Anime & Manga > BeyBlade
Segui la storia  |       
Autore: Hiromi    01/02/2011    9 recensioni
"Abitiamo in paesi diversi, entrambe vogliamo conoscere i nostri genitori, ma cosa possiamo fare normalmente? Ed ecco che io vado in Russia da te, e tu torni in Inghilterra presentandoti come me. Geniale, no?" Daphne Tachibana e Nadja Hiwatari si incontrano per caso a Parigi, e architettano un piano per riprendersi un loro diritto: conoscere i loro genitori. I guai sono alle porte!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Kei Hiwatari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Russie mon Amour

Russie mon Amour

 

 

 

 

 

“Allora, ripassiamo. Adesso prendo l’autobus 32 e alla terza fermata scendo per poi proseguire dritto e fermarmi alla villa azzurra. Villa Kinomiya.”

 

 

 

Secondo le indicazioni di Nadja, l’abitazione dei suoi zii avrebbe dovuto trovarsi proprio da quelle parti, e non vederla era fuori questione, visto che era una villa azzurra con tanto di fontana e iscrizione.

Avrebbe dovuto essere proprio cieca.

 

Okay, e ora?

 

Daphne sospirò, tentando di calmarsi e di non perdere la testa, in un comportamento proprio da Nadja: probabilmente era il caso di iniziare a comportarsi un po’ come la sua sorellina…

Ma dinnanzi a lei si trovavano solo casette anonime, quando avrebbe dovuto sorgere imponente una dannatissima villona di ricconi, e lei era stata bene attenta a seguire le indicazioni della gemella per filo e per segno…!

 

“Oh, mademoiselle, buongiorno.” la salutò in stretto francese un signore dall’aria cordiale che, a giudicare da come la guardava, doveva proprio conoscerla.

 

Bu-Buongiorno.” biascicò lei, cercando di sorridere. Dovrei farmela indicare? Non sarà strano?

 

“Si sente bene, mademoiselle?”

 

 “Oh, è solo un po’ di stanchezza.” minimizzò con aria noncurante. “Stavo proprio andando a casa.”

 

L’uomo la guardò con aria sorpresa. “Ma allora mi sa proprio che dovrà invertire rotta…” fece, indicandole un punto alle sue spalle.

 

E fu voltandosi che Daphne vide una villa azzurra assolutamente deliziosa e di buon gusto che le fece venir voglia di fare shopping. “Oh, grazie, monsieur.” lo liquidò, dirigendosi verso l’abitazione.

 

La villa azzurra era proprio villa Kinomiya, con il suo piccolo giardino curatissimo e la fontanella da cui zampillava elegantemente dell’acqua. Non era una costruzione imponente, era una di quelle villette graziose ma di buon gusto in puro stile francese che le piacevano tanto.

A malapena  si ricordò di suonare, sarebbe rimasta a fissare il tutto per ore.  

 

Una volta entrata si ricordò a fatica di darsi un contegno, e di non avere non l’espressione di una persona che vedeva tutto quello per la prima volta.

 

Dentro, l’abitazione era anche meglio: arredata secondo il moderno gusto francese, i mobili si sposavano in maniera deliziosa con la moquette e la carta da parati.

C’era da rimanere a bocca aperta.

 

Nadja, sei tu?”

 

Le ci volle qualche secondo per realizzare che la frase, in effetti, era rivolta a lei. “Si… Si, zia!” Che me la mandino buona!

 

Salì le scale fino ad imbattersi nella donna del centro commerciale che, giustamente l’aveva scambiata per la gemella e che, ora, le stava sorridendo.

 

“Ehi, ti sei divertita con la tua amica?”

 

Si, ci siamo allenate a bey tutto il tempo, poi siamo andate al bar a prendere una cioccolata: Amelie vive in una casa vicino il Louvre, lì ci sono tanti campi di bey e-” Oh, merda. Zitta! “E… E si, insomma, ci siamo allenate molto.”

 

La zia la fissava curiosa. “Chiacchierona, oggi.”

