Un paio di NB prima di cominciare.
Questa fanfic si è classificata prima al contest “…Tra prima e dopo…” di °Banryu° & { Vampire _ . Bisognava scegliere una fra le molte festività elencate dalle giudici; a ogni festività era associata una coppia e un luogo. Inoltre, bisognava scegliere due prompt e una citazione, e ambientare il tutto in quel famoso (e maledetto xD) “buco” diciannove anni.
Pacchetto: Compleanno (…che in effetti come festività non appare, ma andate giù per capire perché!)
Pair: Percy/Hermione
Luogo: Amburgo
Prompts: anello, libro
Citazione: “Nel silenzio della notte, io ho scelto te” (Poesie, S. Lawrence).
I l l o g i c a l
Lei parlava, parlava, parlava, parlava.
E, dannazione, parlava, parlava, parlava.
L’uomo si portò una mano alla fronte, socchiudendo gli occhi e sbuffando; si sedette in maniera più composta e riordinò le carte davanti a lui (era davvero difficile stendere un rapporto preciso e puntiglioso con quella donna che parlava a quella velocità inumana), tentando di non badare al costante parlottio… ma era impossibile. Per carità; lui non era mai stato un tipo silenzioso o conciso, ma la parlantina di quella donna era allucinante. Non se la ricordava così tanto prolissa; in tutti quegli anni in cui l’aveva frequenta di rado doveva essere peggiorata, probabilmente.
Si sistemò i suoi spessi occhiali con fare molto simile a suo padre (come spesso lo canzonava George) e chiuse di nuovo brevemente gli occhi; e dopo un po’ tentò di ricordare mentalmente perché stesse facendo tutto quello, perché si trovasse proprio in quell’enorme città della Germania e perché, motivazione più inspiegabile di tutte, proprio con Hermione Grang–
«…E insomma, quel maleducato cafone di Willington mi ha detto che quella pratica da me sbrigata all’Ufficio Esteri per la Collocazione Tempestiva di Ogni Creatura Magica non era esatta! E con che modi s’è rivolto a me, una signora!, quel villano!» continuava lei, con fare incredulo, mentre era intenta ai fornelli e dava le spalle all’uomo. Questi aveva silenziosamente sbadigliato, prima di avvicinare a sé delle carte del Ministero e riprendere il suo solito ardore vitalistico nell’affrontare pratiche burocratiche.
«Mi stai ascoltando, Percy?!» sbottò poi Hermione, giratasi a verificare ciò che l’altro facesse; lui sorrise e annuì in modo molto convincente, aggiungendo uno squillante: «Ma certo!».
Lei, convintasi, sorrise brevemente e si rigirò, intenta a far cuocere un uovo sul tegamino.
«Non ho parole, davvero! E poi, l’altro giorno, Smithness m’ha chiesto quel favore -sì,
proprio quel John Smithness
che era stato raccomandato al posto mio!-, di sbrigargli una pratica del Dipartimento della Regolazione della Legge
Magica! Alchè, Percy, tu mi conosci come sono
fatta, eh, e gli ho risposto che…»
Hermione
continuò così per altri dieci minuti buoni, senza quasi
riprendere fiato; e, mentre lei parlava, parlava, parlava, la pazienza di Percy
Ignatius Weasley –di cui questi non era
mai stato un gran portatore- diminuì progressivamente, per avvicinarsi
quasi al limite consentito dalle sue sinapsi.
«E insomma,
ti stavo dicendo, il lavoro va benissimo, sono molto soddisfatta, anzi Charleston
mi ha ribadito più di una volta che molto probabilmente verrò prom… Ma dove vai, Percy?»
La donna si
girò verso l’uomo, mentre ancora le patate si cuocevano in forno;
notando che l’altro aveva indossato un impermeabile e che con tutta
evidenza si accingeva ad uscire, gli rivolse un’occhiata obliqua.
«Non mi dirai
che salti il pranzo, e che io sto preparando anche per te inutilmente,
vero?»
Percy non
poté non deglutire; quell’occhiataccia –che egli aveva
subìto, in poco meno di un giorno di forzata convivenza, una buona
dozzina di volte per motivi piuttosto futili–
gli ricordò fin troppo lo sguardo severo di sua madre.
Indietreggiò: quella donna sapeva essere spietata.
«Oh, no, no!
