Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la graditissima recensione. La tua domanda sul perchè Adariel abbia aspettato l'ultimo momento per mettere in forno un'erede è di puro buon senso. Purtroppo, a suo tempo Adariel ha avuto una fortissima resistenza emotiva a fare le tre cose possibili: ritentare di avere un figlio con Adleric (lutto quasi assicurato), averlo con un uomo qualsiasi (resistenze psicologiche a tradire Adleric, più perplessità sui minori poteri dei figli) o realizzare un clone (che poteva urtare la sensibilità della sua gente). Probabilmente sia Adariel che Adleric si erano rassegnati a passare la corona a Phobos, ma tre anni prima la regina ha avuto una sinistra premonizione su di lui di cui non aveva mai parlato a nessuno prima della morte del marito; ciò ha reso urgente trovare un'alternativa, che a quel punto non ha più potuto essere ortodossa. Cara Solitaire, grazie per i tuoi commenti. Invero nello scrivere questo capitolo ho dovuto vincere una grossa preoccupazione: se a Meridian esiste un pregiudizio contro le persone che non nascono dalla pancia di mamma loro, ma dalle sue mani, non è che questo pregiudizio esista anche tra lettori e lettrici della mia variante della saga? Vabbè, ormai l'ho scritta, se qualcuno prepara i pomodori ora è arrivato il momento di lanciarli. Nei primi capitoli di Profezie scrivevo che Elyon era caduta in crisi dopo aver letto una lettera postuma di sua mamma (continuiamo a chiamarla così), ma in quella long-fiction il suo contenuto non viene mai rivelato. Sarà invece spiegato tra qualche capitolo nella Luce, ma fin d'ora si può immaginare di cosa si tratterà. Per me, Galgheita è uno dei personaggi più positivi della saga, almeno dal punto di vista caratteriale. Anche il fatto che abbia mantenuto la sua disponibilità ad aiutare, nonostante il fatto che il suo aspetto sia strano e difficile da portare perfino a Meridian, va a suo indiscutibile merito. Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura delle bozze di questa storia. Qualche parola su questo capitolo, che è ambientato immediatamente dopo il precedente. Qui sapremo finalmente le reazioni di Phobos a questa nascita, il modo in cui continua la schermaglia tra i servizi segreti meridiani e la Guardiana di Kandrakar, e la sincera verità su quello che pensano di tutto ciò due personaggi che saranno tra i protagonisti del gran finale di questa storia. Buona lettura
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Capitolo 18
Il sangue non mente
“Dopo che la Luce si sarà unita agli Dei, si
potrebbe arrivare a una resa dei conti. Allora forse pregherò di
essere lasciata nella mia piccola tana sulla Terra, ma non escludo che
potrei, invece, essere tra gli incaricati di tutto questo”
Miriadel
Seduto sul trono, Phobos lancia lunghe occhiate inquiete
fuori dalle ampie finestrature. I suoi pensieri non riescono a focalizzarsi
sul consigliere Zarion che gli sta parlando ai piedi della sua pedana,
ma si perdono dietro a quel temporale così improvviso che ha increspato
il grigio uniforme degli ultimi giorni. Gli è chiaro che questo
strano tempo deve avere a che fare con sua madre. Ma in che modo?
Considerando la data, potrebbe essere giunto per lei
il momento del parto. Forse quelle nuvole l'accompagnano nel momento dello
sforzo e del dolore, o sono il suo pianto di delusione per una piccola
nata già morta? O ancora, sono un monito del Dio del Fato per ricordare
alla Luce di Meridian che il destino di quella creatura è già
segnato, accompagnando con un presagio sinistro i suoi primi vagiti?
Il consigliere si schiarisce la voce: “Mi sto spiegando
chiaramente, Altezza?”.
“Sì, certo, continua!”.
Il principe ascolta ancora per un po’ le questioni dell’altro,
poi torna a guardare dalla vetrata. Il temporale è finito; le nuvole
si stanno diradando, e mostrano qualche sprazzo di sereno.