 

Dannazione a me! “Eh…”

 

“Chi è che è chiacchierona?” l’uomo del centro commerciale fece il suo ingresso in cucina, annusando l’aria come un cane.

 

Nadja.” rise Karen. “Non la sentivo parlare così da tempo.”

 

“Capisco, ma è meglio che inizi a diventare più come noi e meno come quell’orso di suo padre.” qui entrambi risero e Daphne si affrettò a cercare di ridacchiare. “Credimi, crescere con lui ha i suoi lati negativi, secondo me. Anzi, tu sei venuta su così bene!” e le fece l’occhiolino; da lì la ragazzina comprese che suo zio stava scherzando.

 

Ci si mise pure la donna, che ridacchiò. “Da quando lo conosco, non ho mai visto mio fratello in atteggiamento che non fosse… orsigno!” e scoppiò a ridere, seguita dal marito.

 

Kai è fatto così.” l’uomo scrollò le spalle. “Un gran burbero, tanto rompipalle, ma non ammetterebbe mai di avere un cuore. E soprattutto che il centro della sua vita è una ragazzina di quindici anni cagati.” le fece l’occhiolino. “Senza offesa.”

 

“Ha parlato il vecchio saggio della montagna.” rispose Daphne, fingendosi offesa; Karen rise, schiacciando il cinque alla nipote, Takao fece un finto gesto di sconfitta.

 

“Okay, che c’è per pranzo?” chiese, riprendendo ad annusare l’aria in stile canino. “Ho fameeee…”

 

Takao!”

 

 

 

 

Liz e Sam si affrettarono ad inseguire Nadja nella loro stanza d’albergo, laddove la ragazza si stava dirigendo a tutta velocità.

 

Rossa in viso, contrita, era passata qualche ora dallo scambio di identità, e c’era già stato qualche piccolo intoppo.

 

Leggero, diceva Liz.

 

Assolutamente imperdonabile, sosteneva Nadja.

 

Non irrimediabile, diceva Sam. Si era intervenute in tempo.

 

Semplicemente, delle compagne di classe delle ragazze – Miranda McDugall e Mandy Stevenson – si erano avvicinate a quella che credevano fosse Daphne per parlare un po’ degli ultimi acquisti di Dior e Gucci, e Nadja, che di questo ne sapeva quanto un bambino di due anni di fisica nucleare, si era limitata ad annuire e a sorridere, rigida.

Almeno fino a quando non le avevano posto delle domande a raffica sui suoi ultimi acquisti e sulla sua opinione dell’ultima sfilata primavera estate di Prada.

Nadja aveva preso a boccheggiare, ed erano intervenute prontamente Liz e Sam che, liquidate con una scusa le due, l’avevano portata via, fingendo di avere un urgente bisogno di lei.

 

Evidentemente, la gemella della loro amica si prendeva molto sul serio, al contrario di Daphne, che scherzava sempre e minimizzava sempre ogni cosa.

Probabilmente la moscovita era una di quelle precisine che, quando prendevano un impegno, volevano portarlo a termine nel migliore dei modi, e, dato che non aveva proprio impersonato Daphne in maniera eccezionale, si sentiva in colpa.

 

“Ehi, tutto bene?” Samantha spalancò la porta della stanza con un gesto deciso: Nadja era lì, in apparenza calma e posata come sempre, ma quegli occhi viola così simili a quelli di Daphne tradivano un’inquietudine non normale.

 

“Ci siamo attardate perché lì per prendere il dolce c’era la fila…” iniziò Liz. “Ecco perché ti abbiamo lasciato in balia di quelle due.”

 

La brunetta sospirò. “Non potete esattamente essere le mie ombre. Dovrò pur imparare a cavarmela da sola.” poi sbuffò. “Essere un’altra persona è così… difficile. Come dite voi inglesi mettersi nei panni di un’altra persona? To be in someone’s shoes? Essere nelle scarpe di qualcuno?” si guardò i piedi, laddove stavano le Manolo Blahnik di Daphne, e sbuffò. “Beh, io ci sono davvero.”

