riuscire a salvaguardare la propria immagine dopo aver affrontato tutti i terroristi là fuori –perché, per rendere la cosa credibile, non poteva arrendersi senza lottare- ma era così abituata ad apparire al meglio che non poteva esimersi dal farlo un'ultima volta.

Lorran sospirò, stringendo con le mani il bordo del lavabo. Non era così sbruffona come aveva cercato di apparire con Nicol. L'aveva fatto solo per farlo sentire meglio, ma la realtà era che, ora che il momento stava arrivando, stava morendo di paura.

"Forza, ce la puoi fare…" sussurrò, forzando la schiena a raddrizzarsi.

Lorran si accarezzò una guancia, stupefatta come la prima volta che aveva visto il suo nuovo viso. Aveva sempre saputo che non sarebbe vissuta a lungo: c'era un limite al quantitativo di sostanze chimiche che la sua parte umana poteva sopportare, e la cosa era ancora più vera per quelli come lei, Nexus, che avevano la maggior parte del corpo sintetica. Cecilia era positivamente convinta di riuscire a risolvere anche quel problema, ma era comunque una possibilità non remota che Lorran non voleva affrontare. Non avrebbe permesso alla malattia di rovinare quel capolavoro che era il suo corpo, nemmeno, come aveva così baldanzosamente dichiarato a Nicol, sarebbe morta come un'anonima sconosciuta in qualche lavoro di poco conto.

"Voglio essere davvero la star dello spettacolo del decennio?" si chiese sussurrando, umettandosi le labbra e cercando di nuovo dentro di sé il coraggio che l'aveva fatta rotolare sotto il bordo della porta tagliafuoco.

Da una tasca estrasse il cilindro con l'esplosivo. Se ne poteva ancora andare. Poteva posarlo lì dov'era, farsi strada fino alla baia di carico principale e rubare uno shuttle. Lorran fece una smorfia. Se però non avesse funzionato avrebbe perso la sua grande occasione, perché lei era piuttosto certa che non l'avrebbero mai più coinvolta in un lavoro del genere.

"Morirò comunque prima o poi, solo che non sarò io a scegliere il quando, il dove e il come." Per la sua personalità egocentrica, il pensiero era intollerabile.

Con in volto un'espressione finalmente determinata, Lorran trangugiò tutta la scorta di antidolorifici che possedeva, poi svitò il coperchio del contenitore ed estrasse la capsula di esplosivo. Doveva trovargli un nascondiglio migliore.



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In qualche modo, Kassel era felice che avessero perso le telecamere interne. Voleva dire che nessuno al di qua delle barriere poteva vedere gli inutili sforzi per buttarle giù di quelli che erano rimasti dall'altra parte. Non c'aveva pensato al momento, fino a quando in sala controllo non si erano udite le urla e le imprecazioni dei gruppi di difensori che non erano stati abbastanza lesti –o fortunati- da accorgersi che le porte si stavano chiudendo. Requiem in persona aveva chiuso le comunicazioni con loro, sostenendo che, una volta che i commando avessero accertato l'impossibilità di arrivare fino a lui se ne sarebbero andati senza causare ulteriori stragi. Gli altri non erano un bersaglio e, anche se su quella cosa Kassel aveva qualche dubbio, non proferì verbo.

Se ne stava seduto sul bordo di una poltroncina, osservando i ragazzi che cercavano di ripristinare l'impianto video, lanciando ogni tanto un'occhiata al monitor che trasmetteva invece immagini dell'esterno del satellite. Quelle telecamere funzionavano ancora.
Kassel fissò lo shuttle degli invasori che stava in quel momento decollando ma, sapendo che solo quello non poteva salvarli, contemporaneamente implorava un Dio che aveva ricominciato a pregare da qualche ora perché arrivassero notizie dalla Terra.
Il comunicato di Requiem era andato in onda da un po', ma nessuna rete televisiva aveva riportato fino a quel momento le prevedibili reazioni dell'opinione pubblica. La programmazione era ripresa normalmente e, né nelle news né in internet, erano comparse notizie a riguardo. Nemmeno era possibile contattare i propri sostenitori, le cui radio e cellulari risultavano sconnessi, e i server di posta irraggiungibili.

"Eppure la rete funziona" stava dicendo accanto a lui il loro esperto hacker. "Così come sono aperti i canali di comunicazione. Però è come se fossimo in una bolla di vetro specchiato. Possiamo guardare fuori e sbracciarci a lanciare messaggi, ma dall'altra parte non ci vedono."
Non essendo un tecnico, Kassel non aveva la minima idea di come ciò potesse essere possibile. L'unica cosa che sapeva è che non aveva idea di come uscire da quel pasticcio, e dubitava che chiunque l'avesse. Mlada era l'unica che era sembrata avere il controllo della situazione, ma adesso se ne stava seduta sul pavimento, con la testa nascosta tra le braccia conserte e nessuna voglia di parlare; nemmeno di raggiungere la sala comune, dove Requiem aveva radunato i compagni di Nova rimasta da questa parte delle porte.

