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Autore: Emily Doe    27/02/2011    5 recensioni
Questa volta quando, uno ad uno, si affacciano alla finestra, nessuno dice nulla.
Dondola appena sui piedi, e le piante, nude, schiacciano le foglie secche, ma non è il freddo o l'umidità quel che Luna sente nelle ossa.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Il trio protagonista, Luna Lovegood, Neville Paciock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Disclaimer: Tutto di zia Jo, as usual. Io deturpo e basta :p. Se anche solo un'unghia del piede di Harry fosse mia (cosa che in effetti sarebbe anche vagamente disgustosa), il mio portafogli piangerebbe mooolto meno. Il titolo è famosa citazione tratta da “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry (che ho letto a nove anni e non ricordo minimamente, per amor di, uhm, sincerità? XD).
Gli Zompapicchi li ho inventati di sana pianta. Neppure io so cosa siano. Luna, ovviamente, sì.









L'essenziale è invisibile agli occhi




Aveva trascorso cinque anni pieni, in quella scuola, e l'idea che avevano di lei non era cambiata di una virgola.
Al quinto anno concluso, proprio poco dopo aver sostenuto i G.U.F.O., un gruppetto di Corvonero del suo corso si era attardato al tavolo con lei, e quel 'con' era da intendersi quasi unicamente nel senso fisico del termine. Dopo aver fissato il proprio bicchiere di succo di zucca con aria trasognata, ed aver rivolto un entusiasta saluto a Harry ed i suoi amici, facendo oscillare pericolosamente tra i suoi commensali una stramba bacchetta di canna lunga almeno un metro, la cui utilità era chiara – forse – solamente a lei, aveva tirato fuori dalla borsa un fazzoletto di stoffa, dispiegandolo con cura sul legno rigato e graffiato del tavolo, proprio accanto al proprio piatto.
Harry ed i suoi amici l'avevano osservata con pigra curiosità, nel dopo-abbuffata di fine anno, mentre lisciava il fazzoletto dal centro verso gli angoli esterni, per poi depositarvi su qualche biscotto, una mela, un avanzo di dolce ed un po' d'uva. Aveva afferrato gli angoli del fazzoletto e li aveva uniti tra loro, soppesando soddisfatta l'improvvisato sacchetto. Dopodiché si era alzata e, con un ulteriore cenno di saluto – ed ulteriori abbassamenti ad ola di chi aveva i riflessi pronti, e gridolini di chi non li aveva sufficientemente pronti e si era visto recapitare la strana canna di bambù di Luna in faccia o in un orecchio – si era avviata verso l'uscita della Sala Grande.
Ginny, Hermione e tutti gli altri avevano già smesso di prestarle attenzione: era una cosa che Luna faceva da sempre, di quando in quando, ed anche se nessuno aveva mai scoperto a chi portasse quelle poche cose, nessuno sembrava volersene interessare davvero. L'estate era vicina, gli esami erano finiti, il pericolo sembrava alle porte... chi aveva il tempo di pensare a lei?
“Harry? Mi stai ascoltando?”
Ron si sporse verso l'amico, seguendo il suo sguardo, fisso sulla ragazza bionda che, tranquillamente, usciva dalla Sala Grande.
“Dove va, ogni volta?” gli rispose l'interpellato.
L'amico si limitò a stringersi nelle spalle, agguantando una mela e staccandone un grosso boccone.
“Cosa vuoi che ne sappia?” biascicò sputacchiando pezzetti del frutto sul mantello di Harry, che lo guardò disgustato. “Lunatica Lovegood non si è certo guadagnata quel soprannome per nulla.”
Harry si scansò dalla traiettoria di un ulteriore sputacchio dell'amico.
“Qualcuno dice di averla vista sorridere al nulla, depositando in terra quel che resta del suo pranzo vicino ai confini della Foresta Proibita, ed alla fine si sono perfino stufati di prenderla in giro, per questa cosa, ma che c'è di strano? Voglio dire, Luna è Luna, lo sappiamo tutti com'è.”
Già, pensò Harry, continuando a fissare il punto in cui era scomparsa alla sua vista. Lo sappiamo tutti.
Non aveva detto nulla.