 

Sam aguzzò gli occhi verdi, e le andò vicino. “Ehi, tutto bene, davvero. Chiunque sarebbe nel pallone. E’ una situazione difficile, sei in bilico… Ma hai noi per riuscire a mantenere un minimo di equilibrio.” le sorrise. “Essere Daphne per te che sei così diversa da lei sarà… arduo? Ce la farai. Ne sono certa.”

 

Nadja si sentì già più rincuorata da quelle parole, e trovò la forza di sorriderle. “Solo una cosa, visto che dovrò calarmi nel personaggio…”

 

“Dicci pure.” Liz era seduta proprio di fronte a lei, aveva appena preso Vogue.

 

“Mi fareste un corso accelerato di moda?”

 

 

 

 

Voglio avere anch’io una casa così, tra dieci anni!

 

Daphne era su di giri: villa Kinomiya l’aveva conquistata, con la sua semplicità ma allo stesso tempo raffinatezza e buon gusto. Lo stile francese era così diverso da quello inglese…

 

Che bello, che bello, che-

 

Fu una foto sul camino ad attirare la sua attenzione. Era relegata in una cornice d’argento, di quelle che si regalano alle nozze, ma la foto non ritraeva – o almeno non le sembrava – un evento memorabile.

Raffigurava Karen e Takao, più giovani, probabilmente sui vent’anni, abbracciati. Takao le stava baciando la guancia mentre Karen strizzava l’occhio, ridendo.

Accanto a loro stavano Max e Maryam, e poi altre coppie che non conosceva, e che, dalla descrizione accurata di Nadja, avrebbero dovuto essere Mao e Rei, i migliori amici dei suoi genitori, e Yuri e la ragazza di quel tempo.

Ma la cosa che catturò la sua attenzione fu suo padre, messo quasi all’angolo della foto, con in braccio… lei. O Nadja, non lo sapeva. Kai aveva un sorriso sincero, sereno.

 

Prendendo in mano la foto, giurò di sentire il suo cuore aumentare i battiti, perché si accorse di un altro particolare: era irregolare, laddove stava suo padre. Era stata tagliata. Figurava il braccio di una donna, una borsa.

 

Mamma…

 

Con le mani che tremavano, Daphne mise via quel portafoto prima che le cadesse dalle mani. Si sentiva male, le mani le tremavano, era diventata rossa dalla rabbia.

Non sapeva cosa aveva fatto sua madre, né perché era andata via, ma essere tagliata via dalle foto come se si fosse trattato di una qualunque-

 

Nadja? Tesoro, ti senti bene?” la voce di sua zia, appena tornata dal lavoro la ricondusse alla realtà. “Sei tutta rossa, tremi…”

 

“No, io non sto bene!” sputò fuori la ragazza, incurante di ogni cosa. “Non sto bene perché una guarda le foto aspettandosi che parlino del passato dei suoi zii, di suo padre… E invece si accorge che sua madre è stata tagliata via, con una forbice, come se fosse un insetto!” Karen la guardò sconvolta.

Puff, via le mosche dal parabrezza di una ferrari, no? Via, ci danno fastidio!” lacrime incominciarono a far capolino dagli occhi della quindicenne, che se le scansò brutalmente.

“Non sapete niente, niente diamine! Non sapete perché se ne sia andata, non sapete cosa le frullava in testa, non sapete una dannata, fottutissima mazza!” la bionda signora qui era sconvolta.

“Avete mai pensato di cercarla? No. Di aiutarla? No. Quindi fottetevi, fottetevi tutti quanti!” e fatta la sua sfuriata si andò a rifugiare nella stanza degli ospiti, cioè la sua, sbattendo pure la porta.

 

Karen Hiwatari in Kinomiya restò ad occhi spalancati per oltre cinque minuti, e fu così che la trovò il marito, rientrando dal lavoro, quando si chiuse la porta alle spalle. Vedendo la moglie fissare il vuoto le si portò subito accanto, prendendola per gli avambracci.

 

“Karen?” La donna rabbrividì, impallidendo ed abbracciandolo. “Che succede?”

 

“Succede che ho appena subito una… Una violenta sfuriata da parte di Nadja.”

 

Takao spalancò gli occhi. “Da parte di chi?”

