Asciughiamo
le lacrime: dopo quattro anni sono tornata a scrivere su Harry Potter.
Non so perché mi sia uscita una fic così triste, ma bando alle ciance, rimandiamole a fine storia.
Non so perché mi sia uscita una fic così triste, ma bando alle ciance, rimandiamole a fine storia.
Vi
lascio alla lettura e spero che mi farete sapere cosa ne pensate.
Un bacio
Gil
Un bacio
Gil
WHAT HURTS THE MOST
I can take the rain on the roof of this empty house
That don’t bother me
I can take a few tears now and then and just let them out
I’m not afraid to cry every once in a while
Even though going on with you gone still upsets me
There are days every now and again I pretend I’m ok
But that’s not what gets me
What hurts the most – Rascal Flatts
That don’t bother me
I can take a few tears now and then and just let them out
I’m not afraid to cry every once in a while
Even though going on with you gone still upsets me
There are days every now and again I pretend I’m ok
But that’s not what gets me
What hurts the most – Rascal Flatts
Tutti
pensano che il tradimento prima o poi
venga scoperto.
Un frase, qualche errore di calcolo e il gioco è fatto. Risultato? Vite straziate, famiglie distrutte per non parlare dello schifo nei confronti di se stessi che aumenta a dismisura.
Un frase, qualche errore di calcolo e il gioco è fatto. Risultato? Vite straziate, famiglie distrutte per non parlare dello schifo nei confronti di se stessi che aumenta a dismisura.
E
poco conta che dietro il tradimento si nasconda l’amore. Tutti ti
additeranno
sempre come “lo stronzo” o “la troia”
che ha tradito il proprio coniuge
e fatto a pezzi l’infanzia dei propri bambini.
Beh,
lasciatemelo dire: chi si fa scoprire è
forse troppo stupido, poco in gamba o semplicemente intenzionato
a farsi scoprire.
Se
solo sapeste cosa noi siamo stati in
grado di fare, solo una volta, lo ammetto, e per quanto tempo siamo
stati in
grado di nasconderlo.
Da
sempre.
E
credo che mai nessuno abbia mai sospettato nulla.
*
Dodici
anni
prima...
Era...
Sì,
credo che fosse il periodo in cui tutti vivevamo insieme sotto lo
stesso tetto.
A Grimmauld Place numero 12, come una grande, immensa,
famiglia allargata.
Harry
e Ginny avevano avuto da poco Al, e anche James era troppo piccino per
potersi
staccare da mamma e papà. Dovevano fare alcuni lavori di
ristrutturazione in
casa loro ed erano stati costretti a trasferirsi lì, per un po’.
Anche
la nostra Rose, mia e di Ron, era tanto piccola, e sia io che lui (come
Harry,
che lavorava nello stesso dipartimento di mio marito) avevamo dovuto
fare i
conti con pesanti tagli del personale al Ministero della Magia.
Lavoravamo
notte e giorno, nemmeno riuscivamo ad incontrarci tra un turno e
l’altro e
proprio non trovavamo il tempo di occuparci di nostra figlia.
Era
stato a quel punto che Ginny si era offerta di aiutarci.
“Venite
a stare da
noi per un po’, finché la situazione al lavoro non si sarà sistemata”
“No,
veramente
Ginny, non è necessario”
“Insisto”
“No,
Ginny,
davvero...”
“Insisto
ancora di
più”
Ed
ero stata costretta ad accettare.
Quel
giorno, in particolare, erano le sei del
mattino, minuto più, minuto meno, e sia io, che Ron, che Harry, ci
ritrovammo
costretti a far colazione, cercando di mandar giù un paio di biscotti a
forza e
combattendo con lo stomaco che a quell’ora del mattino proprio non
voleva
saperne di collaborare.
Gli
occhi circondati da pesanti occhiaie, i capelli arruffati e il viso
pallido dal
sonno. Sì, decisamente in quel periodo assomigliavamo molto di più a
zombie,
che ad esseri umani.
