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Autore: Blackvirgo    12/02/2011    3 recensioni
C'è una vecchia attorno al fuoco che racconta la storia del mondo quando ancora c'erano gli spiriti. C'è una bambina sicura che un giorno incontrerà uno spirito. C'è un bardo che, ascoltando la storia della vecchia e osservando la bambina, si chiede se in quella storia anche lui - per uno strano scherzo del destino - abbia un ruolo. E, prima della fine, ognuno - in un modo o nell'altro - troverà ciò che cerca.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Naraku, Nuovo personaggio, Sesshoumaru, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ecco l'òmero acceso, la pepita
travolta al sole,
la cavolaia folle, il filo teso
del ragno su la spuma che ribolle -

e qualcosa che va e tropp'altro che
non passerà la cruna...

Occorrono troppe vite per farne una.

Da “Le occasioni” di Eugenio Montale

 

… Ora li stava osservando, spostando lo sguardo prima su uno e poi sull’altro, sulle loro mani e sul loro sangue. Li osservava come non aveva fatto da molto tempo – per quanto aveva dormito? – e mai li aveva trovati così simili, così disperati e così determinati. Quando li aveva conosciuti erano soli, tutti e tre. Di tre solitudini diverse, ma tutte foriere di dolore.

Uno l’aveva incontrato tra le fronde del Grande Albero: un essere selvatico, nato dall’amore proibito, egualmente simile e diverso alle due razze che lo avevano generato, tanto da disprezzare entrambe e da ricercarne continuamente l’approvazione.

L’altro l’aveva trovato in fin di vita, distrutto dalle stesse meschinità di cui era vissuto. Lo aveva accudito finché era ancora vivo, per poi esserne uccisa – e richiamata in vita e perseguitata ancora e ancora – quando egli aveva voluto abbandonare la propria umanità per diventare altro, per sfidare uomini, spettri e dei. Non sapeva come avesse fatto allora, ma aveva visto mutare la sua natura: da uomo a spettro, senza essere né l’uno né l’altro. Disprezzando e volendo entrambi.

Ma qui e ora c’erano solo le loro anime.

Anime simili, di uomini e di spettri. Anime che continuavano a combattere per dimostrare di avere ragione. Anime che sempre avevano lottato per avere lei e che mai l’avevano posseduta.  

E lei? Chi era lei? Cos’era lei?

Era stata una sacerdotessa che camminava tra boschi e villaggi, temuta e rispettata. Poi era stata una ragazzina tanto ingenua quanto coraggiosa.

E, in ogni sua vita, quel gioiello l’aveva accompagnata, quel maledetto gioiello pregno di un potere perverso, che alimentava sogni e speranze al prezzo dei loro spiriti. Ma l’anima no: l’anima non la poteva rubare.

Ora ricordava persino com’erano finiti lì dentro: era stato dopo che Naraku si era di nuovo rigenerato sul Monte Sacro. Avevano lottato contro i suoi sette mercenari, contro Kagura del vento e contro Kanna dello specchio. Ogni battaglia avrebbe potuto essere l’ultima, ma non si erano mai arresi: non Inuyasha che vedeva in Naraku il suo nemico di sempre, se stesso e il suo contrario. Non Miroku che cercava la sola possibilità di sfuggire a una sorte impietosa. Non Sango, stanca delle troppe avversità, ma mai rassegnata. Non il potente Sesshomaru che non avrebbe mai permesso a nessuno – spettro, uomo o a mezzo fra essi – di prendersi gioco di lui. Non la vecchia Kaede che non avrebbe più voluto seppellire nessuno. Non Shippou e Rin che non volevano perdere un’altra famiglia. Non lei stessa: né come Kikyo, che assetata di vendetta, bramava la pace della morte, né come Kagome che, piena di speranza e di vita, voleva un futuro da vivere.

