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Autore: Roxe    25/01/2011    6 recensioni
Il dottore cercò di sostenere quello sguardo più a lungo possibile, rinunciando a chiedersi il perché di quella sfida non verbale, finchè non perse la battaglia ed abbassò gli occhi sulla sua tazza di tè, portandola alla bocca e sorseggiandone qualche goccia, nell’inutile tentativo di sembrare distratto.
- Vuoi sposarmi, John?

[ Pairing: Sherlock/John ] [ Pre-slash, Azione ]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimers: I personaggi da me trattati appartengono in primis a Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto la grazia d'inventarli alla fine del 1800, in secundis alla BBC ed ai suoi ottimi sceneggiatori che hanno deciso di riadattare l’originale in chiave moderna, in terzis (non so e se esiste) agli attori Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che hanno dato loro le fattezze e l’interpretazione che mi hanno ispirato questa storia.

 

 

Deduction IV

 

- Ci porti al Cetriolo! Il più in fretta possibile!

- Subito Sir! Conosco una scorciatoia che ci farà evitare il traffico! Con questa pioggia è da pazzi girare per Londra in auto!

John Watson si sistemò alla meno peggio sul sedile, aggiustandosi la giacca sulle spalle nel tentativo di darsi un contegno.
Del resto era appena saltato dentro il taxi in corsa, mentre Sherlock Holmes lo afferrava per il colletto tirandolo dentro all’ultimo momento.
Non c’era decisamente male come inizio di mattinata.
Dopo essersi concesso qualche istante per riprendersi e calmare il battito cardiaco ancora accelerato, si voltò verso l’amico.

- Non sarebbe stato meglio lasciar fare a loro?.. Dopotutto sono-…

- Naaah. Prima che riescano a coordinarsi e ad inviare qualcuno sul posto ne avremo già recuperate due di duchesse. E poi  se la trovo prima io potrò tirare un po’ sul prezzo.

Sherlock guardava fuori dal finestrino, apparentemente assorto.
La pioggia della mattina si era fatta più intensa. Batteva con insistenza sul tetto dell’auto, producendo un tenue crepitìo che avvolgeva l’abitacolo in un’atmosfera ovattata, quasi surreale, disegnando sul vetro fitti rivoli dalle mille diramazioni.
Al di là di quella superficie trasparente la città impazziva nel caos.
File interminabili di autovetture imbottigliate lungo le strade principali e secondarie paralizzavano l’intera circolazione, saturando l’aria con le urla monotone e prolungate dei loro clacson. Gli edicolanti si agitavano attorno al banco, stendendo teli di fortuna sulle riviste ormai rovinate. I venditori di ombrelli si appostavano sotto le tettoie più grandi, allungando le braccia cariche della loro preziosa merce verso i pochi temerari che si avventuravano a piedi lungo i marciapiedi, nell’inutile tentativo di ripararsi camminando a ridosso delle case.

- Dove hai messo l’ombrello John?

- Eh?... Oh.. Al diavolo quell’accidenti di ombrello! Ho perso la battaglia!

Sherlock si girò verso di lui, scrutandolo con stupore.

- Avevi ingaggiato una battaglia… con l’ombrello?

Watson distolse lo sguardo, rendendosi conto da solo dell’assurdità della cosa.

- P-più o meno… Senti! Mi vuoi spiegare come mai pensi che Lady-… che lei si trovi proprio alla 30 St Mary Axe?

- È semplice John.
Londra le appartiene. La sua famiglia è proprietaria del centro della città. Ne possiede, fisicamente e legalmente, 1.238.800 metri quadrati, che dà in affitto con un regolare contratto di locazione a chiunque desideri averne una parte. Sapendo solamente questo sarebbe stato impossibile riuscire a capire dove fosse. Ma in questa storia non c’è in ballo solo la famiglia del Duca di Westminster.
Nella città di Londra, quella città che appartiene a Viola Grosvenor, anche Howard Buffet è il proprietario di qualcosa. Di un edificio moderno, sfacciato e polemico, che ha cambiato il volto della city divenendone il nuovo, controverso simbolo. Nel 2009 Warren Buffet ha investito 2,6 miliardi di dollari nella compagnia proprietaria della torre, la SWISS Re Company, divenendone a tutti gli effetti coproprietario. Ed ecco il punto d’incontro! Il campo neutro! Il ponte tra antico e moderno, tra passato e futuro! Una famiglia dell’antica nobiltà inglese che si unisce in matrimonio con una famiglia d’industriali americani, capisci quello che sto dicendo? C’è un unico posto nel quale Viola Georgina Grosvenor può sentirsi in contatto con se stessa, la sua famiglia ed il suo passato, e allo stesso tempo sentirsi vicina all’uomo che sta per sposare ed al suo futuro.
Un solo luogo. Unico in tutta Londra. Unico al mondo.
Lei si trova al Gherkin.