Si volta a guardare dalla vetrata posteriore verso la
torre nordest, dove si trovano gli appartamenti reali. Per un attimo, un
breve raggio di sole ne illumina la sommità e il balcone.
“Altezza…”, lo sollecita con prudenza il consigliere.
Riprendendo l’attenzione, Phobos lo squadra. “Cosa vuoi?”.
“La vostra risposta, Altezza?”.
Il principe cerca di fare mente locale: di cosa stava
parlando questo ministrucolo? Ah, sì, i soldati… “No, consigliere.
Non possiamo lasciar partire quella legione. I militari servono qui in
città per garantire l’ordine”.
Vede un’ombra di perplessità e imbarazzo attraversare
il viso verdastro di Zarion, che si sforza di restare compito.
“Come volete, Altezza. Ma… posso sapere la vostra risposta
per il quartiere di Trasclovkir?”.
Phobos si acciglia: quando se ne è parlato? Senza
chiedere niente, legge i pensieri del consigliere. Ah, sì, questo
qui sta chiedendo acqua magica per marcare le falde che scendono in città
dall’altopiano, per farle poi individuare da un rabdomante.
“No, non se ne parla! Tutta l’acqua magica è impegnata
per scopi prioritari. Quel quartiere è umido da molti anni, perché
dovrebbe essere così urgente risanarlo proprio adesso?”. Si alza
e indica la torre nordest, ben visibile attraverso la finestratura dietro
il trono. “Avete dimenticato tutti gli sforzi che stiamo facendo per curare
la nostra Regina?”.
“Ma ne basterebbe…”.
“Non se ne parla, ho detto! Se non c’è altro…”.
Zarion annuisce, cercando di non manifestare la sua delusione.
“Come volete, Altezza”, poi fa un rapido inchino, gira sui tacchi e se
ne va a testa bassa.
Mentre l’omino esce, Phobos gli volta le spalle con disprezzo:
anche quando questi consiglieri annuiscono e si inchinano, il loro servilismo
non riesce a nascondere la stizza e la presunzione nel restare convinti
d’essere nel giusto.
I battenti non si sono ancora chiusi che un soldato entra
a passo veloce fino al centro della sala e saluta percuotendosi il petto.
“Altezza, porto un messaggio”.
Phobos lo guarda con un’occhiata gelida e penetrante.
Con chi crede di avere a che fare, con un sergente? Che mandino un messaggero
adeguato al mio rango, e non si sognino di entrare senza essere annunciati!
Sentendo questo pensiero sibilato, il soldato resta interdetto
un attimo, poi s’inchina ed esce senza più proferire parola.
Poco dopo, uno scampanio annuncia un nuovo visitatore.
Ad un cenno della mano di Phobos, i battenti si aprono
da soli e Alborn, il comandante della Guardia di Palazzo, entra con grandi
inchini.
“Scusate per prima, Altezza…”.
“Dunque?”, taglia breve il principe.
“Vi informo che è nata Sua Altezza la Principessa
Elyon”.
Phobos annuisce: lo aveva immaginato vedendo la torre
illuminata dal sole. Sono mesi che pensa a questo momento con apprensione.
“Quando?”.
“Un’ora fa”.
Già un’ora… “Tu l’hai già vista la bimba,
comandante?”.
“Sì, Altezza”.
Phobos si acciglia: un membro della famiglia reale nasce
nella torre accanto alla sua, e lui viene a saperlo solo dopo guardie e
servitori!
Congedato il comandante con un gesto, resta combattuto
per qualche minuto a osservare la torre nordest. Dietro quel balcone, sua
madre che non vede da mesi ha messo al mondo una bimba che dice essere
sua sorella. Proprio davanti al finestrone da cui lui sta guardando. Un
piano al disopra della sua camera da letto. Gli sembra che lui e
sua madre, separati da pochi metri di distanza, vivano in mondi diversi.
