My Executioner
Il mio carnefice.
Fu una luce particolarmente
violenta a destare Naruto dal sonno profondo in cui era precipitato.
Con un
sottile sbuffo fece per girarsi, ma l’imminente
consapevolezza di essere
stretto ad un corpo caldo quanto il suo lo immobilizzò.
Spalancò gli occhi
impercettibilmente incontrando quelli schiusi di un Sasuke sveglio da
poco,
probabilmente per il suo movimento non proprio delicato.
«B..BEN SVEGLIO!» fece Naruto
senza pensarci, improvvisamente in imbarazzo. Se lo ricordava bene il
bacio
della sera prima, ancora rovente sulle sue labbra gli faceva ribollire
il
sangue nelle vene.
Probabilmente era arrossito.
Sasuke infatti sorrise, lasciandolo interdetto. Non era un ghigno, ne
una
smorfia, era un sorriso. «Sei bello quando sorridi».
Non aveva pensato a nulla, le
parole erano sgattaiolate fuori dalla sua bocca in un sussurro sincero
senza
poter far nulla per impedirlo. Baka.
Naruto girò la testa indietro per
non incontrare gli occhi del moro, fissandosi su un punto a caso, rosso
come un
peperone; doveva sembrare una ragazzina tipica di uno Shoujo manga,
tutta
imbarazzata e pudica. Sentì la presa di Sasuke rafforzarsi e
le labbra lambire
pelle scoperta del suo collo con voluttà, atto che
provocò il suo imminente
arrendi mento.
Dove cazzo è finito il mio
autocontrollo?
Buttato nel cesso, si ripose
subito dopo chiudendo gli occhi.
Se qualcuno, un mese prima, gli
avesse detto che si sarebbe trastullato sul suo letto con un uomo
probabilmente
si sarebbe fatto delle grosse risate, adesso gli pareva invece di non
aver mai
desiderato altro.
Non hai un minimo di
dignità…
Dignità? Che parolona, non
l’aveva più da quando aveva preso quella pistola
in mano. Avrebbe dovuto
provare vergogna? Per cosa, gli sembrava tutto così
naturale, così
esasperatamente bello.
Sentì le labbra straccarsi da se
e il fiato caldo di Sasuke solleticargli il collo.
«Sono nato a Osaka, nella casa
dei nonni di mia madre. Mio padre quando ero piccolo stava ancora
costruendo il
piccolo impero che c’è oggi, piano piano. Eravamo
una famiglia compatta, alti e
bassi come al solito, ma eravamo uniti. Poi, da un giorno
all’altro mi sono
ritrovato solo, orfano, affidato a mio zio fino alla maggiore
età. Mio padre e
mia madre furono assassinati da mio fratello, che scappò
quasi via da quella
colpa lasciandomi solo». Non era più di un
sussurro, che si interruppe con la
stessa imprevedibilità con sui era iniziato. Quando Sasuke
chiuse la bocca,
Naruto non osò fiatare. Che cosa avrebbe dovuto dire? Prima
ancora che potesse
lasciarsi scappare qualche cazzata, Sasuke riprese il suo racconto,
sentiva il
suo fiato caldo sulla schiena nonostante la barriera della maglietta.
«Volevo diventare il migliore. Non
era facile, non lo è mai stato. Se sei ricco ed aspiri alla
potenza è quasi più
semplice, vendi anche l’anima per entrare
nell’elite della società, ma se di
essa non te ne frega niente è diverso. Io volevo essere
potente, ma non mi è
mai interessato controllare le persone ne tantomeno ricattarle per ogni
piccola
cosa, con ciò non nego di averlo fatto, desideravo solo
quella forza, quella
consapevolezza di potermi vendicarmi di tutto ciò che mi
aveva
fatto mio fratello quando volevo. E’ iniziata la scalata
verso il top e per
farlo son dovuto entrare in circoli che non mi piaceva neanche un
po’, ma
giorno dopo giorno mi ripetevo che dovevo farlo, che era giusto
così, era
un’ossessione…».
Naruto vibrava curioso ad ogni
parola. Sasuke gli stava raccontando del suo passato, di lui, e tutto
sembrava
macchiato di un’aura così peccaminosa,
così proibita, che era felice nel suo
intimo di ascoltarlo, ma un vago senso di smarrimento lo
colpì all’improvviso.
