Clarissa sfregò tra loro le mani nella speranza di
scaldarle. Guardò con rabbia la neve sotto ai propri piedi e si trovò a maledire
nuovamente quell'idiota di Valerio, che non solo era in ritardo, ma che sembrava
anche decisamente ostinato a non rispondere al cellulare. Come se lei non avesse
avuto nulla da fare! Che cosa pretendeva? Che sarebbe rimasta ad aspettarlo in
eterno? Se credeva veramente che il semplice fatto di essere innamorata di lui –
ma in quel momento, al freddo, da sola, non ne era più tanto convinta –
l'avrebbe convinta ad aspettare l'ibernazione in quella via desolata, be',
allora si sbagliava di grosso. Quell'imbecille! Mise di nuovo mano al cellulare,
sperando di trovare almeno una chiamata, un messaggio, un qualsiasi segno che
non si era dimenticato di lei e che stava arrivando. Ma non vide nulla di tutto
ciò. Solo la foto di loro due abbracciati che aveva impostato come sfondo. Ma
iniziava a pentirsi di quella scelta. Come prima cosa, una volta che le sue mani
si fossero scaldate abbastanza perché potesse muoverle, avrebbe cambiato
immagine.
Decise di tornare a casa. Chi se ne fregava se era l'anniversario
del loro fidanzamento? Non importava! Tanto, Valerio non se ne sarebbe comunque
ricordato. Aveva dimenticato il suo compleanno, dopotutto, sia quell'anno che
quello prima, e l'anniversario era una data che proprio non gli entrava in
testa, nonostante non fosse difficile da ricordare: la Vigilia di Natale.
Ebbene, non doveva essere solo lei quella che gioiva a festeggiare il loro
secondo anno insieme. Quella situazione, in verità, cominciava a stancarla.
Valerio, nell'ultimo periodo, sembrava essere diventato ancora più distratto di
quanto era prima. E come se non fosse bastato, iniziava anche a ignorarla! Cosa
gli impediva di rispondere ai suoi messaggi e alle sue chiamate? La neve, forse,
che aveva ricominciato a cadere? Il freddo gli aveva congelato i neuroni a tal
punto che non riusciva a ricordare d'avere un appuntamento con lei? Sbuffò e
maledisse lui e tutto il genere maschile. Non era molto, ma non riusciva a
trovare nulla di meglio da fare.
Quando giunse a casa era ghiacciata e aveva
i piedi bagnati per la neve che le era entrata nelle scarpe. Tutto per colpa di
Valerio! Quello stupido... Ah! Ma l'avrebbe pagata.
«Be'? Che ne è stato del
tuo appuntamento?» l'apostrofò Alessia quando la vide, ferma sulla porta, a
contemplare con rabbia la schermata del cellulare.
«Mi ha dato buca.»
«Di
nuovo?»
«Già. Quell'idiota! E io che ho detto a mia madre che non potevo
andare a cena da lei apposta...» Carlotta soffocò un'imprecazione tra le parole
e si morse le labbra. Non solo aveva rinunciato alla cena in famiglia, che le
avrebbe consentito di vedere, dopo molto tempo, parenti che abitavano lontano,
ma aveva anche scatenato la rabbia della genitrice, che non vedeva di buon
occhio la sua assenza. «Non si è nemmeno fatto vedere! Non ha chiamato, non mi
ha avvertita! Ho un nervoso intorno che, credimi, potrei uccidere.»
«Se
evitassi di farmi fuori ne sarei felice.» replicò Alessia lanciandole un
asciugamano e una felpa asciutta. «Vorrà dire che passeremo la Vigilia da sole
io e te, no? Davanti alla stufa con una cioccolata calda. Che te ne
pare?»
«Onestamente? E' un po' triste. Piuttosto me ne torno a casa, dai
miei. Se vuoi puoi venire anche tu.»
A quelle parole Alessia sembrò
agitarsi.
«No, no!» esclamò agitando le mani. «No, dai, non andare! Io non ci
vengo, lo sai che a tua madre non piaccio. Vuoi lasciarmi qui da sola?»
«Non
ti lascio da sola.» rispose Clarissa, stizzita. «Te l'ho detto: vieni con me. E
non è vero che a mia madre non piaci.»
«Ha uno strano modo di dimostrarlo.»
sbuffò Alessia. «Non essere cattiva, dai! Resta qui...»
«Ti ho già detto...»
fece per rispondere Clarissa, ma Alessia la interruppe:
«E dai! Tanto, il
tempo di arrivare in stazione, prendere il treno e arrivare a casa tua e la tua
famiglia avrà già finito di cenare.»