Faccio… semplicemente… una passeggiata. Tutto qui. Davvero,
Hermione» boccheggiò, sorridendo nervoso. Lei lo squadrò
ancora; non del tutto convinta, ma tuttavia non trovando nulla in contrario al
fatto che lui non mancasse a pranzo, ritornò ai suoi fornelli.
«Mh! Come vuoi.» replicò, atona.
Prendendo queste
come le prime belle parole che lei gli rivolgeva da quasi ventiquattro ore, lui
sorrise, borbottò un “Ci vediamo più tardi” e
aprì la porta. Fu solo dopo che ebbe sentito il tonfo dell’uscio che
si chiudeva dietro di lui (e un laconico commento “Uomini” proveniente
da dentro la casa) che tirò un sospiro di sollievo.
*
Nel giro delle
cinque ore successive, Percy era tornato dal suo (lunghissimo) giro, lei aveva
ricominciato a parlare, lui aveva continuato a sbuffare; i due avevano poi
mangiato, pronunciato qualche incantesimo per sparecchiare e lavare i piatti, e
s’erano riposati; in quel momento Hermione era intenta a stendere una
breve ma efficace relazione affidatale dal settore del Ministero in cui
lavorava -il Dipartimento della Regolazione e Controllo delle Creature
Magiche- circa l’utilità di una nuova legge che sancisse perlomeno
i diritti elementari agli Elfi Domestici. Percy aveva appena concluso la solita
mezz’ora di riposo dopo pranzo cui da sempre era abituato –quando
una volta Fred, tanto tempo prima, gli aveva fatto notare quanto quella
mezz’ora fosse una effettiva perdita di tempo per una mente tanto geniale
come la sua, lui aveva laconicamente risposto che “il riposo
prima di pranzo è d’argento, ma quello dopo pranzo è
d’oro”-; scivolò giù dal lettino, si stiracchiò
brevemente ed indossò i suoi soliti occhiali spessi. Respirò. Era
ora di iniziare ciò che avrebbe –molto a malincuore- dovuto
affrontare. Impugnò la relazione cui lavorava da molto, oramai, e si
diresse verso la cucina: lì trovo la ragazza. La guardò,
respirò ancora e disse, con fare molto gentile:
«Hermione,
vuoi un po’ di tè?»
Lei neanche si
girò, ma rimase totalmente persa in quelle righe e dietro la voluminosa
pila di libri.
«No, no,
Percy, grazie tante» rispose, educata e cortese, tuttavia piuttosto
sbrigativa.
Lui
s’accigliò; Hermione Granger non era davvero minimamente cambiata
dai tempi di Hogwarts. Era rimasta la solita ragazza
seria, ligia al dovere, brillante e sveglia; fra i tanti scolari sciocchi e
senza cervello che giravano a Hogwarts quando lui era
ai suoi ultimi anni, lei era sempre stata la ragazza che più gli
assomigliava e con cui più andava d’accordo. Ora che entrambi
lavoravano al Ministero non era cambiato niente; tutti e due amavano il proprio
lavoro e vi dedicavano tutto, e Percy poteva ben notarlo da come lei era
totalmente presa da quelle carte a cui lavorava.
Lui aveva la
massima stima di lei; tuttavia… negli ultimi tempi era come se fosse un
po’ turbata. Il fatto stesso che continuasse a parlare a macchinetta,
nonché i suoi modi nel trattarlo, spesso lo avevano fatto dubitare che
tutto andasse realmente bene nella vita privata di lei… e, di riflesso,
anche in quella di lui.
Percy sbuffò
ancora di più: ora come non mai era davvero evidente ciò che
avrebbe dovuto fare. Respirò ancora e si sedette… ma che razza di
guaio che gli era capitato…
«Eh… be’, insomma, Hermione, va tutto bene…?»
buttò là.
Ancora una volta
ella non alzò la testa cespugliosa ma si limitò a rispondere
inespressiva:
«Ma
sì, sì, Percy, si va avanti, va tutto bene.»
Pur non essendo uno
psicologo (anzi, essendo tutto l’opposto di uno psicologo), Percy, prima
che lei parlasse, aveva intuito che la risposta sarebbe stata proprio quella.
Deglutì di nuovo. Ma chi diavolo glielo faceva fare, Merlino…
«Bene,
bene…!» disse, in un modo gioiosamente forzato e del tutto
innaturale. «E… non lo so, c’è qualcosa di particolare
in questo periodo, che ne so…?» provò ancora.