Aveva ascoltato Holmes a bocca aperta, lo sguardo attento, la mente rapita dal suono di quella voce solitamente bassa e pacata che si accendeva d’intonazioni e sfumature ogni volta ch’era infiammata dalla potenza della sua mente.

Sentirlo parlare era impressionante sempre allo stesso modo.
Come la prima volta.

Sherlock si voltò nuovamente verso di lui.

E John gli sorrise.

 

- Tu sei… pazzesco…

 

Qualcosa d’indefinibile si mosse nello stomaco di Holmes mentre guardava quel sorriso.
Eppure se l’aspettava.
Era abituato a quelle espressioni colme di meraviglia, a quelle frasi cariche d’ammirazione e stupore che gli rivolgeva la gente, così noiosamente ripetitive.
Non c’era nulla d’insolito. Niente di straordinario.
Tornò a voltare la testa di lato, distogliendo lo sguardo da quello di Watson, certo che non si fosse accorto di quell’attimo indefinibile.

Per qualche ragione era diverso quando lo diceva lui.

- Sei davvero pazzesco.

Per qualche ragione…

 

- Eccoci arrivati signori! Più veloce della luce!

John si frugò in tasca ed allungò una banconota da 10 sterline al tassista.

- Grazie! Tenga pure il resto!

Sollevò poi il bavero della giacca sulla nuca ed aprì la portiera, pronto ad uscire, quando l’uomo si voltò verso di lui, fissandolo con espressione eccitata, mentre dalle sue labbra usciva una voce che avrebbe voluto essere un sussurro, ma per l’emozione era forte e scomposta.

- Ma voi cosa siete, una specie di agenti segreti? Tipo James Bond?! A me potete dirlo! Terrò la bocca chiusa!

Watson si bloccò sul sedile, cercando di ricapitolare mentalmente quanti segreti di stato avevano rivelato in quel taxi in dieci minuti di corsa, mentre la triste immagine di Lestrade mestamente raggomitolato in fondo ad una lunga, lunghissima lista di collocamento si materializzava davanti ai suoi occhi…

- No. Siamo attori di teatro. Stavamo ripassando la parte.

La voce di Sherlock non lasciò trasparire alcun tipo di emozione o esitazione.
John si voltò verso di lui, ancora una volta stupito dalla prontezza dei suoi riflessi.

- Davvero? Che figata! E cosa recitate?

- Il Frankenstein al National Theatre. Venga a vederci mi raccomando.

Mentre parlava Holmes tirò a sua volta l’ampio colletto del cappotto sopra la testa, e si lanciò poi fuori dalla macchina in direzione della SWISS Re Tower, sparendo in mezzo al diluvio universale.
Watson si affrettò a corrergli dietro.

Il tassista si sporse in avanti mentre li osservava svanire letteralmente dietro un muro d’acqua, allungando un braccio fuori dal finestrino del tutto incurante dell’incolumità della sua giacca.

- Verrò di sicuro!

 La sua voce sparì nello scroscio assordante della pioggia.

 

Sherlock Holmes e John Watson s’infilarono di corsa tra le grandi losanghe di metallo che incorniciavano l’ingresso del Gherkin, riparandosi sotto l’ampia tettoia. Entrambi abbassarono i colletti delle giacche e si scrollarono di dosso tutta l’acqua che si erano presi nel pur breve tragitto senza riparo.
Il dottore scosse la testa con forza, liberandosi dalle ultime gocce di pioggia, poi si guardò intorno.