 

“E dovevi sentire come urlava!” la donna era sconvolta, aveva le lacrime agli occhi. “Ha visto quella foto lì, si è accorta che ho tagliato via sua madre, ed è diventata una pazza! Urlava, era tutta rossa…” Karen si morse le labbra e sospirò. “Ma Takao, ha detto anche delle cose vere… Mi hanno fatto male…” tirando su con il naso, due lacrime le rotolarono giù dalle guancie, e si sedette sul divano, tentando di calmarsi.

 

Il marito le si sedette accanto, porgendole un fazzoletto e cingendole le spalle con un braccio. “Cioè? Cos’è che ti ha detto?”

 

“Noi… Noi non sappiamo cosa frullava nella testa di…” si morse le labbra, abbassando la testa; il nome di quella che era stata una delle amiche più care non era mai stato pronunciato da lei negli ultimi anni. “Non riesco nemmeno a dirlo, vedi? E’ diventata l’innominabile! Fa male, fa troppo male! Nadja mi ha accusato di non averla neanche aiutata, di non averla cercata…” qui singhiozzò, coprendosi gli occhi con le mani. “E il brutto è che ha ragione. Implicitamente mi ha sbattuto in faccia come fossi brava solo a giudicare.

 

Takao sembrò distaccarsi dal proprio corpo: da un lato stava abbracciando la moglie, nel tentativo di consolarla, dall’altro stava galleggiando.

Perché ogni volta che si prendeva in causa la sua ex migliore amica si sentiva così: come un’entità galleggiante, incompleta.

 

Hilary c’era sempre stata nella sua vita; l’aveva conosciuta all’asilo, erano stati compagni di scuola, di vita; ed erano stati migliori amici, fratelli.

 

Lui c’era stato a difenderla contro i bulli che la prendevano in giro, c’era stato a consigliarla riguardo i ragazzi da frequentare, c’era stato per prenderla in giro quando Rick Jones – il figo della scuola – le aveva mandato una lettera d’amore, c’era stato quando aveva pianto per Rick Jones quando l’aveva mollata, e c’era stato a spezzare le gambe a Rick Jones.

C’era stato per il ballo della scuola, quando avevano deciso di andarci insieme, ed avevano passato la migliore serata di tutte, facendo a gara di cocktail e ubriacandosi, c’era stato per sbatterle in faccia che Kai era innamorato di lei da tempo, c’era stato a guardarla mettersi insieme a lui, andare a convivere, e c’era stato quando lei gli aveva telefonato, tutta felice, annunciandogli di essere incinta.

 

Anche lei c’era stata.

C’era stata per rompere le palle, con il suo ostinato essere perfettina, che lui non sopportava, c’era stata per fargli fare i compiti a casa sua, offrendogli sempre i biscotti al malto preparati da sua madre, c’era stata per consigliarlo in materia di ragazze, c’era stata per consigliarlo con il beyblade e c’era stata ad ogni campionato, spronandolo ed applaudendolo in prima fila.

C’era stata per farlo ridere e per farlo smettere di soffrire, e c’era stata per mettere in piedi quella sceneggiata delle auto da Yuma a San Diego, senza la quale non avrebbe mai capito di essere stracotto della sua mogliettina.

 

Tradito.

Takao si era sentito tradito quando aveva scoperto della sua fuga. Non si sapeva dov’era andata né come mai. Si sapeva solo che dopo una violenta litigata con Kai aveva preso Daphne ed era saltata su un taxi, portando con sé solo la bambina e nient’altro.

 

Perché non l’aveva chiamato? Diciotto anni di amicizia allora non contavano nulla? Ogni volta che ci pensava si sentiva invadere dalla rabbia, ecco perché tra lui e Karen c’era il patto non detto di non nominare Hilary.

 

Anche Karen ci era rimasta male: era vero che aveva conosciuto Hilary per poco meno di quattro anni, ma si era affezionata terribilmente a lei.

L’aveva vista come una sorella maggiore, e quando Hilary si fidanzò con Kai, presero a chiamarsi scherzosamente ‘cognatina , ad andare a fare shopping insieme, al cinema, e il Venerdì sera anche al pub.