Ginny
comparve sulla soglia della vecchia cucina con indosso una vestaglia
rosa.
Aveva ancora qualche chilo da smaltire dall’ultima gravidanza, ma si
portava
ancora appresso quella bellezza pulita che aveva avuto durante la
gioventù. I
lunghi capelli rossi le ricadevano sulle spalle, impeccabili persino a
quell’ora del mattino.
Faccenda
completamente diversa, a ben pensarci, dai miei capelli arruffati e
crespi.
«Ron,
mamma e papà vogliono vedere noi e i bambini» sbadigliò, accomodandosi
accanto
ad Harry e stampandogli un bacio sulle labbra.
Ron
fece una smorfia: anche con l’andare degli anni non riusciva a mandar
giù certe
effusioni davanti ai suoi occhi.
Sorrisi.
«Beh
» borbottò Ron, osservando con interesse un corn flackes
particolarmente grande
« potrei prendermi mezza giornata di permesso, oggi» disse «Ultimamente
non mi
sono fermato un attimo, non credo che mezza giornata possa fare la
differenza.
Se decidono di farmi fuori...» e fece finta di sgozzarsi con l’indice
della
mano destra.
Improvvisamente
si voltò di scatto verso di me «Ma... Tu ed Harry? Non venite con noi,
stasera?»
domandò sgranando gli occhi.
Sospirai
e con un colpo di bacchetta mandai la mia tazza vuota nel lavandino per
pulirsi
«No, Ron. Per ciò che mi riguarda ho troppo lavoro arretrato» sospirai
«Sembra incredibile ma c’è ancora gente che
crede di poter sfruttare gli elfi domestici senza dar loro un compenso
adeguato»
sbottai e finsi di ignorare lo sguardo esasperato dei miei amici.
A
quel punto anche Harry prese parola – probabilmente per la prima volta
quella
mattina, vista la voce impastata dal sonno, decisamente diversa dalla
sua «Nemmeno
io ci sarò, Ron. Oggi ho la bellezza di quindici ispezioni,
probabilmente non
me la caverò prima di mezzanotte»
Ginny
gli passò le braccia intorno alle spalle «Lavori troppo ultimamente, a
James
manchi moltissimo e Al proprio non vuole saperne di dormire, senza suo
padre
che gli canti la buonanotte»
Harry
le sorrise «Non sarà sempre così, Ginny. È un periodo, passerà»
Mi
soffermai per un momento a pensare a quanto Harry fosse cambiato, dopo
la fine
della Seconda Guerra Magica. Il ragazzino sempre nervoso e spesso
irascibile,
aveva lasciato il posto ad un uomo equilibrato, che finalmente riusciva
a
godersi la normalità di una famiglia piena d’amore, anche se non sempre
tranquilla.
Tornava
ogni sera dal lavoro e andava nella camera dove dormivano i suoi
bambini per
dar loro un bacio e una carezza.
Se
ripensavo a quant’era poco incline alla dolcezza, quand’era giovane,
stentavo a
riconoscerlo.
Ron
era invece rimasto quello di sempre, sempre il solito elefante in una
cristalleria, quando si parlava di tatto, re delle battute, non perdeva
occasione per comportarsi come il buffone di corte. Ma era quello
che mi aveva fatto innamorare di lui, perciò non riuscivo a
trovare nulla di cui lamentarmi.
Quando
poi lo vedevo con Rose, quant’era dolce e quanto lei stravedeva per suo
padre,
quando la faceva giocare, quando la faceva addormentare o quando le
dava la
pappa – perché lei preferiva che fosse Ron ad imboccarla – non riuscivo
a non
sentirmi felice.
Rose.
Aveva scelto lui di chiamarla così.
“Visto
che è
femmina, voglio che il suo nome abbia la stessa iniziale del mio. Se
mai avremo
un maschio ti concederò di fare altrettanto”
E
così era stato.