Lo spiazzo coperto di fronte all’ingresso dell’edificio era pieno di gente, quasi tutta in cerca di riparo dal nubifragio che si stava abbattendo su Londra.
Un curioso concentrato eterogeneo di persone d’ogni età e nazione, che per  la maggior parte lanciava anatemi nelle più svariate lingue contro il meteo britannico. Una coppia d’impiegati in giacca e cravatta fumava la sua sigaretta, osservando il cielo nell’attesa di rientrare in ufficio dopo la piccola pausa.
John allungò lo sguardo oltre i vetri, scrutando all’interno dell’edificio, nella vana quanto assurda speranza d’intravedere l’oggetto delle loro ricerche.
A ben pensarci non aveva nessuna idea di come fosse fatta Lady Viola Grosvenor.
Sospirò, voltandosi verso Sherlock.

- Da dove iniziamo?

- Dall’unico posto in cui può essere.

Holmes si mosse verso le porte girevoli, seguito da Watson.
Entrò nell’edificio con passo fermo, ignorò gli ascensori e prese una scala laterale che li condusse lontano dalla zona più frequentata della torre.
Continuarono a camminare quasi in cerchio per circa cinque minuti, fino a che Sherlock si fermò di fronte ad una porta bianca, completamente anonima e ben mimetizzata nella parete altrettanto candida sulla quale si trovava. Prima di aprirla Holmes diede una rapida occhiata in giro, per assicurarsi che non ci fosse nessuno nei dintorni, poi tirò la maniglia ed entrò, tallonato da John.

Si ritrovarono in un piccolo disimpegno, largo poco più di un paio di metri.
Sul lato sinistro del pianerottolo si estendeva una scala molto semplice, anch’essa bianca, con brutte ma funzionali finiture in ferro grigio. Fin dalla prima occhiata l’ambiente si discostava smaccatamente dal lusso e dalla modernità del resto dell’edificio, a dimostrazione che erano appena entrati nelle scale di servizio, riservate unicamente ai casi d’emergenza. Un posto nel quale nessuno si sarebbe mai sognato di passare, se non per casi eccezionali.
O per nascondersi.
Sherlock alzò la testa, fissando attraverso la sottile fessura tra una rampa e l’altra un punto indefinito tra il sesto ed il ventisettesimo piano.

- Lei è qui.

Watson fece qualche passo in avanti ed alzò la testa a sua volta, tentando di sbirciare nella fenditura per poter quantificare l’altezza complessiva di quella scalinata.

- Fammi capire…

Tornò indietro lentamente, voltandosi con altrettanta lentezza verso Sherlock.

- Vuoi farti quarantuno piani a piedi?...

Holmes non rispose, limitandosi a fissare insistentemente la scalinata, come in attesa di qualcosa.

- Stai scherzando vero? Dimmi che stai scherzando…

John aspettò invano un qualsiasi cenno d’assenso, poi tornò ad alzare la testa, fissando con disperazione quella scala infinita.

- No, non stai scherzando… Sei serio…

- Ovviamente sono serio.

La risposta lo colse quasi impreparato, spingendolo a voltarsi nuovamente verso di lui.
Nello stesso istante Holmes fece la medesima cosa, posando i suoi occhi chiari in quelli di John, con un’espressione improvvisamente dura, quasi arrabbiata.

 

- E quando dico che sono serio. Sono serio.

 

Watson si paralizzò.
Gli occhi spalancati fissi in quelli di Sherlock.
Il respiro fermo in gola.
I polmoni stretti in una tenaglia. Ad ogni battito più serrata, più dolorosa.
Le pupille contratte fino a diventare due punte di spillo, nell’inutile tentativo di sottrarre luce agli occhi, che non riuscivano a smettere di guardare.
Dritto nei suoi.
Sempre più vicini.

O era solo un’impressione?

Sì, doveva esserlo.
Una specie d’illusione ottica.

Uno sbaglio.

Eppure…

 

TAP TAP TAP

L’inconfondibile rumore di una serie di passi rimbombò improvvisamente sopra la loro testa.
Entrambi alzarono di scatto lo sguardo, scorgendo un movimento appena percettibile svariati piani sopra di loro.
Sherlock si mosse verso la scala con cautela. Ogni muscolo del corpo teso a non produrre il benchè minimo suono.
Lentamente appoggiò il piede destro sul primo gradino.

 

- Lady Viola Georgina Grosvenor?

 

L’eco di quel nome rimbalzò tra una parete e l’altra della stretta ed altissima scalinata, perdendosi tra le pieghe del ferro e del cemento.

- Andate via per favore!