E’ arrivato il momento che ha aspettato con ansia da
mesi. Ora, da bravo figlio e bravo Principe, dovrà andare a incontrarla,
informarsi, congratularsi, perfino sembrare contento. Ma come lo accoglierà
lei? Si sarà addolcita? Avrà dimenticato la sua maledizione,
il suo risentimento? Tornerà a guardarlo con l’amore di una volta,
che ormai gli sembra più un sogno che un ricordo?
Si scuote. Basta sentimentalismi, c’è una cosa
importante sulla quale il suo diritto di sapere è stato troppo a
lungo ignorato: se questa bimba, che secondo sua madre dovrebbe diventare
la sua sposa, sia davvero figlia di suo padre Adleric.
Per la risposta, dovrà affidarsi a qualcosa che
non mente.
Meridian, anticamera della regina
“Pannolinoooo!”, chiama la voce di Galgheita dall’interno
della camera.
“Arrivo”, risponde Lidrienel, afferrandone uno dalla
pila di panni puliti e ben ripiegati che riempiono il divano in attesa
di trovare una sistemazione migliore.
Mentre si volta, però, scorge nella stanza un
luccichio sempre più forte, accompagnato da un suono inquietante
e bellissimo, quasi come un canto di sirene senza alcuna parola.
Fa in tempo a tirarsi in disparte, mentre la figura imponente
e ieratica del principe Phobos appare nella stanza.
Ignorando l’ancella inginocchiata, il principe si dipinge
un sorriso sul viso e varca la soglia della camera.
Al di là, Galgheita resta congelata a metà
del suo gesto di sventolare uno straccetto bagnato di pipì, e un
sollecito le muore in gola. “Principe Phobos!”.
Lui, imbarazzato, si tira indietro, cercando di mostrarsi
imperturbabile e non arrossire. “Prego, fate pure”. Avrebbe potuto perfino
arrivare in qualche momento ancora più imbarazzante…
Un minuto dopo rifà il suo ingresso, con tutta
la buona volontà di renderlo più solenne della prima volta.
“Madre, sono venuto a portare il benvenuto a mia sorella”.
Adariel gli rende un sorriso stanco dal letto, alzandosi
a fatica: “Grazie, figlio mio. Guarda la piccola Elyon, che meraviglia!”.
“E’ davvero bella”, risponde lui per farla contenta.
In verità i pochi neonati che ha visto, con la loro testolona sproporzionata,
le loro gambette rattrappite e i loro versetti fastidiosi, non gli hanno
mai destato emozioni positive. L’unica cosa che gli piace è la pelle
rosata e liscia. Ma quello che importa di più, per lui, è
che i neonati non gli fanno pensare alla vita, ma alla morte. Di quelli
che ha visto nei suoi cinquant’anni di vita, non uno ha raggiunto la fanciullezza,
se si escludono i due bastardini dello zio Findric.
La piccola sgrana tanto d’occhi verso di lui, poi gli
sorride.
Senza pensarci, anche il principe ricambia il sorriso:
sono molti mesi che negli occhi degli altri legge solo timore, o al più
sorrisi falsi, di circostanza.
“Gli piaci”, esala la mamma con un velo di soddisfazione
sul viso indebolito.
Phobos annuisce, a disagio. “Come sta?”.
“Finora bene”.
“E tu?”. Le nota, attorno al naso, qualche alone giallo
come il polline di konnestras.
Chiude gli occhi. “Sono distrutta. Phobos, mi resta davvero
poco da vivere”.
Lui sa che è vero, qualunque negazione sarebbe
solo una menzogna pietosa e inutile. “Sei riuscita nel tuo scopo”, preferisce
considerare.
“Non ancora. Se voi due riusciste a mettere al mondo
una nuova generazione di regnanti, potrei dirmi soddisfatta”.
“Sante parole, madre”.
