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Autore: Clahp    29/01/2011    3 recensioni
Non se la ricordava così tanto prolissa; in tutti quegli anni in cui l’aveva frequenta di rado doveva essere peggiorata, probabilmente.
Si sistemò i suoi spessi occhiali con fare molto simile a suo padre (come spesso lo canzonava George) e chiuse di nuovo brevemente gli occhi; e dopo un po’ tentò di ricordare mentalmente perché stesse facendo tutto quello, perché si trovasse proprio in quell’enorme città della Germania e perché, motivazione più inspiegabile di tutte, proprio con Hermione Granger...
[Prima classificata al concorso "...Tra prima e dopo..." indetto da {Vampire_ e °Banryu°]
[Percy/Hermione, Ron/Hermione]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Percy Weasley, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Un paio di NB prima di cominciare

Un paio di NB prima di cominciare.

Questa fanfic si è classificata prima al contest “…Tra prima e dopo…” di °Banryu° & { Vampire _ . Bisognava scegliere una fra le molte festività elencate dalle giudici; a ogni festività era associata una coppia e un luogo. Inoltre, bisognava scegliere due prompt e una citazione, e ambientare il tutto in quel famoso (e maledetto xD) “buco” diciannove anni.

 

Pacchetto: Compleanno (…che in effetti come festività non appare, ma andate giù per capire perché!)

Pair: Percy/Hermione

Luogo: Amburgo

Prompts: anello, libro

Citazione: “Nel silenzio della notte, io ho scelto te” (Poesie, S. Lawrence).




 

 

 

 

I l l o g i c a l

 

 

 

 

 

 

Lei parlava, parlava, parlava, parlava.

E, dannazione, parlava, parlava, parlava.

L’uomo si portò una mano alla fronte, socchiudendo gli occhi e sbuffando; si sedette in maniera più composta e riordinò le carte davanti a lui (era davvero difficile stendere un rapporto preciso e puntiglioso con quella donna che parlava a quella velocità inumana), tentando di non badare al costante parlottio… ma era impossibile. Per carità; lui non era mai stato un tipo silenzioso o conciso, ma la parlantina di quella donna era allucinante. Non se la ricordava così tanto prolissa; in tutti quegli anni in cui l’aveva frequenta di rado doveva essere peggiorata, probabilmente.

Si sistemò i suoi spessi occhiali con fare molto simile a suo padre (come spesso lo canzonava George) e chiuse di nuovo brevemente gli occhi; e dopo un po’ tentò di ricordare mentalmente perché stesse facendo tutto quello, perché si trovasse proprio in quell’enorme città della Germania e perché, motivazione più inspiegabile di tutte, proprio con Hermione Grang–

«…E insomma, quel maleducato cafone di Willington mi ha detto che quella pratica da me sbrigata all’Ufficio Esteri per la Collocazione Tempestiva di Ogni Creatura Magica non era esatta! E con che modi s’è rivolto a me, una signora!, quel villano!» continuava lei, con fare incredulo, mentre era intenta ai fornelli e dava le spalle all’uomo. Questi aveva silenziosamente sbadigliato, prima di avvicinare a sé delle carte del Ministero e riprendere il suo solito ardore vitalistico nell’affrontare pratiche burocratiche.

«Mi stai ascoltando, Percy?!» sbottò poi Hermione, giratasi a verificare ciò che l’altro facesse; lui sorrise e annuì in modo molto convincente, aggiungendo uno squillante: «Ma certo!».

Lei, convintasi, sorrise brevemente e si rigirò, intenta a far cuocere un uovo sul tegamino.

«Non ho parole, davvero! E poi, l’altro giorno, Smithness m’ha chiesto quel favore -sì, proprio quel John Smithness che era stato raccomandato al posto mio!-, di sbrigargli una pratica del Dipartimento della Regolazione della Legge Magica! Alchè, Percy, tu mi conosci come sono fatta, eh, e gli ho risposto che…»

 

Hermione continuò così per altri dieci minuti buoni, senza quasi riprendere fiato; e, mentre lei parlava, parlava, parlava, la pazienza di Percy Ignatius Weasley –di cui questi non era mai stato un gran portatore- diminuì progressivamente, per avvicinarsi quasi al limite consentito dalle sue sinapsi.

«E insomma, ti stavo dicendo, il lavoro va benissimo, sono molto soddisfatta, anzi Charleston mi ha ribadito più di una volta che molto probabilmente verrò prom… Ma dove vai, Percy?»

