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Autore: minimelania    30/01/2011    1 recensioni
“Scegli me o il fuoco” aveva detto Claude Frollo ad Esmeralda, condannata al rogo.
E per salvarsi la ragazza aveva scelto lui.
Ora, nella carrozza che la conduce al Palazzo di giustizia, lei sembra già sapere quale destino l’attende. Invece, il Giudice ha in mente un progetto da proporle completamente diverso da quello che ci si potrebbe aspettare…
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 3: La cena

 
 
- Cara, non puoi nemmeno immaginare quanto sia felice che tu sia qui! Felice, felice, felice! – Lydia squittiva con un leggero affanno dato dal tentativo di sostenere con le sue gambette il passo della ragazza – Finalmente il mio Claude si toglierà quell’espressione triste da quel suo faccino. Gliel’ho sempre detto: figliolo, ti serve una moglie. E, invece, da quando la buon’anima di sua madre ha lasciato questo mondo – e qui si segnò rapidamente, alzando gli occhi al soffitto – è sempre stato solo, poverino. Ma adesso che ci sei tu, tutto cambierà, ne sono sicura!
Sospinse una pesante porta di legno, lasciando che Esmeralda entrasse nella stanza.
Per arrivare alla sua camera, era stato necessario passare da quella del giudice: parecchi metri quadri di spazio decisamente spogli, un paio di mobili di mogano scuro, un alto letto dello stesso colore, una Bibbia lasciata aperta sul comodino.
- Di qua, di qua. – le aveva detto la sua irreale custode, conducendola per mano.
- Preparati con calma, tesoro. E quando hai finito, chiamami. Ti aiuterò a vestirti! – aggiunse battendo assieme le manine paffute.
Esmeralda si voltò per replicare qualcosa, ma… sparita. Andava e veniva per la casa come se ne conoscesse ogni angolo. Dopotutto aveva detto di essere lì da quando il piccolo Claude…
Il piccolo Claude, non riusciva proprio a immaginarselo!
O meglio, se lo immaginava tale e quale a come lo conosceva, magari un po’ più basso.
Sbirciò di sottecchi la tinozza piena d’acqua calda nel centro della stanza. Un bagno.
Non aveva nessun bisogno di prendere un bagno. Ne aveva fatto uno due settimane prima.
Lo specchio che, impietoso, le rimandava l’immagine del suo stato, sembrava essere di tutt’altra opinione.
Va bene, magari mi aggiusto un po’.
La tinozza la occhieggiava con insistenza.
Va bene, d’accordo, ho capito. Farò il bagno.
 