Segue un attimo di silenzio, sottolineato solo dal ronzio
di qualche zanzara. Per un attimo, tutt’e due pensano angosciosamente a
qualcosa da dire per colmarlo.
E’ lei la prima: “Come va con il governo della città?”.
“Bene”, risponde lui, “Nessuna difficoltà: la
legge regna in tutta la capitale”. Fa un cenno verso la finestra. “Più
che altro si lamentano dell’umidità, ma la maga del tempo sei tu”.
Lei annuisce con una smorfia colpevole. “E fuori città?”.
“Oggi mi hanno chiesto di mandare soldati in alcune zone
di campagna. C’è brigantaggio”.
Adariel fa ancora una smorfia. “Trent’anni fa riuscivamo
a tenere un controllo molto migliore”.
“Trent’anni fa potevo permettermi di lasciare la città
per dargli la caccia, madre”.
Ancora un momento di silenzio, finché un borbottio
della bimba li interrompe.
“Beh, mamma, forse è meglio che ti lasci con la
piccola Elyon”.
Gli sorride. “Grazie di essere venuto, figlio mio”.
“Di niente. Se ti serve qualcosa, sai che ti puoi fidare
di me”, le dice uscendo dalla porta.
Appena in anticamera, fuori vista, Phobos solleva la mano
sinistra. Due zanzare, obbedienti, si posano sul suo dorso.
Meridian, torre nord, laboratorio di Phobos
Per arrivare al laboratorio all’ultimo piano della torre
nord, più piccola e isolata delle altre, a Phobos è bastata
solo l’intenzione.
Una volta materializzatosi qui, si volta verso una delle
finestre e guarda, dal basso, il balcone della camera della madre, dove
lui stesso era fino a un istante prima.
Solleva di nuovo la mano sinistra; le due zanzare, obbedendo
a un comando solo pensato, si levano in volo e vanno a posarsi su un piccolo
specchio circolare appoggiato a faccia in su sulla grande scrivania, illuminato
da una luce bianca radente che viene dalla sua stessa cornice.
Phobos si siede, e pone al centro del piano un grosso
volume dalla copertina bronzata con alcuni caratteri meridiani placcati
in oro antico. In questo luogo pochi libri sono normali, ma questo è
un po’ più speciale degli altri.
Aperta la chiusura con un solo tocco, lo sfoglia con
religiosa delicatezza, fermandosi a una pagina in cui un grosso riquadro
circolare è circondato da alcuni cerchietti e simboli arcani. Appoggia
quattro gemme sfavillanti sugli angoli del foglio, poi da un vasetto sparge
sul riquadro, con un morbido pennello, della sottilissima limatura di ferro.
La polvere scura si dispone rapidamente a formare un
disegno simile a coppie di irregolari bastoncini attaccati.
Ruota leggermente alcune delle gemme, poi torna a passare
il pennello a pieno sul riquadro. Il disegno muta, tracciando sempre contorni
di coppie di bastoncelli, commentate da minuscole didascalie collegate
con sottili linee di riferimento.
Dopo più e più tentativi, il disegno riappare
ancora mutato, mostrando finalmente due bastoncelli affiancati e uniti
al centro a formare una sagoma cruciforme.
Sono questi, pensa Phobos. I cromosomi X della bambina,
presenti in una goccia del suo sangue succhiato dalla zanzara. Su un lato
del disegno la polvere ha delineato delle ulteriori didascalie.
Phobos legge attentamente quelle parole criptiche, traducendole
con fatica nel linguaggio comune: a quanto pare, tutti e due i cromosomi
X sono tipici degli Escanor.
Dunque la piccola Elyon è proprio figlia di suo
padre Adleric.
Ora che ha avuto la risposta certa che ha agognato per
molti mesi, Phobos non sa se esserne sollevato o deluso. La piccola è
quasi certamente destinata a morire da sola in breve tempo, come tutte
le altre precedenti. Il destino ha scelto per lui, risparmiandogli la difficile
decisione se sposare una sorellastra bastarda ma vitale, proseguendo la
dinastia a prezzo del timore di essere spodestato dalle sue stesse figlie,
oppure darle una mano a seguire quelle che l’hanno preceduta.
