Chiaroscuri e Prospettive-La Vendetta
Buongiorno a
tutte!
SO che sono in un ritardo pauroso e non ho scuse.
Doveva essere il solito capitolo a metà. Ma solo la parte di
Ollie è venuta così lunga o.o che prima di
metterci altri due anni a scrivere Daph, ho preferito pubblicare.
Ollie, perinciso, mi è un po'scappato di mano o.o non volevo farlo...così. Poi vedrete u.u
*-* Sperando
che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.
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Quattro amici al bar
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Meglio
l'orgoglio dello stolto o il silenzio del
saggio?( Sopravvivere-Fear Essence Series-Lilyblack)
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Londra è una città operosa, veloce e frenetica o almeno, questa è l'opinione comune; ci sono alcuni angoli nascosti, nella grande città, in cui l'ozio impera sovrano. Grandi locali si lasciano invadere pigri dal sole, abbandonando le loro vetrate alla tirannia dei raggi diurni e delle mille particelle di polvere che, leggiadre ed invadenti, si poggiano sulle più disparate superfici.
Oliver
Baston odiava la polvere che attecchiva al suo cappotto nero nuovo,
comprato in un lussuoso negozio della Londra Babbana; Oliver Baston
odiava, inoltre, qualsiasi cosa ricongiungesse i suoi pensieri ad una
certa giornalista e, purtroppo, i pensieri in questione si
moltiplicavano come i criceti. Era innegabile, per la sua mente
provata, che la bionda era esattamente come quella polvere:
inopportuna, onnipresente e assolutamente non
indispensabile.
Onnipresente,
dato che ovunque andasse, tentavano in tutti i modi di non fargli
dimenticare quegli articoli.
Inopportuna, visto che aveva lo
stesso tempismo malato di suo cugino Barthy a dieci anni, che lo
beccava sempre un attimo prima che riuscisse ad allontanarsi dalla
festa con la ragazza più bella.
Assolutamente non indispensabile, dannatamente superflua e particolarmnte dannosa; era mercoledì e portava ancora sulla pelle, ingrigita, e negli occhi, arrossati per la mancanza di sonno, i segni di quel dannato incubo.
La lucidità non gli era mai mancata e sapeva che avrebbe dovuto reagire, prima che diventasse una questione personale, d'orgoglio e perdesse di vista ciò che era giusto e ciò che non lo era; doveva farlo, nonostante Ernie continuasse a dirgli che se la stava prendendo troppo, come se fosse Oliver quello poco obiettivo e non sé stesso. Ernie era accecato dall'attrazione che provava verso quella vipera e lui l'avrebbe salvato: era un Gryffindor e quindi depositario di sano altruismo, era una cosa risaputa.
Avrebbe affrontato la situazione come ogni bravo giocatore di Quidditch: approntando uno schema offensivo.
Punto
Primo: prendere informazioni sull'avversario.
Oliver conosceva
alcuni ragazzi nel bar più frequentato dalla Londra Magica
Giornalista, ed era proprio li che intendeva acquisire più
informazioni possibili sul diavolo biondo.
Lui non era un uomo pigro e morire di ozio nell'attesa dei suoi agganci non era propriamente nelle sue aspettative, ma qualsiasi guerra aveva i suoi piccoli problemi: non ci sarebbe stato Silente senza la bacchetta di Sambuco di Grindelwald e non ci sarebbe stata la fama di Harry Potter, senza quel piccolo inghippo degli Horcrux.
Il tonfo che seguì la chiusura della porta si propagò nell'aria, trovandolo immerso in un'apatia che non gli era propria; appoggiato con i gomiti al bancone, gli occhi assonnati persi fra le bottiglie di liquore e in equilibrio precario sul tipico, alto e infido, sgabello da bar.
I jeans neri e la felpa similbabbana lo facevano sembrare un avventore qualsiasi, un signor nessuno da ignorare come tanti se ne incontrano, lungo la propria vita; anime perdute, con storie troppo rumorose per essere raccontate.