La donna si girò verso l’uomo, mentre ancora le patate si cuocevano in forno; notando che l’altro aveva indossato un impermeabile e che con tutta evidenza si accingeva ad uscire, gli rivolse un’occhiata obliqua.

«Non mi dirai che salti il pranzo, e che io sto preparando anche per te inutilmente, vero?»

Percy non poté non deglutire; quell’occhiataccia –che egli aveva subìto, in poco meno di un giorno di forzata convivenza, una buona dozzina di volte per motivi piuttosto futili– gli ricordò fin troppo lo sguardo severo di sua madre. Indietreggiò: quella donna sapeva essere spietata.

«Oh, no, no! Faccio… semplicemente… una passeggiata. Tutto qui. Davvero, Hermione» boccheggiò, sorridendo nervoso. Lei lo squadrò ancora; non del tutto convinta, ma tuttavia non trovando nulla in contrario al fatto che lui non mancasse a pranzo, ritornò ai suoi fornelli.

«Mh! Come vuoi.» replicò, atona.

Prendendo queste come le prime belle parole che lei gli rivolgeva da quasi ventiquattro ore, lui sorrise, borbottò un “Ci vediamo più tardi” e aprì la porta. Fu solo dopo che ebbe sentito il tonfo dell’uscio che si chiudeva dietro di lui (e un laconico commento “Uomini” proveniente da dentro la casa) che tirò un sospiro di sollievo.

 

 

*

 

 

 

Nel giro delle cinque ore successive, Percy era tornato dal suo (lunghissimo) giro, lei aveva ricominciato a parlare, lui aveva continuato a sbuffare; i due avevano poi mangiato, pronunciato qualche incantesimo per sparecchiare e lavare i piatti, e s’erano riposati; in quel momento Hermione era intenta a stendere una breve ma efficace relazione affidatale dal settore del Ministero in cui lavorava -il Dipartimento della Regolazione e Controllo delle Creature Magiche- circa l’utilità di una nuova legge che sancisse perlomeno i diritti elementari agli Elfi Domestici. Percy aveva appena concluso la solita mezz’ora di riposo dopo pranzo cui da sempre era abituato –quando una volta Fred, tanto tempo prima, gli aveva fatto notare quanto quella mezz’ora fosse una effettiva perdita di tempo per una mente tanto geniale come la sua, lui aveva laconicamente risposto che “il riposo prima di pranzo è d’argento, ma quello dopo pranzo è d’oro”-; scivolò giù dal lettino, si stiracchiò brevemente ed indossò i suoi soliti occhiali spessi. Respirò. Era ora di iniziare ciò che avrebbe –molto a malincuore- dovuto affrontare. Impugnò la relazione cui lavorava da molto, oramai, e si diresse verso la cucina: lì trovo la ragazza. La guardò, respirò ancora e disse, con fare molto gentile:

«Hermione, vuoi un po’ di tè?»

Lei neanche si girò, ma rimase totalmente persa in quelle righe e dietro la voluminosa pila di libri.

«No, no, Percy, grazie tante» rispose, educata e cortese, tuttavia piuttosto sbrigativa.

Lui s’accigliò; Hermione Granger non era davvero minimamente cambiata dai tempi di Hogwarts. Era rimasta la solita ragazza seria, ligia al dovere, brillante e sveglia; fra i tanti scolari sciocchi e senza cervello che giravano a Hogwarts quando lui era ai suoi ultimi anni, lei era sempre stata la ragazza che più gli assomigliava e con cui più andava d’accordo. Ora che entrambi lavoravano al Ministero non era cambiato niente; tutti e due amavano il proprio lavoro e vi dedicavano tutto, e Percy poteva ben notarlo da come lei era totalmente presa da quelle carte a cui lavorava.

Lui aveva la massima stima di lei; tuttavia… negli ultimi tempi era come se fosse un po’ turbata. Il fatto stesso che continuasse a parlare a macchinetta, nonché i suoi modi nel trattarlo, spesso lo avevano fatto dubitare che tutto andasse realmente bene nella vita privata di lei… e, di riflesso, anche in quella di lui.

Percy sbuffò ancora di più: ora come non mai era davvero evidente ciò che avrebbe dovuto fare. Respirò ancora e si sedette… ma che razza di guaio che gli era capitato…

«Eh… be’, insomma, Hermione, va tutto bene…?» buttò là.

