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Autore: TooSixy    01/03/2011    2 recensioni
Una spietata entità senza nome si aggira per Hueco Mundo, trucidando un Hollow dietro l'altro e lasciando dietro di sé solo una scia di morte e disperazione. Tra i deceduti non mancano nemmeno gli Espada, e persino Aizen sembra cominciare a temere il potenziale del misterioso assassino. L'unico indizio per fronteggiare questa nuova minaccia sembra essere racchiuso nei Focus, enigmatiche visioni che mostrano sprazzi di futuro visibili solo a Rayen Fie Oneiron, una ragazza Arrancar con lo straordinario dono della profezia. Ma decifrare i Focus non è mai facile, e Rayen si ritrova invischiata in problemi più grandi di lei tra vicoli ciechi, boss megalomani e un certo Espada panterino tanto odioso quanto maledettamente sexy. Se vogliamo aggiungere anche un bizzarro, inaspettato legame tra Rayen e Kurosaki Ichigo, il guazzabuglio di caos mentale della ragazza può forse dirsi completo.
Genere: Azione, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Jaggerjack Grimmjow, Kurosaki Ichigo, Kurosaki Isshin
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’aveva sentito.
Era stato poco più che una rapida pulsazione, ma l’aveva sentito… O almeno, avrebbe giurato di sentirlo. Il battito del proprio cuore le era parso così concreto, così reale, che per un secondo le era parso di essere di nuovo in vita. Ma in quella gelida sospensione, sprofondata in un’impalpabile nebbia oscura, tutto le appariva diverso e confuso… non sapeva più distinguere l’alto dal basso, il vero dall’illusorio. Era solo consapevole della propria coscienza, una fragile scintilla affogata in un oceano di tenebra, pericolosamente vicina al baratro della pazzia. A metà tra la veglia e il sonno, tra una vita morta e una morte viva, aveva smesso di lottare per il presente e s’era abbandonata del tutto al passato. Aveva permesso ai ricordi di trascinarla in un altro tempo, in un’altra dimensione, in un’esistenza lontana e splendente.
La sua esistenza.



XVII // 03.  Rebirth

Now I hear my mother from the deep
Sing me a lullaby of eternal sleep
Wilt blow wee plant that last to recall
As in silence we sing to reborn.