Una voce elegante, graziosa e fragile da diciottenne spaventata giunse loro dall’alto, seguita subito dopo da un suono di passi veloci e leggeri che si allontanavano rapidamente.

Holmes scattò in avanti, iniziando a salire di corsa la scala.
Watson gli fu subito dietro.

Primo Piano.

- È lei?

- Certo che è lei! Muoviti!

- Sarà almeno otto piani sopra di noi! Non riusciremo a raggiungerla! Forse dovremmo-…

Secondo Piano.

Quasi a volerlo smentire con i fatti Sherlock iniziò a saltare in corsa tre gradini alla volta, cosa che gli riusciva relativamente facile vista la lunghezza dei suoi arti inferiori.
Questo non valeva ovviamente per John, che fu costretto ad aumentare considerevolmente il ritmo dell’ascesa, mettendo a dura prova i muscoli delle sue gambe.

Terzo Piano.

- Si fermi Lady Viola! Non vogliamo farle del male! Siamo qui per conto di suo padre!

- Per favore… per favore andate via…

Parole affannate, rotte dal pianto. Quasi impercettibili.

Quarto Piano.

Watson e Holmes recuperavano terreno ad ogni passo, ma la distanza che li separava dalla ragazza era notevole, e lei continuava a salire, sebbene più lentamente di loro.
Le scale sempre più strette, ed i gradini sempre più alti.
La fatica iniziava a farsi sentire.

Quinto Piano.

Il fiato sempre più corto.
Le gambe indolenzite per lo sforzo rallentavano progressivamente la loro andatura. Ma entrambi continuavano ad inerpicarsi lungo quella scala interminabile, rampa dopo rampa, seguendo quei passi incerti che si facevano ad ogni metro più vicini.

- Sherlock… La stiamo… solo spaventando…

Sesto Piano.

John tentò di proseguire la frase, ma i polmoni non glielo permisero.
Lo sforzo che stava facendo era di gran lunga superiore a quello di Holmes, che sembrava salire quelle scale con l’agilità di un gatto, quasi senza fatica, distanziandolo ad ogni falcata.

- Dobbiamo fermarla.

Settimo Piano.

La voce di Sherlock suonò appena alterata dall’affanno.
La sua andatura non accennava a rallentare, e il dottore ormai doveva aggrapparsi al mancorrente ed aiutarsi con la spinta delle braccia per poter mantenere il suo ritmo.

Ottavo Piano.

I quadricipiti urlavano silenziosamente, rilasciando acido lattico ad ogni gradino.
Le orecchie ronzavano, schiacciate dalla pressione sanguigna.
Le mani indolenzite riuscivano a stento a mantenere la presa.

Nono Piano.

La gola secca e la milza dolorante manifestavano il loro cocente disappunto per una pessima tecnica di respirazione.

Decimo Piano.

Il cuore pompava talmente forte da sfondarli il petto.

Undicesimo piano.

A metà della rampa Watson si fermò improvvisamente, ruotò su se stesso e facendo perno sul mancorrente si sdraiò lungo disteso sui gradini, in verticale, rovesciando la testa all’indietro e chiudendo gli occhi.

- Ok basta… Sto per morire… Mi fermo qui.

Non sentiva nemmeno gli spigoli dei gradini che premevano ad intervalli regolari sulla schiena e sulle gambe. Riusciva solo a percepire il refrigerio del contatto tra la superficie fresca delle scale e la sua pelle rovente e sudata.
Si concentrò sul battito frenetico del cuore, che gli rimbombava nelle orecchie fino ad assordarlo, rimbalzando nella gola fin quasi ad ostruirgli la trachea. Lasciò i polmoni espandersi fino a toccare la cassa toracica, nel tentativo di ossigenare quel poco che era rimasto dei suoi bronchi.
Il dolore alla milza peggiorava ad ogni respiro, costringendolo a premere con forza una mano sul fianco, nel tentativo di soffocarlo.

Non avvertì i passi di Holmes fermarsi sopra di lui e poi tornare indietro precipitosamente.
Rimase fermo, dolorante, con gli occhi chiusi, assordato dal frastuono nel suo petto, fino a quando sentì due dita premergli sulla gola, ed una mano afferrargli il polso con forza.

