Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Gillywater    07/01/2011    8 recensioni
"Ma la cosa che più distingueva il mio bambino da tutti gli altri suoi cugini e da sua sorella, era un’altra: era il primo Weasley a non avere i capelli rossi, ma nero corvino. "
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Hugo Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Asciughiamo le lacrime: dopo quattro anni sono tornata a scrivere su Harry Potter.
Non so perché mi sia uscita una fic così triste, ma bando alle ciance, rimandiamole a fine storia.
Vi lascio alla lettura e spero che mi farete sapere cosa ne pensate.

Un bacio
Gil

WHAT HURTS THE MOST
 
I can take the rain on the roof of this empty house
That don’t bother me
I can take a few tears now and then and just let them out
I’m not afraid to cry every once in a while
Even though going on with you gone still upsets me
There are days every now and again I pretend I’m ok
But that’s not what gets me
                            What hurts the most – Rascal Flatts
 
Tutti pensano che il tradimento prima o poi venga scoperto.
Un frase, qualche errore di calcolo e il gioco è fatto. Risultato? Vite straziate, famiglie distrutte per non parlare dello schifo nei confronti di se stessi che aumenta a dismisura.
E poco conta che dietro il tradimento si nasconda l’amore. Tutti ti additeranno sempre come “lo stronzo” o “la troia” che ha tradito il proprio coniuge e fatto a pezzi l’infanzia dei propri bambini.
 
Beh, lasciatemelo dire:  chi si fa scoprire è forse troppo stupido, poco in gamba o semplicemente intenzionato a farsi scoprire.
Se solo sapeste cosa noi siamo stati in grado di fare, solo una volta, lo ammetto, e per quanto tempo siamo stati in grado di nasconderlo.
 
Da sempre.
E credo che mai nessuno abbia mai sospettato nulla.
 
*
 
Dodici anni prima...
 
Era...
Sì, credo che fosse il periodo in cui tutti vivevamo insieme sotto lo stesso tetto. A Grimmauld Place numero 12, come una grande, immensa, famiglia allargata.
 
Harry e Ginny avevano avuto da poco Al, e anche James era troppo piccino per potersi staccare da mamma e papà. Dovevano fare alcuni lavori di ristrutturazione in casa loro ed erano stati costretti a trasferirsi lì, per un po’.
 
Anche la nostra Rose, mia e di Ron, era tanto piccola, e sia io che lui (come Harry, che lavorava nello stesso dipartimento di mio marito) avevamo dovuto fare i conti con pesanti tagli del personale al Ministero della Magia. Lavoravamo notte e giorno, nemmeno riuscivamo ad incontrarci tra un turno e l’altro e proprio non trovavamo il tempo di occuparci di nostra figlia.
 
Era stato a quel punto che Ginny si era offerta di aiutarci.
 
“Venite a stare da noi per un po’, finché la situazione al lavoro non si sarà sistemata”
“No, veramente Ginny, non è necessario”
“Insisto”
“No, Ginny, davvero...”
“Insisto ancora di più”
 
Ed ero stata costretta ad accettare.
 
Quel giorno, in particolare, erano le sei  del mattino, minuto più, minuto meno, e sia io, che Ron, che Harry, ci ritrovammo costretti a far colazione, cercando di mandar giù un paio di biscotti a forza e combattendo con lo stomaco che a quell’ora del mattino proprio non voleva saperne di collaborare.
 
Gli occhi circondati da pesanti occhiaie, i capelli arruffati e il viso pallido dal sonno. Sì, decisamente in quel periodo assomigliavamo molto di più a zombie, che ad esseri umani.
 
Ginny comparve sulla soglia della vecchia cucina con indosso una vestaglia rosa. Aveva ancora qualche chilo da smaltire dall’ultima gravidanza, ma si portava ancora appresso quella bellezza pulita che aveva avuto durante la gioventù. I lunghi capelli rossi le ricadevano sulle spalle, impeccabili persino a quell’ora del mattino.
Faccenda completamente diversa, a ben pensarci, dai miei capelli arruffati e crespi.
 
