Capitolo
Due
u
Pov
Elena
Un anno importante quello
che stavo per affrontare, il mio ultimo anno a scuola.
Ricordavo ancora il primo
giorno del mio primo anno.
Era stato papà ad
accompagnarmi a scuola quella mattina e con un sorriso a trentadue denti mi
aveva fatta scendere davanti al cortile della scuola dicendomi che stavo per
iniziare un nuovo percorso. Ed aveva terribilmente ragione. Finisce un
percorso, per far si che ne possa iniziare uno nuovo.
È sempre così nella vita,
finisce una cosa e ne inizia un’altra.
Sarà tutto piuttosto
uguale, questo credo di saperlo già, ma affronto il nuovo anno con una testa
decisamente diversa, una testa in cui dovrebbe esserci la calma, la felicità e,
invece, ci sono tanti dubbi, tante incertezze e tanta paura.
Succede sempre così,
forse, quando ci si ritrova a provare qualcosa per due persone tanto diverse
tra di loro.
Razionalmente so benissimo
come dovrei comportarmi, so che dovrei fare finta di nulla e continuare come se
nulla fosse, continuare a mostrarmi felice insieme ad un ragazzo che non so se
amo ancora, so che questa sarebbe la cosa giusta da fare, e io sono una persona
fondamentalmente razionale.
Finisco di sistemarmi per
andare a scuola, ma prima di uscire gli occhi si posano su una delle tante foto
che ho sulla scrivania, ma non una foto qualsiasi, una che ritrae me e Damon
che sorridiamo all’obiettivo.
Dalla foto si scorge la
figura di Stefan, ma il suo volto non viene ritratto e in questo momento dentro
di me mi sento un po’ come in questa foto.
Ci sono io e il pensiero
costante di Damon, mentre quello di Stefan sfiorisce pian piano, nonostante
cerchi di tenerlo legato a me.
La verità, invece, è che
l’unica cosa che sfiorisce è la presenza di Damon che a quest’ora sarà già
chissà dove e mentre scendo le scale per andare a scuola mi maledico per
avergli chiesto di non venirmi a salutare.
Sarebbe stato un modo per
cercare di convincerlo ancora, anche a costo di legarlo ad una sedia e non
farlo andare da nessuna parte, ma purtroppo, ormai, è tardi.
La vita è questa, gente
che va e gente che viene. Gente che ti stancherà, gente che nonostante tutto ti
mancherà, gente che ricorderai, che rimpiangerai, gente che occuperà una
piccola parte del tuo cuore sempre, gente che si prenderà il tuo cuore e che te
lo restituirà distrutto, ma gente che lascerà un segno comunque vada e questo
sarà Damon, una persona che in qualche modo non potrà essere dimenticata, non
da me.
“Hey Elena, non fai
colazione?” mi chiese Jenna notando che stavo uscendo di casa senza nemmeno
soffermarmi in cucina.
“Non ho molta fame.
Mangerò qualcosa più tardi”.
“Va tutto bene?”
“Benissimo”.
La vidi avvicinarsi e
aprii la porta per uscire prima che mi raggiungesse, ma mi fermò per un polso
costringendomi a guardarla.
“Tesoro, ma che succede?
Hai pianto?” mi domandò notando sicuramente il rossore degli occhi.
“Va tutto bene, Jenna,
davvero”.
“Hai litigato con Stefan?”
continuò a chiedermi lei.
“No, va tutto bene con
lui, anche troppo. Adesso vado altrimenti faccio tardi”.
Le sorrisi e uscii di
fretta salendo in macchina e raggiungendo la scuola il più in fretta che
potevo.
Dovevo trovare un modo per
distrarmi e, forse, una buona dose di lezioni avrebbe potuto giovare.
Purtroppo mi sbagliavo di
grosso visto che come primo giorno di scuola non facemmo nulla di che. C’era da
aspettarselo del resto, motivo per cui avevo trascorso tutta la mattinata a
pensare e ripensare a cosa diavolo mi stava succedendo.
Ero così sicura, così
convinta di amare Stefan che fino all’ultimo avevo evitato l’evidenza,
quell’evidenza che mi avrebbe portato ad ammettere che Damon non mi era
indifferente.
Ricordavo ancora le parole
che lui stesso aveva usato una sera in casa mia, quella stessa sera in cui poi
aveva “ucciso” Jeremy.