Ancora una volta ella non alzò la testa cespugliosa ma si limitò a rispondere inespressiva:

«Ma sì, sì, Percy, si va avanti, va tutto bene.»

Pur non essendo uno psicologo (anzi, essendo tutto l’opposto di uno psicologo), Percy, prima che lei parlasse, aveva intuito che la risposta sarebbe stata proprio quella. Deglutì di nuovo. Ma chi diavolo glielo faceva fare, Merlino…

«Bene, bene…!» disse, in un modo gioiosamente forzato e del tutto innaturale. «E… non lo so, c’è qualcosa di particolare in questo periodo, che ne so…?» provò ancora.

La mano di lei, che sembrava animata da un qualche incantesimo per quanto scriveva veloce, si bloccò un attimo e poi riprese.

«No, no, niente di che» mormorò la solita testa folta.

Lui iniziò a sudare freddo. La tua famiglia, la tua famiglia, pensò.

«E… be’, come ti aspetti questo matrimonio? Sarà bello, uhm?»

Ma stavolta era davvero palese che Hermione aveva capito tutto. La sua mano si bloccò ancora, e per la prima volta da quando quella (illogica) conversazione era iniziata, alzò la testa e disse, secca:

«Va tutto meravigliosamente, Percy, e se tu lo potessi dire anche a una certa persona di tua conoscenza sarebbe davvero magnifico

La guardò negli occhi scuri, diretto; rabbrividì. Altro che sua madre…

«Ma sì, certo, anche se proprio non capisco a chi tu…»

«Oh, com’è tardi!» lo interruppe lei, in un tono falso almeno quanto quello di Percy che la supplicava di confidarsi con lui come una ragazzina. «Devo proprio scappare, sai, devo andare a… provare il vestito per domani, ecco» completò, incerta.

Detto ciò, sorrise platealmente, riordinò le carte con un colpo di bacchetta, fece lievitare i libri a mezz’aria e se ne andò.

Percy sbuffò per l’ennesima volta, sapendo fin troppo bene che di certo non era la prima, ma che –cosa ben più brutta- non sarebbe stata neanche l’ultima di quella maledetta settimana.

 

 

 

*

 

 

 

[Una settimana prima]

 

 

Percy Weasley quella mattina s’era alzato di buona lena, soddisfatto di sé, e aveva continuato a lavorare a quel famoso progetto cui stava dietro da un mese; era veramente certo di aver fatto un ottimo lavoro. Gli rimaneva solamente da analizzare l’ultimo punto della sua ricerca per l’Ufficio Esteri e poi poteva inviare il tutto al Ministro –sì, il Ministro Shacklebolt in persona, proprio lui- tramite Hermes, che già era in procinto di partire; la sua era una relazione perfetta, eccellente, che analizzava punto per punto e in maniera dettagliata ciò che l’ambasciatore della Germania aveva richiesto in un folle documento circa la cooperazione fra mondo magico inglese e tedesco per un’eventuale Coppa del Mondo del Quidditch nei pressi di Berlino; Weasley ne aveva dunque sottolineato i punti deboli e aveva proposto un modo gentile ma ben rigoroso di declinare la –insensata, a suo modestissimo parere- opinione di quell’uomo.

Il ragazzo si stiracchiò; sorridente, guardò ancora le dense pagine scritte in maniera meticolosa, la sua accuratezza nei dettagli… adesso doveva semplicemente spedirlo, riceverne gli elogi, e poi si sarebbe preoccupato di quell’altra pratica richiesta addirittura dal Vice Ministro in persona…

Bum!

Ma Percy ignorava che tutto ciò non sarebbe stato così facile.

«Percy, devi aiutarmi, per Merlino!»

Percy lanciò un urlo; inevitabilmente i fogli appena scritti con tanta cura caddero a terra, sparpagliandosi e mischiandosi; egli si guardò in giro, il petto affannoso e il cuore in gola, per poi notare che nell’atrio di casa sua si era appena Materializzato suo fratello Ron. Balzò in piedi, furioso, si diresse da lui e borbottò:

«Che cosa è successo, Ronald?!»