La mano di lei, che
sembrava animata da un qualche incantesimo per quanto scriveva veloce, si
bloccò un attimo e poi riprese.
«No, no,
niente di che» mormorò la solita testa folta.
Lui iniziò a
sudare freddo. La tua famiglia, la tua famiglia, pensò.
«E… be’, come ti aspetti questo matrimonio?
Sarà bello, uhm?»
Ma stavolta era
davvero palese che Hermione aveva capito tutto. La sua mano si bloccò
ancora, e per la prima volta da quando quella (illogica) conversazione
era iniziata, alzò la testa e disse, secca:
«Va tutto
meravigliosamente, Percy, e se tu lo potessi dire anche a una certa
persona di tua conoscenza sarebbe davvero magnifico.»
La guardò
negli occhi scuri, diretto; rabbrividì. Altro che sua madre…
«Ma
sì, certo, anche se proprio non capisco a chi tu…»
«Oh,
com’è tardi!» lo interruppe lei, in un tono falso almeno
quanto quello di Percy che la supplicava di confidarsi con lui come una
ragazzina. «Devo proprio scappare, sai, devo andare a… provare il
vestito per domani, ecco» completò, incerta.
Detto ciò,
sorrise platealmente, riordinò le carte con un colpo di bacchetta, fece
lievitare i libri a mezz’aria e se ne andò.
Percy sbuffò
per l’ennesima volta, sapendo fin troppo bene che di certo non era la
prima, ma che –cosa ben più brutta- non sarebbe stata neanche
l’ultima di quella maledetta settimana.
*
[Una settimana
prima]
Percy Weasley
quella mattina s’era alzato di buona lena, soddisfatto di sé, e
aveva continuato a lavorare a quel famoso progetto cui stava dietro da un mese;
era veramente certo di aver fatto un ottimo lavoro. Gli rimaneva solamente da
analizzare l’ultimo punto della sua ricerca per l’Ufficio Esteri e
poi poteva inviare il tutto al Ministro –sì, il Ministro Shacklebolt in persona, proprio lui- tramite Hermes,
che già era in procinto di partire; la sua era una relazione perfetta,
eccellente, che analizzava punto per punto e in maniera dettagliata ciò
che l’ambasciatore della Germania aveva richiesto in un folle documento
circa la cooperazione fra mondo magico inglese e tedesco per un’eventuale
Coppa del Mondo del Quidditch nei pressi di Berlino; Weasley ne aveva dunque
sottolineato i punti deboli e aveva proposto un modo gentile ma ben rigoroso di
declinare la –insensata, a suo modestissimo parere- opinione di
quell’uomo.
Il ragazzo si
stiracchiò; sorridente, guardò ancora le dense pagine scritte in
maniera meticolosa, la sua accuratezza nei dettagli… adesso doveva
semplicemente spedirlo, riceverne gli elogi, e poi si sarebbe preoccupato di
quell’altra pratica richiesta addirittura dal Vice Ministro in
persona…
Bum!
Ma Percy ignorava
che tutto ciò non sarebbe stato così facile.
«Percy, devi
aiutarmi, per Merlino!»
Percy lanciò
un urlo; inevitabilmente i fogli appena scritti con tanta cura caddero a terra,
sparpagliandosi e mischiandosi; egli si guardò in giro, il petto
affannoso e il cuore in gola, per poi notare che nell’atrio di casa sua
si era appena Materializzato suo fratello Ron. Balzò in piedi, furioso, si
diresse da lui e borbottò:
«Che cosa
è successo, Ronald?!»
«Fammi
entrare, fammi entrare!» urlò l’altro, scansandolo ed
entrando nella cucina del fratello maggiore; quest’ultimo si
infastidì parecchio e guardò di traverso il di lui cappotto
scucito e la camicia fuori dai pantaloni. Sospirò e con un colpo di
bacchetta raccolse velocemente i fogli sparsi; commentò poi:
«Ma
sì, fai come se fossi a casa tu–»
«Percy,
Percy, è successo un disastro inimmaginabile!» lo
interruppe l’altro, a voce alta, boccheggiando, mentre si toglieva
sciarpa e cappello. Percy lo guardò: era teso e piuttosto pallido, e,
come avrebbe detto –o, come probabilmente aveva già detto-
sua madre, s’era sciupato moltissimo dall’ultima volta che
l’aveva visto, qualche settimana prima. Sbuffò.