«Ron, mamma e papà vogliono vedere noi e i bambini» sbadigliò, accomodandosi accanto ad Harry e stampandogli un bacio sulle labbra.
Ron fece una smorfia: anche con l’andare degli anni non riusciva a mandar giù certe effusioni davanti ai suoi occhi.
Sorrisi.
«Beh » borbottò Ron, osservando con interesse un corn flackes particolarmente grande « potrei prendermi mezza giornata di permesso, oggi» disse «Ultimamente non mi sono fermato un attimo, non credo che mezza giornata possa fare la differenza. Se decidono di farmi fuori...» e fece finta di sgozzarsi con l’indice della mano destra.
 
Improvvisamente si voltò di scatto verso di me «Ma... Tu ed Harry? Non venite con noi, stasera?» domandò sgranando gli occhi.
Sospirai e con un colpo di bacchetta mandai la mia tazza vuota nel lavandino per pulirsi «No, Ron. Per ciò che mi riguarda ho troppo lavoro arretrato» sospirai «Sembra incredibile ma c’è ancora gente che crede di poter sfruttare gli elfi domestici senza dar loro un compenso adeguato» sbottai e finsi di ignorare lo sguardo esasperato dei miei amici.
 
A quel punto anche Harry prese parola – probabilmente per la prima volta quella mattina, vista la voce impastata dal sonno, decisamente diversa dalla sua «Nemmeno io ci sarò, Ron. Oggi ho la bellezza di quindici ispezioni, probabilmente non me la caverò prima di mezzanotte»
Ginny gli passò le braccia intorno alle spalle «Lavori troppo ultimamente, a James manchi moltissimo e Al proprio non vuole saperne di dormire, senza suo padre che gli canti la buonanotte»
 
Harry le sorrise «Non sarà sempre così, Ginny. È un periodo, passerà»
 
Mi soffermai per un momento a pensare a quanto Harry fosse cambiato, dopo la fine della Seconda Guerra Magica. Il ragazzino sempre nervoso e spesso irascibile, aveva lasciato il posto ad un uomo equilibrato, che finalmente riusciva a godersi la normalità di una famiglia piena d’amore, anche se non sempre tranquilla.
 
Tornava ogni sera dal lavoro e andava nella camera dove dormivano i suoi bambini per dar loro un bacio e una carezza.
Se ripensavo a quant’era poco incline alla dolcezza, quand’era giovane, stentavo a riconoscerlo.
 
Ron era invece rimasto quello di sempre, sempre il solito elefante in una cristalleria, quando si parlava di tatto, re delle battute, non perdeva occasione per comportarsi come il buffone di corte. Ma era quello che mi aveva fatto innamorare di lui, perciò non riuscivo a trovare nulla di cui lamentarmi.
 
Quando poi lo vedevo con Rose, quant’era dolce e quanto lei stravedeva per suo padre, quando la faceva giocare, quando la faceva addormentare o quando le dava la pappa – perché lei preferiva che fosse Ron ad imboccarla – non riuscivo a non sentirmi felice.
 
Rose. Aveva scelto lui di chiamarla così.
“Visto che è femmina, voglio che il suo nome abbia la stessa iniziale del mio. Se mai avremo un maschio ti concederò di fare altrettanto”
E così era stato.
 
«Meglio andare» sentenziò Harry interrompendo il filo dei miei pensieri.
Indossai il mantello e mi preparai ad affrontare il freddo pungente di metà dicembre.
 
Così su due piedi non so raccontarvi nei dettagli cosa successe quel giorno, ho giusto vaghi ricordi: una litigata con Kingsley, una sonora imprecazione contro la vecchia strega che stava alla reception dell’entrata per visitatori e forse anche un paio di tentativi di aiutare qualche elfo domestico vecchio stampo.
 
Per la cronaca: non era stato facile far passare la legge a favore de “La restrizione della schiavitù degli Elfi Domestici da parte dei maghi”. Purtroppo la comunità magica considerava strano che un Elfo potesse entrare in un negozio a comprarsi qualsiasi cosa volesse, utilizzando i soldi guadagnati con il proprio lavoro. Ma comunque.
 
Rincasai intorno alle dieci e mezza di sera: fuori aveva cominciato a nevicare abbondantemente e il marciapiedi davanti a Grimmauld Place era sommerso da una soffice coltre di neve immacolata.
 
Vidi la vecchia casa comparire magicamente tra il numero undici e il numero tredici. Entrai e la trovai piacevolmente calda e accogliente.
 