Per qualche ragione nemmeno Kassel ci voleva andare. Non aveva voglia di vedere gli sguardi e i volti della gente che avevano condannato a morte. Perché dentro di lui lo sapeva, anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce.

L'uomo si prese la testa tra le mani. Avrebbero dovuto evacuare i civili subito, come aveva blandamente suggerito Odessa e qualche altro, troppo deboli però per opporsi al volere del loro leader. Forse lui, come numero due di Nova avrebbe avuto maggiore influenza, ma era stato zitto. Ignominiosamente, colpevolmente zitto.

Sospirando, alla fine Kassel si alzò, trascinandosi fuori dalla sala controllo e lungo il corridoio, fino a raggiungere il salone gremito di gente; l'ultimo rifugio per la loro comunità.

Una parete sullo sfondo era decorata con dei monitor che, forse, nell'idea di Requiem avrebbero dovuto trasmettere le immagini delle folle che prendevano d'assalto i palazzi del potere per difenderli; invece, mandavano in onda il solito collage di telefilm, reality, e innocui giochi a premi.

Imperturbabile a tutto quello, il leader di Nova passeggiava tranquillamente tra la folla, rassicurando i suoi adepti e accarezzando le teste dei bambini.

Kassel sospirò. Perché, nonostante tutto, riusciva a trovarla una scena di incredibile dolcezza? Lui sapeva di non aver sbagliato, sapeva di essere nel giusto e che la sua fede in Requiem era ben riposta. Perché il mondo si ostinava a non capire?

D'un tratto la folla attorno ad una delle porte laterali rumoreggiò, e tutte le teste si girarono da quella parte. Kassel fece lo stesso.

Vide un gruppo di uomini entrare. Erano uno dei gruppi di difesa, e alcuni di loro portavano ancora i mitra a tracolla. Molti sembravano feriti, e altri parevano trascinare qualcosa. Dopo un primo momento di caos nella sala era sceso un silenzio irreale, con la folla che si fendeva precipitosamente al passaggio del gruppo. Si stavano muovendo verso Requiem, e Kassel fece lo stesso.

Scansò senza troppi complimenti i compagni, mettendosi accanto al suo leader mentre i valorosi difensori del satellite gli giungevano davanti e si aprivano in due ali, mostrando quello che avevano portato.

"Abbiamo trovato questo ratto che si nascondeva in uno dei bagni" disse orgoglioso uno degli uomini, che portava un cencio inzuppato di sangue attorno alla testa. "Ci è costata la vita di molti dei nostri catturarla, ma ce l'abbiamo fatta senza ucciderla."

Kassel trattenne il respiro. Quella che giaceva a terra in mezzo al gruppo non era altri che la ragazza dai capelli rossi che aveva così spudoratamente dileggiato i loro morti.

Le avevano bloccato le braccia facendo passare attorno al torso giri e giri di ogni fibra o materiale simile a corda che erano riusciti a trovare, dai cavi elettrici alle catene, testimonianza di quanto smoderatamente avessero voluto metterla in condizioni di non nuocere. Aveva anche legate le caviglie tra di loro, e la tuta che indossava era decorata da fori di proiettile. La cosa doveva significare che era ferita, ma non una goccia di sangue stillava da quegli squarci. Quando lei si mosse, mettendosi in ginocchio, la schiena dritta come un'improbabile geisha, nei suoi imperturbabili occhi felini Kassel non lesse traccia di dolore o altro. Solo una inquietante, sconvolgente mancanza di umanità. Il suo volto era intatto, spietatamente bello.

"E tu che cosa sei?" sussurrò l'uomo, più sconvolto da quell'occhiata che da tutte le atrocità a cui aveva assistito in quelle ultime ore.

Lei sorrise enigmatica, come una Monna Lisa postmoderna. "S07NX" rispose altrettanto misteriosamente, come se quella sigla spiegasse tutto. Forse era così, ma loro non avevano modo di saperlo, e tutti gli occhi del popolo di Nova si fissarono su di lei, perplessi e spaventati.

Consapevole di essere al centro dell'attenzione, la creatura –perché Kassel non riusciva a definirla diversamente- spinse fuori il labbro inferiore, quasi smorfiosa, spostando la sua attenzione da lui a Requiem. Lo squadrò.

"E così, tu sei il santone che ha portato tutta questa gente quassù a morire. Complimenti. Capello lungo e biondo, barba. La perfetta iconografia del profeta. Ti manca giusto il saio bianco. Ma non è comodo a gravità zero, non è vero?" La sua voce fece scendere un brivido lungo la schiena di Kassel; era roca, incongruamente sensuale nonostante la situazione.

