VII CAPITOLO
Il giorno dopo Re Aragorn, Faramir ed Eowyn
partirono per Gondor, e la mattina del terzo giorno da quando mi ero sposata mi
dovetti separare dalle mie sorelle e da mio padre.
“Lothíriel” mi disse Imrahil prima di congendarsi
“Hai fatto la scelta giusta. Temetti di non rivederti più mentre combattevo sui
Campi del Pelennor, tremai per il tuo futuro, perché cupi erano quei giorni. Ma
non potresti avere futuro migliore di questo: sarai una grande Regina, al
fianco di un grande Re. Ma quando, nell’ora buia, avrai bisogno di un altro
sostegno, non esitare a chiamarmi: Dol Amroth sarà sempre aperta per te, pronta
a difenderti da ogni pericolo. Lothíriel, sarai felice qui nel Mark, ma non
dimenticare la tua patria e il Mare. Spero di rivederti, e conserverò nel cuore
la speranza di parlarti di nuovo, un giorno. Addio, mia cara figlia maggiore.”
Mi abbracciò forte e salì a cavallo. Le mie sorelle mi strinsero, ma non
dissero niente. Il giorno prima avevamo parlato a lungo, e ormai non sapevamo
più che parole usare per esprimere il dolore che ci lacerava il cuore.
“Addio, Lothi.” singhiozzò Imhlen.
“Addio” le fece eco Mathrel.
“Ci rivredemo,” cercai di consolare loro e me
stessa. “Verrò al vostro matrimonio. Salutatemi Lamrai e Irahel, mamma e
Fetrales.”
Ci abbracciammo un’ultima, tristissima volta, poi
loro montarono a cavallo e si allontanarono, non cessando di salutare con la
mano. Éomer mi teneva stretta mentre mi sbracciavo in segno di saluto, poi un
ultimo fiebile addio giunse alle mie orecchie e loro sparirono dietro una
collina. Scoppiai in lacrime, irrefrenabili, senza badare a Éomer che mi stava
dolcemente guidando verso la nostra camera, dove lasciò che mi accasciassi sul
letto piangendo.
“Mi dispiace,” mormorò, senza sapere che fare di
fronte alla mia disperazione. “Ma ti prometto che potrai andare a trovarle,
qualche volta.”
“Grazie,”singhiozzai, “Grazie, Éomer.”
“Anche mia sorella se n’è andata, e io la vedo
raramente. Non ti dirò di non piangere, perché anch’io ho sofferto il tuo
stesso dolore e posso capire quanto tu sia sconfortata.” Furono quelle parole
che gettarono in me il seme dell’amore che presto mi avrebbe consolata della
perdita delle mie sorelle e di mio padre.
Nei mesi che seguirono alla partenza della mia
famiglia mi sentii spesso sola e abbandonata, e mi attaccai a Éomer come un
cucciolo sperduto nella pioggia segue chi gli ha allungato un boccone di cibo e
qualche carezza. Poi, piano piano, incominciai a stringere amicizia con la
moglie di Gamling, Melange, e ovviamente con la mia cameriera Falmer, che aveva
preso il posto di Imhlen come confidente e consigliera; iniziai a prendere
dimestichezza con Edoras, Meduseld, le mie funzioni di Regina e gli attacchi di
malumore di mio marito. Éomer mi aveva donato una spada per esercitarmi a
combattere, come ricompensa per il mio giuramento. La spada, Crëwine,
era stata di sua madre, che la teneva sotto il letto per essere pronta a
difendere lui e Eowyn in caso di bisogno. Éomer mi aveva raccontato che sua
madre aveva ucciso una grossa volpe affamata che un inverno si era introdotta
di soppiatto nella loro camera da una finestra aperta, attirata dall’odore del
cibo: stava per mordere la testa del figlio che dormiva quando Théodwyn le aveva
staccato il capo con un fendente ben assestato. Il ricordo lo faceva sorridere.
