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Autore: SakiJune    22/01/2011    1 recensioni
In "Fly Little Wagtail" avevamo lasciato Clarissant risvegliata ad una nuova vita e ad un nuovo amore. Qui ritroveremo Bedivere, Lucan, Amren ed Eneuawc; conosceremo Elyan e quel bacchettone di suo padre Bors, Garanwyn e le sue canzoni. E con i loro occhi vedremo il mondo disfarsi, la gloria farsi vergogna, la realtà vacillare."Guardando i propri figli inginocchiati davanti al re, mentre pronunciavano il loro giuramento, Bors e Bedivere sorridevano. Ma non confondete, ecco, questi due sorrisi, badate. L'uno significava dominio, orgoglio, sollievo; l'altro tenerezza, partecipazione, amore."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedivere
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Itonje reloaded'
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Ci è voluto più tempo di quanto pensassi, ma sono felice di aver concluso anche questo capitolo. Mi soddisfa e spero che troverete in queste scene ciò che volevo trasmettere.
Nel caso che non fosse chiaro, la madre di Melehan era la sorella della regina Ginevra.
E sì, ero stufa di non far fare mai niente a Elyan. Ok, lui rappresenta il bello inutile, ma fino ad un certo punto XD Ehm, chi indovina quale sarà l'oggetto magico da recuperare?





Le torce del corridoio erano spente. Strappate dai muri, in verità. E trovarsi finalmente nell'atrio un poco più illuminato, ad un passo dalla salvezza, non fu affatto un sollievo: inciampò e si ritrovò davanti all'orrore. La moglie del siniscalco di Estangore, la donna che, in tutta la sua vita, più si era avvicinata alla figura di una madre, che gli aveva guarito le ginocchia sbucciate e le punture d'ape a buffetti sulle guance e brontolii affettuosi, stava adesso immersa nel proprio sangue, con la faccia divisa a metà da un colpo di spada. Garanwyn emise un gemito, uno solo, prima di rialzarsi e traballare verso il portone. Ma Melehan l'aveva raggiunto, coprendo l'uscita a braccia tese. Il ghigno non si era ancora dissolto, come se gli fosse stato dipinto, o scolpito nei lineamenti. Garanwyn voltò direzione e scomparve nelle tenebre di un altro corridoio, senza voltarsi a guardare se l'altro avesse ricominciato a inseguirlo: non ve n'era bisogno, perché udiva i passi e le grida di scherno avvicinarsi sempre di più.
Sapeva dove stava andando, per fortuna, ma quello che non poteva prevedere era se sarebbe riuscito a raggiungere l'uscita dalla parte delle cucine prima che Melehan lo raggiungesse. E sapeva dov'erano i gradini, ma la spada era pesante e lo sbilanciò facendolo ruzzolare. Sbatté il viso contro le pietre del pavimento. Gli colava sangue dalla fronte e dal naso, e la caduta l'aveva stordito quel tanto che bastava per impedirgli di rimettersi in piedi in tempo utile. E doveva essere grato di non essersi infilzato da solo con la lama, quella sì che sarebbe stata una bella scena per il suo nemico.
Ma perché non gli era già addosso?
Perché se ne stava in cima alla scala, senza più ridere?

Almeno in principio, Melehan non aveva nessuna fretta di raggiungerlo. Come gli succedeva sempre quando andava a caccia, inseguire la preda lo divertiva molto più che catturarla. Era stato così anche quando aveva deciso di uccidere il figlio di Sir Bedivere, per un capriccio orgoglioso che si era radicato via via nella sua mente fino a diventare lo scopo della sua esistenza. Quella sensazione era incommensurabile; ciò che precede l'apice del piacere fisico e lo supera in aspettativa. Ma ad un certo punto si era fatto impaziente, ed allora erano ricominciati allucinazioni e ricordi.

Sei nel giusto, figliolo. Qualsiasi cosa tu faccia, sei mio, non suo.
Sbagli comunque, stai fermo e taci.
Dio non perdona e non dimentica. Tuo padre dovrà renderGli conto delle sue azioni.
Non c'è nulla e nessuno che possa giudicarmi. Se vincerò, avrò avuto ragione.