«Meglio
andare» sentenziò Harry interrompendo il filo dei miei pensieri.
Indossai
il mantello e mi preparai ad affrontare il freddo pungente di metà
dicembre.
Così
su due piedi non so raccontarvi nei dettagli cosa successe quel giorno,
ho
giusto vaghi ricordi: una litigata con Kingsley, una sonora
imprecazione contro
la vecchia strega che stava alla reception dell’entrata per visitatori
e forse
anche un paio di tentativi di aiutare qualche elfo domestico vecchio
stampo.
Per
la cronaca: non era stato facile far passare la legge a favore de “La restrizione della schiavitù degli Elfi
Domestici da parte dei maghi”. Purtroppo la comunità magica
considerava
strano che un Elfo potesse entrare in un negozio a comprarsi qualsiasi
cosa
volesse, utilizzando i soldi guadagnati con il proprio lavoro. Ma
comunque.
Rincasai
intorno alle dieci e mezza di sera: fuori aveva cominciato a nevicare
abbondantemente e il marciapiedi davanti a Grimmauld Place era sommerso
da una
soffice coltre di neve immacolata.
Vidi
la vecchia casa comparire magicamente tra il numero undici e il numero
tredici.
Entrai e la trovai piacevolmente calda e accogliente.
Dopo
la caduta di Voldemort eravamo riusciti a sbarazzarci del ritratto dell’urlante Signora Black. Il dolore
per la morte della beniamina di casa, Bellatrix,
era stato così forte da far crollare il quadro a terra, non appena la
signora
ricevette la notizia.
Ed
in ultimo, ma non meno importante, ero finalmente riuscita a far
togliere le
teste degli elfi che avevamo appese in casa. Al loro posto, ora,
stavano
ghirlande e lucine colorate.
Mi
soffermai ad osservare il mio riflesso in uno specchio all’entrata:
avevo le
guancie rosse accese dal freddo e due occhi incredibilmente lucidi.
Venni
distratta da una fatina natalizia dei boschi, che si precipitò su di me
per
tirarmi i capelli: un’idea – geniale
– di James, che voleva la casa un po’ più allegra.
Quando
riuscii a liberarmene, mi fermai a pensare che, forse, avrei preferito
le
vecchie teste degli elfi appese, a quei mostriciattoli.
Il
sommesso rumore di una porta che sbatteva, mi fece voltare di scatto:
anche
Harry era ritornato a casa ed ora era tutto intento a togliersi la neve
dal
mantello e dai capelli.
«Che
nevicata!» esclamò non appena mi vide
«Come
mai sei tornata a casa così presto?»
Feci
spallucce e riposi il mio mantello sull’attaccapanni a forma di zampa
di troll
– pezzo d’arredamento di cui mi sarei sbarazzata non appena possibile.
«Ero
rimasta solo io in ufficio e preferivo tornare a casa» spiegai «E tu?»
Harry
ridacchiò «Il mio collega è scivolato sul ghiaccio. Senza di lui non
posso
andare in missione» sospirò e si avviò verso la cucina «Ah, quanto
vorrei avere
come collega Ron. Fame?» mi chiese, aprendo il frigorifero e
infilandoci dentro
la testa.
Annuii,
appoggiandomi allo stipite della porta.
«Bene.
Abbiamo uova, carne avariata, lo
stufato di zucca di Molly e » tirò fuori dal frigo un poco invitante
pacchetto
bitorzoluto « un panino che il tuo adorato maritino si è portato al
lavoro
circa un mese fa, ma che non ha mai mangiato»
Risi.
«Credo che sceglierò lo stufato di zucca. Grazie al cielo è solo da
scaldare,
questa sera non ho proprio voglia di mettermi ai fornelli»
Harry
mi osservò ironico «Hermione, non ti offendere, ma non sei propriamente
quella
che si definisce una chef professionista» sbadigliò «Meno male che c’è
Molly,
mi chiedo come faremmo senza di lei che ci sfama»
Risi
di nuovo «Probabilmente moriremmo di fame» gli dissi e Harry annuì.