Le sue orecchie erano invase dal suono invadente dei suoi pensieri, frenetici,e sussultò, quando una mano possente si posò sulla spalla sinistra, impaurito forse a causa della suggestione di quella cornice, oggettivamente angosciante, in cui si era calato.
'Novità?'
Non
si voltò a guardare coloro che erano giunti alle sue spalle,
ma
avrebbe potuto ripetere i loro tratti a memoria; erano scolpiti nella
sua mente da anni, vi erano stati disegnati con la cenere della
guerra, quella che firma i disegni più forti.
Dennis Canon, con
il sorriso troppo simile a quello del fratello e Lee Jordan, che
aveva firmato parte della colonna sonora delle sue partite
più
belle, riuscendo a fargli ricordare ogni più piccola
inflessione
della sua voce; perfino in quel momento, in cui le sue
capacità
mentali erano ridotte al minimo, non aveva dubbi sul fatto che fosse
lui quello che parlava dal di sopra della sua testa, affondata fra le
braccia e poggiata sul bancone di legno.
'Non ci offri niente?'
Si
vedevano raramente, ma ogni volta che avevano un incontro, per quanto
piccolo potesse essere, i due iniziavano sempre con la stessa frase.
Girò la testa di lato e tentò di inquadrare
entrambe le figure,
così diverse: Dennis chiaro, con gli occhi grigi e quella
dannata
macchina fotografica appesa al collo e Lee, vestito con
un'accozzaglia di stili che Fred e George gli avrebbero preso in giro
fino alla fine.
Il profumo femminile che uno dei due, non gli
interessava sapere quale, portava misto al proprio, gli fece venire
in mente perché erano lì; il buonumore nato con
l'arrivo dei suoi
amici, piuttosto povero, svanì in una nuvola di fumo.
Bisognava fare qualcosa. Improvvisamente divenne più burbero e cacciò fuori quel tono roco e caldo della voce che Lee gli aveva sentito usare, a volte, quando parlava di una partita persa; il tono di voce delle cose serie.
'Ma voi mi avete portato notizie?'
'Si, ti abbiamo portato notizie...un bicchiere di burrobirra!!'
La sua speranza di riportarli sulla retta via era praticamente nulla, un po' come costringere lui ad amare qualcosa più del Quidditch. Nulla mai, nella sua vita, avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo su di lui della prima volta che aveva parato una pluffa, ne era assolutamente certo.
Lee, nel frattempo, stava facendo un sorriso oscenamente ambiguo alla barista che gli aveva finalmente dato il boccale di birra ovviamente addebitato sul conto di Oliver; lo stomaco fece un paio di capriole per il disgusto, nonostante fosse abituato al modo di fare, un po' da guascone, dell'ex Grifondoro.
'Sei un alcolizzato!'
Urlargli contro era sempre stato un ottimo modo per avere la sua attenzione, probabilmente aveva le orecchie sensibili dai tempi della McGranitt e vedere la sua faccia oltraggiata che si voltava a fissarti, valeva sempre la pena.
'E tu uno psicopatico con manie ossessive...'
Sentire le idiozie che aveva da dire su di lui, invece, era meno piacevole; per un attimo gli venne in mente che Ernie gli avesse potuto dire qualcosa, ma poi una vocina angelica nella sua testa, gli ricordò che lui era pulito e puro come un giglio e che quei due cospiratori, non avevano proprio nulla da dire su di lui.
'Quel corso che hai fatto tre anni fa al San Mungo, ti fa ancora male...Ste notizie?'
Rude, dritto al punto, con uno sguardo allucinato negli occhi che non faceva presagire nulla di buono; quello che di lui gli altri osservavano dal di fuori, suggerì ai due ragazzi che, forse, solo per questa volta, era il caso di non stuzzicare troppo quell'orso che aveva preso il posto di Oliver Baston.
'Si sa poco della sua vita in giro,ha il suo piccolo gruppo di amici e vede poche altre persone.'
