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Autore: Declino    21/01/2011    0 recensioni
Mi fermai troppo tempo ad osservare quel suo modo particolare di collegare il jack alla chitarra, con fare lento e preciso, faceva fare un giro all'indietro quasi per voler far notare che era amplificato al mondo. Saranno passati anche solo 30 secondi, ma per me, aveva descritto il suo modo di suonare in maniera rapida ma allo stesso tempo minuziosa e precisa.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. I - L'arrivo

"Nuova città, nuova vita."
Queste erano state le ultime parole di mio padre prima di passarmi saldamente l'ultima borsa. Erano parole fredde e distaccate, non le solite parole che un padre dice ad un figlio, ma dopo tutto come dargli torto.
Quel mio occhio violaceo mi dava l'aspetto del classico teppistello di periferia, se non fosse per la mia piccola statura e il mio corpo non proprio da "bullo". "Andrai a vivere da tua madre per un pò, giusto il tempo di farti passare quell'aria di strafottenza che hai in testa, e farti mettere le idee in chiaro!" aveva gridato la sera prima, davanti ad una tazza di thè oramai freddo. Lui amava il thè. Si fermava spesso e volentieri durante le sue permanenze a casa a sorseggiare thè con fare rilassato, come se fosse un antico Giapponese in uno dei loro strani riti. Me li ricordo bene quei momenti, non potevo far altro che aspettare e aspettare, sentire il ticchettio del metronomo scorrere, a volte lento e a volte veloce, ma sempre perfetto. Non potevo suonare in quei momenti, e mi faceva star male, il sol pensiero di non potermi esprimere anche se per una decina di minuti mi faceva venire il voltastomaco. Sempre le solite regole.
Ed ora mi ritrovavo qui, appena sceso dal treno, in una stazione come tante. Piccola anche se ben curata, con solo due binari. Scendendo le scale che portavano all'ingresso non potevo notare le scritte fatte da qualche ragazzino insoddisfatto durante, probabilmente, una calda sera d'estate. Dopo tutto papà e mamma non erano cosi diversi come credevano, entrambi amavano le città di periferia, caotiche nel loro piccolo, ma lontane dalla folle pazzia che regna sovrana nella grandi città.
Non avevo idea della reazione che avrei scatenato in mia madre, era davvero tanto che non la vedevo, eppure non era quello il primo pensiero che mi passava per la mente. Stavo ascoltando il mio fidato i-pod come ogni giorno, purtroppo sembrava quasi che solamente la musica sapesse darmi pace in questo mondo triste e cupo. Già la musica. A quello stavo pensando. Dopo essere sceso da quel treno, il rumore di quel motore vibrante si era via via affievolito e aveva lasciato spazio alla musica, ed io non potetti che fare a meno di notare che ero solo. Lontano dai miei amici, dalle mie conoscenze, ma soprattutto dalla mia batteria. I treni non lasciano spazio a “ingombranti” bagagli e l'idea di mio padre di separarmi da lei per farmi “crescere” mi avevano impedito di portarla con me. Chissà quanto sarà incazzato ora, nel notare che alcuni dei miei vestiti sono ancora la, nel cassetto, un po stropicciati come sempre, e che al loro posto ora, nel mio zaino c'erano almeno rullante e bacchette. Dopo tutto non potevo farne a meno. E senza accorgermene mi ritrovai, tamburellando le dita sopra la valigia, davanti alla porta di vetro della stazione, che automaticamente si aprì spalancando un mondo dietro di se.
Li ad attendermi c'era lei, la mamma. Dolce e premurosa anche nel vestire, con una semplice maglia nera in tinta con i suoi capelli e con un paio di jeans non proprio all'ultima moda. Era li, come me la ricordavo, e non appena mi vide, un sorriso le si aprì in volto ed iniziò a farmi cenno con la mano di avvicinarmi a lei. Non so perché non sono mai venuto da lei, al di fuori dell'estate, non posso dire che non mi abbia mai voluto bene, ma il pensiero di fare tutti quei chilometri per vederla, talvolta, mi faceva buttar via l'idea.
Appena fui abbastanza vicino per essere alla sua portata mi strinse in abbraccio talmente forse, che i colpi presi qualche giorno prima ne risentirono.
“Cos'hai fatto? Perché quell'occhio nero?? Tuo padre non mi ha spiegato niente al telefono, ha detto di chiedere a te...sembra abbastanza incazzato a dire il vero...” sempre dolce era quando parlava di lui, anche dopo il divorzio.
“Niente...a scuola ho litigato con un mio compagno di classe, e siamo arrivati alle mani..quella testa di cazzo...”
“Iniziamo moderando i termini!!”
“Si scusa, hai ragione...dicevo, quel ragazzo poco intelligente ha alzato le mani per stupida gelosia, per fare il figo davanti alla classe, e io ero il bersaglio giusto..nulla di grave ti ripeto...”
“Non sembra nulla di grave...tuo padre ha detto che era già qualche mese che i tuoi voti erano calati e che non facevi altro che suonare e venire a casa con nuovi lividi!”
“No si sbaglia, le mani non le ho mai alzate...per i voti...è stato un periodo difficile...”
“Ti ha mollato la ragazza??”
“Ad avercela...”
“E allora che è successo?? Ancora problemi con la band? Con gli amici?”
“...già...la band si è definitivamente sciolta...e gli amici...beh...preferisco non parlarne...”