Con
un colpo di bacchetta il fornello si accese e tempo qualche minuto lo
stufato
bolliva dolcemente.
Nel
frattempo io ed Harry andammo a farci una meritata doccia e fu giusto
scendendo
le scale, frizionandomi i capelli con un asciugamano sulla testa, che
sentii
una voce provenire dal salotto. Mi bloccai all’istante e mi voltai di
scatto:
la testa di Harry fece capolino dalla sua camera da letto. Aveva
un’espressione
interrogativa stampata in faccia: evidentemente la voce l’aveva sentita
anche
lui.
«Non
è la voce di Ron?» mi chiese.
Immediatamente
corremmo in salotto e vedemmo le teste di Ron e Ginny che galleggiavano
tra le
fiamme del caminetto.
«Finalmente!»
esclamò Ron «Che fine avevate fatto?»
«Ci
stavamo lavando, sai com’è» lo prese in giro Harry «Si può sapere
perché ci
state parlando dal camino? Perché non siete ancora a casa?»
Ginny
ridacchiò «Mamma ci ha implorati di restare qui a dormire. Sai com’è:
appena ha
visto un po’ di neve scendere dal cielo si è impuntata. E poi »
continuò,
indicando con un cenno del capo qualcosa dietro di sé « Al e Rose si
sono già
addormentati. Non mi va proprio di svegliarli, sono così pacifici»
Mi
fece l’occhiolino ed entrambe ridemmo: quante volte avevamo
sottolineato quanto
preferissimo i nostri figli quando dormivano. Sporcavano e facevano
rumore
molto di meno in quelle – rare –
occasioni.
«Papà
» mormorò James, la cui testolina fece capolino accanto a quella di Ron
e Ginny
« perché non sei qui con noi?»
La
mano di Ginny apparve dal nulla a scompigliargli i capelli rossissimi
«James,
te l’ho già spiegato: papà doveva lavorare»
Il
bambino annuì e si stropicciò gli occhi: stava morendo di sonno, ma il
desiderio di vedere Harry aveva avuto la meglio.
«James,
ti prometto che domani mattina ci vediamo. Adesso però vai a dormire»
gli disse
Harry, dolce.
James
annuì ancora e dopo aver augurato la buonanotte al padre, scomparve.
«Vado
anch’io» disse Ginny « sono distrutta. Ci sono anche Bill e George qui.
Dopo
averli visti giocare a Quidditch in giardino, James ha insistito per
provare
con la scopa giocattolo che un idiota a
caso gli ha regalato per Natale. Non avete idea di quanto ho urlato
oggi »
spiegò, lanciando un’occhiataccia a Ron.
Tanto
per la cronaca: l’idiota a caso era proprio lui.
Lei
ed Harry si salutarono e rimanemmo solamente io e Ron, a fissarci,
occhi negli
occhi.
«Come
sta Rose?» gli domandai. La mia bambina mi mancava tantissimo, non la
vedevo
sveglia da più di due giorni ed era insopportabile non poter ridere di
tutte le
sue smorfiette e delle sue espressioni sorprese ogni qual volta
scopriva
qualcosa di nuovo.
«Tutto
bene, Hermione, stai tranquilla. Oggi ha provato la bacchetta magica
del suo
papà e...»
«Ron!»
«
... ho tentato di spiegarle come fare una fattura a George, ma alla
fine è
riuscita solo a far uscire qualche scintilla»
«Ron!»
Rise
come un cretino «Hermione, sto scherzando! Non sono un idiota!»
Lo
guardai scettica e mi rispose con un’occhiata offesa. Dopo la nostra
guerra di
sguardi, si decise finalmente a parlare, il cretino.
«Vado
a metterla a letto: se non mi sbaglio, questi deliziosi vocalizzi non
provengono altro che da lei» mi spiegò con un sorriso.