Una mattina di inizio settembre mi svegliai molto
presto, tanto che trovai Éomer ancora addormentato accanto a me. Mi sentivo
malissimo e avevo la nausea. Mi alzai per andare a vomitare e poi tornai a
letto al caldo, sotto il cigno bianco cucito da Irahlel. Ma non riuscivo a
riaddormentarmi, sebbene fuori fosse ancora buio. Mi rigiravo oppressa dalla
nausea e dal mal di testa, tanto da svegliare Éomer. Si tirò su appoggiandosi
su un gomito e bofonchiò spazientito:
“Che hai? Vuoi stare un po’ ferma?”
“Non mi sento tanto bene.” mormorai nel buio.
“Avrai preso il raffreddore, in questo periodo ci
si ammala facilmente. Vuoi che mandi a chiamare il medico?”
“No, Éomer, grazie, credo di sapere cos’ho.”
“E allora spicciati a dirmelo e poi torna a
dormire.”
Me lo
aspettavo ormai da tempo, dato che non avevo più il ciclo; ma la certezza mi
aveva sconvolto. Mi mancava il fiato per la commozione e la felicità, sentivo
già l’amore per quella nuova vita che cresceva dentro di me. Respirai
profondamente, cercando di calmarmi, ma ero troppo emozionata.
Purtroppo non fu un discorso breve come desiderava
Éomer. Anzi, nel tentativo di dirglielo con delicatezza prolungai la mia
spiegazione oltre il sorgere del sole.
“Cosa?” disse infine, incredulo.
“Penso di essere incinta.”
“Ah.” Éomer spalancò gli occhi. Mi pareva alquanto
sconcertato, spaventato ed eccitato; uno strano miscuglio di emozioni sul suo
viso serio. “Bene,” aggiunse dopo un lungo, stupefatto silenzio. “Benissimo.
Avrò presto un erede!” sorrise e mi diede un bacio sulla guancia, gesto
stranamente dolce per lui. “Speriamo che sia un maschio! Vuoi qualcosa di
speciale? Medicine, cibo, coperte più calde? Ti farò portare tutto ciò che
desideri. Non ti alzare stamattina, resta a letto. Ti mando subito la
colazione.” Il suo entusiasmo mi fece quasi scordare la nausea. “Sei stata
bravissima, Lothi. Bravissima.” Io mi trattenni dal commentare che anche lui
non si era certo impegnato poco. “Cosa vuoi mangiare?”
“Non ho tanta fame; ma posso alzarmi e prendere
qualcosa da bere anche di là. Non sono mica malata,” sorrisi “anzi, mi sento
molto meglio adesso.”
“Non importa, non ti affaticare.”
“Non mi affatico affatto! Su, Éomer, fammi alzare.”
Lui mi guardò titubante.
“Sei sicura?”
“Si; una passeggiatina fino alla sala da pranzo non
recherà alcun danno al tuo erede.” Éomer si vestì in fretta e aspettò
pazientemente che io fossi pronta, poi mi porse il braccio e mi obbligò a
camminare appoggiandomi a lui, anche se non ce n’era assolutamente bisogno.
“Éomer, non sono malata né fragile come il cristallo” tentai di farlo
ragionare, ma mio marito non mi ascoltò. Egli fu sempre di carattere impetuoso
e autoritario, e non amava che ci si ribellasse ai suoi ordini. Spesso ci
voleva molta pazienza per sopportarlo.
Mi fece prudentemente accomodare su una poltroncina
invece che su una sedia di legno e comandò che mi fosse portato latte caldo. Mi
affidò a Falmer con mille raccomandazioni, e sospese le udienze che dovevo dare
quel giorno. Quando fu certo che non avrei potuto fare null’altro che riposarmi
si allontanò con i suoi Marescialli per programmare l’attacco agli Orchetti
delle Montagne Nebbiose. A breve la sua éored
avrebbe compiuto un’incursione a sorpresa nel nascondiglio degli Orchi:
dopo lunghe osservazioni, le sentinelle avevano scoperto dove si trovava il
loro rifugio. Speravano di trovarli tutti, in modo da distruggere l’intera
colonia con un solo assalto.
Sospirai guardandolo andare via. “Se adesso fa
così, come si comporterà fra sei mesi?” dissi stancamente a Falmer. “E’ molto
più preoccupato di me.”