Aprì gli occhi e vide Sherlock chino sopra di lui.
Il volto umido di sudore.
Il respiro alterato.
Lo sguardo febbrile.
La bocca dischiusa per catturare l’aria ad intervalli secchi e regolari, nel tentativo di trattenere l’affanno accumulato in undici piani di salita.
Due dita frementi premute sul suo collo, incapaci di controllare il tremore.

Panico.

- Stai bene, John?

La voce uscì rotta dalla gola.
A causa del fiatone.
E non solo.
Le dita si strinsero sul polso, tastandone maldestramente l’interno nel tentativo di percepire il battito cardiaco.
Lo sguardo vagava sul volto di John, cercando una risposta che tardava ad arrivare.

- Per l’amor del cielo dimmi che stai bene!

Raccogliendo il poco fiato che aveva Watson riuscì a sollevare leggermente la testa, senza poter trattenere una smorfia di dolore causata da un’acuta fitta alla milza.

- S-sto bene… Non preoccuparti, sono solo-…

- Non stai avendo un infarto vero?...

John fissò stupito quegli occhi colmi di profonda, incontrollabile angoscia.

- Certo che no, io-…

- CI SERVE UN DOTTORE QUI!

L’urlo fu talmente forte da raggiungere il quarantunesimo piano e poi tornare indietro moltiplicato, continuando a lungo ad aleggiare nell’aria.

- Sono io un dottore! Ti dico che sto bene!

Watson tentò di alzarsi, ma Holmes gli strinse il braccio ancora più forte, bloccandolo vicino al suo petto.

- Sherlock, lasciami il polso.

Ma lui non sembrò ascoltarlo.
Si passò la mano libera tra i capelli. Tremolante. Convulsa.
Continuando a premere le dita sui tendini fin quasi a fargli male.
Il fiato sempre più corto, alterato.
La sua testa iniziò a ruotare a destra e a sinistra scompostamente, alla ricerca disperata di qualcosa cui aggrappare lo sguardo.

- Sherlock!

Watson urlò.
Allungò di scatto il braccio libero e gli afferrò il mento con la mano, costringendolo a guardarlo.
Fisso negli occhi.

- Calmati.

Il respiro di Holmes si fermò.
Di colpo.
Lo sguardo catturato da quello di John.
Le dita allentarono la pressione, pur senza liberare del tutto il polso dalla stretta.
Le membra si rilassarono.
Dagli occhi sparirono gradualmente il panico e la confusione.

Watson inspirò, lasciando andare la presa.
Adagio si lasciò ricadere all’indietro, tornando a posare la testa sul gradino, senza distogliere lo sguardo da quello di Sherlock.
Poi espirò.
Lentamente.

- C’è qualcosa che posso fare per convincerti che non sto avendo un infarto?

Sherlock continuava a fissarlo.
Nuovamente calmo.
Controllato.
Razionale.

Nuovamente Holmes.

- No.

Senza il minimo preavviso allungò la mano sul colletto di Watson, ed iniziò a sbottonargli la camicia.
Preso totalmente alla sprovvista John cercò ancora una volta di liberare il polso con un vigoroso strattone, mentre con l’altra mano tentava di fermare le dita di Sherlock che rapidamente sganciavano un bottone dietro l’altro, incuranti delle sue proteste.

- S-smettila! Sei impazzito?!...

Watson afferrò a sua volta il polso di Holmes, allontanando violentemente la sua mano dal petto, ormai quasi completamente scoperto.

- Piantala ti ho detto! Se non la smetti io!-...

 

- V-va tutto bene?...

 

Sherlock si bloccò, alzando lo sguardo nella direzione da cui proveniva quella voce.
John si limitò a rovesciare la testa all’indietro, trovandosi di fronte l’immagine ribaltata dell’esile figura che si affacciava cautamente dalla rampa superiore.

Scese timidamente sul pianerottolo e fu di fronte a loro.
A pochi metri da loro.
Undici gradini sopra di loro.

La biondissima. Ricchissima. Giovanissima.
Lady Viola Georgina Grosvenor.

Il volto delicato sporco del trucco da matrimonio ormai completamente scolato sulle guance a causa delle lacrime.
Un paio di jeans, scarpe da ginnastica ed un sobrio maglioncino di lana azzurro, che esaltava magnificamente la sua carnagione chiara, tipicamente inglese.
I capelli sciolti le ricadevano sulle spalle con grandi boccoli, unico residuo ancora pressoché intatto della sua acconciatura da cerimonia.