Artigliai
con le unghie la stoffa del divano «Vi vorrei qui, Ron. Tutti e due»
Mi
sorrise e vidi le sue orecchie diventare rosse, come quando era
imbarazzato «Ti amo, Hermione»
Deglutii
«Anch’io»
Ci
salutammo così, con un sorriso ed un’occhiata ammiccante. Rimasi per un
attimo
imbambolata a fissare le fiamme del camino che si spegnevano e i rivoli
di fumo
che salivano in alto verso l’esterno.
Quando
mi voltai, vidi due piatti, accompagnati da relativi bicchieri e
posate,
planare sul tavolino basso alla mia destra.
Un
attimo dopo Harry comparve in salotto, in tenuta “cuoco di
casa”.
Reggeva
un grosso pentolone dal quale spuntava un grosso mestolo e indossava
guanti da
cucina con cuoricini incantati.
«Sei
uno splendore» ridacchiai, additandolo. Rise anche lui e dopo aver
posato la
pentola sul tavolino, mi mostrò i guanti.
«Ti
piacciono? Li ho trovati infondo ad un cassetto in cucina: dici che
appartenevano a mamma Black o si tratta di qualche folle acquisto di
Ginny o
Ron?»
«Non
saprei decisamente cosa sperare» risposi e lui annuii.
Mangiammo
velocemente, entrambi eravamo affamati dopo una giornata di lavoro,
chiacchierando del più e del meno.
Ad
un certo punto Harry si lasciò cadere all’indietro, contro il divano
che stava
alle sue spalle. Alzò pigramente la bacchetta e la puntò contro il
camino «Incendio!»
Subito
comparvero stupende fiamme danzanti di un vivace arancione.
Mentre
spedivo i piatti sporchi in cucina con un incantesimo, ordinando loro
di
lavarsi da soli, Harry disse «Non mi sembra vero di avere una serata
tutta per
me, senza i bambini. Sono così stanco ultimamente, quando arrivo a casa
non
riesco nemmeno a godermeli perché l’unica cosa che voglio fare è
dormire»
Annuii
«A chi lo dici. Vorrei poter giocare un po’ con Rose o chiacchierare un
po’ con
Ron, ma il più delle volte, quando arrivo a casa, lei sta già dormendo
e lui è
ancora al lavoro» gli dissi «Vorrei tanto che questo problema dei tagli
si
sistemasse, la paga è ottima, ma non abbiamo più una vita»
«Già.
E anche Ginny è stressata. Quando giocava a Quidditch era sempre stanca
ma, per
lo meno, stava bene, era rilassata e anche più informa. Adesso mi
sembra che
stia ricoprendo un ruolo che non le appartiene»
Lo
guardai sgranando gli occhi e non credendo alle sue parole «Ti
riferisci ai
bambini?»
Harry
scosse il capo «No, affatto. Dico solo che stare tutto il giorno a casa
ad
occuparsi di loro la stanca. Vorrei poter fare qualcosa per aiutarla,
così
anche lei potrebbe staccare ogni tanto. Alla fine questa nostra
situazione si
sta ripercuotendo anche su di lei»
Compresi
in quel momento quanto Harry fosse generoso e altruista. L’avevo sempre
visto
come il ragazzino – poi uomo
– che aveva sconfitto Voldemort grazie al proprio coraggio
e che aveva sempre e disperatamente cercato una vita normale.
Non
l’avevo mai visto sotto questa luce.
«Oh,
Harry» mormorai, avvicinandomi a lui per scompigliargli i capelli «
quanto sei
dolce»
Mi
sorrise «E per me » continuò, interrompendo i miei pensieri « nemmeno
tu stai
bene, Hermione. Negli ultimi tempi sei dimagrita un sacco, parli di
meno – il
che non è decisamente da te – e anche Ginny dice che sei strana»
Lo
guardai attentamente, le ombre tremule degli oggetti in salotto che
danzavano
sul suo viso pallido di sonno.