L’acqua era piacevolmente tiepida. Mentre si lasciava coccolare, Esmeralda ripensava alla prospettiva della prima lezione.
Ma ti immagini, si disse, io, una gran dama? Scoppiò a ridere da sola.
- Sei pronta, cara? – Lydia era tornata a bussare con insistenza.
- Solo un minuto…
In realtà non era pronta affatto, tutta colpa di quel suo viziaccio di perdersi dietro mille pensieri.
Si avvolse in fretta in un drappo di tela grezza che doveva servire per asciugarsi, appena prima che la porta si aprisse.
- Su, su, su! Se c’è una cosa che Claude non sopporta è dover aspettare. E tu sei terribilmente in ritardo! – prese a strofinarla energicamente, con la stessa grazia che avrebbe messo nel tirare una sfoglia.
- Io pensavo che una signora potesse anche fare un po’ tardi…
- Non con Claude! Non vorremo farlo arrabbiare proprio la sera della vostra prima cena… – Esmeralda si vide piombare tra le mani un fagotto di biancheria comparso chissà da dove – Dio, che felicità!
Aveva emesso un altro paio di gridolini ed era sparita di nuovo.
Ma per quanto tempo dovrò sentire le manifestazioni di gioia di quella specie di scoiattolo?
Tentò, non senza impaccio, di infilarsi nella biancheria e prese a lottare col corsetto.
Sentì due mani che si sostituivano alle sue e tiravano i lacci con decisione.
- Lydia! – protestò debolmente.
- Su, su, pochi lamenti, cara! – si accorse di non arrivare a chiudere tutti i lacci.
Istintivamente, la ragazza si chinò.
- No no no, come farò a stringere? Aspetta - La governante armeggiò con uno sgabello, mettendosi in equilibrio con l’aiuto di una delle colonne del letto. Certo che con quella ragazza bisognava proprio partire da zero, pensò alzando appena un angolo della bocca.
 – Guarda un po’ alla mia età cosa mi tocca fare. Trattieni il respiro e tieniti forte. Ah, perfetto.
Pensa a come sarà contento il mio piccolo Claude! Me lo vedo ancora alto così, che mi girava sempre tra le sottane in cucina. Lo sai? Prendeva le uova di nascosto, quel mascalzoncello. E, appena poteva, correva dietro ai polli. E rubacchiava il cibo che rimaneva sul fondo delle pentole.
Non riuscì a trattenere un sorriso a immaginare la scena di un Claude Frollo in sedicesimo che inseguiva le galline.
- E certe volte scappava di casa, lasciandoci tutti in pensiero. Tornava dopo ore, inzaccherato di fango e con le tasche piene di rospi e lucertole. E questo fin che era bambino! Figurati quando è cresciuto! Quante dame che ho visto passare tra queste mura! Era tanto bellino da giovane, ma tanto vivace. Ma se avessi tempo ti racconterei di quando… che sciocca: io sto qui a chiacchierare e ti faccio fare ancora più tardi.
Guarda che meraviglia – le sventolò orgogliosa sotto il naso un magnifico abito di velluto bordeaux, fresco di stiratura - Sarai un incanto.
Armeggiò per raccogliere in una retina di perle quel suo cespuglio di capelli neri.
Una volta vestita, Lydia rimase a guardarsela soddisfatta.
- Certo non ci è servito molto per metterti in sesto, bella come sei! Ma anche a me, quando avevo la tua età serviva poco tempo… Eh, i begli anni della gioventù: se ne sono andati e non tornano più! Bella, bella di Lydia. Vado proprio a dirlo a Claude che sei pronta!
 
Si diede una rapida occhiata allo specchio. Troppo seria in quell’abito severo. Sembrava in prestito.
Tanto sarebbe stato per poco. Ma le scarpe erano un tormento insopportabile. Come avrebbe fatto a camminare con quelle barche?
 
Il giudice Claude Frollo, seduto già a tavola, il naso aquilino tuffato in uno dei suoi libri, si sentì raggiungere a tradimento dal buffetto sulla guancia da parte di Lydia.
- Mio caro, mio caro piccolo Claude! La tua fidanzata è proprio un amore! – agitò le manine ai lati del viso, come un paio di alette mozze. - Tienitela ben stretta.
- Va bene, grazie del consiglio, Lydia. Puoi andare. – fece lui sornione, tornando nella lettura.
- Non le hai raccontato nulla di quei tuoi vecchi aneddoti che sei solita spifferare, vero?
- Niente, caro: lo sai che ho la bocca cucita. Che non racconterei mai nulla di sconveniente adesso che tu sei diventato importante. Come sono orgogliosa di te! – gli prese il viso tra le mani come fosse stato un gatto.
- Lydia…
Frollo si alzò di scatto, interrompendo le ciarle della governante.
Ci mancava anche solo l’imbarazzo di farsi trovare a coccolare come un ragazzino di otto anni.
Esmeralda era apparsa sulla soglia.
Per salvare le apparenze, Frollo le andò incontro, accennando un baciamano.
Lei, presa alla sprovvista, lo guardò di sbieco prima di ricordarsi del loro patto.
A dire il vero era stato lui a rinfrescargli la memoria, prendendola saldamente sottobraccio e lanciandole un’occhiataccia di nascosto.
- Lydia, la cena.
La governante se li stava a guardare incantata.
- Lydia, la cena. – ripeté, schiarendosi la voce.
- Oh, sì, Cielo! Che sciocca: la faccio portare subito.
 