- Vi sentite male?... M-mi dispiace tanto… io-…

John lasciò la mano di Sherlock e tentò inutilmente di sollevarsi sull’unico braccio che aveva a disposizione, essendo l’altro ancora saldamente imprigionato tra le dita di Holmes.

- Non preoccupatevi Milady! Io sto benissimo! Il mio amico qui mi dava già per spacciato, ma-…

- Mi dispiace davvero tanto…

Le labbra rosate le s’incresparono verso il basso, iniziando a tremare visibilmente. Le sopracciglia chiare ed appena visibili si piegarono in una smorfia di dolore. Dai chiari occhi imbrattati di nero iniziarono a scenderle grosse lacrime silenziose.
Fino a quando scoppiò in un pianto dirotto.

Si sedette sul primo gradino della scalinata, prendendosi le ginocchia tra le mani e nascondendo la testa, mentre i singhiozzi la scuotevano da capo a piedi, facendola tremare come un fuscello.

- E voi... state bene?...

La timida domanda di Watson non ricevette altra risposta che una serie di gemiti soffocati.

Nessuno dei due uomini osò muoversi, per timore di spaventarla.
John sdraiato sui gradini col busto leggermente sollevato, il gomito piantato a terra, la testa rovesciata all’indietro.
Holmes inginocchiato al suo fianco, chino sopra di lui, il polso di Watson ancora stretto nella mano. Lo sguardo fisso sulla ragazza. Senza dire una parola.

Rimasero quasi un minuto in silenzio, ascoltando il pianto soffocato della giovanissima sposa, che sembrava ben lontana dall’aver esaurito tutte le sue lacrime.

Era lì da ore ormai.
Sola.
Infreddolita.
Spaventata.

No che non stava bene.
Sicuramente quello era il peggior giorno della sua giovane vita.
Ne sarebbero venuti altri, anche più duri, ma se qualcuno glielo avesse detto in quel momento, non ci avrebbe creduto.

- Perché siete fuggita?...

La voce di John era uscita da sola, a metà strada tra la curiosità ed il desiderio di conforto.
Osservava quel corpo gracile e delicato scosso dai tremiti, e non riusciva a pensare ad un modo per far cessare quel pianto.

L’immaginava in piedi all’ingresso della sua villa, con indosso quello splendido vestito, il velo leggero che le ricadeva sulle spalle, incorniciandole il volto assieme ai suoi splendidi boccoli biondi, mentre stringeva nervosamente il suo bouquet di gigli bianchi e rose pallide, passando il peso da un piede all’altro nel tentativo di alleviare il fastidio di quelle scarpe tanto belle ma così terribilmente strette.
E poi la vedeva sfilarsi quell’abito di dosso tra le lacrime, gettarlo in un cassonetto e correre a perdifiato in mezzo alla città, lontano da tutto, per rifugiarsi sui gradini di una scala di servizio, a piangere e piangere ancora, senza riuscire a fermarsi.

Forse non amava Howard Buffet.
Probabilmente era incinta di un altro, innamorata di un lattaio. O magari del postino.
Il matrimonio le era stato imposto dalla sua famiglia, che aveva pensato bene di cogliere l’occasione per imparentarsi con una delle famiglie più ricche del pianeta.
Ma lei all’ultimo momento si era ribellata.
Era fuggita.
Per riprendersi la sua libertà.

 

- Hai perso il bambino vero?

 

Watson abbassò lo sguardo su Sherlock, con gli occhi sbarrati dallo stupore.

- Lo hai perso e non lo hai ancora detto a nessuno.

Holmes fissava la ragazza senza espressione. Il suo volto non lasciava trasparire alcun tipo d’emozione o empatia.

Lady Viola smise improvvisamente di singhiozzare.
Rimase immobile con la testa tra le braccia, le gambe unite e le ginocchia serrate. Senza emettere più alcun suono. O fare il benchè minimo movimento.
Come una statua di sale.

Poi.
Appena percettibile.
Trapelò attraverso la stoffa la sua voce sottile, rassegnata, tesa nello sforzo di trattenere le lacrime.

- Adesso… Adesso n-non c’è più nessun motivo per sposarmi con Howard…

John inspirò con forza, spalancando gli occhi.
Fissò quel corpo raggomitolato sulle scale, così indifeso, nuovamente scosso da singhiozzi sommessi.