«Strana
in che senso?» gli domandai e mi sentii crollare il mondo addosso.
Sì,
ero strana ultimamente. Perché per
quanto amassi mia figlia e mio marito, mi rendevo conto che gli anni ad
Hogwarts erano inesorabilmente finiti, che non ci sarebbero più state
avventure
da vivere al fianco dei miei amici, gli intrighi d’amore si erano
conclusi e le
giornate sarebbero diventate un semplice susseguirsi di momenti più o
meno
felici e di guai da risolvere.
Nulla di
più, nulla
di meno.
E
la vita vista come una monotona nenia assonnata, mi terrorizzava più di
quanto
mi avesse mai terrorizzato il pensiero della professoressa McGranitt
che mi
bocciava.
Harry
scrollò le spalle «Strana, intendo,
strana. Oh Hermione, insomma hai capito che intendo. Sai, penso che
dopo la
caduta di Voldemort avremmo dovuto farci un bel viaggio. Sì » ripeté
convinto,
davanti al mio sguardo confuso « una bella crociera rilassante per
cambiare un
po’ aria, almeno per qualche tempo»
Puntò
la bacchetta contro un vecchio armadio di legno «Accio Firewhisky»
La
serratura scattò e un anta traballante si spalancò. Subito una
bottiglia
contenente liquido scarlatto volò in direzione di Harry.
«Ne
vuoi un goccio?» mi domandò, con un occhiolino.
Scossi
il capo, sorridendo «No, grazie, credo proprio che non sia il ca... »
«Oh,
andiamo, Hermione! Per una volta non ti farà mica niente e poi non ci
dobbiamo
ubriacare. Solo un sorso. Non ci sono nemmeno i bambini a cui dare il
cattivo
esempio! E poi...» fece roteare la bottiglia alla luce del fuoco
«Guarda che
bel colore!»
Ridacchiai
«Ma cosa dici?»
Aggrottò
le sopracciglia «Credo che il Firewhisky abbia un colore
bellissimo, è intenso,
rilassante. Allora ne bevi un
bicchierino?»
Non
chiedetemi come, né tantomeno perché, ma accettai. Non ci ubriacammo,
se è
questo che volete sapere, alla fine bevemmo davvero solo un sorso di
Firewhisky, ma posso assicurarvi che bastò.
Lo
sentii scendere lungo la gola, lo sentii bruciare, lo sentii
riaccendere
qualcosa che era spento da tantissimo tempo.
Mi
sento infantile ad ammetterlo, ma per un momento pensai che stesse
riaccendendo
la mia vita che da troppo se ne stava in standby da qualche parte.
E
non chiedetemi perché, ma quando guardai Harry capii che stava provando
la
stessa sensazione.
Ci
fissammo intensamente per qualche istante.
Riuscii
a scorgere un lembo di fiamme dorate all’interno dei suoi occhi verde
smeraldo.
Un
istante incalcolabile dopo – forse giusto
il tempo che ci vuole per sentire un urlo e rendersi conto che chi lo
ha emesso
sei tu – ci stavamo baciando
Ci
stavamo baciando con passione, con foga, una bocca che sprofondava
nell’altra,
che aveva solo voglia di approfondire quello stesso bacio con l’altra,
che
aveva bisogno di bere e che trovava nell’altra acqua in abbondanza.
Le
mani di Harry su di me erano bollenti. La felpa larga che lui mi tolse
rivelò
che anche la pelle che nascondeva era bollente, come le mie gambe, il
suo
petto, le sue guance...
Ho
voluto precisare che nessuno dei due era ubriaco perché non voglio
trovare una
stupida scusa al nostro gesto. Non posso dare la colpa al Firewhisky, o al freddo, o alla stanchezza, se quella
notte feci l’amore con Harry.
E se lui
fece
l’amore con me.