Quando Hilary rimase incinta, Karen andò in visibilio: l’idea di divenire zia la fece impazzire di gioia.

Inutile dire che quando la cognatina se ne andò, a Karen andò in frantumi l’idea di Hilary, e quella della coppia perfetta costituita da lei e Kai.

 

Takao… E se avesse ragione?” le parole della moglie lo riportarono alla realtà.

 

L’uomo fissò negli occhi la donna, e le sorrise, baciandole le labbra. “C’era ben poco da giudicare, Kary. Lei aveva tutto, e l’ha gettato via. Aveva un uomo che l’amava pazzamente, che nella sua vita aveva amato solo lei, e non ha esitato a fargli il cuore a brandelli; aveva due bellissime bambine, eppure ne ha portata solo una con sé, abbandonando l’altra. A noi nemmeno una parola, una lettera, una cartolina, un biglietto. Una dannata chiamata.” un sospiro gli uscì spontaneamente dalle labbra.

 

La donna si prese la testa tra le mani. “Probabilmente cosa stesse pensando e perché lo ha fatto non lo sapremo mai.”

 

“Già.”

 

“Le volevo bene… Le volevo bene davvero, era come mia sorella.”

 

“Lo stesso per me.” confermò l’uomo, un groppo alla gola. “Come mai Nadja ti ha sbattuto in faccia tutto questo? Nel senso, in questi giorni ci domanda troppo spesso di sua madre.

 

“Già, lo pensavo anche io… Non è che dovremmo parlarne con Kai? In fondo è una ragazza, sta attraversando l’adolescenza, ha bisogno di una madre accanto…

 

Takao sospirò. “Io credo che abbia bisogno di sua madre accanto, non di una qualunque. Il che è un problema.”

 

 

 

 

Il volo Parigi- Londra era andato benissimo: nessun intoppo, nessuna complicazione, niente a disturbare la quiete e a far saltare i nervi di Nadja, che per tutto il tragitto aveva letto, fino a quasi consumarli, Cosmopolitan, Vogue, Elle e Harper's bazaar. Il risultato era stato un enorme mal di testa e le migliori marche della moda che le giravano vorticosamente in testa.

 

“Ti verrà a prendere lo zio di Daphne: Max, ricordi?” le sussurrò Liz, non appena presero le valigie.

 

Nadja annuì: il giorno prima sua madre aveva chiamato dicendole che un’udienza in tribunale era stata spostata al giorno dopo proprio quando lei sarebbe atterrata e che avrebbe mandato lui a prenderla. “Si. Uomo alto, capelli biondi, americano, sposato con Maryam. Hanno una bambina, Daisy, e un figlio in arrivo. Per me sono come zii e li chiamo come tali.” ripeté meccanicamente.

 

“Brava.” approvò Sam. “Dai che andrà bene.”

 

Nadja non ne era tanto convinta, ma ormai si dovevano dirigere verso il grosso cartello con la scritta inquietante arrivi, e a lei non restava altro che incrociare le dita.

Una volta superata la porta, con sua enorme sorpresa venne stretta in un abbraccio da parte di entrambe le ragazze, e si irrigidì: non era abituata ad essere abbracciata, se non da zia Mao; in Russia non erano molto calorosi, invece-

 

“Abbracciaci.” le sussurrò Liz. “O penseranno che abbiamo litigato.”

 

Era per l’intera sceneggiata, lo doveva capire.

Con gesto incerto, pose le braccia su quelle delle amiche della gemella, fino a quando, secondi dopo, l’abbraccio non si sciolse.

 

“Ci sentiamo, ragazze.” fece Sam. “Anche via sms, a tutte le ore.” e qui si rivolse a lei.

 

“Oh, certo.” Nadja si trovava ad essere un po’ rintronata.

 

Liz la abbracciò di nuovo, e la brunetta prese ad appuntarsi mentalmente di smetterla di irrigidirsi ogni volta. “Tuo zio è il biondo con la giacca blu. Non puoi sbagliare, i suoi capelli sono chiarissimi.” le sussurrò.