Asociale, oltre che stronza; le labbra gli si piegarono in un ghigno, una smorfia soddisfatta che fece brillare il suo volto di una luce che Lee avrebbe definito quasi satanica e, sicuramente, spaventosa.
La situazione stava degenerando velocemente, molto più velocemente di quanto Ernie gli avesse prospettato la sera prima, davanti ad un drink e se non avessero conosciuto, di fama, la Greengrass, si sarebbero preoccupati per la sua incolumità fisica.
Anche i Grifondoro, se accuratamente stuzzicati, potevano diventare delle belve feroci e Oliver Baston, in quel momento, assomigliava più ad un Leone drogato ed inferocito, che ad un essere umano nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. La situazione poi, secondo la sua personale ottica, peggiorava se si pensava che era sempre stato convinto che le facoltà mentali di Oliver fossero, da tempo, ottenebrate dalla brama di vittorie; impossibile spiegare altrimenti il fatto che i giocatori di Grifondoro sotto la sua guida, erano stati tra i più assidui frequentatori dell'infemeria di tutti i tempi.
'Che posti frequenta?'
Tutti abbiamo una tana, perfino le serpi più infide, inutili e vomitevoli come lei; doveva avere una tana, e lui l'avrebbe scoperta a qualsiasi costo.
'L'Ennius Bar a duecento metri da qui, il Phoenix come discoteca e poco altro. Te l'ho detto, è tutta casa e lavoro.'
Era talmente preso dalle sue elucubrazioni, che non si rese conto che Dennis e Lee, lentamente, avevano incominciato ad allontanarsi a ritroso, come i gamberi, verso la porta, probabilmente impauriti dal fatto che lui avesse oramai preso in mano la sua giacca. Loro, non volevano trovarsi contro l'acuta lingua biforcuta della giornalista e nel caso fossero rimasti li un minuto di troppo, anche uno solo, sarebbero stati precettati per quella crociata.
Pericoloso.
Troppo.
La fuga era l'unica salvezza.
'Nessuno scheletro nell'armadio?Impossibile...'
Oramai il capitano dei Puddlemere non parlava neanche più con i suoi amici, oramai a metà della loro strada verso la libertà, ma sembrava più che altro impegnato in un solitario discorso, con lo straccio per la polvere che la cameriera stava usando per ripulire il bancone.
'Niente che è possibile scoprire per ora.'
La
voce di Lee arrivava da lontano, ma Oliver non ci fece caso, era
così
arrabbiato per il fatto che lei non collaborasse alla sua vendetta e
così intestardito sulla soluzione di quel 'caso', che non
gli
interessava più di niente se non i fantomatici punti del suo
schema.
Punto primo: raccogliere indizi.
Punto secondo:
studiarla nel suo habitat naturale.
'L'Ennius Bar hai detto?'
'Quello elegante con le tende rosse...'
'Grazie...'
Il bar meglio frequentato del quartiere: che stupido luogo comune, l'ennesimo che le trovava appiccicato sulla pelle. Storse il naso infastidito, da quell'ennesima dimostrazione di cattivo gusto della bionda, quasi fosse diventata oramai un riflesso di sé stesso; pagò le consumazioni e uscì dal bar a testa bassa, senza nemmeno rendersi conto, mentre li salutava, che i 'coraggiosissimi' Grifondoro, erano già scomparsi nello sbiadito sole londinese.
Londra
è una città operosa, veloce e frenetica; troppo
frenetica, per
l'opinione tutt'altro che modesta di Oliver Baston sul mondo
circostante.
Era impegnato nella sua personale caccia alla volpe
da almeno venti minuti, bazzicando il breve tratto di strada che
divideva il bar dal quale era appena uscito dall'Ennius Bar a cui era
diretto, ma della serpe-volpe a cui era interessato, nemmeno l'ombra.
Nessuna
ballerina come le indossava lei durante il giorno,
nessun tailleur
dai colori tristi e improbabili, ma eleganti, nessuno chignon da quel
color oro troppo luminoso e pulito, per essere naturale.