Semplicemente,
è stato come guardare una persona che si ha avuto davanti agli occhi
per
tantissimo tempo e pensare. “È la mia
salvezza. Lo voglio, me lo prendo”.
Completamente
nuda, mi fece sdraiare di schiena sul tappeto e si stese su di me. Fu
sorprendente vedere come i nostri corpi si incastrassero tra loro alla
perfezione, come le mie gambe si allacciassero benissimo dietro la sua
schiena
e come lui sapesse esattamente come muoversi per farmi impazzire.
Tenemmo
entrambi gli occhi chiusi per tutto il tempo. Personalmente non volevo
vedere
la mia immagine riflessa nei suoi occhi. Non volevo vedere quello che
ero
diventata in quegli istanti. E penso che per lui fosse la stessa cosa.
Quando
tutto finì, rotolò al mio fianco e, nudi come vermi, rimanemmo per non
so
quanto tempo a fissare l’albero genealogico della famiglia Black.
Lessi
ogni singolo nome inciso sulla stoffa dell’arazzo, ma fu solo quando
arrivai a
quelli di “Molly Prewett” e “Arthur Weasley”
che cominciai a tremare.
Seguendo il filo logico che passava attraverso “Ron Weasley”
e “Ginny Weasley”,
lessi i nomi dei nostri figli.
James Sirius Potter.
Albus Severus Potter.
Rose
Weasley.
Mia
figlia e i miei nipoti.
«Harry»
mormorai, artigliando con le unghie il tappeto « loro
non dovranno mai saperne niente»
Non
rispose niente.
Lo
sentii semplicemente alzarsi in piedi e raccogliere i vestiti che io gli avevo strappato di dosso e che
sempre io avevo lanciato lontano,
troppo impaziente di sentirlo vicino – troppo vicino, per la barba di
Merlino!
– a me, come solo Ron lo era stato in tutta la mia vita, prima di lui.
What hurts the most
Was being so close
And having so much to say
And watching you walk away
And never knowing
What could have been
And not seeing that loving you
Is what I was tryin’ to do
Was being so close
And having so much to say
And watching you walk away
And never knowing
What could have been
And not seeing that loving you
Is what I was tryin’ to do
What hurts the
most – Rascal Flatts
Non
ne parlammo più. Più in tutta la vita,
intendo.
Una
settimana dopo il Ministero emanò un decreto con il quale annunciava
nuove
assunzioni. Il mondo magico accolse la notizia a braccia aperte e tutti
noi
tornammo in possesso delle nostre vite.
Ron
festeggiò la sospirata libertà in grande.
Nove
mesi dopo nacque Hugo. Un bambino
stupendo e vivace, che stravedeva per la sottoscritta e che dimostrava
altrettanta intelligenza – modestamente parlando.
Ma
la cosa che più distingueva il mio bambino da tutti gli altri suoi
cugini e da
sua sorella, era un’altra: era il primo Weasley a non avere i capelli
rossi, ma
nero corvino.
*
E
torniamo a noi, quindi.
Io
ed Harry, dodici anni fa, in una sera nevosa e fredda, finimmo per fare
l’amore. Senza logica e senza un perché. Forse così doveva andare e
basta.
Nessuno
ci ha mai scoperti e quindi io, da brava codarda quale sono, non mi
sono mai
dovuta prendere la responsabilità di dirlo a Ron. Non mi sono mai
dovuta subire
il suo silenzio attonito, le sue urla, le sue lacrime (che sicuramente
sarebbero scivolate come acido sotto le mie dita, nel tentativo di
asciugarle)
e la sua delusione.
Oh,
il pensiero di averlo deluso sarebbe stato impossibile da superare. No,
decisamente non ce l’avrei mai fatta.
Ma
chi pensa che per questo io abbia vissuto una vita felice e priva di
pensieri
si sbaglia, e di grosso anche.