Requiem la ignorò. "I tuoi compagni se ne sono andati, perché ti hanno lasciata qui?" le chiese invece.

"Sono rimasta consapevolmente. Volevo vedere la tua faccia prima di ucciderti."

"Non può, è inoffensiva" la contraddisse il capo di quelli che l'aveva portata lì. "L'abbiamo perquisita e non ha armi nascoste, da nessuna parte. Se solo si azzarda ad alzarsi in piedi la riempiamo di piombo."

Requiem scosse la testa, comprensivo anche davanti a quella cosa. "Come vedi non puoi farmi niente. La vostra missione è fallita, nemmeno tutte le vostre armi possono niente contro l'influenza che esercitiamo sulla vostra opinione pubblica."

Lei si mise a ridere. "Credi che ci abbiano richiamati perché il tuo penoso ultimo messaggio è arrivato a destinazione? Non capisci che le vostre trasmissioni sono controllate? Tutto quello che entra ed esce è instradato sulla rete militare di ZAFT, e quello che vedi su quei monitor sono solo registrazioni di passate trasmissioni, mandate in onda per non farvi insospettire. Ma visto che siete così curiosi, sintonizzerò per voi i canali sulle frequenze giuste."

Qualunque cosa avesse voluto dire, rimase per un attimo con lo sguardo fisso nel vuoto e, immediatamente, i monitor dietro le spalle di Requiem si oscurarono, per poi riempirsi di immagini ben diverse rispetto a quelle di qualche secondo prima.

"Oh che bello" commentò lei, diabolicamente allegra. "È l'ora del telegiornale!"

I programmi frivoli di poco prima si erano dissolti. Con leggere varianti, tutti i canali trasmettevano ora delle news, i cui servizi mostravano i corridoi del loro stesso satellite, bloccati dalle barricate che avevano eretto i difensori; ma lì finivano le similitudini con la realtà. Perché in quei video non erano i soldati che sparavano in testa ai feriti disarmati, ma succedeva l'esatto contrario.

Il numero due di Nova sentì il cuore accelerare i battiti, e si concentrò su quello che stava andando in onda su uno degli schermi: una donna dai lineamenti asiatici, che lui riconobbe come una famosa giornalista, si nascondeva dietro ad un gruppo di commando, molto più numerosi che nella realtà. Teneva un microfono appoggiato alla bocca e, dietro di lei, i difensori di Nova stavano adesso usando i feriti come scudi umani.

"Qui Anna Li per Fox News. La battaglia si sta facendo estremamente cruenta. Come potete vedere i terroristi non esitano a sacrificare i propri compagni per difendersi." La donna fece una pausa, socchiudendo gli occhi e premendo con la sinistra l'auricolare che le adornava un orecchio. "Abbiamo altre immagini, inconcepibili nella loro efferatezza. Scene che ci ricordano le atrocità commesse durante la guerra in Europa del '73. Scene che mai avremmo voluto rivedere" terminò quasi solenne, con le raffiche di mitra che facevano da inquietante accompagnamento alle sue parole.

La trasmissione continuò mostrando un'altra porzione di corridoio. Dietro le barricate, questa volta, i terroristi –come li aveva chiamati la giornalista- si riparavano dietro bambini e ragazzi che a loro volta imbracciavano dei fucili, ed erano tragicamente i primi a cadere.

Per Kassel fu troppo. Sentì l'indignazione ribollirgli nelle vene come acido. Si guardò in giro. Il popolo di Nova assisteva ammutolito, mentre Requiem fissava gli schermi addolorato. Come se tutto il mondo l'avesse deluso.

"Non è vero!" urlò disperato. "Quelle immagini sono solo una volgare montatura, non c'era nessuna giornalista con voi."

La prigioniera sorrise serafica, mostruosa nella sua indifferenza. "Lo so. Ma credevate di essere gli unici in grado di manipolare l'opinione pubblica? In un primo momento i vertici avevano deciso di liquidarvi in segreto, ma hanno cambiato idea in corso d'opera. Era molto meglio screditarvi di fronte ai vostri sostenitori."

Come una furia, uno degli uomini che la circondavano le si avvicinò e le tirò un manrovescio con tutta la forza di cui disponeva. Era imponente, e avrebbe seriamente ferito chiunque altro, ma fu Kassel che invece sentì le dita dell'uomo spezzarsi con un distinto schiocco. Guaendo dal dolore si accartocciò su se stesso, mentre la creatura girò la testa verso il numero due di Nova con solo uno zigomo arrossato, imperturbabile, e Kassel non poté evitare lo sguardo di quei disumani occhi felini.