«Che cosa hai
combinato, stavolta?» domandò, ostentando sufficienza.
Ma Ron era troppo
su di giri per capire l’evidentissimo fastidio che stava procurando al
fratello in quel momento; girava per la cucina, impaziente, e guardava il
fratello maggiore mentre si mordeva violentemente un labbro. Parlò dopo
un minuto di intensa riflessione, buttando all’aria ogni dignità.
«Tu… tu
ti occupi di relazioni internazionali, o roba simile, al Ministero,
vero?» iniziò, guardandolo di sottecchi.
Il petto di Percy
si gonfiò.
«Be’,
non è propriamente esatto. Io per ora mi occupo di Relazioni con
gli Uffici Internazionali e Cooperazione Magica dell’Ufficio Esteri
per…»
«Sì,
sì, ok, va bene, va bene» tagliò corto l’altro,
seccato, parlando velocissimo «quella roba lì. Ecco, Perce… ho bisogno di un tuo favore. Un favore enorme.
E tu… tu non puoi rifiutare. Ti prego.»
Il maggiore
guardò nuovamente il minore: aveva davvero un’aria penosa, in
effetti. Deglutì: sentiva puzza di guai. E con Ron, poi, i guai non
erano mai piccoli.
«Be’,
dimmi, per quanto mi sarà possibile cercherò di aiutarti, o,
insomma, di offrirti un valido sup…»
«Hermione
deve andare in Germania fra una settimana. Tu puoi accompagnarla?»
mormorò in un soffio Ron, guardandolo in tralice, serissimo. Percy
rimase perplesso qualche secondo, e poi domandò:
«Eh, be’, ehm… in Germania?»
«Sì,
sì, in Germania» ripeté spazientito l’altro,
continuando a mangiucchiarsi il labbro inferiore «allora, puoi o non
puoi? Starete là due o tre giorni, il tempo che quella roba
finisca e tornerete qui…»
Percy guardò
Ronald molto seriamente. Suo fratello minore –con cui non aveva mai avuto
un grande rapporto, tutt’altro- gli aveva appena chiesto di saltare il
lavoro (il lavoro, il suo sacrosanto lavoro) per tre giorni, durante i quali
avrebbe dovuto consegnare quel rapporto di fondamentale importanza al Ministro
della Magia in persona, ed andare con la fidanzata di lui in un posto
che attualmente odiava per la totale incapacità dell’ambasciatore
dell’Ufficio Esteri del Ministero tedesco nei confronti
dell’Onorevole Ministro della Magia?
«Stai
scherzando, Ron, o che cosa? Stai sperimentando una roba di quel maledetto
negozio di scherzi tuo e di George, per caso?!» disse poi, mentre le sue
labbra si curvavano in quello che doveva essere l’ombra di un sorriso
vagamente (molto, molto vagamente) ironico.
«Oh,
andiamo!» sbottò l’altro, ora completamente partito,
pestando un piede a terra e aggrottando furiosamente le sopracciglia «Ti
sto chiedendo un dannato favore, Percy! Non mi sognerei mai di chiedertelo se
non fossi nella più totale –passami il termine- merda, lo
sai, e sto strisciando da te per avere un po’ di sacrosanta
tranquillità nella mia vita!»
Il maggiore lo
guardò ancora, stavolta con un misto di pena e di boria. Sospirò
profondamente.
«E, be’, che cosa dovrei andare a fare io con Hermione in
Germania, eventualmente parlando?»
L’ombra di un
sorriso e di una vaga speranza aleggiò sul volto di Ron.
«Be’,
ecco… sarebbe ad Amburgo, eh, mercoledì prossimo… Hermione
ha un matrimonio, e, be’, io non posso
accompagnarla perché devo fare una roba con gli Auror…»
rispose lui, con un vago disgusto nella voce. «Ecco, tu dovresti, insomma,
andare con lei, e poi tornare qui. Semplice, no?»
Percy evitò
di fargli notare che anche lui aveva da fare del lavoro proprio
mercoledì, e per giunta del lavoro molto più serio e complicato
del suo; ma volle ascoltare ancora la folle richiesta.
«Un matrimonio…
di chi?»
Il viso di suo fratello
si rabbuiò del tutto, adesso.
«Di quel
brutto …» e qui, evidentemente, si trattenne dal dire
l’ennesima parolaccia «…di Viktor Krum,
volevo dire.»