Si erano trovati tutti loro contro Naraku e contro la Sfera stessa: contesa, spaccata e ancora più potente. Non aveva lasciato che disputassero la battaglia finale: li aveva messi di fronte a loro stessi e li aveva combattuti. Divisi. Uno per uno.

Lei aveva vagato nelle tenebre, combattuta tra la sua vendetta, le sue paure e le sue speranze. Aveva cercato Naraku per combatterlo e aveva chiamato Inuyasha perché quel buio le faceva paura. Aveva incoccato una freccia per colpire il suo nemico e altri ricordi le erano piombati  addosso: ricordava un altro giorno, un’altra freccia e un Grande Albero. Ricordava l’odio cocente del tradimento, il calore del proprio sangue e l’amore che era promessa di felicità e di serenità… allora non sapeva e l’oggetto di odio e amore era stato solo Inuyasha. Inuyasha che l’aveva osservata da lontano tra le fronde, Inuyasha che combatteva gli spettri malvagi assieme a lei, Inuyasha che la sorreggeva quando la fatica era troppa, Inuyasha che la baciava e le prometteva una vita normale, una vita da umani. Ma la mano non è ferma quando la mente è turbata e lei mancò il colpo mortale: fu il sonno, e non la  morte, ad accogliere fra le sue braccia il mezzo spettro.

Poi la sua anima rinacque e il suo spirito tornò.

E la sua anima, una volta ancora, si innamorò del mezzo spettro, felice di ogni attimo in sua compagnia, temendo per la sua vita in ogni battaglia, fremendo ogni volta che la abbandonava per inseguire quello spirito che, una volta, era stato parte di lei. Turbata, ogni volta, che incontrava se stessa in quel pallido riflesso, accompagnata dai fuochi fatui, così fragile eppure così forte e determinata. E ogni volta combatteva contro se stessa: con la gelosia, con un amore che si era consumato quando lei non era neppure nata e che, inconsapevole, avrebbe continuato ad alimentare nella sua vita. Nelle tenebre era stata sia Kikyo che Kagome e aveva accettato di essere entrambe: di amare Inuyasha e di vendicarsi di Naraku. Ma non aveva scoccato alcuna freccia: i due mezzi spettri combattevano davanti a lei, in un turbine di spade, di braccia e di corpi confusi, troppo confusi per discernere il bersaglio. Fu così che arco e freccia svanirono dalle sue mani.

Non sapeva che fine avessero fatto tutti gli altri.

Sapeva solo che, da allora, erano stati prigionieri della Sfera: i guerrieri combattevano e lei aspettava.

E dormiva, cercando nei sogni ricordi ormai dimenticati.

 

***

La bambina infreddolita era tornata al villaggio seguendo, coi suoi passi piccoli e svelti, lo spettro bianco. Egli camminava piano e pareva non appoggiare i piedi per terra, tanto era leggero il suo incedere. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, a volte piegando la testa come per ascoltare meglio il vento, a volte alzando lo sguardo come temesse che la pallida luna potesse sparire. Al limitare del bosco si era fermato e si era concesso di appoggiare un lungo sguardo su quel paesaggio ora estraneo: nessuna malinconia nei suoi occhi, nessuna nostalgia per un villaggio che ora si trovava in fondo a un lago, per una montagna che si era spaccata, per una valle che aveva mutato la sua forma. Socchiuse gli occhi per un attimo e inspirò profondamente l’aria fresca della notte. E, quando li riaprì, una scintilla di ammirazione li attraversò: ammirazione per un mondo capace di mutare forma senza perdere in fascino, capace di mutare e di rimanere uguale a se stesso, con le sue eterne stagioni, l’insieme di rumori che gli uomini chiamavano silenzio e la luna… quella pallida luce che mostrava senza abbagliare, che mostrava ogni cosa per quel che era. E che ora gli mostrava un mondo cambiato, invecchiato, ma che nulla aveva da invidiare ai miraggi che la sua mente aveva creato mentre era nell’altro dove.