Doveva
essere incapace di mantenersi in equilibrio, una falsa magra e mora
di natura con degli occhi sproporzionati ai suoi colori: non c'era
altro motivo per quelle sue scelte di look così...poco
comuni.
C'era
sempre un motivo sotto ogni decisione dei Serpeverde, l'aveva
imparato da anni e lei non poteva, non doveva, essere
differente.
Impegnato nella sua personale caccia alla volpe,
immerso nell'immagine povera e restrittiva di Daphne che aveva nella
sua mente, si dimenticò di notarla, quando gli
passò praticamente a
pochi centimetri dal naso, uscendo dal bar.
Jeans a vita bassa,
tshirt, ballerine e capelli biondi sciolti selvaggiamente sulle
spalle: apparentemente una ragazza come tante, una di quelle che si
sarebbe girato a guardare e, quindi, una che non avrebbe mai
associato a colei che stava cercando.
Uno
sbuffo.
Uno sbuffo fu il primo verso umano che fece quando
finalmente entrò nel bar, come se all'improvviso sentisse
che i
grugniti che aveva emesso fino a quel momento, fossero troppo poco
eleganti per quel luogo.
Uno sbuffo sbalordito, che per un attimo
parlò della sua consapevolezza improvvisa sul motivo, forse
ragionevole, per il quale buona parte della Londra Magica 'bene', si
riversasse in quell'unico bar, a qualsiasi ora del giorno.
Un
enorme stanzone diviso da tanti piccoli separé, dove
l'atmosfera era
data da tendoni di broccato rosso, atti a filtrare la luce del sole e
sguardi indiscreti, e un filo di musica dolce e soffusa che invadeva
l'aria.
Avrebbe abbinato qualsiasi tipo di donna a quel tipo di
locale, tranne colei che stava cercando; riceveva sensazioni dolci,
contro la pelle, intimistiche e riservate, cosa che lei aveva
dimostrato di non essere.
Rimase qualche istante sulla porta, fermo, ad osservar quel piccolo concerto di sorpresa che gli si orchestrava davanti e si mosse solo quando la porta, dietro di lui, si aprì di nuovo; saltò sul posto, folgorato all'improvviso dall'idea che potesse essere lei e, inspiegabilmente, tirò un sospiro nel constatare che il nuovo avventore era brutto e pure uomo.
Avanzò nel bar come in un mare di nebbia, lentamente, cercando con lo sguardo da una parte e dall'altra la presenza tanto cercata, senza però mai trovarla.
Solamente lo scontrarsi con un altro avventore del locale gli proibì di scontrarsi con una vetrata e gli rese possibile rendersi conto che, per qualche istante, aveva camminato come in trance, seguendo una linea dritta che per poco non l'aveva fatto finire nell'acquario.
Si sedette lentamente ad un tavolino, rendendosi conto con orrore che il solo pensare a lei in un luogo pieno di gente, l'aveva fatto ricascare nel suo incubo e l'ansia aveva ripreso a mangiarlo, da dentro.
Il sudore gli imperlava la fronte e la maglietta che indossava sembrava stringergli la gola, mentre aluni particolari gli tornavano alla mente.
Le
scarpe con il tacco,
il rossetto,
le calze di seta
e il
profumo
e il bacio con Ernie.
'Ahia! Ma è impazzito?!? Un troll mi avrebbe fatto meno male!'
Era nuovamente andato in un mondo in cui sognava ad occhi aperti, ma evidentemente il suo istinto, malato, era infastidito dal braccio del cameriere che gli aveva appena passato il menu ed era stato arpionato, con le stessa forse che riservava al manico della sua Firebolt quando doveva mantenersi in equilibrio.
Si stava distruggendo a causa di un sogno; questa consapevolezza gli arrivò lampante alla mente e si impose, come nuovo primo passo del suo P.C.G.M.(programma cancellazione giornalista molesta), di ubriacarsi per dimenticare.