***


Molly Weasley si era impegnata con tutta se stessa per quella cena. Non era abbondante, ma non si poteva dire che non fosse appetitosa. I membri dell'Ordine della Fenice chiacchieravano allegramente, alla vista di quel tacchino e all'odore inconfondibile di una torta al cioccolato come solo Molly sapeva farne; i gemelli e Bill avevano perfino accennato una canzone da finti ubriaconi, alla vista dei boccali di Burrobirra – sempre più rara, in quel periodo.
Era stato bello sedersi tutti assieme, finalmente riuniti, attorno a quel tavolo, e cercare di non pensare a null'altro che alla reciproca compagnia ed al tacchino ed alla torta al cioccolato. Avevano chiacchierato ed avevano riso, nessuno si era chiesto se ce ne sarebbero potute essere altre, di sere come quella. Nessuno avrebbe voluto sentire la probabile risposta.
A fine cena, educatamente, Luna aveva aiutato Molly a distribuire le porzioni di torta, e ultimato quel compito le aveva chiesto di poter uscire un momento in giardino, con la sua. Molly, con un sorriso intenerito e vagamente incerto, le aveva dato un buffetto su di una guancia, con fare materno, ed aveva annuito.
Erano tutti presi dalla parodia dei gemelli su Pix che si faceva beffe di un Gazza ubriaco – giuravano e spergiuravano di averlo visto, al loro secondo anno a Hogwarts –, quando Luna era uscita dalla porta in cucina, inoltrandosi tra le sterpaglie e gli gnomi irriverenti del giardino di casa Weasley, alla luce del tramonto.
Quando Molly aveva chiesto a Ron, Harry e Hermione di andare a prendere un paniere e le ultime due bottiglie di Burrobirra in cucina, Ron aveva borbottato senza tregua sul perché non avesse potuto scomodare un altro qualsiasi dei suoi sette figli; aveva continuato a borbottare quando Hermione, rispondendogli distrattamente, aveva recuperato le due bottiglie di Burrobirra, ed aveva borbottato anche quando si erano entrambi accostati a Harry, immobile davanti alla finestra.
Hermione aveva aggrottato le sopracciglia, mentre Harry si era ritratto pochi istanti dopo, come se avesse scorto, oltre quel vetro, qualcosa di conosciuto e troppo intimo.
“Quella è tutta scema,” aveva borbottato infine Ron, fedele a se stesso sempre e comunque, quando avevano visto Luna sorridere al nulla – o forse allo gnomo che le stava mostrando poco signorilmente il fondoschiena facendole le linguacce – con in mano la sua fetta di torta al cioccolato, a malapena sbocconcellata.
Harry l'aveva sospinto più in là, verso la porta della cucina, impedendogli di osservare oltre, e Hermione l'aveva guardato in modo strano, prima di gettare un'ultima occhiata a Luna, pensierosa.
“Dai, torniamo di là,” aveva detto Harry ai due, facendo loro cenno di prendere ciò che Molly aveva chiesto. E con quel grosso paniere in braccio era tornato dagli altri, senza più dire nulla, sentendo su di sé gli sguardi perplessi dei suoi due migliori amici.
Non aveva aggiunto altro.

***


L'erba sotto i piedi nudi ha sempre una sfumatura di leggerezza, per il suo cuore. Il sole è appena tramontato ed il cielo estivo non si è ancora tinto delle tonalità cupe della notte, continua ad essere di un azzurro scuro, strano, a metà tra il celeste del giorno e l'inchiostro della notte.
Si guarda attorno, con quella solita sensazione nel petto, la stretta sottile della paura, della perdita, dell'ignoto, e quando vede quella figura, accanto alla quercia alla cui ombra, di giorno, tanto le piace riposare, cercando con lo sguardo gli Zompapicchi tra le sue fronde, quella sottile ansia sembra attenuarsi un poco, relegandosi in sottofondo, lì dove è giusto che stia, dove è sempre stata.
È sempre stato così, fin da bambina, fin da quando il papà, piangendo, aveva cercato di spiegarle che no, la mamma non era andata a trovare la zia Ludmilla con la Polvere Volesplosiva, che riteneva sempre più spiritosa, vivace e comunque salutare della Polvere Volante, che la mamma non sarebbe tornata.
È la sua malinconia per quel viso mai rivisto, il petto a cui non aveva più potuto stringersi, ed il rimpianto per le ricerche che avrebbero potuto condurre assieme e quella mano che, la sera, non le avrebbe più passato dolcemente tra i capelli scompigliati, quando ormai era oltre il dormiveglia ed il suo profumo era l'ultimo pensiero cosciente che riusciva ad avere.
È la sua costante.
Luna si accovaccia, depone il piccolo fardello davanti a sé e poggiando il mento sul palmo di una mano, inclina il capo, sorridendo.
Il profumo che mai l'avrebbe abbandonata, ogni volta, in quel momento è più forte che mai.

***


Sono passati appena dieci giorni dalla battaglia a Hogwarts, e di cene come quella, quella con il tacchino e la torta al cioccolato e la Burrobirra ed una coppia di stupidi che scherzassero su quella birra, non ce n'è stata più nessuna.
Attorno al tavolo silenzioso siedono solo sei ragazzi – Harry, Ron, Hermione, Ginny, Neville e Luna – che si dividono una pizza Babbana tra qualche battuta tirata e la sottile eppure prepotente sensazione che li accompagna da quel giorno e li accompagnerà a lungo.
Pochi giorni sono trascorsi dal funerale di Silente, e da allora le loro ore si sono trascinate così, nel non saper che fare, sempre sul chi vive, con l'angoscia e la paura di dover attendere qualsiasi notizia, e non potersela andare a prendere di propria mano.