Spera comunque che la piccola sopravvivrà per
un po’alla madre: lei ha già sofferto tanto e non merita di veder
morire, con quest’ultima figlia, tutte le sue speranze per il futuro.
Meridian, giardino di Phobos, la sera
La sera sta scendendo a liberare Phobos da un’altra giornata
silenziosamente amara, fatta di incontri forzati e ossequi fasulli.
Nel chiarore del giardino ormai tutto suo, si siede sul
pendio punteggiato da fiorellini gialli. Il loro profumo paradisiaco lo
avvolge a pieno. Si volta prono, aspirando a pieno quel profumo dalle corolle,
incurante delle macchie gialle di polline sulla veste e sul viso.
Mentre il sollievo floreale gli allevia l’amarezza, ora
sente che non ha più bisogno dell’approvazione di quella gentaglia.
Ora è il momento di portare a compimento la sua prima creazione,
mentre il sacro fuoco della magia gli scorre nuovamente nelle vene.
Si alza in piedi con un sorriso esaltato ed entra, senza
curarsi delle vesti, nella polla d’acqua che già si sta illuminando
di verde per lui. Si lascia immergere, e ora più che mai la luce
avvolge tutti i suoi pensieri, aprendo gli occhi della sua mente sulla
grandezza del futuro che costruirà.
Dopo un tempo che nessuno può quantificare, si
rimette in piedi ed esce deciso dalla polla, avvolto da un alone luminescente,
grondando luce liquida sul terreno dai suoi indumenti appesantiti. Davanti
a lui, ora, c’è una splendida pianta dal fiore bianco.
Sovrastandola, Phobos vi impone le mani sempre più
luminose.
Come altre volte, la pianta prende piano a trasformarsi.
Nuovamente le foglie si piegano in arti e gomiti, il gambo si allarga in
un torace affusolato, fattezze umane si disegnano sotto la corolla, ed
i petali si sfaldano in filamenti setosi.
Poi sembra che la trasformazione stenti a proseguire.
Phobos insiste, stringe i denti per lo sforzo, inizia
a ripetere parole arcane con rabbia, più volte, sempre più
forte, mentre la luminosità della sua aura vacilla e si colora di
toni mai visti.
Sotto il suo sguardo volitivo, questa volta i tratti
umanoidi riprendono a evolvere, finché la creatura viene finalmente
plasmata secondo la sua volontà.
Meridian, appartamento di Alborn e Miriadel, quella sera
Il comandante Alborn si richiude alle spalle la porta
d’ingresso del suo piccolo appartamento nell’ala nord del palazzo.
Appesa al chiodo la grossa fascia dagli orli gialli che
gli stringeva la vita, viene poi il turno della giacca verdazzurra dalle
pesanti spalline che evidenziano il suo grado di colonnello.
Si siede su una poltrona, poi guarda il calendario meridiano
appeso alla parete, su cui spiccano delle annotazioni a matita contornate
di fiorellini. In quel posto dal nome impronunciabile sulla Terra, dove
la sua Miriadel passa quasi tutto il tempo, dovrebbe essere iniziato il
fine settimana. Lei dovrebbe essere di ritorno tra poco.
Speravano che, con i nuovi varchi, lei avrebbe potuto
tornare a casa ogni sera, ma non è stato proprio così.
La porta d’ingresso si apre, lasciando vedere una figura
coperta da un mantello lungo fino ai piedi. “Eccomi!”. E’ la sua voce.
Lui fa per venirle incontro. “Sono qui, cara. Finalmente!”.
“Un momento…”. Lei apre il lungo mantello e lo appende
stancamente a un gancio alla parete, rivelandosi vestita con una blusa
terrestre troppo aderente, e dei pantaloni di un ruvido e sbiaditissimo
tessuto blu.