Il fatto che lui, ubriaco, sognava ancora di più, gli passò totalmente dalla testa, preso com'era, improvvisamente, da una strana e dolce euforia.
Non ricordava che il Phoenix, fosse mai stato un posto così deliziosamente esaltante come quella sera.
Reduce dalla discutibile fama che gli era stata data dagli articoli nefasti della Greengrass, i buttafuori gli avevano fatto saltare la fila sotto consiglio del dirigente della Security. Speravano che, vedendolo entrare, per fame di gossip, molte altre persone si convincessero a sopportare la fila, portando al locale un notevole guadagno; Oliver, ovviamente, pensò che fosse merito della sua indiscutibile fama di giocatore di Quidditch.
Era tarda serata, nel momento in cui i locali come quello si trasformano da Dottor Jekyll a Mister Hyde, cambiando la veste familiare di ristorante altolocato, con ingresso dall'altra parte della strada, nella veste luccicante e trasgressiva di discoteca all'ultimo grido.
Pantaloni neri sicuramente non larghi, camicia bianca elegante ed aderente, capelli perfettamente ordinati e sorriso scintillante : anche Oliver, preda ancora della strana Trance del pomeriggio, era perfettamente consono e coordinato al tipo di serata. Le persone gli scivolavano accanto, bevendo e cantando, muovendosi a ritmo della musica che cominciava a salire, e per una volta nella sua vita, forse la prima, non pensò che le Sorelle Stravagarie erano molto meglio di quella roba; pensò, addirittura, che doveva ringraziare Ernie per avergli fatto conoscere quel luogo e per averlo convinto ad andare li, proprio quando si sentiva in vena di fare follie.
Era vivo, energico, ricaricato e già ballava, con ragazze scelte a caso nella folla, quando intravide il fidato ex Tassorosso nella folla. Si bloccò, un solo istante, quando l'immagine di quell'incubo nefasto si sovrappose a quella sorridente del suo amico reale, ma riprese ben presto a camminare verso di lui, come se niente fosse successo.
'Sono
contento che tu sia venuto!'
'Sono contento di essere venuto!'
Era vero, terribilmente vero: in quel momento era felice, di una felicità un po' ebbra e poco cosciente, di quelle felicità che non durano, ma che finché ti scorrono nel corpo, sono la cosa migliore del mondo.
Ernie lo studiava, come si studia una preda, lo guardava osservare le persone attorno a lui e teneva la mano discretamente nelle vicinanze della propria bacchetta magica, ben memore degli ultimi trascorsi dell'amico e capitano in quello stesso luogo. Non riusciva a decifrare i suoi movimenti e, soprattutto, dati gli ultimi trascorsi, non sapeva se avere paura o meno delle sue possibili reazioni. Il timore che fosse lì per cercar la sua novella nemesi, cresceva in lui e se avesse detto che era una paura infondata, si sarebbe sentito un bugiardo patentato.
'Pensavo di non vedere mai questo giorno.. Tu che vieni in discoteca senza la banda!'
Indagare, indagare e indagare, possibilmente senza farsi scoprire. Se si fosse allontanato, con l'ansia dell'aver lasciato solo un potenziale omicida in un posto pieno di gente, si sarebbe rovinato tutta la nottata. Rovinarsi la nottata, con le le aspettative che aveva, sarebbe significato catastrofe umorale per tutta la settimana.
' Non ci fare l'abitudine..'
La
voce dell'amico lo tirò fuori dai suoi pensieri e
obbligò il cuore
a fare i salti mortali, a causa del tono cupo che aveva assunto.
Immediatamente gli vennero alla mente tutti quei momenti, degli
ultimi giorni, in cui propositi apocalittici gli avevano attraversato
la mente, rendendolo, a parere di Ernie, qualcosa di pericolosamente
simile ad un esaltato.