Seduto sulla sua sedia, Neville si guarda attorno nervosamente, controllando la finestra, poi la porta, poi abbassando lo sguardo sul bicchiere che tiene in mano – il liquido che contiene vibra con evidenza, recependo il tremore che gli pervade le mani – e sembra sul punto di crollare da un momento all'altro. Hermione si allunga a dargli una delicata pacca sulla spalla, ma il sorriso che gli rivolge è tirato, sbieco, teso.
“Avevo ordinato anche un po' di torta, qualcuno ne vuole?”
La sua voce, improvvisa fonte di rumore nel silenzio che era calato sul gruppetto, sembra spezzare l'aria, come fosse diventata solida, e va a cozzare con strana asprezza contro le pareti. Ha cercato di pronunciare quelle parole in un tono di voce normale, che invece ha l'unico effetto di far trasalire lievemente Neville e sollevare di scatto la testa a Harry. È impossibile che qualcosa suoni normale, ora che della loro normalità non è rimasto quasi più nulla. Ginny, coraggiosamente, le sorride in risposta.
“Io ne assaggerei volentieri un po',” la incoraggia.
Stranamente sensibile all'atmosfera circostante, più che realmente interessato alla torta che poi era la stessa identica torta che ordinavano in quella pizzeria italiana, come dessert, da almeno sei giorni, Ron si stiracchia. “Ma sì,” mugola, inarcando la schiena. “Perché no.”
Piega la testa da una parte e dall'altra, e lo schiocco secco delle vertebre del suo collo ridesta Luna, fino ad allora rimasta in silenzio a giocherellare, quasi distrattamente, con la mozzarella ormai consolidatasi della sua pizza ormai fredda. La ragazza lo guarda con fare vacuo, poi sembra riscuotersi ed afferrato il suo tovagliolo – un canovaccio, più che un tovagliolo, ma nessuno di loro aveva avuto la benché minima voglia di andare a fare qualsivoglia spesa, quando le provviste ed i beni di non primissima necessità avevano cominciato a scarseggiare – si impelaga in quell'impresa che tante volte le avevano visto compiere, negli anni passati.
“Puoi tenermene un pezzetto da parte, Hermione?” domanda con quella sua voce perennemente a metà tra il trasognato e lo stralunato, che sembra sempre pronta a svelare una verità fino ad allora sotto gli occhi di tutti, ma che acquista una luce diversa, un'importanza ed una prospettiva differenti solamente quando la mette in parole. Generalmente le sue verità erano strambe teorie su Zompapicchi e improbabili creature simili, eppure quella sensazione di base rimaneva sempre, immutata.
Con calma e perizia, una cura che si mette solamente in qualcosa a cui si tiene dal profondo, sistema un paio di fette di pizza ed un supplì sul tovagliolo, poi attende che Hermione torni col vassoio del dolce e gliene porga una fetta, la spezza a metà e mette la metà con la crema accanto alla pizza ed al supplì, infine solleva gli angoli del canovaccio nel suo improvvisato sacchetto, e canticchiando sottovoce una filastrocca sugli gnomi da giardino, esce dalla porta sul retro, che dà sul piccolo spiazzo verde di quella casa.
Ron smette di scrocchiare ogni osso scrocchiabile del suo corpo e, lanciato uno sguardo perplesso a Hermione, si alza, avviandosi verso la finestra. Ginny, con espressione corrucciata, si alza per seguire il fratello, sfiorando una spalla di Harry con una mano, mentre gli passa accanto. Lui si volta giusto per vedere le dita bianche di lei abbandonare la pelle lasciata scoperta dalla canottiera che indossa, reprimendo un sospiro. Neville, momentaneamente distratto dal controllare ossessivamente ogni via d'accesso a quella stanza, ci pensa su qualche secondo e poi spinge indietro la sedia, alzandosi a sua volta. Il vetro della finestra riflette la sua espressione, la stessa che Harry ha sentito su di sé tante volte. È l'unico a non essere sorpreso.
Hermione poggia il vassoio del dolce in tavola, tagliandone sei fette, una per ciascuno, e distribuendole nei piatti. Quando ha finito, pulisce con attenzione meticolosa il coltello, lo ripone e si stringe nelle braccia, avvertendo improvvisamente freddo. Il suo sguardo incrocia quello di Harry, e con l'aria di chi sta facendo qualcosa che ha sempre considerato di poco tatto e quasi come un'invasione, raggiunge gli altri tre.
Harry rimane seduto, da solo, lo sguardo fisso sul proprio piatto, fisso a non voler vedere altro, qualcosa che conosceva da tempo, qualcosa che da tempo, ed intimamente da sempre, poteva capire.

Questa volta quando, uno ad uno, si affacciano alla finestra, nessuno dice nulla. Questa volta possono vederlo tutti.
Dondola appena sui piedi, e le piante, nude, schiacciano le foglie secche, ma non è il freddo o l'umidità quel che Luna sente nelle ossa.
Al chiaro di luna, accarezza piano il muso del Thestral, sorridendo. Di fronte alle zampe della creatura sono deposti i pochi avanzi di quella sera.
“Ciao,” dice, anche se nessuno può risponderle.






   
 
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