«Fammi entrare, fammi entrare!» urlò l’altro, scansandolo ed entrando nella cucina del fratello maggiore; quest’ultimo si infastidì parecchio e guardò di traverso il di lui cappotto scucito e la camicia fuori dai pantaloni. Sospirò e con un colpo di bacchetta raccolse velocemente i fogli sparsi; commentò poi:

«Ma sì, fai come se fossi a casa tu–»

«Percy, Percy, è successo un disastro inimmaginabile!» lo interruppe l’altro, a voce alta, boccheggiando, mentre si toglieva sciarpa e cappello. Percy lo guardò: era teso e piuttosto pallido, e, come avrebbe detto –o, come probabilmente aveva già detto- sua madre, s’era sciupato moltissimo dall’ultima volta che l’aveva visto, qualche settimana prima. Sbuffò.

«Che cosa hai combinato, stavolta?» domandò, ostentando sufficienza.

Ma Ron era troppo su di giri per capire l’evidentissimo fastidio che stava procurando al fratello in quel momento; girava per la cucina, impaziente, e guardava il fratello maggiore mentre si mordeva violentemente un labbro. Parlò dopo un minuto di intensa riflessione, buttando all’aria ogni dignità.

«Tu… tu ti occupi di relazioni internazionali, o roba simile, al Ministero, vero?» iniziò, guardandolo di sottecchi.

Il petto di Percy si gonfiò.

«Be’, non è propriamente esatto. Io per ora mi occupo di Relazioni con gli Uffici Internazionali e Cooperazione Magica dell’Ufficio Esteri per…»

«Sì, sì, ok, va bene, va bene» tagliò corto l’altro, seccato, parlando velocissimo «quella roba lì. Ecco, Perce… ho bisogno di un tuo favore. Un favore enorme. E tu… tu non puoi rifiutare. Ti prego.»

Il maggiore guardò nuovamente il minore: aveva davvero un’aria penosa, in effetti. Deglutì: sentiva puzza di guai. E con Ron, poi, i guai non erano mai piccoli.

«Be’, dimmi, per quanto mi sarà possibile cercherò di aiutarti, o, insomma, di offrirti un valido sup…»

«Hermione deve andare in Germania fra una settimana. Tu puoi accompagnarla?» mormorò in un soffio Ron, guardandolo in tralice, serissimo. Percy rimase perplesso qualche secondo, e poi domandò:

«Eh, be’, ehm… in Germania

«Sì, sì, in Germania» ripeté spazientito l’altro, continuando a mangiucchiarsi il labbro inferiore «allora, puoi o non puoi? Starete là due o tre giorni, il tempo che quella roba finisca e tornerete qui…»

Percy guardò Ronald molto seriamente. Suo fratello minore –con cui non aveva mai avuto un grande rapporto, tutt’altro- gli aveva appena chiesto di saltare il lavoro (il lavoro, il suo sacrosanto lavoro) per tre giorni, durante i quali avrebbe dovuto consegnare quel rapporto di fondamentale importanza al Ministro della Magia in persona, ed andare con la fidanzata di lui in un posto che attualmente odiava per la totale incapacità dell’ambasciatore dell’Ufficio Esteri del Ministero tedesco nei confronti dell’Onorevole Ministro della Magia?

«Stai scherzando, Ron, o che cosa? Stai sperimentando una roba di quel maledetto negozio di scherzi tuo e di George, per caso?!» disse poi, mentre le sue labbra si curvavano in quello che doveva essere l’ombra di un sorriso vagamente (molto, molto vagamente) ironico.

«Oh, andiamo!» sbottò l’altro, ora completamente partito, pestando un piede a terra e aggrottando furiosamente le sopracciglia «Ti sto chiedendo un dannato favore, Percy! Non mi sognerei mai di chiedertelo se non fossi nella più totale –passami il termine- merda, lo sai, e sto strisciando da te per avere un po’ di sacrosanta tranquillità nella mia vita!»

Il maggiore lo guardò ancora, stavolta con un misto di pena e di boria. Sospirò profondamente.

«E, be’, che cosa dovrei andare a fare io con Hermione in Germania, eventualmente parlando?»

L’ombra di un sorriso e di una vaga speranza aleggiò sul volto di Ron.

«Be’, ecco… sarebbe ad Amburgo, eh, mercoledì prossimo… Hermione ha un matrimonio, e, be’, io non posso accompagnarla perché devo fare una roba con gli Auror…» rispose lui, con un vago disgusto nella voce. «Ecco, tu dovresti, insomma, andare con lei, e poi tornare qui. Semplice, no?»