Quale delle due voci era più forte dentro di lui? Quella di Guinevak o quella di Mordred? Entrambi erano morti, l'una di angosce e maltrattamenti, l'altro d'una lancia nel petto. Ma dentro di lui avevano volontà proprie e più che mai forti, che lottavano per dominare la sua mente.
I pregiudizi verso i sentimenti altrui.
La chiusura verso i sentimenti in generale.
L'incapacità di perdonare.
Il desiderio di essere perdonato.
Il terrore del giudizio divino.
Il terrore del giudizio di suo padre.
Il desiderio che suo padre fosse sconfitto e umiliato.
La sensazione d'inutilità estrema e convulsa, il cercare, nelle creature più deboli o diverse, vittime che appagassero la sua coscienza distorta.
Ma non era distorta anche la sua visuale del mondo? Era forse per questo che le pareti, ora, mentre correva parevano allontanarsi? E il soffitto raggiungere il cielo? E gli angoli schiacciarsi e dilatarsi?
Correva sul soffice nulla, e adesso su pietre infuocate, e adesso nel fango verdastro, e poi ancora tra le fronde spinose di improbabili arbusti, ed era tutto assolutamente plausibile. Lo accettava così come non aveva mai trovato nulla di strano nella nenia che lo cullava ogni notte. Cosa importava se il castello di Estangore si era trasformato in qualcos'altro? Qualunque cosa avesse a patire ora, tenere quel fringuellino in pugno, sentire le ossa della sua gola scricchiolare sotto le dita, ah, sarebbe stata una ricompensa senza pari. Perciò andava avanti, avanti, avanti.
E dopo?
Non ci sarebbe stato un dopo, comunque. Non se esisteva un ordine nell'universo.
Tornarono i muri, le dorature, i pavimenti e le porte. Ma ancora non erano a misura d'uomo, ancora sentiva i propri passi affondare in una materia che non era terrena.
Come avrete compreso, era la magia di Avalon ad alterare così stranamente le sue percezioni. Claire aveva il potere di creare le illusioni, ma non sarebbe riuscita a mantenerle a lungo, né a renderle credibili al pari della realtà, senza l'aiuto di Eneuawc. La parentela, per quanto detestata, tra la fanciulla e l'assassino tenne aperto il contatto tra i due mondi, penetrando in profondità nella mente di quest'ultimo. Elyan, infine, aggiunse la forza di volontà che solo dal suo cuore poteva scaturire: il desiderio di salvare a tutti i costi l'amico della sua infanzia.

Melehan si fermò sull'orlo dell'abisso. Garanwyn era là in fondo, che lo sfidava a raggiungerlo,
(in fondo a quei tre gradini di pietra, sanguinante e stupefatto)
ed era una cosa deforme da schiacciare, schiacciare, schiacciare. Tutto il mondo era deforme e inutile...
Nella sua testa rimbombava una marcia di soldati. Schiere e schiere stavano per circondarlo. Li indovinava, li sentiva stringerglisi attorno, ma quando si voltò la scena era cambiata ancora-

Mille candele accese. La calda luce misericordiosa. Era in una cappella dall'altare immenso, e una croce d'oro e rubini, ma soprattutto luce, luce da respirare. Avanzò istupidito verso la donna china in preghiera davanti all'altare. Anche lei era d'oro. Le chiome bionde risplendevano di vita, le mani giunte erano candide e delicate. In silenzio lo chiamava, lo invitava ad inginocchiarsi accanto a lei. Per Melehan fu come tornare bambino - le sorrise trasognato, strinse quelle mani belle e odorose di fiori e se le portò alle labbra.
- Non voltare le spalle al Signore, bambino mio - lo ammonì lei. - La sua voce pareva giungere dalle profondità di caverne infestate di spettri. Guinevak, figlia di Leodegrance, smise di brillare e mostrò il suo vero volto, quello del terrore. Si spense davanti ai suoi occhi così come le era successo in vita, trascinando nella fede gli ultimi resti della sua capacità di amare, prima che Mordred la distruggesse completamente. I capelli persero lucentezza fino a rassomigliare a ragnatele, il volto si fece grigiastro e incavato, le mani che baciava erano quelle di uno scheletro. Sussultò, cadendo all'indietro. Aveva visto in quella faccia ben più che la sembianza di sua madre; tutti coloro che lui, Melou e suo padre avevano ucciso, violentato o anche solo insultato - erano tutti là, lo avevano fissato nel medesimo istante!
Ma ora non c'era più nessuno. Di qualunque stregoneria si trattasse, era finita.
Anche la stanza si era spenta, rivelandosi nel grigiore per ciò che era davvero: un luogo sconsacrato, abbandonato da molto tempo. Solo un segno sul muro rivelava che un tempo vi era stato appeso un crocefisso, e la polvere copriva ogni cosa. L'odore di muffa penetrava nei polmoni, scuoteva lo stomaco in una morsa viscida.
Ed era solo.
Forse.