“Sei tu la bugiarda Elena. Tra noi due c’è qualcosa e
lo sai. E stai mentendo a me, stai mentendo a Stefan e soprattutto stai
mentendo a te stessa”.
Quelle parole adesso mi
risuonavano alla mente come schiaffi in pieno viso. Ero stata talmente stupida
da auto-convincermi che avessi ragione io, che fosse lui a vedere cose che non
c’erano. Avevo sempre evitato di pensare a tutto ciò, forse, perché avevo paura
che lui avesse ragione, ma adesso, adesso che tutto era finito, adesso che
tutto era tornato normale, adesso che il pericolo era passato, la mia mente si
era svuotata e non avevo potuto fare a meno di pensare a me, a Stefan e
stranamente anche a Damon.
“Hey Elena che ci fai
tutta sola? Dov’è Stefan?” mi domandò una voce scuotendomi dai miei pensieri,
una voce che conoscevo fin da quando ero una bambina.
“Ciao Bonnie, oggi non
verrà a scuola” la salutai per poi guardarla attentamente “sei raggiante”
costatai alla fine.
“In effetti”.
“Beh c’è da esserlo non
trovi. Finalmente oggi tutto è finito, si torna alla normalità, più o meno”.
“Oggi?” domandai non
capendo.
“Intendo dire che la
situazione si era già sistemata, ma c’era qualcosa che non rendeva il tutto
perfetto”.
“E cioè?”
“Damon”.
Non appena sentii
pronunciare il suo nome persi un battito. Possibile che mi facesse questo
effetto?
Diavolo lo avevo avuto
accanto per così tanto tempo e solo adesso mi rendevo conto degli effetti che
aveva su di me.
“Che vuoi dire?” le chiesi
sperando che non notasse il mio cambio di espressione.
“Come che voglio dire?
Finalmente si è tolto dai piedi per sempre”.
Sapevo quanto lei poco
digerisse Damon, ma non credevo fino a questo punto.
“Cioè tu lo sapevi?”
domandai alzando la voce.
Ero arrabbiata,
decisamente arrabbiata.
“Elena ti senti bene?”
“Da quanto lo sai?”
continuai.
“Un paio di giorni. Me
l’ha detto Jeremy a cui l’ha detto Damon”.
“E quando avevi intenzione
di dirmelo?” le urlai mente notai che un paio di ragazzi si erano voltati a
guardarci incuriositi dalla discussione.
“Non credevo che fosse
importante. Non capisco perché te la stai prendendo così. È un’ottima notizia
questa”.
“Per te, forse, non certo
per me”.
“Hey che succede qui?”
disse Caroline raggiungendoci.
Con il suo udito
vampiresco di sicuro doveva aver sentito le urla da dentro.
“Tu lo sapevi?”
“Sapevo cosa?”
“Non fare finta di non aver
capito”.
“Si lo sapevo” mi rispose.
“Quindi ero io l’unica
stupida ad essere all’oscuro di tutto? Bene, grandi amiche che mi ritrovo” gli
urlai.
Mi voltai e mi allontanai
di fretta. La mia direzione era la macchina. Non volevo stare in quel cortile
un minuto di più.
Quel primo giorno di
scuola era stata disastroso.
Se il buongiorno si vede
dal mattino si prospettava un anno da incubo.
“Elena, aspetta” mi urlò
Caroline raggiungendomi e prendendomi per un polso seguita da Bonnie.
“Devo andare”.
Strattonai il braccio per
liberarmi dalla sua presa e devo dire che lei mi permise di farlo, altrimenti
sarebbe stato impossibile.
“Si può sapere che ti
prende?”
“Cosa prende a voi
piuttosto. Ci siamo sempre dette tutto, mi sarei aspettata che mi avreste detto
della sua partenza non appena ne eravate venute a conoscenza”.
Non riuscivo neppure a
chiamarlo per nome, faceva troppo male.
“Non credevamo fosse così
importante per te saperlo in anticipo” mi disse Bonnie.
“Proprio non lo capisci,
vero?”
“Cosa?”
“Per te lui sarà pure un
nemico da combattere, sarà pure un’egoista, un prepotente e uno strafottente,
non mi importa. Io so chi è davvero e tu non gli hai mai dato la possibilità di
farsi conoscere. Sei sempre stata prevenuta. Non sei nessuno per decidere chi è
malvagio e chi non lo è. Damon è mio amico, gli voglio bene e ti assicuro che
se dipendesse da me non gli avrei mai permesso di andarsene. Adesso se non vi
dispiace devo andare”.