Percy evitò di fargli notare che anche lui aveva da fare del lavoro proprio mercoledì, e per giunta del lavoro molto più serio e complicato del suo; ma volle ascoltare ancora la folle richiesta.

«Un matrimonio… di chi?»

Il viso di suo fratello si rabbuiò del tutto, adesso.

«Di quel brutto …» e qui, evidentemente, si trattenne dal dire l’ennesima parolaccia «…di Viktor Krum, volevo dire.»

«Ah. E, ehm, chi sarebbe…?»

Ron alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

«E’ quel dannatissimo giocatore di Quidditch noto a livello mondiale, Percy! E’ stato uno dei Campioni dei Maghi o come diavolo era, insieme a Harry, al nostro quarto anno!»

Percy annuì; ora ricordava quel ragazzo, allievo di quell’uomo tanto volgare che una volta aveva osato rivolgersi in quel modo al Minist

«Quell’idiota s’è fidanzato, o ha trovato una tedesca cieca, o insomma è accaduto un qualcosa per cui lui mercoledì prossimo si sposa con questa qui! E ovviamente ha invitato Hermione, dannazione!»

E pestò un piede a terra, furioso, quasi volesse sfogarsi col pavimento per l’enorme disgrazia piovuta sul suo capo.

«E Hermione cosa c’entra con lui? …E soprattutto, se tu non puoi andarci, non può andarci da sola?» domandò ancora l’altro, evidentemente in modo molto ingenuo.

Le orecchie di Ron divennero rosse; questi si imbronciò ancora di più, gli voltò le spalle e senza problemi si sbracò sulla sedia più vicina, rabbioso.

«E’ proprio questo il punto, Percy» borbottò. «Io non voglio che lei vada da sola.»

L’espressione di Ron valeva più di mille parole, e le sue orecchie ne erano la prova inconfutabile; e, sebbene Percy fosse la persona meno indicata al mondo per questo tipo di situazioni, e nonostante lui non ci capisse davvero nulla, per la prima volta da qualche tempo, si ritrovò a sorridere. Ron era semplicemente geloso.

«Ok, ok, ho capito…» mormorò poi con fare saggio, aggiustandosi i pesanti occhiali e sedendosi a sua volta di fronte al fratello. Questi assunse un’espressione nuova, più rilassata; e, boccheggiando, gli chiese:

«Davvero…? Allora, allora, mi aiuterai…?!»

Con l’espressione “ho capito”, in verità, il maggiore voleva semplicemente dare un qualche consiglio al minore -concernente la fiducia e la tranquillità che devono intercorrere in ogni coppia, e il rispetto reciproco che da questi derivano, e la pace con cui Ron avrebbe affrontato questo problema da niente, tutto sommato-; tuttavia, con tutta evidenza Ron aveva frainteso. Percy rimase interdetto qualche secondo.

«Le diremo che tu… che tu, che ne so, hai un lavoro da sbrigare proprio all’Ufficio Esteri di Amburgo… e che ti dovrai incontrare con l’ambasciatore tedesco che guarda caso sarà proprio a quel matrimonio, cosa che in effetti è plausibile… non è perfetto?!» esclamò Ron, con una strana luce negli occhi, mentre mostrava quanto geniale fosse la sua idea. «Così andrete insieme, insomma… e io, be’, io starò tranquillo… ecco… Ho provato a chiedere a Harry, ma lui ha il mio stesso impegno –è il mio capo, sai, brutta storia. Quello lì ha invitato pure Bill e Fleur, ma devono badare a Victoire e al nuovo arrivato, George ha da fare al negozio, Charlie è non so dove, Ginny mi avrebbe ucciso se gliel’avessi chiesto… e così, sapendo il tuo lavoro, ho pensato a te…»

Percy deglutì ancora. Dalla sua ultima frase, era come se Ron lo avesse usato come ultima spiaggia, cosa non molto carina da dire… e poi… Ma no, no, non avrebbe mai accettato! Ma che follia, che follia enorme! Solo quel cretino di Ron poteva pensare che lui, oberato dal lavoro com’era, potesse accettare di compiere una cosa così sciocca…

«Ma… ma Ron, scusami, se Krum sta per sposarsi non credi che ci siano altissime probabilità che lui inviti Hermione semplicemente per amicizia, insomma…?»