I cavalieri di Cornovaglia non si trovarono di fronte a un bello spettacolo. Ma un paio di dozzine di morti non erano nulla in confronto allo scempio di Camlann, a ben guardare; e anche se avessero avuto qualche titubanza, non potevano comunque disobbedire agli ordini. Trovarono alcuni di quei balordi mentre caricavano i cavalli di monete, gemme e coppe preziose; altri nell'armeria, altri ancora a ronfare in qualche angolo, dopo aver vomitato le ultime porzioni del banchetto. Finirono tutti in catene, mentre Sir Constantine malediceva se stesso per essere arrivato troppo tardi.
- Non avete nulla da rimproverarvi, signore - gli dissero - È già molto aver seguito le loro tracce in tempo per acciuffarli...
- In tempo? Non ha già fatto troppo, quell'essere diabolico? E perché non l'avete trovato? Non m'interessa dei pesci piccoli, io voglio lui! Trovate Sir Melehan!
Ma il destino volle che, prima che potesse fare o dire altro, uno dei prigionieri si decidesse a parlare.
- L'abbiamo lasciato con il fringuellino. Il ragazzo, quello che cantava. Diceva che avevano un conto in sospeso, forse una bega dei tempi di Camelot. Noi volevamo solo divertirci...
I tempi di Camelot, quasi si trattasse di una leggenda dimenticata, pensò Constantine con un brivido.
- Farai meglio a dirmi dov'è adesso. - Afferrò l'uomo per i capelli unti e gli alitò in faccia: - Se non mi porti da Sir Melehan, ti farò pentire di aver deciso di seguirlo per monti e valli - e il suo cipiglio era un piccolo assaggio del re che sarebbe diventato. Quello si spaventò, ma per davvero non sapeva di più.
- Avete trovato un ragazzino? - chiese Constantine ai suoi uomini, imbarazzato dalla sua stessa domanda; ma no, non c'erano persone giovani tra i cadaveri ritrovati fino ad allora. Era una corte in disfacimento, una corte di vecchi.
Poi una porta cigolò.


"Perché ha smesso di inseguirmi?" si era chiesto Garanwyn, quando Melehan aveva smesso di fissarlo dall'alto di quei tre gradini
(dalla soglia dell'abisso)
e aveva seguito una visione dall'altro lato del corridoio.
- Perché è pazzo - mormorò a se stesso, convinto ma non soddisfatto.
Malvagio o folle, cosa vi era di diverso? Che le sue azioni facessero parte di un astuto piano o scaturissero dall'insensatezza assoluta, faceva forse differenza? Provare compassione avrebbe riportato in vita suo padre o... o Amren?
"Che venga. Che venga a farmi fuori, adesso. Non scapperò più."
Aveva sulle labbra il calore e il sapore del sangue che gli colava dal naso, e forse anche dalla fronte. Sapore di ferro. Ed era di ferro anche quella spada, e sapeva usarla quanto bastava per morire con dignità, non come un pulcino annegato in mezza spanna d'acqua.
"Non scapperò più... io... combatterò."


Ma i ruoli si erano ormai invertiti, e mentre la sua determinazione cresceva la furia del suo nemico si era trasformata in un vivo terrore. La visione di Lady Guinevak era sparita, ed era giunto il turno di Sir Mordred.
Sentiva la sua presenza dietro di sé, e quando si voltava c'era solo il buio. E bisbigliava, con una voce amara di delusione, ma poi tornava il silenzio. Quando finì per convincersi che si trattava semplicemente di un'altra allucinazione, qualcosa gli artigliò la nuca tirandolo all'indietro. Spalancò la bocca, mentre la mano gli correva al pugnale... e si fermava.

Non andrai da lei in Paradiso. E nemmeno ti conviene raggiungermi all'Inferno. Resta vivo finché riesci, perché non puoi immaginare come ti accoglierò.

Quella minaccia gli causò uno scoppio d'ilarità, e tanto forte da non accorgersi quando la stretta si dissolse. Si sentì rinascere; la lotta con suo padre non era finita, dopotutto, e c'era un solo modo per continuarla.
Il suo spirito di contraddizione lo spingeva verso la morte, quindi - ma era pur sempre un vile. E poi non riusciva a pensare al suicidio là, dove si trovava: poiché la luce era tornata. La croce dorata era di nuovo al suo posto e così l'altare splendente. Solo, dalla porta aperta entrava la nebbia, come fumo soffocante, come tenebra grigia. Voleva chiuderla, perché la luce non si sporcasse... ma da quella nebbia vide emergere una figura.