 

“Oh, grazie.” balbettò l’altra; Liz le sorrise e si allontanò, andando verso la sua famiglia. Nadja sospirò, decidendo di buttarsi verso un destino che le si prospettava pressoché ignoto.

 

In effetti di biondi ce ne erano parecchi: gli inglesi erano biondi, rossi, ma anche bruni, e se l’amica di sua sorella non le avesse detto che il suo presunto zio spiccava, di certo avrebbe preso lucciole per lanterne.

 

Infatti c’era un uomo che spiccava, e precisamente per i capelli: li aveva color del grano, biondissimi. Sui trentacinque anni, il suo sorriso le ricordava quello dello zio Takao, e si, stava guardando lei.

 

“Zio Max?”

 

L’uomo rise. “O Parigi ti ha annebbiato la testa, o devi essere stanchissima, Daph.”

 

E’ lui.

 

“Sono stanca, lì non facevamo altro che camminare, ho dormito veramente poco, - meno di cinque ore a notte, sai? – e il viaggio in aereo è stato tranquillo, ma i sedili erano dannatamente scomodi per farsi una dormita.” proclamò Nadja in una perfetta imitazione del modo di parlare della gemella.

 

Il biondo ridacchiò, prendendo le valigie con una mano e cingendo le spalle della nipote con l’altra. “Immagino. Vieni, dai, la macchina è da questa parte.

 

 

 

 

Okay, non sono passate nemmeno ventiquattro ore e tu ti sei già fatta quasi sgamare. Bravissima, Daphne. Complimenti.

 

La ragazza soffocò un grugnito nel cuscino, poi sospirò.

Era chiusa nella stanza degli ospiti da più di tre ore, e ormai si era calmata, tanto quanto bastava, almeno per farle comprendere che la sua sfuriata era stata legittima, ma assolutamente non da Nadja.

 

Accidenti a me e alla mia testa calda!

 

Fu un leggero bussare a farla saltare in aria. “Ehm… Si?”

 

Karen Kinomiya fece capolino dalla porta. “Posso? Vengo in pace.” fece allegramente, ma con un sorriso tirato.

 

Daphne arrossì, in un atteggiamento molto alla Nadja. “Si, certo.”

 

Sua zia teneva in mano un vassoio con due tazze di cioccolata, che poggiò sul comodino. “Tutto bene?”

 

Okay, ora Nadja cosa farebbe? “Si…” disse, con un filo di voce. “Zia, io-”

 

Ma la donna la interruppe con un gesto della mano. “So bene quanto dev’essere difficile per te crescere senza una madre.” s’interruppe, sorridendo, triste. “La mia morì quand’ero piccola: tu ne porti il nome… lo sai, vero?”

 

Ah, si? “Certo.”

 

“E ne hai anche gli occhi.” riprese, accarezzandole il viso.

 

“Beh, se è per questo anche tu e papà.” osservò. “Possiamo dire che sono il marchio Hiwatari.”

 

Karen ridacchiò. “Beh, si. Diciamo che è il nuovo marchio Hiwatari della new generation.” tornò seria. “Mi hanno sempre detto che, con questi capelli biondi e gli occhi viola assomigliavo parecchio a mia madre, e che, per non fare impazzire di dolore mio padre, fui mandata via, qui, in Francia, cresciuta in un collegio. Fu dura crescere da orfana.”

 

Daphne si incupì. “Venisti trascinata dalla Russia alla Francia come un pacco postale?”

 

La donna annuì. “E solo all’età di due anni, per di più.” sospirò. “Mio padre morì comunque mesi dopo, e il solo legame che mi rimase con la mia famiglia fu mio fratello. Non persi mai la speranza di ritrovarlo.”

 

La ragazzina era interessatissima. “Come facesti?”

 

“Crebbi come una ragazza ribelle, imparai il beyblade di nascosto… Il collegio dove vivevo era delle suore… Eppure a sedici anni, non potendone più, architettai un piano talmente intricato che non ti sto a dire, ma ebbi modo di mettere tutto il mio conto in una carta di credito, di prenotare un volo di sola andata per Tokyo e di scappare.”