L’altro lo guardò male, di nuovo; si irrigidì.

«Oh, Perce, è incredibile, ragioni come lei» sbottò ancora. «No, non è evidente per niente! Perché mai ha dovuto invitare Hermione, quello lì, eh?! Non si vedono da tanto, non si scrivono da ancora più tempo, e lei –dannazione- sta con me, lui si sposa e che fa, la invita? Ok che è una disgrazia per quella poveretta della consorte, ok che è un giocatore di Quidditch… ma chi se ne frega no, eh? No, no, no, Per –deve esserci un motivo sotto, quel polacco ha in mente qualcosa e io voglio –»

«…Bulgaro» lo corresse l’altro.

«…Bulgaro, croato o russo, chi se ne frega» sospirò ancora l’altro, evidentemente avvezzo ad essere corretto da qualcuno (e precisamente dalla sua dannatissima fidanzata) «fatto sta che io non starò tranquillo finché tutto ciò non sarà finito e…»

«Ma non puoi parlarne con lei e dirle semplicemente che non ti va che lei vada perché sei solo geloso e –»

«NO! Percy, smettila anche tu con questa storia!» esplose ancora Ron, rianimatosi di botto «io non sono geloso! Cerco solamente di circoscrivere le disgrazie, e di evitare rotture di palle! …Questo per caso vuol dire essere gelosi?! Vuol dire solo stare tranquilli

Percy annuì, falsamente accondiscendente; tuttavia, il fatto che Ron, di solito abbastanza calmo, esplodesse così tanto e così spesso davanti a lui –che non era propriamente il confessore migliore cui rivolgersi per ottuse questioni d’amore- significava che era da qualche tempo che si teneva tutto dentro e che aveva bisogno d’aiuto in un modo disperato.

«Quindi… ricapitolando… io dovrei partire con Hermione, andare ad Amburgo, andare a questo matrimonio… e tornare qui a Londra il giorno dopo?», sintetizzò infine, come per sottolineare al fratello l’assurdità della sua richiesta. Ma questi, suo solito, non lo capì minimamente e annuì.

Percy provò l’ultima volta a sfuggire a questa enorme pazzia. Ma come diavolo gli era piovuto fra capo e collo questa enorme disgrazia…

L’altro si sbracò ancora più rozzamente sullo schienale della sedia.

«E poi… Oh, insomma, c’ho provato a parlarci. Un sacco di volte. Ma lei non vede il motivo per cui non andare, visto che ora non ha lavoro da fare e visto che Viktor è un amico tanto caro e dolce che si sposa » e qui imitò in falsetto la voce della ragazza, mentre le faceva il verso sbattendo le ciglia e portandosi ambo le mani al petto «e visto che non vede problemi nel fatto che io non possa non venire. Bah.» e qui si grattò rozzamente il naso. «Ultimamente io e lei litighiamo spessissimo… e per colpa di questo fatto siamo ancora in lite, Perce, ci siamo urlati dietro di tutto… non ci voleva proprio, ecco. Però… se tu andassi… io sarei un po’ più tranquillo…  E poi voi due siete molto simili, ecco, vi troverete bene, magari…» ammise infine, come per convincerlo definitivamente.

 

Percy lo guardò negli occhi chiari, così tanto diversi dai suoi; pensò che non erano uguali in nulla, a parte i soliti capelli e le lentiggini, e che mai qualcosa avevano avuto in comune.

Ma era anche vero che Percy, il prefetto perfetto, tanto tempo prima aveva tradito tutta la sua famiglia per rivolgersi dal lato sbagliato, e che proprio il più piccolo e il più inconcludente della famiglia aveva salvato il mondo magico sacrificando la propria vita più e più volte; e di questo fatto Percy ancora si doleva e ancora si affliggeva, torturandosi per ciò che aveva pensato e detto. Ora, la situazione era esattamente agli antipodi: proprio il tanto bistrattato ma valoroso fratello minore aveva bisogno di un serio aiuto… Egli conosceva bene Hermione; era una bravissima ragazza, molto seria e inquadrata, e sapeva perfettamente quanto Ron la amasse. Se davvero c’era questa crisi… lui non voleva proprio che per causa sua peggiorasse ancora… e quell’aria così trasandata e così afflitta di Ron, insomma…

«E va bene… il viaggio me lo paghi tu però, eh…» borbottò infine.

 

 

*

 

 

 

«Eh, eh, eh, e poi?!»