Non aveva tutti i torti, riflettè
Clarissa. Tanto valeva rimanere a casa e accettare la proposta dell'amica, che,
in caso lei se ne fosse andata, avrebbe davvero passato la Vigilia di Natale da
sola.
«E va bene.» acconsentì sgarbatamente. «Ma solo perché rischierei di
rimanere senza cena.»
«Così si ragiona!» approvò Alessia battendo le mani.
«Forza. Perché non ci scegliamo un bel film o qualcosa di simile?»
«Scegli
tu.» la liquidò Clarissa. «Io vado a mettermi qualcosa d'asciutto.»
«Ottima
idea.» gongolò Alessia. L'amica la guardò mentre si allontanava verso il salotto
con il cellulare in mano e un sorriso stampato sulle labbra, poi si decise ad
andare nella propria stanza. Ribolliva di rabbia. Quell'idiota di Valerio! Ma
come si permetteva di trattarla così? Era la sua fidanzata e, anniversario a
parte, meritava un trattamento migliore. Avrebbe potuto tollerare il fatto che
si fosse dimenticato la data – l'aveva già fatto, in passato. Era fastidioso,
certo, ma era qualcosa a cui poteva sopravvivere – ma che l'avesse lasciata lì,
al freddo, da sola, ah! Quello proprio no. Gliel'avrebbe fatta pagare. Senza
dubbio. Avrebbe almeno potuto avvertirla! Non gli sarebbe costato poi più di
tanto. Questione di mezzo minuto! Mandare un messaggio con il cellulare era
improvvisamente diventata un'azione al di sopra delle sue
capacità?
«Clarissa!» strillò Alessia dal salotto. «Clarissa! Muoviti, quanto
ci metti?»
«Arrivo!» ringhiò di rimando Clarissa. Ci mancava solo Alessia a
metterle fretta! Aveva voglia di mettersi a piangere.
«Finalmente.» commentò
Alessia quando Clarissa la raggiunse in salotto. «Credevo che ti fossi
persa.»
«Riflettevo sulla possibilità di lasciare Valerio e trasferirmi
nell'Isola di Pasqua.»
L'amica sgranò gli occhi e inarcò lievemente le
sopracciglia chiare.
«Non sarà un po' esagerata, come reazione?» domandò
accomodandosi sul divano. «In fin dei conti, potrebbe esserci un motivo se non
si è fatto vedere, no?»
«Cosa?» strillò Clarissa guardandola male. «Mi stai
prendendo in giro? Lo difendi!»
«Non è che lo difendo!» si affrettò a
specificare Alessia sollevando le mani. «Ma magari ha avuto dei problemi, no?
Magari, con tutta questa neve che c'è in giro per le strade, ha avuto un
incidente in moto, che ne sai? Oppure, ecco, potrebbe aver trovato traffico. Non
poteva certo chiamarti mentre guidava!»
«Oppure, semplicemente, si è
dimenticato che dovevamo trovarci.»
«Sempre a pensare in negativo.» borbottò
Alessia, risentita. Clarissa la fissò mentre incrociava le braccia al petto e
arricciava le labbra in un piccolo grugno. Non riuscì a fare a meno di
sorridere, nonostante provasse ancora il forte impulso di strangolare
qualcuno.
«Pensare che abbia fatto un incidente in moto, invece, è
positivo?»
«Be',» commento Alessia con leggerezza «non avresti motivo di
essere arrabbiata con lui, giusto?»
«Giusto.» sospirò Clarissa lasciandosi
cadere sul divano accanto all'amica. «Hai scelto un film?»
«Non ancora.»
replicò Alessia. «Anzi, sai che ti dico? Sceglilo tu. Io vado a preparare un té.
Ne vuoi?»
«Sì, grazie.» sospirò Clarissa mettendo mano ai CD che l'amica
aveva sparpagliato sul tavolino e iniziando a esaminarne i titoli. Alessia si
allontanò in fretta, il cellulare ancora in mano. Clarissa la sentì borbottare
qualcosa a un probabile interlocutore che stava dall'altra parte della cornetta,
ma non se ne curò.
Quando si ritrovò da sola, per un istante, le venne il
folle desiderio di uscire di casa, andare a ripescare Valerio – ovunque si
trovasse: anche se si fosse sepolto sotto dieci metri neve, be', l'avrebbe
trovato – e gridargli la sua rabbia fino a ucciderlo. Ma non lo fece. Rimase
seduta, immobile, ad ascoltare il silenzio. Si sentiva solo il crepitare leggero
della legna nel caminetto e, oltre a quello, solo il nulla ovattato delle sere
di neve. E poi, all'improvviso, da lontano, una musica leggera, di un violino
che suonava... Si riscosse. Lo immaginava nella propria mente, o c'era davvero?