"Quanto al vostro patetico appello" continuò lei come se non fosse mai stata interrotta, "eravate così impegnati a difendere questa topaia che non vi siete nemmeno resi conto che vi abbiamo fregato i nominativi dei vostri agenti? Ancora prima che andaste in onda, le forze di polizia ed i servizi segreti di PLANT, e delle superpotenze terrestri, li hanno arrestati. Quindi rassegnatevi, nessuna azienda o aeroporto è saltato in aria. Ma, opportunamente modificato, il vostro comunicato è stato trasmesso comunque, come prova che, per difendervi, non avreste esitato a fare incalcolabili vittime civili." La creatura sospirò, sbattendo leziosamente le palpebre e rivolgendosi direttamente al leader di Nova. "Dopo così tanti bei proclami, alla fine questo siete, niente di diverso rispetto a quelli che così tanto dicevate di volere punire."

A quell'affronto, finalmente Requiem rispose, allargando le braccia come a voler abbracciare tutta la comunità. "Non cambia niente. L'ordine mondiale che avevate costruito è in pezzi. I popoli non avranno mai più fiducia in voi militari, che non avete saputo fermare gli attentati, e nei vostri incapaci politici, che hanno permesso a noi di emergere. L'imperfetto mondo che era uscito dalle macerie di due guerre aveva bisogno di qualcuno da prendere ad esempio; qualcuno di diverso da Lacus Clyne, che avete spogliato di ogni potere. E quello sarò io, l'agnello sacrificato. La mia morte era in conto, e non ha mai significato nulla. Ho vinto comunque, patetica marionetta."

Kassel sentiva brividi in tutto il corpo, sicuro che non fossero di freddo. Orgoglioso del suo leader, la sua attenzione ritornò sul simulacro di essere umano, che sempre impassibile fissava Requiem.

La creatura fece un sospiro, e aggrottò le sopracciglia. "Tu parli troppo difficile per me" fu la sua lapidaria replica. "Non ho capito niente di quello che hai detto, solo che sapevi di morire. Mi chiedo allora se i tuoi seguaci fossero d'accordo sul seguirti sulla via del martirio." Lo sguardo della bambola si fece malizioso mentre fissava una ragazza in prima fila, con il ventre gonfio dalla gravidanza. "Ehi tu, sei pronta a morire per il tuo santone?"

Lei impallidì repentinamente, aprendo le labbra senza rispondere e afferrando il braccio dell'uomo che le stava a fianco.
Sgomento, Kassel vide espressioni dubbiose e spaventate passare sui volti dei civili, mentre anche il gruppo che così valorosamente aveva difeso il satellite si scambiava occhiate incredule. Lui strinse i pugni, e potendo si sarebbe forato i timpani per non sentire più quell'oscena vocetta. Non era vero. Rifiutava con tutte le sue forze l'dea che Requiem avesse voluto consapevolmente la loro morte.

"Adesso basta. Buttatela fuori." La voce del leader calò come una punizione divina su di loro, profonda e non più disposta a perdonare. "Che rimanga a vagare nello spazio insieme agli altri detriti."

Lei fece segno di no con la testa. "Non ho ancora finito. Quanto al resto, a me non frega un cazzo dei politici, e vedi di non accomunarmi a nessun gruppo. Io sono qui per mia libera scelta, e non rappresento nessuno." Lo guardò di sottecchi, sorridendo. "Io e te in fondo in fondo siamo uguali. Sai, ho avuto anch'io un'idea simile alla tua. Ma mentre la tua storia finisce qui, santone, e sarai ricordato come un criminale, io verrò celebrata come l'eroina che ti ha fermato."

"Stai vaneggiando, non hai nessuna arma con te" riuscì a proferire Kassel. Lei, stavolta, non si degnò di guardarlo, i suoi occhi erano tutti per Requiem.

"Idiota" rispose. "Non hai capito che il mio stesso corpo è un'arma? E le capsule di cianuro dei vostri mancati kamikaze mi hanno dato un'idea davvero esplosiva."

Kassel capì di cosa lei stesse parlando troppo tardi, quando la vide serrare le mascelle con forza e sentì il rumore di qualcosa che si frantumava. Poi, l'ultima immagine che gli si fissò sulla retina prima che venisse vaporizzato dall'esplosione fu quella della creatura che brillava come una nova. Bellissima, doveva ammetterlo, come gli angeli del Dio che così inutilmente aveva pregato.



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Un grazie innanzitutto alla mia cara Shainareth, beta e amica preziosa che anche stavolta ha fatto un ottimo lavoro!
Ringraziamenti vanno anche a tutti i lettori e ai fedeli commentatori ^^
Soprattutto, faccio tanti complimenti a MaxT che mi ha fatto dono di questi due splendidi disegni che raffigurano Lorran e il Nicol di questa fanfiction. Non sono meravigliosi? :)
http://img252.imageshack.us/img252/6471/amalfi2.jpg
http://img684.imageshack.us/img684/932/lorran.jpg

  
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