 

“Tokyo?” Daphne aveva le sopracciglia inarcate.

 

Karen annuì. “Sapevo chi era mio fratello, lo seguivo tramite giornali e tv, sapevo dove abitava… E in quegli anni si trovava in Giappone… Non fu semplice sapere il suo indirizzo… Capitai come un fulmine a ciel sereno nella sede della BBA, mi presentai come Karen Hiwatari, dovetti mostrare la carta d’identità… Ma quando vidi tuo padre fu come trovare le mie radici.”

 

Daphne sorrise. “Wow… Ma che c’entra con me?”

 

La donna ridacchiò. “Era per dirti che capisco come ti senti. Crescere senza una madre è dura. Io sono addirittura cresciuta da orfana… E, beh, se tu hai qualche domanda su Hilary… Noi ti risponderemo.

 

Daphne annuì. “Va bene.”

 

“Pace?” la ragazzina annuì, per poi venire stretta dall’abbraccio della zia.

 

 

 

 

Casa Tachibana e casa Mizuhara erano attigue nel vero senso della parola. Erano di quelle case inglesi, le tipiche Semi Detached House, che avevano un muro in comune ed erano appoggiate l’una all’altra.

“Mamma fino a quando sarà via?” chiese Nadja, mentre l’uomo prendeva le valigie dal portabagagli.

 

“Non saprei, questa è una di quelle udienze che possono finire da un momento all’altro come possono terminare stasera.”

 

“Capito.” rispose allegramente; in realtà si sentiva su di giri e anche parecchio strana.

Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che parlare, parlare e parlare, cercando di trovare punti di conversazione, argomenti di cui cianciare… Possibile che la sua gemella non facesse altro che aprire la bocca?

 

“Adesso però ci sono la zia e Daisy che non vedono l’ora di rivederti.”

 

“Andiamo!” rispose allegramente fingendo una contentezza che non aveva; in realtà avrebbe solo voluto una pillola per il mal di testa e possibilmente mettersi a dormire.

Era già nervosa per il fatto che da un momento all’altro avrebbe dovuto conoscere sua madre, e non sapeva come diamine comportarsi.

 

“Ehi, siamo a casa!” esclamò l’uomo, poggiando le valigie nella hall dell’abitazione che aveva un che di orientaleggiante. Non appena lo disse, un grosso cagnone, un labrador bianco, si lanciò verso Nadja alla velocità della luce, abbaiandole contro a tutta forza. “Gold! Ehi, Gold!” Max era accigliato. “E’ Daphne, non lo vedi che è Daphne?”

 

Nadja si fece avanti ad accarezzare il cane che, fortunatamente, dopo il primo secondo di diffidenza sembrò accettarla.

Evidentemente a lui non l’aveva data a bere.

 

Daphy, Daphy, Daphy!” uno scricciolo di bambina corse verso di lei alla velocità della luce, abbracciandole le gambe: stando bene attenta a non irrigidirsi, Nadja si chinò, baciandole le guancie, come la gemella le aveva detto di fare.

La bimba, che altri non era che la figlia dei suoi zii, aveva quattro anni, i capelli chiari del papà e degli occhi verde smeraldo incredibili.

 

“Ciao Daisy!” quando la bimba le si buttò addossò, facendola cadere sulla moquette, Nadja rise, di fronte a tutto quell’affetto: in fondo la sua gemella anche se non era cresciuta con un papà, era cresciuta con tanto amore intorno… Era una ragazza fortunata.

 

“Ehi, bentornata.” quando alzò lo sguardo, immediatamente capì da chi la bambina avesse preso quegli smeraldi di occhi: dinnanzi a lei stava una delle donne più belle che avesse mai visto.

Alta, slanciata, con una grazia e un portamento da fare invidia a chiunque nel mondo, con dei capelli scuri che parevano fatti di seta… Il pancione pareva solo addolcire la sua figura già armoniosa. Era quella che Daphne chiamava zia Maryam.

 

“Grazie. Come stai, zia?”