Riprese a camminare, lentamente, lo sguardo fisso in avanti, i sensi all’erta per godere di ogni silenzio e di ogni rumore, di ogni fragranza dolce o pungente, di ogni refolo d’aria.

La bambina continuava a seguirlo, felice della sua presenza e di quei preziosi momenti , senza sentire il desiderio di parlare. Rallentava per annusare un fiore e poi, con una corsetta, lo raggiungeva. Sorrideva, perfettamente a suo agio accanto allo spirito bianco, come se lo avesse fatto un milione di altre volte, in un altro passato, in un’altra vita.

Sesshomaru non poteva seguire i propri ricordi, ma seguì i suoi sensi. Percepiva un villaggio di uomini lì vicino: erano eccitati da qualcosa, odorava la paura nell’aria. E, in mezzo a loro, c’era un potere nascosto: un potere più forte del suo, che si nutriva di spirito, che si nutriva di tutti gli sciocchi che, nel tempo, avevano tentato di imporre la propria volontà su quella dell’oggetto. Una Sfera nata da una battaglia tra un drago e una sacerdotessa, narrava la leggenda, che volevano continuare a vita la loro lotta pur di stabilire un vincitore. Ma per farlo dovevano nutrirsi e quello di cui avevano bisogno era spirito. La Bestia Nera gli aveva detto che voleva un’anima che non aveva ancora pagato un pegno: che Naraku fosse ancora vivo? E allora… poteva esserlo anche Inuyasha?

Sesshomaru non sapeva come la Sfera fosse sopravvissuta alla distruzione di tutto, ma lo sentiva, proprio come sentiva che fuori da quel mondo in cui erano stati confinati esisteva ancora qualcosa. Una speranza o un sogno che erano diventati reali.

Ricordava quel giorno in cui si erano schierati tutti assieme contro Naraku e si erano trovati uno per uno a fronteggiare la Sfera. Aveva viaggiato nelle tenebre, nei ricordi di una vita senza tempo: aveva visto suo padre, in una notte di luna piena e di addii, aveva visto un fratello che non aveva potuto abbandonare, ma a cui non aveva mai voluto mostrarsi per quello che era, che mai aveva voluto riconoscere come tale. Aveva visto una bambina sbranata dai lupi che il potere di una spada ereditata e disdegnata aveva riportato in vita. Aveva visto se stesso disprezzare uomini e mezzi uomini e proseguire la propria vita incapace di ignorarli. Aveva compreso l’inutilità di quel disprezzo e aveva visto la bambina che allungava le manine verso di lui, correndo e scappando dalla Bestia Nera. Aveva allungato i propri artigli avvelenati e, per la prima volta nella sua incalcolabile vita, aveva temuto di farle male. La Bestia aveva scoperto i denti mentre i suoi occhi baluginavano nella parodia di un riso.

E lui si era ritrovato nell’altro mondo.

 

***

“Sto per morire,” disse la vecchia, il respiro sempre più corto, la voce ridotta a un rantolo. Stringeva spasmodicamente la Sfera tra le dita adunche, come per strapparsela dal collo, come se quel gesto fosse troppo faticoso.

“Che state dicendo?” chiese il bardo, impotente di fronte all’improvvisa spossatezza della vecchia, di fronte a quei momenti in cui non importa cosa tu faccia, tanto non puoi cambiare nulla.