“Si preoccupa sia per voi che per vostro figlio,”
rispose saggiamente la mia cameriera, “Lasciatelo fare. Il Re è di animo forte,
severo e coraggioso, ma questo è un avvenimento che emoziona tutti gli uomini.
Dovete capire che desidera proteggere nel modo migliore voi e il bambino.”
Così mi sottomisi pazientemente agli ordini di
Éomer, ammorbidendoli con la persuasione e non con le urla che a volte mi
ispiravano. Comunicai a Melange, in gran segreto, ciò che mi stava succedendo,
e lei fu molto felice per me. Inoltre mi diede molti utili consigli, poiché
aveva già avuto sei figli e ormai era esperta in queste faccende.
Una settimana dopo quella fatidica mattina, Éomer
mi annunciò che la sua éored sarebbe
partita allo spuntare dell’alba del giorno seguente. Era il tardo pomeriggio
del dieci settembre, e io me ne stavo quieta a fare la maglia seduta in
terrazza. Ero piuttosto stanca e nervosa, dato che avevo giudicato una disputa
su due pecore i cui proprietari desideravano scannarsi a vicenda, un furto di
lana e uno di un puledro; inoltre avevo rimproverato aspramente Camset che
aveva litigato con uno stalliere più anziano sul tipo di biada da dare a
Stellagrigia. Ma non intendevo dare a Éomer un motivo per farmi fare ancora
meno cose di quelle che mi permetteva di compiere, così gli sorrisi amabilmente
quando si sedette accanto a me, di ritorno dai suoi incarichi di Re.
“Bene,” commentai alla notizia della partenza.
“Finalmente il tuo…il nostro popolo non avrà più niente da temere. Chi manderai
come capitano della spedizione? Elfhelm?” Éomer mi guardò male.
“Io, naturalmente. Pensi che mi tirerei indietro di
fronte a uno scontro con quelle fetide creature?” Impallidii.
“Tu? Tu partirai per andare a combattere domani?”
“Certo.”
“Ma sei il Re! Non puoi andare! Se tu dovessi
cadere, cosa ne sarebbe del tuo regno?” Non potevo permettere che lui corresse
questo rischio. Non Éomer. Non lui, assolutamente. “Éomer, non puoi andare; ti
prego, manda qualcun altro.” Una serie di immagini orribili mi attraversò la
mente: Éomer sanguinante in una buia caverna degli Orchetti, Éomer riverso a
terra sotto il cadavere di Zoccofuoco, Éomer trafitto da nere frecce mortali;
il mio bambino sarebbe cresciuto senza suo padre… “Éomer, non adesso! Non pensi
a me? Non pensi a nostro figlio?” Lui tacque per qualche secondo, e sperai che
stesse riconsiderando la sua decisione. Poi però vidi sul suo viso
l’espressione feroce, fiera e protettiva che lo rendeva bellissimo e terribile.
“E’ proprio per voi che lo faccio, Lothi. Per te e
per mio figlio.” E allora capii che non avrei mai potuto convincerlo.
“Allora vengo anch’io.” Annunciai, alzandomi.
“Hai giurato. Non ti permetterò di venire.”
Ribattè.
“Non per combattere. Resterò all’accampamento
mentre voi andate a scontrarvi con gli Orchi.”
“E’ troppo pericoloso, soprattutto nelle tue
condizioni. Tu resti qui senza discutere.” Avevo voglia di urlare per il suo
dispotismo. Questa sua abitudine di darmi ordini come se fossi un oggetto di
sua esclusiva proprietà, dipendente solamente dal suo volere, mi dava
estremamente fastidio.
“Invece vengo.”
“Basta! Tu resti a casa e taci!”
“Non rimarrò qui mentre tu e la tua éored rischiate la vita! Non chiedo di
cavalcare in guerra con voi, solo di potervi accompagnare fino
all’accampamento.”
“No. Aspetti un bambino, te ne rendi conto? Pensi
che cavalcare sino alle Montagne Nebbiose sia una passeggiata?”
“Pensi che non mi renda conto di quello che mi sta
succedendo?” risi amaramente. “Oppure non te ne rendi conto tu? Non hai la più
pallida idea di come mi sento. Eppure, dopo che tua sorella ha rischiato la sua
vita per stare vicino a te e a Théoden, dovresti averlo capito.” Éomer
impallidì.