Dopo la caduta di Voldemort eravamo riusciti a sbarazzarci del ritratto dell’urlante Signora Black. Il dolore per la morte della beniamina di casa, Bellatrix, era stato così forte da far crollare il quadro a terra, non appena la signora ricevette la notizia.
 
Ed in ultimo, ma non meno importante, ero finalmente riuscita a far togliere le teste degli elfi che avevamo appese in casa. Al loro posto, ora, stavano ghirlande e lucine colorate.
 
Mi soffermai ad osservare il mio riflesso in uno specchio all’entrata: avevo le guancie rosse accese dal freddo e due occhi incredibilmente lucidi.
 
Venni distratta da una fatina natalizia dei boschi, che si precipitò su di me per tirarmi i capelli: un’idea – geniale – di James, che voleva la casa un po’ più allegra.
Quando riuscii a liberarmene, mi fermai a pensare che, forse, avrei preferito le vecchie teste degli elfi appese, a quei mostriciattoli.
 
Il sommesso rumore di una porta che sbatteva, mi fece voltare di scatto: anche Harry era ritornato a casa ed ora era tutto intento a togliersi la neve dal mantello e dai capelli.
 
«Che nevicata!» esclamò non appena  mi vide «Come mai sei tornata a casa così presto?»
Feci spallucce e riposi il mio mantello sull’attaccapanni a forma di zampa di troll – pezzo d’arredamento di cui mi sarei sbarazzata non appena possibile.
«Ero rimasta solo io in ufficio e preferivo tornare a casa» spiegai «E tu?»
Harry ridacchiò «Il mio collega è scivolato sul ghiaccio. Senza di lui non posso andare in missione» sospirò e si avviò verso la cucina «Ah, quanto vorrei avere come collega Ron. Fame?» mi chiese, aprendo il frigorifero e infilandoci dentro la testa.
 
Annuii, appoggiandomi allo stipite della porta.
«Bene. Abbiamo uova, carne avariata, lo stufato di zucca di Molly e » tirò fuori dal frigo un poco invitante pacchetto bitorzoluto « un panino che il tuo adorato maritino si è portato al lavoro circa un mese fa, ma che non ha mai mangiato»
 
Risi. «Credo che sceglierò lo stufato di zucca. Grazie al cielo è solo da scaldare, questa sera non ho proprio voglia di mettermi ai fornelli»
Harry mi osservò ironico «Hermione, non ti offendere, ma non sei propriamente quella che si definisce una chef professionista» sbadigliò «Meno male che c’è Molly, mi chiedo come faremmo senza di lei che ci sfama»
 
Risi di nuovo «Probabilmente moriremmo di fame» gli dissi e Harry annuì.
 
Con un colpo di bacchetta il fornello si accese e tempo qualche minuto lo stufato bolliva dolcemente.
 
Nel frattempo io ed Harry andammo a farci una meritata doccia e fu giusto scendendo le scale, frizionandomi i capelli con un asciugamano sulla testa, che sentii una voce provenire dal salotto. Mi bloccai all’istante e mi voltai di scatto: la testa di Harry fece capolino dalla sua camera da letto. Aveva un’espressione interrogativa stampata in faccia: evidentemente la voce l’aveva sentita anche lui.
 
«Non è la voce di Ron?» mi chiese.
 
Immediatamente corremmo in salotto e vedemmo le teste di Ron e Ginny che galleggiavano tra le fiamme del caminetto.
 
«Finalmente!» esclamò Ron «Che fine avevate fatto?»
«Ci stavamo lavando, sai com’è» lo prese in giro Harry «Si può sapere perché ci state parlando dal camino? Perché non siete ancora a casa?»
 
Ginny ridacchiò «Mamma ci ha implorati di restare qui a dormire. Sai com’è: appena ha visto un po’ di neve scendere dal cielo si è impuntata. E poi » continuò, indicando con un cenno del capo qualcosa dietro di sé « Al e Rose si sono già addormentati. Non mi va proprio di svegliarli, sono così pacifici»
 
Mi fece l’occhiolino ed entrambe ridemmo: quante volte avevamo sottolineato quanto preferissimo i nostri figli quando dormivano. Sporcavano e facevano rumore molto di meno in quelle – rare – occasioni.
 