Senza rendermene conto, ero già arrivato alla sua macchina. Una normalissima fiat punto, grigia, come quasi metà delle macchine presenti sulle strade. Lei mi precedette ed inserì la chiave nel vano del baule, lo aprì e mi prese valigia e zaino.
“Mmm...secondo me qua non ci sono solo vestiti” disse prendendo lo zaino contenente il rullante e le bacchette “secondo me tuo padre non era d'accordo con questa cosa..”
“No non lo era. Ma non potevo lascialo a prendere polvere.” dissi cercando di fare il più falso sorriso innocente della mia vita.
“Vabbene dai...sali in macchina, faremo finta di niente in caso tuo padre noti la sparizione”
Il viaggio fu uno dei più lunghi di sempre, anche se dalla stazione a casa sua non c'era troppa strada. Mia madre abitava in campagna, nella periferia della periferia con il suo nuovo compagno. Un tipo a posto di nome Frank, un dirigente di banca o qualcosa del genere. Non si lamentava mai del rumore che potevo procurargli in casa, anzi, essendo stato un chitarrista nella sua adolescenza, adorava parlare ore e ore di musica, anche se i suoi gusti erano un po' antichi. “Mattia! Che piacere rivederti!!” non feci nemmeno in tempo a mettere piede fuori dalla macchina che la portiera mi si aprì da sola, tirata dallo stesso Frank che a quanto pare, era a casa da lavoro quel giorno.
“Spero che il viaggio sia andato tutto bene!” disse sorridendo “avrai sicuramente fame, vado a preparare la cena!”. Che uomo strano. Amava fare da mangiare e lavorare. Uno degli uomini più strani che conosco. Non sono certo un tipo che ama parlare molto, anzi, preferisco ascoltare spesso, e quella sera a cena non feci altro che ascoltare i loro discorsi da coppia quasi sposata, il lavoro di lui che andava a gonfie vele e quello di lei che procedeva tra alti e bassi. Dopo tutto, la maglieria è sempre stata un settore potente dalle parti di mia madre.
Si fece presto buoi e Frank si offrì di accompagnarmi alla mia stanza con i bagagli. Nell'entrare nella stanza, notai che vi era molto più freddo che d'estate. I muri erano un po spogli, ma abbelliti da Frank che qualche anno prima, nel vano tentativo di piacermi, appese tutti i poste della sua adolescenza e non solo. Black Sabbath, Iron Maiden, Kiss, Queen e molti altri ora mi guardavano dall'alto delle loro locandine imponenti. Bella. Quella stanza si che era bella. Dopo tutto ci aveva preso Frank, nel tappezzarla con poster di varie band.
“Il rullante lo puoi mettere qui” disse distogliendo la mia mente da quel paradiso musica e concentrando tutta la mia attenzione su un vecchio tripiede scassato e un po troppo pieno di polvere.
“Lo so...l'aspetto non è dei migliori, ma qualche mese fa pulendo il soffitto ho ritrovato alcuni oggetti che usavamo da giovani, e questo l'ho tenuto qua nell'eventualità portassi, prima o poi, con te un pezzo della tua donna” disse scherzoso e orgoglioso di avermi lasciato con uno sguardo attonito e mezzo scemo “ovviamente lo potrai usare solo di giorno, quando tornerai da scuola, di sera i vicini non vogliono troppo casino...”
“Scuola?”
“Si scuola...non avrai pensato di venire qui in vacanza spero...”
“cazz...” a dire il vero, alla scuola proprio non avevo pensato.
“Noto che avevi pensato proprio così. Beh riposati bene, domani si inizia nella nuova scuola...tua madre prima di passare in stazione è andata a controllare se era tutto a posto per il trasferimento...finirai l'anno qui a quanto pare” ancora un sorriso soddisfatto.
Probabilmente a Frank sarebbe piaciuto avere bambini, a giudicare dalle attenzioni che mi dava.
“Ah un altra cosa” disse mentre stava uscendo dalla porta “Come noterai, di fianco all'armadio c'è la mia prima donna...trattala con cura e non farle male” e scoppiò a ridere chiudendosi la porta dietro di se e lasciandomi solo. Non riuscì a frenare la mia fottuta voglia di scoprire com'era la tanto citata chitarra di Frank, e rimasi abbastanza deluso da quel che vidi. Era una Gibson nera, non so di quale annata o di quale modello. Usata fino all'osso, le corde sembravano gridare pietà per essere cambiate. Non mi aveva nemmeno lasciato l'amplificatore. Mi tolsi il cappello e lo lanciai sulla scrivania. La stanza non era troppo grande, ma devo dire che c'era tutto. Vi era una piccola scrivania davanti ad una finestra, un armadio spoglio su un lato, e dall'altro il mio letto singolo. Era abbastanza larga da potersi sdraiare sul pavimento freddo e cupo, coperto da un antico tappeto persiano, probabilmente anch'esso proveniente dalla soffitta ripulita da Frank.
“Chissà come sarà domani” mi dissi prendendo dallo zaino ancora da disfare il rullante ed appoggiandolo sul tripiede. Poi presi bacchette e chiavi e appoggiai tutto sulla scrivania.
“Il resto lo disfo domani..” mi dissi lanciandomi sul letto con una piccola agenda ed una biro. Aprendola notai varie note scritte un po qua e la, vari spartiti, pezzi di canzone o semplicemente, pezzi di pensieri che nei momenti tristi mi sono soffermato a scrivere. Era un tuffo al cuore ogni volta che vedevo quegli scritti.
Scrissi per qualche minuto e poi pian piano, mi ritrovai a dormire, ancora vestito e con la biro in mano. Attendendo il nuovo giorno, e sperando che non fosse come l'ultimo.

   
 
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