Capitolo VI
Grissom entrò per primo nella
casa, spintonando un poliziotto varcò la soglia.
Guardò a lungo il salotto di un
giallo limone, con una piccola televisione posta nell’angolo sinistro e una
poltrona, dalla parte opposta c’era un grande tavolo di marmo. Qualche scafale
antico pieno di libri che mai si sarebbe immaginato nella casa di Greg.
S’avviò con lentezza verso una
delle due porte, ci guardò dentro.: la cucina.
Sara entrò nell’altra e si
ritrovò nel bagno, richiuse la porta per salire agilmente le scale.
Appena di sopra si ritrovò in un
altro salotto, ancora più grande di prima.
Un salotto che ricordava tanto uno
studio, o meglio una biblioteca.
Con qualche tavolino qua e la, e
sopra di essi sparpagliati libri aperti o chiusi, fogli e matite. Per terra
verso i quattro angoli c’erano molte cartacce arrotolate, e alcune avevano
centrato il cestino.
Grissom la raggiunse avvicinandosi
al primo tavolo, era rotondo e su di esso vi stavano un paio di lampade e un
grosso libro, tre le sue pagine piegate vi erano tante farfalle morte.
“Gil...” Sidle era entrata
nella camera personale di Greg.
Un letto matrimoniale stava sotto
un’enorme finestra, coperta da una tenda color caffelatte. Poster di cantanti
stavano attaccati obliqui sui muri liberi. L’unico armadio che si trovava
proprio alla destra della donna, sembrava più adatto a ricchi signori, e non si
addiceva affatto al resto della camera.
S’avvicinò al letto.
Sparse, sul candido lenzuolo
c’erano farfalle morte e orrendamente colorate di un inchiostro rosso.
“...È meglio che entri.”
Grissom la raggiunse, poi una voce
squillate dal piano di sotto gli fece bloccare.
“Che succede?”
I due si precipitarono nel salotto
nel piano inferiore.
“Ma che ci fate in casa mia?”
Il giovane alzò lo sguardo su di loro.
“Gil mi spieghi?”
Sara alzò un sopraciglio,
“Greg, ma cosa..?”
Sanders sorrise, “Sono andato a
fare un po’ di spesa con un mio amico. Vi avevo detto che era uno scherzo
quello delle lettere. Uno scherzo di cattivo gusto, certo, ma infatti Peter è
venuto a trovarmi oggi per scusarsi.”
La donna lo guardò confusa, “Ma
la telefonata...Le farfalle...”
Il giovane allargò il sorriso,
“Bella trovata non trovi? Devo dire che mi sono spaventato a vedere tutte
quelle cose morte, ma infondo si è risolto per il meglio, no?”
La polizia se ne era andata, e ora
i tre colleghi stavano nel piano superiore attorno a un tavolino quadrato di
legno scuro, su comodissime sedie morbide.
Greg sorseggiava tranquillo il suo
the preferito, all’arancia.
Sara stava ancora mescolando il
suo.
“Ci hai fatto prendere uno
spavento. Potevi chiamarci...”
Sanders corrugò la fronte,
“Credevo che Peter lo avesse fatto, aveva detto che... Oh, non importa.” E
con una mano fece segno di menefreghismo.
Il cellulare di Gil suonò.
S’alzò avviandosi verso la
porta ancora aperta della camera.
“Si?”
“Grissom?”
l’uomo annuì, aveva mandato Brown e Stokes dai nonni di Greg, ma
evidentemente era stato un inutile viaggio.
“Oddio Grissom, non sai cosa
c’è qui!” Nick sembrava sconvolto e disgustato, sul sottofondo la
voce di Warrick che chiedeva di spalancare qualche finestra.
“Chi potrebbe fare una cosa del
genere a dei signori così anziani?” ancora il collega di colore, Nick
sospirò “I nonni di Sanders sono
morti.”
Gil corrugò la fronte, “Non è
possibile, è solo uno scherz...” non finì la frase che l’esclamazione di
Stokes gli fece trattenere il respiro “Oh, cazzo! Greg!“.
Il cellulare cascò a terra.
“Nick!
NICK!”.
“È vivo? Warrick dimmi se è
ancora vivo!!!”
E poi nulla.
Grissom si girò
verso Sara e Sanders che le stava di fianco.
Un perfido sorriso era comparso
sul volto pallido del giovane.
“Hai paura Gil?”
E due spari echeggiarono nella
casa.
Fine