«Papà » mormorò James, la cui testolina fece capolino accanto a quella di Ron e Ginny « perché non sei qui con noi?»
La mano di Ginny apparve dal nulla a scompigliargli i capelli rossissimi «James, te l’ho già spiegato: papà doveva lavorare»
Il bambino annuì e si stropicciò gli occhi: stava morendo di sonno, ma il desiderio di vedere Harry aveva avuto la meglio.
 
«James, ti prometto che domani mattina ci vediamo. Adesso però vai a dormire» gli disse Harry, dolce.
 
James annuì ancora e dopo aver augurato la buonanotte al padre, scomparve.
 
«Vado anch’io» disse Ginny « sono distrutta. Ci sono anche Bill e George qui. Dopo averli visti giocare a Quidditch in giardino, James ha insistito per provare con la scopa giocattolo che un idiota a caso gli ha regalato per Natale. Non avete idea di quanto ho urlato oggi » spiegò, lanciando un’occhiataccia a Ron.
 
Tanto per la cronaca: l’idiota a caso era proprio lui.
 
Lei ed Harry si salutarono e rimanemmo solamente io e Ron, a fissarci, occhi negli occhi.
«Come sta Rose?» gli domandai. La mia bambina mi mancava tantissimo, non la vedevo sveglia da più di due giorni ed era insopportabile non poter ridere di tutte le sue smorfiette e delle sue espressioni sorprese ogni qual volta scopriva qualcosa di nuovo.
 
«Tutto bene, Hermione, stai tranquilla. Oggi ha provato la bacchetta magica del suo papà e...»
«Ron!»
« ... ho tentato di spiegarle come fare una fattura a George, ma alla fine è riuscita solo a far uscire qualche scintilla»
«Ron!»
Rise come un cretino «Hermione, sto scherzando! Non sono un idiota!»
Lo guardai scettica e mi rispose con un’occhiata offesa. Dopo la nostra guerra di sguardi, si decise finalmente a parlare, il cretino.
«Vado a metterla a letto: se non mi sbaglio, questi deliziosi vocalizzi non provengono altro che da lei» mi spiegò con un sorriso.
Artigliai con le unghie la stoffa del divano «Vi vorrei qui, Ron. Tutti e due»
Mi sorrise e vidi le sue orecchie diventare rosse, come quando era imbarazzato «Ti amo, Hermione»
Deglutii «Anch’io»
Ci salutammo così, con un sorriso ed un’occhiata ammiccante. Rimasi per un attimo imbambolata a fissare le fiamme del camino che si spegnevano e i rivoli di fumo che salivano in alto verso l’esterno.
 
Quando mi voltai, vidi due piatti, accompagnati da relativi bicchieri e posate, planare sul tavolino basso alla mia destra.
Un attimo dopo Harry comparve in salotto, in tenuta “cuoco di casa”.
Reggeva un grosso pentolone dal quale spuntava un grosso mestolo e indossava guanti da cucina con cuoricini incantati.
 
«Sei uno splendore» ridacchiai, additandolo. Rise anche lui e dopo aver posato la pentola sul tavolino, mi mostrò i guanti.
«Ti piacciono? Li ho trovati infondo ad un cassetto in cucina: dici che appartenevano a mamma Black o si tratta di qualche folle acquisto di Ginny o Ron?»
 
«Non saprei decisamente cosa sperare» risposi e lui annuii.
 
Mangiammo velocemente, entrambi eravamo affamati dopo una giornata di lavoro, chiacchierando del più e del meno.
 
Ad un certo punto Harry si lasciò cadere all’indietro, contro il divano che stava alle sue spalle. Alzò pigramente la bacchetta e la puntò contro il camino «Incendio
 
Subito comparvero stupende fiamme danzanti di un vivace arancione.
 