Mi infilai in macchina e
subito sfrecciai via.
Non volevo sentire niente
e nessuno. Avevo esagerato lo sapevo, ma stranamente quelle cose le pensavo
davvero.
Damon aveva fatto tante
cose brutte, troppe forse, ma a tutti era concesso di sbagliare. Tutti
guardavano sempre ciò che di brutto aveva fatto, ma le cose belle? Perché
quelle non le guardava nessuno? Perché nessuno si complimentava con lui per tutte
le volte che mi aveva salvato la vita? Per tutte le volte che aveva salvato la vita
a tutti? Per tutte le volte che era pronto a proteggermi anche a costo di rischiare
di morire? Nessuno, non lo faceva nessuno.
Era come se fosse dovuto
il suo aiuto, ma non lo era. Avrebbe potuto andarsene via quando aveva sentito
puzza di pericolo invece era rimasto e aveva lottato insieme agli altri, come
gli altri, anzi forse anche di più.
Senza nemmeno rendermene
conto mi ritrovai a casa Salvatore.
Non sapevo perché ero
giunta lì, forse per via dell’abitudine.
Spensi il motore e mi
diressi verso l’ingresso di casa.
“Stefan è andato a cercare
Bambi, sai com’è, aveva un certo languorino”.
Mi voltai di scatto e ciò
che vidi mi fece scappare un sorriso.
Damon era seduto sull’erba
in giardino con la schiena appoggiata ad una vecchia poltrona mentre leggeva un
libro con una mano e con l’altra beveva uno dei suoi soliti drink.
Aveva parlato senza
neppure alzare lo sguardo per guardarmi, ma aveva assunto la sua tipica
espressione beffarda.
“Che ci fai tu qui?”
Cercai di mostrare un tono
di voce forte, non volevo che pensasse che stavo uscendo pazza sapendo che
poche ore fa il signorino aveva preso il largo.
“Sai com’è? Io ci vivo
qui”.
“Sai benissimo a cosa mi
riferisco? Non dovevi essere in partenza questa mattina?”
“Dovevo” rispose
superficiale.
Non aveva ancora alzato
gli occhi per guardarmi nemmeno una volta. Tipico di lui.
“Sto aspettando”
continuai.
Finalmente alzò lo sguardo
e puntò i suoi occhi nei miei. Mi guardò con uno sguardo indagatore, come se
non riuscisse a capire a cosa mi stessi riferendo.
“Scusa?” mi chiese poi.
“Aspetto una spiegazione”.
“Cosa vuoi che ti dica?
Che resto qui? Che non ho intenzione di partire? Resto qui, non ho intenzione
di partire”.
Lo disse guardandomi negli
occhi, anche se la sua espressione lasciava intendere una superficialità che
sinceramente non sentivo più gli appartenesse.
Non seppi spigarmi il
perché, seppi solo che ad una velocità che nemmeno ero certa di possedere mi
avvicinai a lui e mi buttai letteralmente tra le sue braccia.
Per la prima volta lo
lasciai stupefatto. Non si aspettava questa reazione, lo sapevo e certo non me
l’aspettavo nemmeno io, ma era successo.
Lo abbracciai più forte
che potei e dopo qualche secondo sentii che anche lui stava ricambiando
l’abbraccio.
“Perché?” domandai quando
ci staccammo a malapena.
“Perché cosa?”
“Perché hai cambiato
idea?”.
“Qualcuno avevo bisogno di
me qui, non potevo andarmene” mi rispose sorridendomi beffardo.
Sapevo si stesse riferendo
a me. Lo abbracciai di nuovo dopo avergli regalato un sorriso a 250 watt.
“Ringrazia quel qualcuno
quando lo vedi” dissi poi mentre mi tenevo stretta a lui.
Lo sentii sorridere, ma
non potevo esserne certa in quanto non lo vedevo in volto.
Lasciai perdere questo
dettaglio e mi beai di quel contatto con lui. Fu una frazione di secondo, ma la
sentii.
Quella sensazione di
assoluta pace interiore, quella sensazione che si prova solo quando ci si sente
al sicuro, protetti da tutto e tutti, quando si ci sente amati, ma soprattutto
quando ci si sente a casa.
Era strano da dirsi, ma Damon
era riuscito a farsi spazio dentro di me.
Ci avevo messo tanto a
capirlo, ma finalmente c’ero riuscita. Damon era diventato la mia isola
personale, la mia isola felice.
Robsten23