- Hai smesso di inseguirmi, assassino? Qualcosa di più interessante ha catturato la tua attenzione?
Era una domanda retorica, quella di Garanwyn, perché non c'era davvero nulla di interessante in quella stanza, solo polvere e panche di legno ammuffite.
Melehan guardò la spada che l'altro reggeva tra le mani. - Non qui - disse, - Non è proprio possibile...
- Forse che tu hai concesso a mio padre di stabilire il momento e il luogo? Forse che l'hai concesso ad... Amren? Lurido diavolo, sarà qui, sarà ORA! - Il viso sporco di sangue e lacrime, gli occhi chiari fissi nei suoi, brandiva l'arma come questa non avesse più peso. - Basta! Basta! Basta!
Colpì una volta, due, dieci. Melehan arretrò contro il muro. Gli ultimi affondi erano andati talmente in profondità da scalfire la pietra.
- Sei maledetto - boccheggiò il ferito. Un fiotto di sangue gli sgorgò dalla bocca, e altro ancora gli andava inzuppando gli abiti e la cotta di maglia. - Non capisci? Hai profanato un luogo sacro.
Garanwyn non vedeva ciò che lui vedeva, ovviamente:
- La sua vita era sacra per me. Vigliacco! Lui ti sfidò lealmente, ma tu sapevi di non poterlo battere...
- Era troppo presto. Mio padre doveva avere ancora... fiducia... dovevo distruggerlo! Sorprenderlo! Essere degno ai suoi occhi e poi colpirlo... alle spalle.
Garanwyn non gli chiese nulla. Non gli importava delle sue beghe familiari. A dirla tutta, non sentiva nemmeno la necessità impellente di finirlo. Esitò, stupefatto delle sensazioni che la vista di quell'agonia gli suscitava. Sensazioni intense: e non tutte sgradevoli.
- Sei maledetto comunque: concludi... quel che hai cominciato - implorò Melehan. - Sarai tu a seguire mio padre all'inferno... dopotutto...
- Finirò quel che tu hai cominciato - rispose Garanwyn.

- No! - gridò una voce. - Tocca a me! Spostati, ragazzo, ho giurato di ucciderlo e non fallirò!
La stanza si era riempita di soldati, e colui che aveva parlato pareva il più nobile di tutti loro. Ma Garanwyn non si scostò per lasciarlo passare, e per l'ultima volta trafisse il suo nemico con la spada di re Brandegoris. Poi, come se di colpo ne sentisse di nuovo la pesantezza, e la più lacerante stanchezza nelle membra, l'abbandonò a terra e scivolò in ginocchio.
L'uomo dal nobile aspetto ordinò ai soldati di seppellire il cadavere insieme agli altri trovati nel castello, ma non prima di avergli strappato tutti gli oggetti che portava indosso e che lo identificavano. Sembrava avere la ferma intenzione di prendersi il merito della sconfitta di Sir Melehan, ma di ciò Garanwyn non desiderava preoccuparsi. Solo, quando gli vide estrarre il pugnale dalla cintura del morto, sussurrò: - Fate attenzione, potrebbe essere avvelenato...
Fu questa frase, insieme alla consapevolezza che la promessa fatta al giovane Conn era piccola cosa rispetto al rancore che quel ragazzo doveva aver provato per il figlio di Mordred, a fargli considerare l'accaduto sotto la giusta luce: si era comportato da irresponsabile, abbandonando re Arthur; e per questo non aveva meritato nemmeno l'onore di vendicarlo.
Garanwyn si abbandonò tra le sue braccia come un bambino, e Constantine non lo respinse. Per un istante si era smarrito, aveva creduto di poter allontanare da sé la responsabilità che, come ultimo parente in vita del re, gli sarebbero piombate sul capo, ma ora si rendeva conto che c'era ancora speranza per la Britannia, una tenue ma invitante speranza. Strinse a sé quel corpo scosso dai singhiozzi, senza badare al sangue che lo imbrattava. Percepì l'angoscia di quell'innocenza perduta per sempre e formulò un nuovo giuramento, certo questa volta di mantenerlo.
"Sarai il primo cavaliere del mio regno, piccolo eroe".
I suoi occhi si posarono sul segno a forma di croce impresso nel muro. Iniziò a pregare.