Mentre spedivo i piatti sporchi in cucina con un incantesimo, ordinando loro di lavarsi da soli, Harry disse «Non mi sembra vero di avere una serata tutta per me, senza i bambini. Sono così stanco ultimamente, quando arrivo a casa non riesco nemmeno a godermeli perché l’unica cosa che voglio fare è dormire»
 
Annuii «A chi lo dici. Vorrei poter giocare un po’ con Rose o chiacchierare un po’ con Ron, ma il più delle volte, quando arrivo a casa, lei sta già dormendo e lui è ancora al lavoro» gli dissi «Vorrei tanto che questo problema dei tagli si sistemasse, la paga è ottima, ma non abbiamo più una vita»
 
«Già. E anche Ginny è stressata. Quando giocava a Quidditch era sempre stanca ma, per lo meno, stava bene, era rilassata e anche più informa. Adesso mi sembra che stia ricoprendo un ruolo che non le appartiene»
 
Lo guardai sgranando gli occhi e non credendo alle sue parole «Ti riferisci ai bambini?»
 
Harry scosse il capo «No, affatto. Dico solo che stare tutto il giorno a casa ad occuparsi di loro la stanca. Vorrei poter fare qualcosa per aiutarla, così anche lei potrebbe staccare ogni tanto. Alla fine questa nostra situazione si sta ripercuotendo anche su di lei»
 
Compresi in quel momento quanto Harry fosse generoso e altruista. L’avevo sempre visto come  il ragazzino – poi uomo – che aveva sconfitto Voldemort grazie al proprio coraggio e che aveva sempre e disperatamente cercato una vita normale.
Non l’avevo mai visto sotto questa luce.
 
«Oh, Harry» mormorai, avvicinandomi a lui per scompigliargli i capelli « quanto sei dolce»
Mi sorrise «E per me » continuò, interrompendo i miei pensieri « nemmeno tu stai bene, Hermione. Negli ultimi tempi sei dimagrita un sacco, parli di meno – il che non è decisamente da te – e anche Ginny dice che sei strana»
 
Lo guardai attentamente, le ombre tremule degli oggetti in salotto che danzavano sul suo viso pallido di sonno.
 
«Strana in che senso?» gli domandai e mi sentii crollare il mondo addosso.
 
Sì, ero strana ultimamente. Perché per quanto amassi mia figlia e mio marito, mi rendevo conto che gli anni ad Hogwarts erano inesorabilmente finiti, che non ci sarebbero più state avventure da vivere al fianco dei miei amici, gli intrighi d’amore si erano conclusi e le giornate sarebbero diventate un semplice susseguirsi di momenti più o meno felici e di guai da risolvere.
 
Nulla di più, nulla di meno.
 
E la vita vista come una monotona nenia assonnata, mi terrorizzava più di quanto mi avesse mai terrorizzato il pensiero della professoressa McGranitt che mi bocciava.
 
Harry scrollò le spalle «Strana, intendo, strana. Oh Hermione, insomma hai capito che intendo. Sai, penso che dopo la caduta di Voldemort avremmo dovuto farci un bel viaggio. Sì » ripeté convinto, davanti al mio sguardo confuso « una bella crociera rilassante per cambiare un po’ aria, almeno per qualche tempo»
 
Puntò la bacchetta contro un vecchio armadio di legno «Accio Firewhisky»
La serratura scattò e un anta traballante si spalancò. Subito una bottiglia contenente liquido scarlatto volò in direzione di Harry.
 
«Ne vuoi un goccio?» mi domandò, con un occhiolino.
Scossi il capo, sorridendo «No, grazie, credo proprio che non sia il ca... »
«Oh, andiamo, Hermione! Per una volta non ti farà mica niente e poi non ci dobbiamo ubriacare. Solo un sorso. Non ci sono nemmeno i bambini a cui dare il cattivo esempio! E poi...» fece roteare la bottiglia alla luce del fuoco «Guarda che bel colore
Ridacchiai «Ma cosa dici?»
Aggrottò le sopracciglia «Credo che il Firewhisky abbia un colore bellissimo, è intenso, rilassante. Allora ne bevi un bicchierino?»
 
Non chiedetemi come, né tantomeno perché, ma accettai. Non ci ubriacammo, se è questo che volete sapere, alla fine bevemmo davvero solo un sorso di Firewhisky, ma posso assicurarvi che bastò.
 
Lo sentii scendere lungo la gola, lo sentii bruciare, lo sentii riaccendere qualcosa che era spento da tantissimo tempo.
Mi sento infantile ad ammetterlo, ma per un momento pensai che stesse riaccendendo la mia vita che da troppo se ne stava in standby da qualche parte.
 
E non chiedetemi perché, ma quando guardai Harry capii che stava provando la stessa sensazione.
 