Aveva giocato male, si era comportato in
maniera scorbutica con molti dei loro compagni di squadra senza
rendersene conto e, cosa non meno importante delle altre, ogni due
frasi infilava un riferimento alla Greengrass. Sempre e ovunque,
trovava inconsciamente modo di parlare di lei, dando poi a lui la
colpa, solo perché una volta aveva avuto l'ardire, a parere
di
Oliver, di notare l'ovvio: era bellissima.
In quel momento aveva quasi paura, lui che era il meno timoroso fra i Tassorosso, a scoprire il motivo per il quale proprio in quella sera, proprio in quell'istante, lui avesse deciso di fare uno strappo alla sua personalissima regola: mai in discoteca senza la squadra.
'C'è un motivo?!?'
'Un motivo per il quale ho accettato di rimanere solo entro i dieci minuti che impiegherai a rimorchiare? No...niente di preciso.'
Dieci
minuti? L'aveva sul serio preso per un dongiovanni da
strapazzo?
Ernie ne impiegava molti di meno, grazie a quell'aria
da burbero bravo ragazzo, forse un po' tonto, che non aspetta altro
che essere civilizzato: come imbrogliare una donna giovane, e non
solo, in poche semplici mosse.
Quel prenderlo in giro dell'amico, gli risollevò il morale e gli diede un po' di speranze: se era capace di guardarlo con quello sguardo un po' leggero e divertito, che usava sempre per prenderlo in giro, allora per lui c'era ancora speranza; nonostnate sembrasse ubriaco, una serata delirante, come prometteva quella di essere, era sempre meglio di una cella ad Azkaban e un incontro ravvicinato con Harry Potter nell'espletamento delle sue funzioni.
'Capisco...Magari rimorchi anche tu'
'Magari...'
Delirante e propenso al contatto con l'altro sesso che, negli ultimi giorni, aveva praticamente tentato di cancellare dalla faccia della terra ad ogni parola.
Era talmente contento di quei bei segnali, che si stava già allontanando, pronto a lasciarlo solo con una delle ragazze che lo stavano osservando, quando gli venne in mente un'ultima prova.
'Una bella bionda...'
'Niente bionde.Le ho eliminate dalla dieta.'
Ernie pensò che fosse un buon segno, Oliver che l'unica bionda sulla quale voleva concentrarsi, era colei che voleva metaforicamente distruggere.
Quella, però, non era la sera per pensare, era la sera per ballare e davanti a lui aveva almeno tre affascinanti e possibili opzioni, per rendere quella serata memorabile.
La porta dell'appartamento fece un tonfo contro il battente, ma colui che la avava appena chiusa non se ne curò più di tanto.
Quel che aveva tra le mani, colei che aveva tra le mani, era estremamente più importante.
Nome improbabile ed impronunciabile,
cervello
difficilmente funzionante.
Corpo appariscente,
capelli rossi e
lingua mielosa, più che pungente.
Avere e poter plasmare,
l'antitesi di colei che lo perseguitava, lo faceva sentire meglio,
libero da quell'ossessione nonostante la negasse costantemente.
Nel buio, l'incontrarsi di loro due era assolutamente casuale: lui non badava veramente a lei.
Il
corpo che accarezzava lentamente, con le sue mani, era semplicemente
una distrazione dalle sue ossessioni.
I bottoni della camicia che
si lasciava sbottonare, non erano una strada verso un piacere
diverso, migliore, erano solo un modo come un altro di falciare via
dalla testa ogni pensiero, che non fosse materiale e strettamente
inerente a colei che lo stava spogliando.
Le labbra rosse che gli baciavano lentamente il collo, non le sentiva come un pugno allo stomaco di adrenalina ed eccitazione, ma solamente come un passatempo piacevole; estremamente piacevole, ma pur sempre solo un passatempo.
Voleva ubriacarsi, che fosse di sensazioni o di alcool, poco importava.
Voleva dimenticare e ci sarebbe riuscito.
Lui aveva sempre quello che voleva.
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Un
bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono, anche se una
riga ogni tanto non fa male XD Lily.
p.s. per chiunque voglia, lascio il link al prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1
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