«Ah. E, ehm,
chi sarebbe…?»
Ron alzò gli
occhi al cielo e sbuffò.
«E’
quel dannatissimo giocatore di Quidditch noto a livello mondiale, Percy!
E’ stato uno dei Campioni dei Maghi o come diavolo era, insieme a Harry,
al nostro quarto anno!»
Percy annuì;
ora ricordava quel ragazzo, allievo di quell’uomo tanto volgare che una
volta aveva osato rivolgersi in quel modo al Minist…
«Quell’idiota
s’è fidanzato, o ha trovato una tedesca cieca, o insomma è
accaduto un qualcosa per cui lui mercoledì prossimo si sposa con
questa qui! E ovviamente ha invitato Hermione, dannazione!»
E pestò un
piede a terra, furioso, quasi volesse sfogarsi col pavimento per l’enorme
disgrazia piovuta sul suo capo.
«E Hermione
cosa c’entra con lui? …E soprattutto, se tu non puoi andarci, non
può andarci da sola?» domandò ancora l’altro,
evidentemente in modo molto ingenuo.
Le orecchie di Ron
divennero rosse; questi si imbronciò ancora di più, gli
voltò le spalle e senza problemi si sbracò sulla sedia più
vicina, rabbioso.
«E’
proprio questo il punto, Percy» borbottò. «Io non
voglio che lei vada da sola.»
L’espressione
di Ron valeva più di mille parole, e le sue orecchie ne erano la prova
inconfutabile; e, sebbene Percy fosse la persona meno indicata al mondo per
questo tipo di situazioni, e nonostante lui non ci capisse davvero nulla, per
la prima volta da qualche tempo, si ritrovò a sorridere. Ron era
semplicemente geloso.
«Ok, ok, ho
capito…» mormorò poi con fare saggio, aggiustandosi i
pesanti occhiali e sedendosi a sua volta di fronte al fratello. Questi assunse
un’espressione nuova, più rilassata; e, boccheggiando, gli chiese:
«Davvero…?
Allora, allora, mi aiuterai…?!»
Con
l’espressione “ho capito”, in verità, il maggiore
voleva semplicemente dare un qualche consiglio al minore -concernente la
fiducia e la tranquillità che devono intercorrere in ogni coppia, e il
rispetto reciproco che da questi derivano, e la pace con cui Ron avrebbe
affrontato questo problema da niente, tutto sommato-; tuttavia, con
tutta evidenza Ron aveva frainteso. Percy rimase interdetto qualche secondo.
«Le diremo
che tu… che tu, che ne so, hai un lavoro da sbrigare proprio
all’Ufficio Esteri di Amburgo… e che ti dovrai incontrare con
l’ambasciatore tedesco che guarda caso sarà proprio a quel matrimonio,
cosa che in effetti è plausibile… non è perfetto?!»
esclamò Ron, con una strana luce negli occhi, mentre mostrava quanto
geniale fosse la sua idea. «Così andrete insieme, insomma… e
io, be’, io starò tranquillo…
ecco… Ho provato a chiedere a Harry, ma lui ha il mio stesso impegno
–è il mio capo, sai, brutta storia. Quello lì ha
invitato pure Bill e Fleur, ma devono badare a Victoire e al nuovo arrivato, George ha da fare al negozio,
Charlie è non so dove, Ginny mi avrebbe ucciso se gliel’avessi
chiesto… e così, sapendo il tuo lavoro, ho pensato a te…»
Percy
deglutì ancora. Dalla sua ultima frase, era come se Ron lo avesse usato
come ultima spiaggia, cosa non molto carina da dire… e poi… Ma no,
no, non avrebbe mai accettato! Ma che follia, che follia enorme! Solo quel
cretino di Ron poteva pensare che lui, oberato dal lavoro com’era,
potesse accettare di compiere una cosa così sciocca…
«Ma… ma
Ron, scusami, se Krum sta per sposarsi non credi che
ci siano altissime probabilità che lui inviti Hermione semplicemente per
amicizia, insomma…?»
L’altro lo
guardò male, di nuovo; si irrigidì.
«Oh, Perce, è incredibile, ragioni come lei»
sbottò ancora. «No, non è evidente per niente!