Ci fissammo intensamente per qualche istante.
Riuscii a scorgere un lembo di fiamme dorate all’interno dei suoi occhi verde smeraldo.
 
Un istante incalcolabile dopo – forse giusto il tempo che ci vuole per sentire un urlo e rendersi conto che chi lo ha emesso sei tu – ci stavamo baciando
 
Ci stavamo baciando con passione, con foga, una bocca che sprofondava nell’altra, che aveva solo voglia di approfondire quello stesso bacio con l’altra, che aveva bisogno di bere e che trovava nell’altra acqua in abbondanza.
Le mani di Harry su di me erano bollenti. La felpa larga che lui mi tolse rivelò che anche la pelle che nascondeva era bollente, come le mie gambe, il suo petto, le sue guance...
 
Ho voluto precisare che nessuno dei due era ubriaco perché non voglio trovare una stupida scusa al nostro gesto. Non posso dare la colpa al Firewhisky,  o al freddo, o alla stanchezza, se quella notte feci l’amore con Harry.
 
E se lui fece l’amore con me.
 
Semplicemente, è stato come guardare una persona che si ha avuto davanti agli occhi per tantissimo tempo e pensare. “È la mia salvezza. Lo voglio, me lo prendo”.
 
Completamente nuda, mi fece sdraiare di schiena sul tappeto e si stese su di me. Fu sorprendente vedere come i nostri corpi si incastrassero tra loro alla perfezione, come le mie gambe si allacciassero benissimo dietro la sua schiena e come lui sapesse esattamente come muoversi per farmi impazzire.
 
Tenemmo entrambi gli occhi chiusi per tutto il tempo. Personalmente non volevo vedere la mia immagine riflessa nei suoi occhi. Non volevo vedere quello che ero diventata in quegli istanti. E penso che per lui fosse la stessa cosa.
 
Quando tutto finì, rotolò al mio fianco e, nudi come vermi, rimanemmo per non so quanto tempo a fissare l’albero genealogico della famiglia Black.
 
Lessi ogni singolo nome inciso sulla stoffa dell’arazzo, ma fu solo quando arrivai a quelli di “Molly Prewett” e “Arthur Weasley” che cominciai a tremare. Seguendo il filo logico che passava attraverso “Ron Weasley” e “Ginny Weasley”, lessi i nomi dei nostri figli.
 
James Sirius Potter.
Albus Severus Potter.
Rose Weasley.
 
Mia figlia e i miei nipoti.
 
«Harry» mormorai, artigliando con le unghie il tappeto « loro non dovranno mai saperne niente»
 
Non rispose niente.
Lo sentii semplicemente alzarsi in piedi e raccogliere i vestiti che io gli avevo strappato di dosso e che sempre io avevo lanciato lontano, troppo impaziente di sentirlo vicino – troppo vicino, per la barba di Merlino! – a me, come solo Ron lo era stato in tutta la mia vita, prima di lui.
 
What hurts the most
Was being so close
And having so much to say
And watching you walk away
And never knowing
What could have been
And not seeing that loving you
Is what I was tryin’ to do
                   What hurts the most – Rascal Flatts
 
Non ne parlammo più. Più in tutta la vita, intendo.
 
Una settimana dopo il Ministero emanò un decreto con il quale annunciava nuove assunzioni. Il mondo magico accolse la notizia a braccia aperte e tutti noi tornammo in possesso delle nostre vite.
 
Ron festeggiò la sospirata libertà in grande.
 
Nove mesi dopo nacque Hugo. Un bambino stupendo e vivace, che stravedeva per la sottoscritta e che dimostrava altrettanta intelligenza – modestamente parlando.
 
Ma la cosa che più distingueva il mio bambino da tutti gli altri suoi cugini e da sua sorella, era un’altra: era il primo Weasley a non avere i capelli rossi, ma nero corvino.
 
*
 
E torniamo a noi, quindi.
 
Io ed Harry, dodici anni fa, in una sera nevosa e fredda, finimmo per fare l’amore. Senza logica e senza un perché. Forse così doveva andare e basta.
 
Nessuno ci ha mai scoperti e quindi io, da brava codarda quale sono, non mi sono mai dovuta prendere la responsabilità di dirlo a Ron. Non mi sono mai dovuta subire il suo silenzio attonito, le sue urla, le sue lacrime (che sicuramente sarebbero scivolate come acido sotto le mie dita, nel tentativo di asciugarle) e la sua delusione.
 