«E poi niente, non mi ha detto niente, ecco… ha sbuffato e se n’è andata. Tutto qui.»

«Miseria… e dimmi –» ma a questo punto partì un fischio altissimo che quasi trapanò il cervello di Percy «questo cazzo di coso come cazzo funzio Oh, no, tutto ok, risolto» borbottò poi Ron fra sé e sé dall’altro capo dell’apparecchio, evidentemente riuscendo ad aggiustare la fonte di rumore «dicevamo… e non hai notato niente di strano in lei? Niente?!»

Il fratello maggiore, per la milionesima volta da quel maledetto giorno della settimana prima, espirò profondamente. Quanta pazienza…

«No, Ronald, te l’ho già detto… be’, ecco, parla di più, ma è molto brava e molto ligia al dovere… a proposito, ho sbirciato un po’ –per pure caso, s’intende, non volevo mancarle di rispetto, è stato un caso!- la sua relazione per l’Ufficio Regolazione delle Creature Magiche e devo dire che…»

Ma qui si bloccò di nuovo, perché per la terza volta nell’arco di cinque minuti il feletono senza fili –il magico apparecchio babbano prestatogli da Ron, di cui quest’ultimo aveva un modello molto simile con sé e che evidentemente riusciva a far parlare due persone estremamente lontane anche se queste erano in movimento- aveva emanato un fischio continuo e acutissimo, che faceva fra l’altro sentire a spezzoni le imprecazioni di Ron dall’altra parte, mentre tentava di riparare l’aggeggio con la magia.

«Percy?! CI SEI?!» urlò il fratello dopo qualche minuto direttamente dentro il timpano di Percy; questo si scansò subito e si massaggiò l’orecchio dolorante.

«Ci sono, dove vuoi che sia?!» biascicò.

«Bene… dunque, dicevamo… be’, ancora niente… e va be’. Teniamoci in contatto e mi raccomando qualsiasi cosa non farle minimamente capire che noi due siamo in qualche modo in contatto, anzi se puoi dille che non mi senti da una vita e che mi odi e, sì, sì, magari infama pure il mio nome –…con moderazione, magari, ho comunque una reputazione da difendere– in sua presenza… e poi che ne so inventati che – »

«Percy, ma che diavolo stai facendo?!»

Il provvidenziale –e meraviglioso- arrivo di Hermione pose fine al lungo e sconnesso monologo di Ron; Percy dovette riattaccare all’istante (dando prima un’occhiata veloce alle istruzioni, visto che non era poi troppo sicuro sull’uso di quel coso) e infilare il cellulare sotto il maglione. La donna entrò nella sua stanza e lo fissò, sospettosa.

Giustamente, oltre a dover accompagnare la fidanzata del fratello al matrimonio di un perfetto sconosciuto, Percy doveva anche cercare in qualsiasi modo di capire se ci fosse qualcosa che la turbasse e perché le cose fra lei e Ron andassero tanto male ultimamente. Così egli doveva praticamente spiare ogni singola mossa della ragazza, cercare di parlarci e di cavarle fuori i suoi problemi, e contemporaneamente riferire tutto al fidanzato idiota e geloso –nonché suo fratello- tramite un dannato feletono; e tutto ciò di nascosto, con l’angoscia costante che lei, col cervello che aveva, potesse capire tutto.

Ma prima o poi Ron gliel’avrebbe pagato, oh, sì…

 

«Oh, eh, stavo… leggevo ad alta voce la mia relazione, sai… è un’abitudine molto strana, ma io lo faccio per… vedere se fila la grammatica, la sintassi, la coerenza logica e…»

«Ma davvero?!» esclamò lei, avvicinandosi a lui e sorridendo. «Oh cielo… anche io lo faccio! Ma non lo dico in giro sennò mi prendono per… insomma, davvero anche tu leggi ad alta voce?»

Ancora una volta Percy ebbe la più piena ammirazione e stima per quella ragazza tanto intelligente e seria; e ancora una volta si chiese come diavolo avesse fatto a scegliersi quell’idiota paranoico di suo fratello.

«Be’… sì, sì, sarà deformazione professionale, eh» borbottò lui, burbero, sorridendo.