“Non parlare di Eowyn.”
“Perché? Ti ricorda che anche una donna può avere
un briciolo di forza e di carattere? Ti ho obbedito in silenzio anche troppo a
lungo. Non mi permetti di fare niente, ma io non sono debole come pensi tu.”
“Io non penso che tu sia debole,” disse Éomer, ma
io lo interruppi:
“Non pensi che io sia più debole delle altre donne,
perché tutte le sono donne sono fragili per te. Se la dimostrazione di Eowyn
non è stata sufficiente, farò anch’io la mia parte, sebbene io non possa
eugugliare tua sorella. Domani io cavalcherò con la tua éored, che tu sia d’accordo o no.” Pronunciai queste parole quasi
gridando, poi mi voltai e me ne andai ribollendo di rabbia.
“Lothíriel, Torna qui!”
“Lasciami stare!”
Invece di andare nella nostra camera, mi diressi
verso la stanza di Eowyn, dove avevo dormito prima del matrimonio. Mi gettai
sul letto ma non piansi, per non dare a Éomer questa soddisfazione. Dopo poco
Falmer bussò alla porta e io le feci cenno di entrare.
“Mi manda il Re, mia signora. Ha detto che siete
agitata per via della vostra…situazione e che siete sconvolta. Volete che vi
porti qualche medicina?” Io sibilai di rabbia. Allora era questa la spiegazione
che Éomer aveva dato a chi ci aveva visti. Era perfettamente in linea con il
suo carattere.
“No, sto benissimo, Falmer. Va’ via.”
“Mia signora, cos’è che vi turba? Vi ho sentita
urlare. Se c’è qualcosa che è in mio potere fare, ditemelo subito.”
“Se tu potessi far ragionare il Re sarebbe
un’ottima cosa, ma dubito che ci riusceresti. Egli ha dei pregiudizi
difficilmente estirpabili.” Falmer restò in silenzio. Infine chiese, asciutta,
se volevo la cena. Io le ordinai di portarmi un vassoio in camera; così Falmer
se ne andò chiudendo piano la porta. Pensai al mio bambino, chiedendomi se
fosse stato spaventato dalle mie grida o se ancora fosse troppo piccolo per
accorgersene. Ma il mio bambino era per metà figlio suo: avrebbe avuto lo stesso carattere autoritario? No, il mio
amato piccolo non sarebbe stato così. Accarezzai la mia pancia, che ancora non
era quasi per niente gonfia.
Mangiai quello che mi aveva portato Falmer, chiusi
a chiave la porta e poi mi raggomitolai sotto le coperte. Ero ancora molto
irata con Éomer, e il pensiero che il giorno dopo lui sarebbe partito senza di
me mi angosciava e mi adirava. In parte ero infelice perché se ne sarebbe
andato con il ricordo di questo litigio, e nell’orribile caso in cui dovesse
morire, l’ultima cosa che avrebbe avuto da me sarebbero state le urla di quel
pomeriggio. Ma nonostante questo non avevo nessuna intenzione di andare a
chiedergli perdono.
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Ciao!
Vi ho fatto aspettare un
po’, stavolta, mi dispiace, ma in compenso ecco un capitolo bello denso di
avvenimenti.
Qui si fa la presentazione
di un personaggio che penso diventerà molto importante, ovvero il principe del
Mark.
In questo capitolo Lothi può
sembrare un po’ piagnucolosa, ma pensate un po’, essere lasciate completamente
sole in balia di uno sconosciuto che è vostro marito, in una terra straniera,
con la probabilità di non rivedere le sorelle e il padre per molti anni.
Comunque fate i vostri commenti, ditemi che ne pensate di questo capitolo
faticosissimo (da scrivere).
Come sempre grazie mille a
tutti, specialmente a Arwins, Sesshy94, Thiliol e Arena, che mi hanno
fedelmente recensito anche la scorsa volta. Se qualcuno si vuole aggiungere a
loro è il benvenuto =)
Un bacio,
Elothiriel