Perché mai ha dovuto invitare Hermione, quello lì, eh?! Non si
vedono da tanto, non si scrivono da ancora più tempo, e lei
–dannazione- sta con me, lui si sposa e che fa, la invita? Ok che
è una disgrazia per quella poveretta della consorte, ok che è un
giocatore di Quidditch… ma chi se ne frega no, eh? No, no, no, Per
–deve esserci un motivo sotto, quel polacco ha in mente qualcosa e
io voglio –»
«…Bulgaro»
lo corresse l’altro.
«…Bulgaro,
croato o russo, chi se ne frega» sospirò ancora l’altro,
evidentemente avvezzo ad essere corretto da qualcuno (e precisamente dalla sua
dannatissima fidanzata) «fatto sta che io non starò tranquillo finché
tutto ciò non sarà finito e…»
«Ma non puoi
parlarne con lei e dirle semplicemente che non ti va che lei vada perché
sei solo geloso e –»
«NO! Percy,
smettila anche tu con questa storia!» esplose ancora Ron, rianimatosi di
botto «io non sono geloso! Cerco solamente di circoscrivere le
disgrazie, e di evitare rotture di palle! …Questo per caso vuol dire
essere gelosi?! Vuol dire solo stare tranquilli!»
Percy annuì,
falsamente accondiscendente; tuttavia, il fatto che Ron, di solito abbastanza
calmo, esplodesse così tanto e così spesso davanti a lui
–che non era propriamente il confessore migliore cui rivolgersi per
ottuse questioni d’amore- significava che era da qualche tempo che si
teneva tutto dentro e che aveva bisogno d’aiuto in un modo disperato.
«Quindi…
ricapitolando… io dovrei partire con Hermione, andare ad Amburgo, andare
a questo matrimonio… e tornare qui a Londra il giorno dopo?»,
sintetizzò infine, come per sottolineare al fratello
l’assurdità della sua richiesta. Ma questi, suo solito, non lo
capì minimamente e annuì.
Percy provò
l’ultima volta a sfuggire a questa enorme pazzia. Ma come diavolo gli era
piovuto fra capo e collo questa enorme disgrazia…
L’altro si
sbracò ancora più rozzamente sullo schienale della sedia.
«E poi…
Oh, insomma, c’ho provato a parlarci. Un sacco di volte. Ma lei
non vede il motivo per cui non andare, visto che ora non ha lavoro da
fare e visto che Viktor è un amico tanto caro e dolce che si sposa
» e qui imitò in falsetto la voce della ragazza, mentre le faceva
il verso sbattendo le ciglia e portandosi ambo le mani al petto «e visto
che non vede problemi nel fatto che io non possa non venire. Bah.» e qui
si grattò rozzamente il naso. «Ultimamente io e lei litighiamo
spessissimo… e per colpa di questo fatto siamo ancora in lite, Perce, ci siamo urlati dietro di tutto… non ci voleva
proprio, ecco. Però… se tu andassi… io sarei un po’
più tranquillo… E poi
voi due siete molto simili, ecco, vi troverete bene, magari…»
ammise infine, come per convincerlo definitivamente.
Percy lo
guardò negli occhi chiari, così tanto diversi dai suoi; pensò
che non erano uguali in nulla, a parte i soliti capelli e le lentiggini, e che
mai qualcosa avevano avuto in comune.
Ma era anche vero
che Percy, il prefetto perfetto, tanto tempo prima aveva tradito tutta
la sua famiglia per rivolgersi dal lato sbagliato, e che proprio il più
piccolo e il più inconcludente della famiglia aveva salvato il mondo
magico sacrificando la propria vita più e più volte; e di questo
fatto Percy ancora si doleva e ancora si affliggeva, torturandosi per
ciò che aveva pensato e detto. Ora, la situazione era esattamente agli
antipodi: proprio il tanto bistrattato ma valoroso fratello minore aveva
bisogno di un serio aiuto… Egli conosceva bene Hermione; era una
bravissima ragazza, molto seria e inquadrata, e sapeva perfettamente quanto Ron
la amasse. Se davvero c’era questa crisi… lui non voleva proprio
che per causa sua peggiorasse ancora… e quell’aria così
trasandata e così afflitta di Ron, insomma…
«E va bene…
il viaggio me lo paghi tu però, eh…» borbottò infine.
*
«Eh, eh, eh,
e poi?!»
«E poi
niente, non mi ha detto niente, ecco… ha sbuffato e se n’è
andata. Tutto qui.»