 

La donna si sedette sul divano, accennando un sorriso. “Bene. Mancano due mesetti, ma Jason si fa sentire eccome.”

 

Nadja sorrise. “Ah, vi ho preso delle cosette a Parigi.” Daphne me le ha etichettate, fortunatamente. “Dovrebbero essere qui…Ecco qui, per voi, spero vi piacciano.”

 

La piccola Daisy scartò in fretta e furia il suo regalo e il suo visetto parve risplendere quando scoprì di cosa si trattava. “Mamma, papà, guardate! Barbie gran galà!”

 

Più contento di lei era forse Max. “Santo cielo, Daphne, dove hai trovato il pezzo di ricambio per il mio beyblade?”

 

Ehm… “Eh, sono una maga, io!”

 

Maryam era ancora impegnata a scartare il suo pacchetto, il più grosso dei tre, ma quando ci riuscì fece un sorriso enorme. “Oddio… Quattro cappellini francesi?”

 

“Mamma, qui c’è una D, è per me… Vedi? Mi sta!”

 

“Questo con la M sarebbe per me?” Max era incerto. “Nah, è da donna e poi è piccolo; è tuo, amore.” fece, calcandoglielo in testa.

 

Maryam roteò gli occhi, poi si rivolse nuovamente alla nipote. “E questo con la J?”

 

“E’ piccolino!” fece eco Daisy.

 

“E’ per il piccolo Jason tra qualche mese, no? Così tutta la famiglia vestirà en francé.” poi si schiaffò una mano sulla fronte. “Ah, ma certo: ho una cosa anche per Gold. Tieni bello, niente di che, un osso francese da sgranocchiare, ma spero ti piaccia lo stesso.” tutti ridacchiarono.

 

“Grazie mille, ci hai portato dei pensieri bellissimi.” proferì Maryam, sorridendo.

 

Max era accigliato. “Mi stupisce il comportamento di Gold, prima… Ha abbaiato a Daphne senza averla riconosciuta… Non vorrei che la vecchiaia stesse sopraggiungendo o altro…”

 

Maryam si incupì. “Ma se ha solo quattro anni.”

 

Nadja si morse le labbra. “Forse non mi vedeva da una settimana e il suo abbaiare era un modo per dirmi… Ehi, bentornata, splendore!” la frase riuscì a far sorridere gli zii. “Non è niente, state tranquilli. Gold è okay.”

 

Quando si accorse che guardavano in un punto al di là delle sue spalle, fece per voltarsi, ma due sottili mano le oscurarono la vista. “Chi sono?” la voce era femminile, di donna, e tradiva una certa emozione.

Nadja sentì il suo cuore prendere a battere fortissimo, e quando si girò, vide il suo ritratto in versione adulta sorriderle e abbracciarla stretta. “Oh, tesoro, col cavolo che partirai ancora per queste dannate gite: mi sei mancata così tanto!”

 

“Lo dici tutti gli anni, Hilary.” ridacchiò Max, grattandosi la nuca.

 

“Mamma…” era come nella foto, anzi, era più bella: Hilary Tachibana le assomigliava tantissimo, era il suo ritratto, con la differenza che aveva dei dolcissimi occhi castani che la fissavano amorevolmente.

 

“Ora recupereremo il tempo perduto, mi devi raccontare tutto.” scandì la donna, sorridendo.

 

Già, il tempo perduto… Riusciremo a recuperarlo?

 

 

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

Direi che questo capitolo è stato importante: voi no?

Oh, insomma. Sappiamo cos’è che pensano tutti di Hilary, e perché facciano muso duro al solo suo nome pronunciato.

Poi ecco qui un paio di personaggi che sbucano fuori, ma non sono che una parte, guys

Il bello deve ancora arrivare.

Soprattutto perché nel prossimo capitolo rivedremo Kai.

Ho detto tutto. xD

Ma ormoni a posto, ragazze, niente è come ve lo immaginate. U___U

 

O, forse, si.

 

Noi ci vediamo qui, la prossima settimana, a dare una sbirciata nel mondo di RMA.

Un bacione. ;)

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > BeyBlade / Vai alla pagina dell'autore: Hiromi