“Sto per morire, cantore,” rispose la vecchia con un ghigno tirato che avrebbe voluto essere un sorriso. “Sto per morire come ho fatto molte volte in passato e come farò molte altre in futuro. La mia bambina… anche lei morirà, tra poco. È il nostro destino, cantore,” colpi di tosse, un rivolo di sangue, le occhiaie sempre più nere e profonde, “è legato a questo maledetto gioiello,” riprese. “Io, che ho cambiato molti volti e molti nomi, ne sono la Custode. Di nuovo nascerò e vedrò morire mia sorella, di nuovo qualcuno mi affiderà una bambina la cui famiglia è stata sbranata dai lupi, di nuovo troverò qualcuno a cui raccontare questa storia perché tutti loro – i protagonisti – possano rinascere assieme a me. Di nuovo avrò questo gioiello che mi impedirà di finire la storia, lasciando che io rimanga sempre e solo una spettatrice, incapace di mutare la storia, ancora una volta pronta a seppellire coloro che ho amato. E poi morirò anch’io, senza riuscire a liberare né le anime né gli spiriti. E di nuovo vagherò come un’anima in pena su questa terra vecchia e incolore e, quando troverò un nuovo corpo e un nuovo spirito, tornerò a vivere. E tutto si ripeterà di nuovo e di nuovo e in eterno.”

Il bardo ascoltava quella storia con gli occhi troppo spalancati e la mente troppo vuota.

“Non potete morire ora,” furono le parole che uscirono dalla sua bocca, tanto fuori luogo quanto sentite. “Non potete morire ora e lasciarmi con nuovi misteri, come lo sconosciuto della pergamena!”

Gli occhietti della vecchia, appannati per la sofferenza, erano interrogativi. “Quale uomo?” chiese in un sussurro.

“Era un uomo con una strana malattia, morto senza successori. Ha lasciato in eredità una pergamena e una manciata di spiccioli al primo che avesse mormorato una preghiera sulla sua salma. Io fui il primo e forse l’unico. E sulla pergamena c’è scritto…” frugò il taschino con la mano tremante, e con voce ancor più tremante lesse le parole che gli avevano provocato tante notti insonni alla vecchia, che ascoltava come se la sua vita dipendesse da quei suoni cadenzati.

“E così quella stirpe è finita,” mormorò alla fine.

“Quale stirpe?” volle sapere il bardo.

“Quella di Sango e di Miroku. Se penso che Kaede fece nascere i loro bambini e io, Agata, sono sopravvissuta all’ultimo della loro discendenza.”

“Parlate come se li aveste conosciuti,” osservò il bardo.

“Non avete ancora capito? Io sono Kaede e sono Agata e sono tutti i volti che ci sono stati fra l’inizio e la fine di questa storia. Ho visto Kikyo morire e poi tornare, ho visto Onigumo diventare Naraku… e, alla fine, ho visto Inuyasha, Kagome e Naraku sparire dentro la Sfera e gli spiriti sparire da questo mondo.” La voce sempre più flebile divenne un sussurro confuso nell’aria della notte.

La vecchia chiuse gli occhi stanchi: una sensazione aveva cominciato a impadronirsi di lei, una sensazione sconosciuta per Agata, ma che Kaede avrebbe riconosciuto immediatamente e si avvicinava con passo leggero, lenta e inesorabile.

“Sono tornati,” mormorò la vecchia, la voce sempre roca ma non più un sussurro, come se una nuova forza alimentasse le sue membra e il suo sguardo, ora lucido e attento.

Il bardo, seguendolo, vide una figura bianca incedere fra le ombre, e sul suo viso senza età vi erano gli occhi gialli del lago.

Dietro veniva Corinna, trotterellando,  tanto intirizzita quanto sorridente.

 

 

***

Note dell'autrice: vi sembrerà incredibile, ma è quasi finita! No, davvero, non dovrete aspettare un altro anno per il prossimo capitolo: è già pronto per metà, solo da rileggere quelle 6 o 7 volte prima di pubblicarlo! Insomma, il periodo di mancanza di tempo+testa+voglia+ispirazione per scrivere è finito... o almeno credo...

Vi ringrazio tutti, per i vostri commenti e per il vostro sostegno! Un ringraziamento in particolare a Flavia,  Lara, Roberto e Mikamey che seguono questa storia da un sacco di tempo ormai e a Earandir, last but not least!

Un abbraccio a tutti voi!

   
 
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