Oh, il pensiero di averlo deluso sarebbe stato impossibile da superare. No, decisamente non ce l’avrei mai fatta.
 
Ma chi pensa che per questo io abbia vissuto una vita felice e priva di pensieri si sbaglia, e di grosso anche.
 
Il risultato del mio errore me lo sono ritrovata davanti agli occhi ogni singolo istante della mia vita: quando Hugo stava mettendo i dentini e si calmava solo se zio Harry lo prendeva in braccio; quando Hugo diceva che sarebbe diventato il più grande Cercatore del mondo, un giorno, perché quello era l’unico ruolo divertente in una squadra di Quidditch; quando Hugo si cacciava in duemila pasticci a scuola e riusciva sempre a cavarsela perché, per tutti gli insegnanti, aveva un non so che di familiare.
 
Credo che Harry sapesse, sono convinta che avvertisse anche lui quel legame con Hugo, suo figlio, la prova vivente del nostro errore.
 
Come d’altronde – e di questo ne sono certa – Hugo ha sempre saputo tutta la verità su Harry.
E come avrebbe potuto non capirlo, dopo essersi sentito chiedere da tutti, per tutta la vita “Ah, un altro Weasley? Ma dove sono i capelli rossi?”
 
Ma il dolore più grande arrivava quando vedevo il faccino triste di Hugo che osservava i suoi cuginetti, James, Al e la piccola Lily, giocare con il papà, chiedendosi “perché loro sì e io no”.
 
A quel punto Hugo andava a sedersi di fronte alla vetrina dove nonno Arthur teneva i superalcolici. Era capace di rimanere ore a fissare una vecchia bottiglia di Firewhisky che era stata spostata lì da Grimmauld Place, quando ognuno era andato a vivere a casa propria.
 
E quando, con voce tremante, gli chiedevo perché gli piacesse tanto, lui mi rispondeva soltanto «Mi piace il colore, mamma, è intenso, mi fa passare i brutti pensieri»
 
A quel punto, di solito, andavo in camera mia a piangere.
 
Still Harder
Getting up, getting dressed, livin’ with this regret
But I know if I could do it over
I would trade give away all the words that I saved in my heart
That I left unspoken
                   What hurts the most – Rascal Flatts
 
 
**************************************************
 
 
Ed eccoci qui. Dopo aver concluso la rilettura di tutti e sette i libri di Harry Potter mi è venuta una nostalgia incredibile: mi mancavano loro, mi mancava il loro mondo e inventarmi nuove ed infinite vicende per Harry, Ron e Hermione.
 
E quindi sono tornata a scrivere di loro, con questa cosina così triste e senza senso, che fa parte di una serie di fan fiction su un’improbabile relazione tra Harry e Hermione che ho voglia di scrivere da tantissimi anni.
 
Può capitare, no, di stancarsi della propria vita sempre uguale? L’importante poi è che a farne le spese non siano i bambini. Messaggio che tante persone dovrebbero inculcarsi in testa!
 
Tornando a noi, avevo anche una voglia matta di buttar giù qualcosa per festeggiare i sei anni che sono registrata su questo sito. Sono così felice di aver trovato quest’idea, che non voglio più smettere!
 
Voglio quindi concludere le mie “Cioccolatini, lividi e fiori” e “I sentieri sei sogni spezzati”. Spero di trovare il tempo, perché con il lavoro e la vita privata che reclama di essere vissuta, sono a corto di attimi preziosi da dedicare alla scrittura.
 
Per ora vi saluto, sperando, come sempre, di avervi trasmesso qualcosa con le mie parole.
 
Ah, no, no! Non posso salutarvi senza prima avervi spiegato la scelta della canzone, che negli ultimi tempi ho a dir poco consumato a furia di ascoltarla, che doveva essere destinata ad un’altra fiction, ma così è andata. E mi sembrava troppo perfetta per questo frammento di vita di Hermione che... Insomma, mi ha ispirato una fiction pensata e scritta tutta oggi!
 
Adesso sì che posso salutarvi.
 
Un’infinità di baci a tutti
 
Gillywater
  
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Gillywater