«Alessia!» chiamò a voce alta. «Alessia, vieni qui!» Lo sentiva anche lei?
Ma l'amica non rispose. E la musica continuava, dolcissima e avvolgente, senza
interrompersi. E sbagliava – ma non era possibile, era follia – o quella che
sentiva era la sua canzone? La loro canzone, quella nenia che Valerio le aveva
suonato quel pomeriggio quando, mentre chiacchieravano nella sua stanza, lui le
aveva raccontato di come la madre l'aveva sempre costretto a prendere lezioni di
musica e di come, alla fine, si fosse appassionato al violino. Quant'era stupido
chiedersi una cosa simile! Certo che era la loro canzone, come dubitarne?
L'aveva ascoltata così tante volte, e così tante volte aveva visto Valerio che
la suonava, concentrato, con gli occhi socchiusi, mentre lei, sdraiata sul
letto, lo ammirava? Era in quei momenti che lui si rivelava per quello che era e
che le faceva capire che era davvero speciale come lei aveva sempre
pensato.
Si alzò dal divano, titubante, e si avvicinò alla finestra in punta
dei piedi. E se, guardando fuori, avesse spezzato l'incantesimo? Forse la musica
sarebbe finita, e a lei sarebbe rimasta soltanto la delusione e la rabbia per
tutto quello che era successo quella sera. Ma che senso aveva rimanere lì, ad
ascoltare quasi senza respirare, temendo che anche soltanto un minimo sussurro,
un fruscio appena accennato, potessero mettere fine alla magia?
Scostò la
tenda con la mano e si decise a guardare il giardino.
Ed ecco! Eccolo,
Valerio, il suo Valerio, nel bianco della neve! In piedi lì, in mezzo al
praticello candido, lui stesso vestito dello stesso colore, con la pelle chiara
e i capelli biondi, mentre suonava il suo violino! Un'apparizione, un'illusione,
un frutto della sua mente. Un dipinto in tinte chiare, circondato dalla macchia
scura della notte – ma non era poi tanto scura, con il riflesso della neve che
la tingeva di luce – ed era lì per lei, suonava per lei! Era quello il motivo
per cui non si era presentato all'appuntamento? Per farsi trovare lì, alle dieci
e mezza di sera, la Vigilia di Natale, a suonarle il loro amore? Clarissa aprì
la finestra e il suono, finalmente, le arrivò dolce e deciso come l'aveva sempre
ascoltato. Ecco, era questo il suo Valerio! Lui, quello che l'aveva fatta
innamorare con il suo carattere imprevedibile. Chiuse gli occhi e rimase
soltanto la musica, ma le sembrava di vedere ancora la neve dietro alle palpebre
chiuse, e le bastava il profumo che quella sera aveva, e la melodia, e non aveva
bisogno di null'altro. Le sembrava – ed era una sensazione così forte, così
reale – che il pavimento si fosse sciolto sotto ai suoi piedi. E lei, ora,
viaggiava tra fiocchi di neve che suonavano per lei...
«Forse varrebbe la
pena perdonarlo, non credi?» mormorò la voce di Alessia alle sue spalle. Si
voltò in fretta, ricordandosi di essere nella realtà, e abbandonando l'illusione
bianca in cui era piombata, e solo quando vide il volto sorridente dell'amica si
accorse che Valerio aveva finito di suonare. Non rispose nemmeno ad Alessia, che
pensò bene di allontanarsi, e tornò a guardare il fidanzato.
E lui, lì, nel
giardino, guardava lei. Aveva il volto e le mani arrossate per il freddo, ma lì,
con i piedi affondati nella neve fino alle caviglie, non aveva perso quell'aurea
magica che l'aveva avvolto poco prima. Non le disse niente e, in fondo, cosa
c'era da dire? Le bastava lo sguardo, e il ricordo della musica, e di lui che
suonava per lei, al freddo, e tutto svaniva e... e che cosa, che cosa aveva
ancora importanza?
C'era lui, là, immerso nel bianco, e c'era lei, che lo
guardava.
C'erano loro.
Bastava così.
Piccola fluff così, perché mi piacciono i
violini e mi piace la neve. Null'altro da dire.
Spero solo che vi sia
piaciuta almeno un pochino, in ogni caso, mi farebbe piacere sapere che cosa ne
pensate.
Baci,
rolly too