«Miseria…
e dimmi –» ma a questo punto partì un fischio altissimo che
quasi trapanò il cervello di Percy «questo cazzo di coso come
cazzo funzio– Oh, no, tutto ok, risolto»
borbottò poi Ron fra sé e sé dall’altro capo
dell’apparecchio, evidentemente riuscendo ad aggiustare la fonte di
rumore «dicevamo… e non hai notato niente di strano in lei?
Niente?!»
Il fratello
maggiore, per la milionesima volta da quel maledetto giorno della settimana
prima, espirò profondamente. Quanta pazienza…
«No, Ronald,
te l’ho già detto… be’,
ecco, parla di più, ma è molto brava e molto ligia al
dovere… a proposito, ho sbirciato un po’ –per pure caso,
s’intende, non volevo mancarle di rispetto, è stato un caso!- la
sua relazione per l’Ufficio Regolazione delle Creature Magiche e devo
dire che…»
Ma qui si
bloccò di nuovo, perché per la terza volta nell’arco di
cinque minuti il feletono senza fili –il
magico apparecchio babbano prestatogli da Ron, di cui
quest’ultimo aveva un modello molto simile con sé e che
evidentemente riusciva a far parlare due persone estremamente lontane anche se
queste erano in movimento- aveva emanato un fischio continuo e acutissimo, che
faceva fra l’altro sentire a spezzoni le imprecazioni di Ron
dall’altra parte, mentre tentava di riparare l’aggeggio con la
magia.
«Percy?! CI SEI?!» urlò il fratello dopo qualche minuto
direttamente dentro il timpano di Percy; questo si scansò subito e si
massaggiò l’orecchio dolorante.
«Ci sono, dove
vuoi che sia?!» biascicò.
«Bene…
dunque, dicevamo… be’, ancora
niente… e va be’. Teniamoci in contatto e
mi raccomando qualsiasi cosa non farle minimamente capire che noi due siamo in
qualche modo in contatto, anzi se puoi dille che non mi senti da una vita
e che mi odi e, sì, sì, magari infama pure il mio nome
–…con moderazione, magari, ho comunque una reputazione da difendere– in sua presenza… e poi che ne so
inventati che – »
«Percy, ma
che diavolo stai facendo?!»
Il provvidenziale
–e meraviglioso- arrivo di Hermione pose fine al lungo e sconnesso
monologo di Ron; Percy dovette riattaccare all’istante (dando prima
un’occhiata veloce alle istruzioni, visto che non era poi troppo sicuro
sull’uso di quel coso) e infilare il cellulare sotto il maglione.
La donna entrò nella sua stanza e lo fissò, sospettosa.
Giustamente, oltre
a dover accompagnare la fidanzata del fratello al matrimonio di un perfetto
sconosciuto, Percy doveva anche cercare in qualsiasi modo di capire se
ci fosse qualcosa che la turbasse e perché le cose fra lei e Ron andassero
tanto male ultimamente. Così egli doveva praticamente spiare ogni
singola mossa della ragazza, cercare di parlarci e di cavarle fuori i suoi
problemi, e contemporaneamente riferire tutto al fidanzato idiota e geloso
–nonché suo fratello- tramite un dannato feletono;
e tutto ciò di nascosto, con l’angoscia costante che lei, col
cervello che aveva, potesse capire tutto.
Ma prima o poi Ron
gliel’avrebbe pagato, oh, sì…
«Oh, eh,
stavo… leggevo ad alta voce la mia relazione, sai… è
un’abitudine molto strana, ma io lo faccio per… vedere se fila la
grammatica, la sintassi, la coerenza logica e…»
«Ma davvero?!»
esclamò lei, avvicinandosi a lui e sorridendo. «Oh cielo…
anche io lo faccio! Ma non lo dico in giro sennò mi prendono per…
insomma, davvero anche tu leggi ad alta voce?»
Ancora una volta
Percy ebbe la più piena ammirazione e stima per quella ragazza tanto
intelligente e seria; e ancora una volta si chiese come diavolo avesse fatto a
scegliersi quell’idiota paranoico di suo fratello.
«Be’…
sì, sì, sarà deformazione professionale, eh»
borbottò lui, burbero, sorridendo.