 

E sorrise.

 

- Ma voi ne siete innamorata?

Watson avvertì distintamente un lieve sussulto attraversare le dita di Holmes, ancora premute sulla sua pelle.

Lady Viola Georgina Grosvenor prese fiato.
Sollevò la testa dalle ginocchia, e fissò i suoi occhi grandi, chiari, in quelli di John.
Per qualche istante contemplò il suo sorriso, senza parlare.
Fino a quando riaffiorarono le lacrime. E lei tornò a nascondere il volto tra le braccia.

La risposta fu appena percettibile.

- Sì…

 

Watson sorrise ancora.

Dolcemente.

Uno di quei sorrisi che affiorano dall’anima solo quando per una volta è tutto chiaro, e semplice.
Quando la soluzione è ovvia.
E non c’è più niente di cui preoccuparsi.
Perché tutto andrà bene.

Tutto andrà come deve andare.

John chiuse gli occhi. Rilasciò tutto il peso del corpo all’indietro, rilassando ogni muscolo, e riempiendo i polmoni d’aria.

Mentre quel sorriso si allargava sul suo volto.

 

- E di quale altro motivo avete bisogno?

 

Sentì le dita di Sherlock stringersi intorno al suo polso.
Una strana pressione.
Forte e delicata allo stesso tempo.

Ma non si voltò verso di lui.
E non aprì gli occhi.

Tese l’orecchio in direzione della ragazza, e l’udì sollevare la testa.
La sentì sfregarsi gli occhi, mentre si asciugava le lacrime con un gesto deciso. Avvertì che si stava alzando lentamente, ed iniziava a scendere i gradini che li separavano, fino a quando non si fermò. Al suo fianco.
Inginocchiandosi accanto a lui.

- G-grazie…

Allora aprì gli occhi, fissandoli in quelli ancora umidi della graziosissima quartogenita del Duca di Wesminster.
Tentò di mettersi a sedere, ricambiando quello sguardo dispiaciuto, ma lei lo fermò con un gesto della mano.

- Oh no, state giù, vi prego! Mi dispiace di avervi arrecato tutto questo disturbo. Io-…

Lady Viola si passò nuovamente le mani sul volto, tentando con scarso successo di pulirlo dalle vistose sbavature di rimmel che le solcavano le guance.
La voce ancora incrinata dall’emozione, ma finalmente tranquilla.

- Accidenti… devo essere un mostro…

- Non dite sciocchezze!

John tentò ancora una volta di liberare il braccio dalla stretta di Sherlock per infilare la mano in tasca, ma si accorse subito che lui non aveva ancora nessuna intenzione di lasciarlo andare.
Si girò a guardarlo con aria seccata, e ricevendo in cambio un’occhiata innocente e stupita.
Con un sospiro rassegnato infilò rapidamente la mano libera nella tasca opposta dei pantaloni, tirandone fuori un fazzoletto bianco dalle sottili bordature azzurre. Poi sollevò completamente il busto da terra e si voltò verso la ragazza, porgendole il fazzoletto con un sorriso rassicurante.

- Siete bellissima invece.

Avvertì distintamente la presa di Sherlock sul suo polso farsi più serrata.
Quasi dolorosa.

Lady Viola arrossì impercettibilmente, nascondendo il viso dietro il fazzoletto e fissando John da dietro la stoffa chiara, con gli occhi che le brillavano di una strana luce.
Una luce nuova.

- Mi dispiace…

Abbassò il viso sul pezzo di stoffa, coprendosi la faccia.

- Mi dispiace davvero…

Senza nessun preavviso Lady Viola si lasciò cadere in avanti.
A testa bassa.
Appoggiò tutto il peso del corpo sul petto di Watson, che spalancò gli occhi, trattenendo il respiro.
Solo in quel momento, avvertendo il calore della ragazza direttamente sulla sua pelle nuda, si ricordò che aveva la camicia quasi completamente slacciata.

- Ah…

D’improvviso un dolore lancinante gli trafisse il braccio.
Talmente forte da farlo urlare.
John si morse il labbro.
Un gemito strozzato gli uscì tra i denti.

- Sherlock! Mi stai spezzando il polso!