Lei gli rivolse un’occhiata di lode, per poi alzare un sopracciglio e dire:

«Percy, ma tu e Ron siete davvero fratelli? Ogni tanto stento a crederlo…»

Calò un silenzio imbarazzante. Non era un bell’argomento, per lui, sentirsi dire –anche se questo era uno dei rari casi in cui questa frase era un complimento, e non una derisione- così tanto spesso che era l’unico dei suoi fratelli ad essere palesemente diverso dagli altri; tante altre persone gliel’avevano sempre fatto notare, chi con malizia, chi con ironia, e, sebbene questo discorso per un certo periodo fosse stato per lui fonte di massimo orgoglio, adesso rappresentava solo uno status di estraneità che davvero non voleva più provare. Ma tutto questo Hermione lo capì vagamente solo dopo aver parlato; e, come nelle tante volte in cui diventava impacciata o insensibile nell'affrontare le persone perché agiva senza pensare ai sentimenti altrui (e questo Ron lo sapeva bene per quante volte era accaduto nei suoi confronti), provò a riparare e disse:

«Be’, cioè… volevo dire, tu hai talento, sei bravissimo, sei serio, e Ron, be’, è svogliato, incapace, e…»

Ma poi non si sentì neanche più in vena di continuare, visto che era profondamente ingiusto e senza senso parlar male di qualcuno che era il fratello di lui e l’uomo che lei amava da qualcosa come sei anni e mezzo… anche se oramai la loro storia andava tanto male, non era davvero giusto o logico . Così divenne rossa in viso e ammutolì come raramente accadeva; tossì piano piano, per poi dire dopo un po’:

«Be’, io vado a preparare la cena.»

E lasciò solo Percy, mentre questi aveva la piena convinzione che alle volte quella ragazza dimostrava di non saper comprendere per nulla il modo in cui influenzava le persone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

********

E rieccoci qui xD Questa è la prima di tre parti: la fanfic è una OneShot, ma essendo questa sezione enormemente popolata ho deciso di dividerla in tre parti per avere una minima speranza di ricevere anche una sola recensione. (Non biasimatemi…)

Dunque! Come dicevo prima, il pacchetto da me scelto era compleanno, ovvero avrei dovuto scrivere una fanfic prendendo come evento centrale il compleanno di qualcuno; ma io di questo fatto mi ero totalmente dimenticata, e solo mezz’ora prima della consegna mi sono ricordata di questo enorme errore XD così ho sostituito alcune parti e cambiato altre, ma ora ho deciso di rimettere la parte iniziale, ovvero quella in cui l’evento centrale è un matrimonio del *povero* Krum. Credo che così sia un po’ più logica come cosa.

 

La consegna e la scrittura della fanfic sono state deliranti XD L’ho scritta in due giorni (e sono 17 pagine totali…), il primo poche righe, il secondo tutto il resto xD L’università mi sta ammazzando e non ho avuto proprio tempo di fare altrimenti, infatti ho consegnato alle due di notte dopo 10 ore di scrittura o_O Ma ne sono molto soddisfatta.

 E’ –se si tralasciano i miei “scritti giovanili” su HP di quando avevo dodici/tredici anni e non sapevo quel che stavo facendo XD- la mia prima fanfic seria su HP, e la mia prima Ron/Hermione; sebbene io ami questi due alla follia da circa dieci anni, non ho mai scritto niente di che se entrambi. E così adesso mi sono data ai concorsi su hp, e sono felicissima xD Sono molto orgogliosa della fanfic, lo ripeto, ed essere arrivata prima è stato stupendo. Perciò, un enorme grazie alle giudici ^^ *___*

Ah, la fanfic è un "Missing Moment", e un perchè c'è: vedrete alla fine.

Posterò i giudizi alla fine, così da non rovinarvi la sopresa

 

Il titolo è stato deciso veramente all’ultimo, ma mi piace da morire. “Illogico” è una parola che cozza sia con Percy che con Hermione, ma nella fanfic sta molto bene; e vedrete un po’ meglio alla fine. E i colori sono fatti appositamente: è “illogico” che il verde sia col rosso (sono colori complementari e non stanno mai uno accanto all’altro) <--- e tutto questo ragionamento l’ho fatto alla velocità della luce alle due di notte in circa trenta secondi, mentre decidevo il titolo di questa “cosa”. Il titolo originale era “Meaningless”, ma è fin troppo lungo e difficile da pronunciare XD quindi evviva l’illogicità. Yuu uuuh!

 

Commento? Magari, eh.

 

Clahp

  
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