Lei gli rivolse
un’occhiata di lode, per poi alzare un sopracciglio e dire:
«Percy, ma tu
e Ron siete davvero fratelli? Ogni tanto stento a crederlo…»
Calò un
silenzio imbarazzante. Non era un bell’argomento, per lui, sentirsi dire –anche
se questo era uno dei rari casi in cui questa frase era un complimento, e non
una derisione- così tanto spesso che era l’unico dei suoi fratelli
ad essere palesemente diverso dagli altri; tante altre persone
gliel’avevano sempre fatto notare, chi con malizia, chi con ironia, e,
sebbene questo discorso per un certo periodo fosse stato per lui fonte di
massimo orgoglio, adesso rappresentava solo uno status di estraneità che
davvero non voleva più provare. Ma tutto questo Hermione lo capì vagamente
solo dopo aver parlato; e, come nelle tante volte in cui diventava
impacciata o insensibile nell'affrontare le persone perché agiva senza
pensare ai sentimenti altrui (e questo
Ron lo sapeva bene per quante volte era accaduto nei suoi confronti), provò
a riparare e disse:
«Be’,
cioè… volevo dire, tu hai talento, sei bravissimo, sei serio, e
Ron, be’, è svogliato, incapace, e…»
Ma poi non si
sentì neanche più in vena di continuare, visto che era
profondamente ingiusto e senza senso parlar male di qualcuno che era il
fratello di lui e l’uomo che lei amava da qualcosa come sei anni e
mezzo… anche se oramai la loro storia andava tanto male, non era davvero
giusto o logico . Così divenne rossa in viso e ammutolì come
raramente accadeva; tossì piano piano, per poi
dire dopo un po’:
«Be’,
io vado a preparare la cena.»
E lasciò
solo Percy, mentre questi aveva la piena convinzione che alle volte quella
ragazza dimostrava di non saper comprendere per nulla il modo in cui
influenzava le persone.
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E rieccoci qui xD Questa è la prima di tre parti: la fanfic è una OneShot, ma essendo questa sezione enormemente popolata ho deciso di dividerla in tre parti per avere una minima speranza di ricevere anche una sola recensione. (Non biasimatemi…)
Dunque! Come dicevo prima, il pacchetto da me scelto era compleanno, ovvero avrei dovuto scrivere una fanfic prendendo come evento centrale il compleanno di qualcuno; ma io di questo fatto mi ero totalmente dimenticata, e solo mezz’ora prima della consegna mi sono ricordata di questo enorme errore XD così ho sostituito alcune parti e cambiato altre, ma ora ho deciso di rimettere la parte iniziale, ovvero quella in cui l’evento centrale è un matrimonio del *povero* Krum. Credo che così sia un po’ più logica come cosa.
La consegna e la scrittura della fanfic sono state deliranti XD L’ho scritta in due giorni (e sono 17 pagine totali…), il primo poche righe, il secondo tutto il resto xD L’università mi sta ammazzando e non ho avuto proprio tempo di fare altrimenti, infatti ho consegnato alle due di notte dopo 10 ore di scrittura o_O Ma ne sono molto soddisfatta.
E’ –se si tralasciano i miei “scritti giovanili” su HP di quando avevo dodici/tredici anni e non sapevo quel che stavo facendo XD- la mia prima fanfic seria su HP, e la mia prima Ron/Hermione; sebbene io ami questi due alla follia da circa dieci anni, non ho mai scritto niente di che se entrambi. E così adesso mi sono data ai concorsi su hp, e sono felicissima xD Sono molto orgogliosa della fanfic, lo ripeto, ed essere arrivata prima è stato stupendo. Perciò, un enorme grazie alle giudici ^^ *___*
Ah, la fanfic è un "Missing Moment", e un perchè c'è: vedrete alla fine.Posterò i giudizi alla fine, così da non rovinarvi la sopresa…
Il titolo è stato deciso veramente all’ultimo, ma mi piace da morire. “Illogico” è una parola che cozza sia con Percy che con Hermione, ma nella fanfic sta molto bene; e vedrete un po’ meglio alla fine. E i colori sono fatti appositamente: è “illogico” che il verde sia col rosso (sono colori complementari e non stanno mai uno accanto all’altro) <--- e tutto questo ragionamento l’ho fatto alla velocità della luce alle due di notte in circa trenta secondi, mentre decidevo il titolo di questa “cosa”. Il titolo originale era “Meaningless”, ma è fin troppo lungo e difficile da pronunciare XD quindi evviva l’illogicità. Yuu uuuh!
Commento? Magari, eh.
Clahp