…Perché?
«A dire il vero, penso lo sia
ancora oggi».
Sasuke non accennò altro, come se
volesse sapere cosa stesse pensando il suo ascoltatore, domanda
legittima vista
l’espressione di pura confusione che aveva assunto.
«Perché mi dici questo? Perché
adesso…».
«Non mi chiedevi forse con gli
occhi chi ero? Chi fossi per assicurarti la mia protezione?»
Era vero, per ogni promessa che
Sasuke gli vendeva, il biondo lo insultata dentro di se rivolgendogli
silenziose ed insidiose domande.
Chi diavolo sei tu per fidarmi?
Ogni volta, quando la paura si
dissipava per qualche secondo pensando alle promesse di Sasuke, quella
domanda
lo soffocava e lo riportava alla realtà.
«Ho guadagnato rispetto Naruto,
ho ottenuto quel potere che tanto bramavo, e ho incontrato sulla mia
strada
Neji Hyuuga che ambiva ai miei stessi livelli».
Naruto trattenne il fiato. Quel
nome. Sasuke esitò qualche secondo, ma poi
continuò con voce atona la sua
storia che pareva annoiarlo. Pareva. Ad
ogni parola, il moro, riviveva quelle sensazioni soffocanti che gli
avevano
scottato e colpito il cuore quando aveva dovuto combattere per farsi
strada in
quel covo di sciacalli. Era stata guerra, una guerra dove aveva vinto,
più o
meno.
«Ambiva ai miei stessi punti,
bellezza, potenza e ricchezza e, mi duole dirlo, ma avevamo pari
possibilità.
Se non avesse fatto i passi falsi che l’hanno ucciso, saremo
ancora qui a farci
guerra».
«Sasuke…tu sai chi ha ucciso Neji
vero?».
Il moro si sedette sul letto,
districandosi dall’abbraccio con cui avrebbe imprigionato
Naruto, e
quest’ultimo lo seguì con lo sguardo.
«Sì».
Fece per tornarsene in salotto,
quando la voce di sua sorella la trattenne.
«Onee san, dimmi, sai cos’è
questo?». La mano pallida di Hanabi estrasse dalla tasca un
piccolo
telecomandino bianco, sembrava quello del cancello, ma era alquanto
improbabile.
«E’ un controllo a distanza.
Mettiamola in parole semplici, nel momento in cui cliccherò
questo pulsante
accadrà qualcosa». Detto fatto; il dito premette
il tasto rosso del telecomando
all’istante.
Hinata la fissò per qualche
secondo, ma prima di poter pronunciare parola vide un lampo gelido
nello
sguardo di Hanabi e le labbra muoversi lentamente, quasi a suggerirle
qualcosa.
«Boom».
Un’esplosione proruppe nel solito
silenzio mattutino con violenza assordante. Poco lontano da
lì, sicuramente. Fu
un collegare gli eventi strettamente logico. Fissò il
cancello chiuso, la
strada lontana e sua sorella a ripetizione.
Non può essere come penso.
«Hanabi…tu…»
balbettò in cerca di
spiegazioni.
Non può averlo ucciso.
«Ti ha fatto rapire, convinto che
nessuno l’avrebbe mai scoperto. Voleva levarseli di torno,
tutti e due» iniziò
Hanabi, per poi fermarsi ad osservare come il tutto si stava
mobilitando per
l’esplosione.
«Perché» sbottò Hinata senza
poterselo impedire, incapace di sopportare quell’interruzione
«Perché? Cosa gli
hanno..».
«Neji voleva vendere, vedere
delle importanti azioni non a nostro a padre, ma ad
un’azienda estera che gli
avrebbe garantito molte più sicurezze» la
interruppe con sguardo vitreo,
sembrava completamente assorta nella sua storia, come se tutto ormai
fosse
concentrato su quella «e papà non poteva
accettarlo, ma invece di alzare la
somma, ha semplicemente sussurrato un “Uccidetelo”.