- Ma ti sembra questo il modo di prendermi a tradimento? Il baciamano? Cosa ti salta in mente?
- Dobbiamo essere credibili.
- Sì, ma da te queste galanterie non me le aspettavo.
Si afflosciò sulla sedia.
- Esmeralda! Ti sembra il modo di stare a tavola? – Claude si alzò dal suo posto e, messe le mani sulle spalle di lei, la raddrizzo per farle prendere una postura più signorile – Dritta con la schiena: sei una dama! Non svolgi mansioni pesanti, non sei una contadina o una domestica. Eretta, ragazza mia.
- Ehi, tieni giù le mani!
Lydia aveva messo in tavola una serie di portate, troppo elaborate per i suoi gusti.
Poi era rimasta qualche istante sulla porta a guardarli. Mah, che strani piccioncini, pensò scrollando il capo.
Portate elaborate, sì, ma in cella non aveva mangiato per giorni e si era avventata sul cibo.
Lui era rimasto a guardarla con quel sorriso da gatto, velato solo di un ironico disappunto.
- Qualcosa non va? – aveva chiesto lei, sentendosi osservata.
Eh no, qualcosa proprio non andava. Deglutì.
- Le signore non si ingozzano come tacchini, mia cara.
Già, bisognava lavorarci molto, e molto più del previsto. E il tempo scarseggiava.
Speriamo di aver fatto un buon investimento.
L’occhio gli cadde sul ritratto della cugina del Re, che il sovrano si era premurato di fargli recapitare. Per quanto il pittore ci avesse messo tutta la sua tecnica e il suo amore spassionato per l’arte, non era proprio riuscito a darle un aspetto decente.
No, doveva essere un buon investimento a tutti i costi.
- Amore, - le disse in tono suadente, perché Lydia era entrata portando un arrosto. Aspettò che uscisse: - Esistono cose chiamate posate.
L’incontro con le posate è stato, beh, disastroso. Constatò il giudice, vedendo letteralmente volare la fetta dell’arrosto dall’altra parte del tavolo.
Era un coltello, accidenti, non una catapulta. Non poteva essere tanto difficile usarlo, o no?
Ci aveva messo la stessa pazienza che impiegava a spulciare i codici alla ricerca della norma giusta, per insegnarle come stare a tavola compostamente.
- Buone maniere, portamento, abbigliamento, letteratura … - iniziò ad elencare lui, impassibile, al termine della cena.
- Eh?
- Sono le lezioni che ti servono per diventare una dama di classe.- le porse di nuovo il braccio per aiutarla ad alzarsi - … poi anche religione, un po’ di retorica per parlare decentemente in pubblico e… scarpe.
Aveva intravisto il piede scalzo di lei apparire da sotto l’orlo della gonna. Non ci poteva credere: si era tolta le scarpe sotto il tavolo.
- Non ci siamo: come inizio è un disastro. Tu sei un disastro! Non hai buon gusto, mia cara. Devi metterci impegno. Dipende tutto da te: la riuscita del mio piano e … la tua libertà.
- Oh, senti, io non sono mai stata una gran dama, dovevi metterlo in conto prima di prendere me! E non te l’ho mica chiesto io di essere perseguitata, imprigionata e ricattata per farti da finta moglie! Cosa vuoi pretendere di più?
- Soltanto che abbassi la voce: la gente di casa potrebbe sospettare.
- Bene, allora vedi di trattarmi con gentilezza, altrimenti lo spiffero a tutti che sono la tua fidanzata solo per copertura.
Lui sorrise di nuovo, con quella sua insolita e sconosciuta affabilità.
- Metti le scarpe, bambina mia.
Traballò su quelle barche. Forse erano anche di un numero troppo grande. Lui l’afferrò saldamente alla vita. Si era meravigliata per la seconda volta della forza che si nascondeva dietro quel suo aspetto fine.
- Vieni, cara, ti accompagno alla tua camera.
- Non ci penso nemmeno!
- Come no, per le apparenze… Poi lo sai che la mia stanza comunica con la tua. E, se non ci fossi stato io, oltretutto, saresti certamente inciampata. Andiamo.  Dobbiamo andare a letto presto. Domani ci attende una lunga giornata: sarà la tua seconda lezione.
 
 

  
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