- Oh madre, madre, come vi potrò mai ringraziare?
Elyan si era esaltato fin troppo nel partecipare alla magia che aveva salvato Garanwyn. Pur tornato alla realtà, aveva dimenticato che tutto ha un prezzo, ed che era così in quel mondo come nel suo.
L'aveva dimenticato perché quando ci si sente liberi non si pensa che non esiste libertà senza appartenenza; non esiste amore senza rispetto; e ciò che si chiede alle divinità va restituito, a volte con gli interessi.
- Segui il tuo destino, senza dubitare né esitare. Ti sembrerà che il fiato ti manchi, perché ciò che ti attende è più grande di quanto un uomo comune possa concepire, ma tu non sarai un uomo comune.
Elyan ascoltò. Vi erano tre imprese nel suo futuro, ed erano cosa diversa dall'uccidere un drago o affrontare un esercito nemico, ma ugualmente gli sembrarono ardue e dolorose da affrontare. Perché si trattava di prendere la sua volontà, i suoi desideri più urgenti, e scagliarli lontano da sé. Aveva creduto di essere diventato adulto il giorno della sua investitura, ma si era sbagliato di grosso. Nessuno diventava uomo a Camelot. Era il mondo a crescere i cavalieri, a temprarli, a far conoscere loro i propri limiti e superarli. Era adesso, il momento di crescere - ma quanto male faceva!
- Innanzitutto devi tornare da Sir Bors, e concedergli il tuo rispetto. Questo ti porterà a rivedere una persona che ti sei lasciato indietro, e a compiere la tua seconda missione: riportare qui un oggetto di grande potere, ch'ella custodisce. Non è stato forgiato per dimorare fuori dalla Britannia, e la sua lontananza indebolisce... l'equilibrio delle cose.
- Troverò ciò che volete, ma no, non potete chiedermi di rappacificarmi con mio padre, a che servirebbe? Se sono tanto importante come dite, perché dovrei curarmi di lui? Mi ha sempre e solo usato. Mi ha sempre disprezzato, perché disprezzava voi.
Claire corrugò la fronte: - Elyan! Credi forse ch'io l'abbia scelto per caso, o per il suo bell'aspetto, o per capriccio? La Dea mi ha mandata da lui. Lui doveva generarti, e nessun altro. L'unione della stirpe di Avalon con il sangue reale di Francia...
Non sono un errore. Non lo sono mai stato.
Elyan abbozzò un sorriso, che era solo una pallida immagine delle emozioni che provava, e la madre lo ricambiò, ma subito tornò seria e riprese a parlare. - La terza cosa sarà ancora meno facile, ma so che sarai abbastanza forte da comprenderla e da saper attendere.
- Attendere? Che dovrei attendere?
- Ebbene, hai intenzione di sposare Eneuawc, non è vero?
Lui assentì, con un brillìo negli occhi, lanciando uno sguardo verso la fanciulla che dormiva poco distante.
- Ma, spero, ti rendi conto ch'ella appartiene ancora ai suoi genitori, e non potrai farlo senza il loro consenso.
- Ma ciò non è solo difficile, è impossibile! No, non capite... - abbassò la voce. - Non mi perdoneranno mai! Una volta sono stato costretto ad abbandonarla, e già da allora non vogliono più sentir parlare di me; ma ciò che è accaduto a Camelot, il ruolo che ho avuto nel tragico salvataggio della regina... oh, io non la merito! Non la merito affatto!
- Questo è il passato.
Non v'è differenza, nel compiersi del destino, tra agire in modo stolto e cimentarsi in buone azioni che poi andranno sprecate. La regina Ginevra è stata infedele, ma non in quanto adultera; il suo tradimento è stato non scegliere l'Amore. Se fosse stata costante nel suo sentimento per Sir Lancelot, se non avesse lasciato che il senso di colpa lo soffocasse fino a trasformarlo nello spettro di un sentimento, sì, tutte le guerre del mondo avrebbero avuto giustificazione! Perciò non fare il suo errore, Elyan. Non chiudere il tuo cuore e prendi ciò che è tuo, ma al tempo e nel modo in cui sarà pronto per essere colto.
Elyan rimase colpito da quel punto di vista così differente dalla morale comune. Stava scoprendo molte sfumature di se stesso quella notte, nelle parole di quella donna misteriosa e quasi irreale - tanto che aveva l'istinto di allungare il braccio e toccarla, per assicurarsi che non fosse un sogno. Sì, avrebbe fatto tutto ciò che gli chiedeva. Si fidava di lei: meravigliosamente ella era sua madre, e sotto la luna di Avalon, quella luce magica che rendeva possibile anche l'impossibile, questo bastava.

   
 
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