Ma ovviamente» continuò con voce adirata
«lui non si sporca le mani, lui fa
fare il lavoro scomodo ad altri, gustandosi poi una vittoria. E chi
scegliere come
assassino se non il fidanzato incomodo della primogenita che era
soltanto un
ostacolo per il matrimonio da lui programmato mesi fa?».
E il disegno, per Hinata, si fece
chiaro. Quei mezzi sospetti, quelle voci sottili a cui quella notte non
aveva
dato peso, quella strana consapevolezza di aver trovato un tassello
dopo
l’annuncio del suo studiato matrimonio con Sasuke Uchiha,
tornarono nella sua
mente.
Nessuna illusione, Hinata,
soltanto verità. Pensò a Naruto, a come si doveva
essere sentito dopo aver
ucciso suo cugino, pensò a Kiba, spettatore immobile,
proprio come lei, ed
infine pensò a suo padre, che doveva essere soltanto un
grumo di cenere sotto
le macerie di quella che una volta era un’auto.
«La vita. Ce l’ha rovinata,
Hinata. Ad entrambe». Hanabi la fissava, ma non lei, soltanto
le lacrime che le
rigavano il volto «E’ tornato qui, vincente come
Nobunaga Oda, aspettandosi
Naruto in prigione, noi in lacrime e Sasuke Uchiha ormai pronto a
prenderti in
moglie e invece…».
Rise, sua sorella iniziò a
ridere. Una risata nervosa, isterica che la fece rabbrividire dal
disgusto e
dalla paura «…ed invece si è ritrovato
un Naruto libero, una figlia innamorata
e preoccupata e nessuna risposta alla lettera mandata a villa
Uchiha».
«Hanabi…perché
tu…» la domanda
però le morì sulle labbra, ma
l’interpellata con voce cattiva continuò
«“Che
bisogno c’era di ucciderlo? A te, in fondo, non ha fatto mai
niente”. Vero? Non
è l’unica domanda che non hai chiara eh, Onee san?
».
Hinata annuì, ormai impaziente di
sapere tutto. Cosa avrebbe potuto spingere Hanabi a vendicarsi con
così
convinzione e determinazione? Che Naruto fosse vivo o morto, che lei
fosse viva
o morta, non gliene era mai importato nulla. Allora…
«Sei una stupida» sbottò Hanabi
infilando in tasca il piccolo telecomando per prendere qualcosa da
essa. Un
brivido freddo la immobilizzò, che volesse uccidere anche
lei?
Il sospetto però si dissipò
quando Hanabi le mostrò un anello d’oro, dove
troneggiava un diamante accuratamente
lavorato a forma di fiore. «Ci saremo sposati, ce ne saremo
andati via lontano
in Europa dopo che il contratto per le azioni sarebbe stato firmato.
Avremo
vissuto una vita felice, lontano dagli Hyuuga e dal potere che lo
circonda. E
invece…».
Non arrivò nessuna risata quella
volta, la frase rimase sospesa sopra di loro mente Hanabi si
infilò l’anello al
dito, osservandoselo fiera. Nessuna lacrima però, scendeva
dai suoi occhi. Le
voltò le spalle, spalle troppo piccole, avrebbe detto
chiunque, per addossarsi
quel dolore e quella colpa. Hinata sentì una stretta allo
stomaco, si sentiva
così patetica.
Hanabi, per il ragazzo che amava,
aveva ucciso suo padre, abile calcolatore e farabutto, ma pur sempre
sangue del
suo sangue, mentre lei che aveva fatto per Naruto? A conti fatti,
proprio un
bel niente. Mai, ne era convinta, mai avrebbe ucciso per vendetta, era
forse la
mancanza di amore? No, probabilmente era solo una stupida.
«Io lo amavo» sussurrò infine la
voce Hanabi poco lontano, ma non ebbe alcun potere di risveglio
su di
lei.
Non la guardò nemmeno allontanarsi,
il suo sguardo era fisso su un punto impreciso che sbiadiva sempre
più.
L’abbaiare di cani e il fischiare delle sirene di auto
impazzite le ronzavano
nelle orecchie in modo fastidioso, ma il corpo non si decideva a
muoversi.
Rimase lì, immobile, mentre un venticello freddo le
scompigliava i capelli.
Bhe, See ya! E grazie della
splendide recensioni.
Hime.