Il volto contratto dal dorore si fissò in quello di Holmes.
Che ricambiò lo sguardo. Impassibile.
Le dita serrate attorno a quel polso con una morsa tanto stretta da sentire le ossa scricchiolare sotto la pressione dei polpastrelli.
Gli occhi colmi di un’ira fredda ed implacabile, sottili come fessure.
Puntati in quelli di John.

SBAM clang

TAP tap Tap TAP

- Da questa parte?
                    - Controllate anche qui!
     - Muovetevi!
                   - Voi di là! Agente Wise, lei di qua!

In quel momento dal fondo della scala giunsero una quantità di rumori, urla e voci che si accavallavano nell’evidente tentativo di produrre l’imitazione perfetta di una rivolta popolare, annuncio chiaro quanto chiassoso dell’entrata in scena di tutte le forze dell’ordine americane ed inglesi messe assieme, in un variopinto ed inefficiente caos.

Lady Viola Georgina Grosvenor alzò la testa, posando uno sguardo composto e sereno sul fondo della scala.

John Watson riprese a respirare, sentendo la presa allentarsi ed il sangue tornare gradualmente a scorrere nella sua mano.

Sherlock Holmes alzò gli occhi al cielo, emettendo un profondo sospiro.

- Era ora.

I suoi occhi vagarono verso l’alto, senza una meta, incontrando un inaspettato sprazzo d’azzurro che si affacciava da una piccola finestra situata a pochi metri dalle loro teste.

Un azzurro intenso.
Chiaro.

Senza nuvole.

 

 

- Ma guarda. Ha smesso di piovere.

 

 

 

 

 

Note:
1. Mi sono riservata la nota per questo capitolo nel caso qualcuno non avesse afferrato l’allusione di Holmes al cetriolo nel capitolo precedente, per mantenere un po’ di suspance… XD
Questo è un caso in cui la battuta funziona meglio in italiano che in inglese, perché qualunque britannico, e soprattutto qualunque londinese che si rispetti, quando gli viene nominato il Cetriolo, non pensa sicuramente ad una verdura, né a qualcosa di osceno, ma alla SWISS Re Tower, aka 30 St Mary Axe, aka The Gherkin (cetriolo –appunto- in inglese), il simpatico ed allusivo soprannome che le è stato affibbiato dal quotidiano The Guardian alla presentazione del progetto e poi adottato da tutta l'Inghilterra.
Il Cetriolo quindi altri non è che la torre di 42 piani alta 180 metri ideata da Norman Foster, che torreggia su Londra con la sua innegabile forma di supposta con calza a rete. Da quando è stata costruita ha caratterizzato fortemente lo skyline di Londra, divenendone uno dei simboli principali.
Tutto quello che Holmes racconta riguardo alla proprietà della torre corrisponde a verità. Così come tutto quello che dice sulle proprietà terriere della famiglia Grosvenor.
Corrispondono alla realtà anche i colori della scala di servizio della torre, peraltro (mancorrenti grigi e gradini bianchi)! XD Sempre che non l’abbiano ridipinta nel frattempo. **

2. Se volete vedere ‘Sherlock Holmes’ che recita il Frankenstein al National Theater di Londra potete andarci… perché ce lo troverete davvero! XD
Chissà, magari tra il pubblico incontrerete anche il tassista! **

3. La scena in cui Sherlock si preoccupa delle condizioni di John è una citazione quasi letterale da Arthur Conan Doyle in persona. Per la precisione ho ‘rubato’ la battuta dal racconto L’avventura dei tre Garrideb, in cui Watson viene ferito da un colpo di pistola, e Holmes pronuncia una frase quasi identica a quella usata da me: “ È ferito Watson? Per l’amor di Dio mi dica che non è ferito!”
Il seguito ovviamente è differente!XD Ma secondo me altrettanto carino. **
Ve lo riporto in inglese perché in italiano non rende:
“It was worth a wound—it was worth many wounds—to know the depth of loyalty and love which lay behind that cold mask.”
Sono peraltro ragionevolmente convinta che gli sceneggiatori della BBC si siano in parte ispirati alla stessa scena per realizzare lo scambio di battute finale in piscina.
Alla fine è uno dei nodi cruciali del rapporto Holmes/Watson nel lavoro di Doyle.
Nonché in assoluto il più slash… XD

4. Ringrazio per la terza ed ultima volta Lady Viola Georgina Grosvenor per la gentile (quanto involontaria) partecipazione! ><

  
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