“Abiti terrestri?”, chiede lui con una vaga smorfia di
disgusto, “Una volta tornavi a casa già vestita decentemente”.
Lei annuisce, poi, con tono piatto, risponde: “Una volta
avevamo l’energia per trasformarci ogni giorno con tutti gli abiti addosso,
ora non più”.
Lui continua a guardarli con diffidenza. “Non è
che portino microbi strani?”.
“A quintali”, risponde lei sfilandosi la blusa e appendendola
con un gesto stanco, poi è il turno dei pantaloni.
Alborn osserva con interesse ed emozione, sperando che
la moglie continui ciò che ha iniziato; ma lei lo delude, infilando
subito una vestaglia lunga fino ai piedi.
Lo guarda svogliata, leggendogli i pensieri. “Non ora,
caro. Ho mal di testa”.
Lui si immusonisce. “Dopo una settimana…”.
“Non è una scusa. Solo, lascia che mi riprenda”.
Gli si siede accanto su un’altra poltrona. “E’ che questo periodo mi uccide”.
“Tanto lavoro?”.
“Peggio. Quella terribile Guardiana di Kandracoso mi
tiene il fiato sul collo. Capita in negozio più volte al giorno”.
Appoggia la testa alla spalliera, perdendo lo sguardo verso il soffitto.
“Qualche volta entra dalla porta. Qualche altra volta si materializza in
negozio, con gran sorpresa dei clienti, tanto poi tocca a me far loro dimenticare
tutto. E chissà quante volte apparirà direttamente nello
scantinato senza neppure dirmi cucù!”. Si volta verso di lui sdegnata:
“Ma ti rendi conto? Si è accampata tutta una mattina in quel seminterrato,
portandosi perfino il lavoro all’uncinetto!”.
Lui ridacchia quasi divertito all’idea. “Ma cosa vuole?”.
“Vuole trovare il portale aperto. Se ci riesce, lo può
sigillare con il suo lampeggiante gingillo rosa, e noi non riusciamo più
riaprirlo finché non torna Cedric con il sigillo di Phobos”. Sbuffa
di disappunto. “E poi quel coso, ogni volta che Cedric lo usa, si mangia
tanta di quell'energia che poi a noi agenti ne resta pochissima per ritrasformarci
e tornare a casa senza essere guardati come alieni. E’ per questo che noi
due ci possiamo incontrare solo il fine settimana”.
Lui annuisce comprensivo. “Ma adesso avete aperto anche
altri passaggi oltre a quello in negozio, vero?”.
“Certo, ma la sai l’ultima trovata geniale di Cedric?
Avevamo notato che spesso la guardiana arriva poco dopo che un portale
è stato attivato, anche se non sappiamo come se ne accorga a distanza.
Lui ha cronometrato questi interventi, studiato le sue abitudini quotidiane,
fatto un po’ di statistiche, e poi mi ha dato una tabella di orari in cui
aprire il portale del negozio, l’unico che lei conosceva già, e
richiuderlo dopo tot secondi; intanto che la guardiana viene per tentare
di sigillarlo, altri agenti ne aprono un altro in altri luoghi, passano
e lo richiudono subito mentre lei è impegnata a stressare me”.
Lui annuisce compunto, cercando di nascondere che gli
viene da ridere. “E lei ci casca?”.
“Non sempre: ha colto in flagrante e sigillato anche
un altro portale, ma adesso scegliamo meglio i posti in cui aprirli. Un
palazzo con molti appartamenti è l’ideale: qualunque sia il mezzo
di localizzazione che usa, non è abbastanza preciso da scoprire
in quale appartamento si trovi il portale nel breve tempo in cui è
aperto. Poi, però, bisogna che non si facciano sorprendere mentre
escono sul pianerottolo, e lei può rendersi invisibile. Ma possiamo
farlo anche noi”.