Il
risultato del mio errore me lo sono ritrovata davanti agli occhi ogni
singolo
istante della mia vita: quando Hugo stava mettendo i dentini e si
calmava solo
se zio Harry lo prendeva in braccio;
quando Hugo diceva che sarebbe diventato il più grande Cercatore
del mondo, un giorno, perché quello era l’unico ruolo
divertente in una squadra di Quidditch; quando Hugo si cacciava in
duemila
pasticci a scuola e riusciva sempre a cavarsela perché, per tutti gli
insegnanti, aveva un non so che di
familiare.
Credo
che Harry sapesse, sono convinta che avvertisse anche lui quel legame
con Hugo,
suo figlio, la prova vivente del
nostro errore.
Come
d’altronde – e di questo ne sono certa – Hugo ha sempre saputo tutta la
verità
su Harry.
E
come avrebbe potuto non capirlo, dopo essersi sentito chiedere da
tutti, per
tutta la vita “Ah, un altro Weasley? Ma
dove sono i capelli rossi?”
Ma
il dolore più grande arrivava quando vedevo il faccino triste di Hugo
che
osservava i suoi cuginetti, James, Al e la piccola Lily, giocare con il
papà,
chiedendosi “perché loro sì e io no”.
A
quel punto Hugo andava a sedersi di fronte alla vetrina dove nonno
Arthur
teneva i superalcolici. Era capace di rimanere ore a fissare una vecchia bottiglia di Firewhisky che
era stata spostata lì da Grimmauld Place, quando ognuno era andato a
vivere a
casa propria.
E
quando, con voce tremante, gli chiedevo perché gli piacesse tanto, lui
mi
rispondeva soltanto «Mi piace il colore,
mamma, è intenso, mi fa passare i
brutti pensieri»
A
quel punto, di solito, andavo in camera mia a piangere.
Still Harder
Getting up, getting dressed, livin’ with this regret
But I know if I could do it over
I would trade give away all the words that I saved in my heart
That I left unspoken
Getting up, getting dressed, livin’ with this regret
But I know if I could do it over
I would trade give away all the words that I saved in my heart
That I left unspoken
What hurts the
most – Rascal Flatts
**************************************************
Ed
eccoci qui. Dopo aver concluso la rilettura di tutti e sette i libri di
Harry
Potter mi è venuta una nostalgia incredibile: mi mancavano loro, mi
mancava il
loro mondo e inventarmi nuove ed infinite vicende per Harry, Ron e
Hermione.
E
quindi sono tornata a scrivere di loro, con questa cosina così triste e
senza
senso, che fa parte di una serie di fan fiction su un’improbabile
relazione tra
Harry e Hermione che ho voglia di scrivere da tantissimi anni.
Può
capitare, no, di stancarsi della propria vita sempre uguale?
L’importante poi è
che a farne le spese non siano i bambini. Messaggio che tante persone
dovrebbero inculcarsi in testa!
Tornando
a noi, avevo anche una voglia matta di buttar giù qualcosa per
festeggiare i
sei anni che sono registrata su questo sito. Sono così felice di aver
trovato
quest’idea, che non voglio più smettere!
Voglio
quindi concludere le mie “Cioccolatini,
lividi e fiori” e “I sentieri sei
sogni spezzati”. Spero di trovare il tempo, perché con il lavoro e
la vita
privata che reclama di essere vissuta, sono a corto di attimi preziosi
da
dedicare alla scrittura.
Per
ora vi saluto, sperando, come sempre, di avervi trasmesso qualcosa con
le mie
parole.
Ah,
no, no! Non posso salutarvi senza prima avervi spiegato la scelta della
canzone, che negli ultimi tempi ho a dir poco consumato a furia di
ascoltarla,
che doveva essere destinata ad un’altra fiction, ma così è andata. E mi
sembrava troppo perfetta per questo frammento di vita di Hermione
che...
Insomma, mi ha ispirato una fiction pensata e scritta tutta oggi!
Adesso
sì che posso salutarvi.
Un’infinità
di baci a tutti
Gillywater