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Autore: micho    27/01/2011    2 recensioni
Ricordate le squadre di Assassini sparse per il mondo di cui si accennava nelle emails di Brothethood? Mi è venuta voglia di parlare un po' di loro. E' un esperimento, non so cosa ne verrà fuori e neanche se riuscirò a proseguire.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GIULIA
 
Ricordo molto bene quella sera. Ne ricordo soprattutto la rabbia e la delusione, il sapore amaro del tradimento, l’odio per la mia stupida ingenuità, la paura e soprattutto quel misto di orrore e sollievo che aveva caratterizzato il nostro primo incontro. Ricordo delle mani rudi che mi stringevano le braccia, le risate di scherno dei ragazzi nel vicolo, i loro sguardi persi nel delirio di qualche sostanza, i loro fiati alcolici e l’espressione stravolta e colpevole di quello che credevo un amico e mi aveva attirata in quella trappola.
Bastardo. Traditore. Vigliacco. Mi hai trascinata qui come se fossi una vittima sacrificale. Cosa ottieni in cambio? Un po’ di roba gratis? Un posto a sedere sotto il tacco di Otis, che si fa chiamare capo, ma è solo un ragazzino come te e me? Un mostro bambino che estorce amicizie con la paura e la violenza che tutti sembrano così ansiosi di subire? Verme schifoso. Io non sono come tutti gli altri.
Ero riuscita a liberarmi la mano sinistra e a estrarre dalla tasca posteriore dei jeans il piccolo coltello a scatto che in segreto portavo sempre con me. Mi sarei difesa, non avevo nessuna intenzione di soccombere senza prima aver fatto male ad almeno uno di loro. Erano troppi, ma almeno uno avrebbe avuto un gran brutto ricordo di me, per la precisione quello che mi stringeva l’altro braccio.
-Troia!- aveva urlato infatti quando il coltellino gli si era piantato nella mano. La mia soddisfazione era durata solo un attimo, perché un manrovescio proveniente da chissà dove mi aveva scaraventata a terra facendomi sbattere la testa, ma era stato un attimo davvero esaltante.
Poi c’era stata confusione, come se qualcosa avesse momentaneamente distratto il branco. Dalla mia prospettiva un po’ annebbiata dal colpo avevo visto solo le ruote di un’auto che si fermava vicino, la portiera aprirsi, uno stivale posarsi sulla strada, poi due, l’orlo scuro di un cappotto e avevo sentito una voce maschile profonda e fredda dire:-Adesso la piantate. Subito.-
Parecchie risate e frasi provocatorie erano risuonate nel vicolo.
-Se no cosa fai, cazzone?-
-Vuoi divertirti anche tu?-
-Sei da solo, vattene, o ti diamo il tuo!-
Mentre cercavo di allontanarmi strisciando e con la testa che mi girava, avevo sentito la voce replicare:
-Temo per voi che stasera sarò io l’unico a divertirsi.-
C’era una calma glaciale nel suo tono, che mi aveva spaventato davvero, ma che pareva non avesse neanche scalfito la sicurezza incosciente dei miei assalitori.
-Testa di cazzo! Adesso vedi!- aveva urlato qualcuno.
Idioti. Avevo pensato chiudendo gli occhi.
Ero rimasta immobile con le mani sopra la testa mentre rumori sordi, respiri affannati, gemiti di dolore e scalpiccii frenetici riempivano lo spazio angusto del vicolo. Non avevo osato muovere un muscolo neanche quando il silenzio era tornato a farla da padrone e un suono di passi leggeri (quasi solo una vibrazione che si trasmetteva direttamente al mio orecchio appoggiato sul selciato) si era fatto vicino.
-Come stai?- aveva detto la voce che stentavo a riconoscere, tanto in quel momento si era fatta calda e venata di apprensione.
Mi ero sollevata a fatica, ritraendomi e puntando il coltello che ancora stringevo in mano, avevo sbattuto più volte le palpebre per schiarirmi la vista e mi ero trovata davanti un paio d’occhi grigi, un sorriso quasi invisibile e due mani coperte da guanti di pelle alzate in segno di resa.
-Mi fa male la testa.- avevo detto abbassando l’arma e facendo rientrare la lama.
-Bel coltello.- aveva commentato lui mentre il sorriso si allargava.
-Forza, in piedi.- si era alzato sfilandosi il guanto sinistro e mi porgeva la mano. L’avevo presa con un certo timore, perché malgrado quell’uomo mi avesse tirato fuori dai guai, non potevo certo fidarmi a priori di lui. Chi è? Perché l’ha fatto? Cosa vuole?
-Sono Alex. Ti trovavi in una bruttissima situazione e non ce l’avresti fatta da sola nonostante la buona volontà. E poi non sopporto i prepotenti. Vorrei solo portarti a casa.- aveva detto lui quasi leggendomi nel pensiero mentre mi aiutava ad alzarmi.
-Grazie di tutto, davvero.- avevo risposto nascondendo la sorpresa. -Ma vado da sola.-
Ora Alex è in piedi davanti a me, appoggiato al tavolo grezzo e ingombro di carte che è il centro nevralgico del nostro rifugio. Tiene le braccia conserte e ha la postura rilassata di un gatto. Elegante. E letale. Gli occhi grigi che spesso non sembrano fissarsi su niente, ma in realtà notano tutto, ora scandagliano il mio viso e quello degli altri tre ragazzi presenti nella stanza. C’è tensione nell’aria, ma non sembra toccarlo.
Colpi perentori alla porta rompono il silenzio. Tutti e quattro ci voltiamo lentamente in quella direzione e il gelo scende su di noi, azzerando ogni emozione.
Non c’è più spazio per l’incertezza, i dubbi, le domande e i ripensamenti. Non c’è più tempo per la paura e il rimpianto. Come tante altre volte un pensiero mi attraversa la mente. Forse dopo oggi non ci sarà più un futuro.
Loro sono qui.
E’ ora.
 
  
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