Lui ci riflette, accigliandosi. “Però questo tuo
ruolo da esca mi sembra molto limitativo. Non sei una degli agenti migliori?
La prima a essere promossa capitano a ventisei anni? Perché non
chiedi qualcosa di più impegnativo?”.
Lei si stringe nelle spalle. “Non siamo in tanti a poter
interpretare una commessa terrestre senza destare sospetti”. Resta un attimo
pensierosa, come incerta se continuare, poi si decide: “Sai, Alborn… abbiamo
perso ogni contatto con un agente in missione. Conoscevi Vatris?”.
Lui annuisce, impressionato: “Cosa è successo?”.
“So solo che si era teletrasportato alla ricerca di un
meridiano individuato da una delle nostre zanzare. Non abbiamo idea se
abbia dovuto lottare, se sia stato ucciso da un’automobile…”.
“Automobile?”, ripete lui allarmato, “Non sapevo che
ci fossero animali feroci nel posto dove lavori!”.
Lei sorride stancamente tra sè. “Non è
proprio così: sono macchine che corrono, e lì le strade ne
sono piene. Se uno si teletrasporta in un posto sconosciuto e riappare
al centro di una strada, le automobili lo stirano”.
“Lo… stirano?”, fa lui inorridito.
Vedendolo così turbato, Miriadel si sente in dovere
di rassicurarlo: “Per evitarlo, quando dobbiamo andare in un luogo lontano
per la prima volta, prima ci trasformiamo in uccelli, poi ci teletrasportiamo
a mezz’aria e osserviamo bene dove atterrare”. Gli strizza l’occhio. “E’
sicurissimo”.
Lui annuisce, un po’ tranquillizzato. “E di questo Vatris…
tu cosa preferiresti pensare?”.
Lei ci riflette un attimo. “Che sia vivo e stia bene,
anche se ciò volesse dire che ha disertato”.
“Insomma, non ti piace quello che state facendo, vero?”.
Lei si guarda attorno sospettosa, poi scuote il viso
adombrata. “E tu?”.
Lui intreccia le dita. “Vogliamo parlarci chiaro?”, dice
a bassa voce, “Il principe Phobos è sempre più arrogante
e lontano. Inquietudine e scontento si stanno diffondendo a ogni livello,
anche tra le guardie. Quando la Regina sarà morta, la situazione
potrebbe precipitare”. Raccoglie le idee. “Molti sperano che la neonata
principessa Elyon possa salvare la situazione, e girano voci insistenti
di una profezia. Ma cosa impedirà alla piccola di morire… in un
modo o nell’altro?”. Si guarda di nuovo attorno, come spaventato da ciò
che ha appena proferito.
Lei capisce subito quello sguardo. “Caro, attento a quello
che dici. Anzi, stai attento anche a quello che pensi. E’ probabile che
i servizi segreti stiano cercando di individuare gli elementi potenzialmente
ostili al principe Phobos nel palazzo. Dopo che la Luce si sarà
unita agli Dei, si potrebbe arrivare a una resa dei conti”. Guarda fuori
dalla finestra, angosciata. “Allora forse pregherò di essere lasciata
nella mia piccola tana sulla Terra, ma non escludo che potrei, invece,
essere tra gli incaricati di tutto questo”.
Per un lungo istante, un silenzio pesante cade sul piccolo
soggiorno.
Miriadel si riscuote, poi si alza per chiudere le tende
e va a sedersi sulle ginocchia del marito. “Hai ragione tu, caro: potremmo
avere davvero poco tempo”. Gli ammicca, abbandonando il capo sulla sua
spalla. “Sarà meglio impiegarlo nel modo migliore”.
In un angolo della stanza una presenza invisibile si prepara
a svanire, lasciandoli soli nella loro intimità.
La regina aveva ragione, pensa tra sé:
Miriadel e Alborn sono le persone adatte per il suo ultimo incarico.