Forever Moments, Nightwish



Il benefico sole di mezzogiorno rifulge come una sfera d’oro, un prezioso gioiello incastonato nel cielo di lapislazzuli. Non ho mai visto un sole del genere, almeno non in pieno inverno, ma il suo raggiante splendore mi sembra in qualche modo giusto. È giusta anche la limpida trasparenza dell’aria. Adesso il sole è fuori e dentro di me.
Ho rimpinguato la nostra esile scorta di maguro1, a cui il nostro pescivendolo di fiducia ha gentilmente aggiunto due piccoli granchi. Per oggi, niente nukapan: basta questo ad allietarmi la giornata. Suona sciocco, soprattutto se paragonato alle gelide minacce che l’inverno porta ancora con sé, ma il pensiero che almeno per un giorno il mio stomaco ospiterà cibo vero non può che rallegrarmi. Il sapore di cuoio del nukapan è il sapore della miseria.
Kaoru è ancora presso i Fujiwara. Non sa quando le permetteranno di ritirarsi, perciò mi ha invitato a tornare a casa senza aspettarla. Ho intenzione di farlo, certo, ma non senza una veloce deviazione.
Non è la prima volta che il mio sguardo si posa sull’emporio Urahara, però è la prima volta che lo vedo davvero. Non ha un’aria particolarmente mistica: si presenta come un edificio di legno su due piani, piuttosto ordinario, coronato da un tetto spiovente di tegole maru-gawara. Non lascia presagire nulla di bizzarro, nulla di intimidatorio.
Vicino all’ingresso c’è un uomo alto e muscoloso, sulla quarantina, intento a spazzare meticolosamente per terra con una vecchia ramazza. Se al posto di quella impugnasse un fucile scommetto che sarebbe un soldato temibile, ma per qualche oscura ragione sento che è giusto così, che un individuo del genere non ha alcun bisogno di arruolarsi. Attorno a lui pulsa un’aura strana, profonda, l’aura di un esperto veterano molto più vecchio dell’età che dimostra. Non è una coincidenza il fatto che non sia a combattere per il Giappone o per chicchessia, perché lui non appartiene a questo mondo.
Quella certezza è uno schiaffo. E' la sua aura stessa a gridarlo.
Non appena muovo un passo verso di lui, l’uomo solleva subito la testa e si volta a guardarmi. Mi colpiscono la sua pelle scura, cotta dal sole, e il vistoso paio di mustacchi che gli nasconde quasi del tutto la bocca. Porta i capelli pressoché rasati, e sul gran naso aquilino brillano sottili occhiali rettangolari. Il suo sguardo fisso mi mette a disagio: ho la spiacevole sensazione che mi stia soppesando, quasi valutando se posso rappresentare o no un eventuale pericolo… ah, come se un omaccione del genere possa avere qualcosa da temere da me, una ragazzetta pelle e ossa e neppure tanto alta.
Gli rivolgo una rapida riverenza. Lui risponde con un saluto disinvolto. Mentre mi avvicino, non posso fare a meno di notare le sue mani, grandi come piatti di portata: se volesse, potrebbe prendermi per il collo e sollevarmi da terra con la stessa facilità dell’Hollow. Al semplice ricordo mi sfioro nervosamente la gola, ma la cicatrice è ben nascosta dalle ruvide pieghe della mia sciarpa.
Nel frattempo, davanti a me, l’uomo ha raddrizzato le spalle e ora si sfrega i palmi per liberarle dal pulviscolo. Osservandolo, non posso non stringere impercettibilmente i pugni: maledizione, avrà anche un'aria benigna ma in quanto a stazza è davvero un colosso.
“Mi chiamo Tsukabishi Tessai,” si presenta, con voce calma e profonda. “Ti do il benvenuto all’emporio Urahara. E tu saresti…?”
“Kurosaki Raiha” rispondo con un filo di voce. Tossicchio, cercando di darmi tono. “Ehm, Urahara-san è in casa?”
Tessai annuisce, ma prima ancora che possa aprire bocca è interrotto da una voce allegra e squillante:
KUROSAKI-SAAAN!”
Ci giriamo entrambi: Urahara Kisuke si sta letteralmente sbracciando dall’ingresso dell’edificio, col viso acceso dall’entusiasmo e un sorriso luminoso disegnato sulle labbra. Sotto l’inseparabile cappello da pescatore, le ciocche bionde sussultano come morbide ali di miele.
Io e Tsukabishi-san ci scambiamo una rapida occhiata, ma mentre lui scuote la testa con malcelata esasperazione, io sento i miei muscoli facciali tendersi spontaneamente, come dotati di volontà propria. Sto sorridendo, un sorriso talmente enorme da farmi prudere le guance.
“Entra, Kurosaki-san!” m’invita Kisuke, abbozzando un lieve inchino. “Permettimi di offrirti una tazza di tè. Abbiamo da poco ricevuto una confezione di tè verde di ottima qualità, distillato direttamente dalle camelie di Honshu.”
Per un attimo rimango immobile, come trattenuta da fili invisibili. Gli ammonimenti di Shin e i tetri racconti di Kaoru sono un sussurro di ferro nella mia mente, ma li scaccio con decisione e scelgo di entrare: ormai ho fatto trenta, tanto vale fare trentuno. È chiaro che Kisuke non è un uomo normale, ma è altrettanto chiaro che non è neppure malvagio. In fondo, mi ha salvato la vita… o almeno, questa mi sembra una buona scusa per giustificare il mio disperato bisogno di fidarmi di lui.
L’interno dell’emporio è piuttosto ampio. Non sarà un palazzo, ma non c’è nemmeno paragone con la stretta, soffocante soffitta che condivido con Shin. Le stuoie che rivestono il pavimento sembrano essere fresche d’acquisto e sulle pareti non s’intravede la più microscopica ombra di muffa. Tuttavia a colpirmi non sono tanto le ottime condizioni del posto, quanto piuttosto la grande varietà di oggetti presenti: ovunque si posi, il mio sguardo trova fasci di stoffe preziose, ceste di vimini finemente intrecciate, ventagli di ogni colore e dimensione e antichi pezzi di vasellame dall’aria costosa. In un angolo c’è una statuetta alta e slanciata, intagliata nell’ebano, e accanto ad essa una specie di asta cava e quasi trasparente, dalla quale si snoda un lungo filamento – un narghilé, come precisa Kisuke in seguito – entrambe provenienti dalle distanti lande africane. Dall’altra parte del mondo, in sostanza. Tutto è così nuovo e strampalato che non posso fare a meno di guardare con tanto d’occhi.
“Urahara-san… cosa sono questi, esattamente?”
“Oh, nulla di che. Ho semplicemente avuto occasione di viaggiare a lungo e di visitare i luoghi più disparati. Sono un commerciante, dopotutto.” Si volta in parte, scoccandomi un mezzo sorriso da sopra la spalla. “Vedili come una sorta di souvenirs.”
Mi guida verso un tavolo basso e tondeggiante, dalle zampe leonine. Nemmeno questo mi pare di foggia giapponese. Faccio scorrere lentamente l’indice sul suo bordo, pensierosa, saggiandone la consistenza bronzea.
“Sei stato in Europa?” Un’istintiva repulsione mista ad una punta di puro interesse. Gli occidentali sono nemici e devono essere odiati, certo, ma ammetto che verso quelle terre straniere provo anche una strana attrazione.
“In Spagna, in Francia, in Italia e in Inghilterra” conferma lui, prima di sedersi e farmi cenno di imitarlo. “Sono Paesi affascinanti, benché attualmente piuttosto instabili. Ma ho avuto la fortuna di poter ammirare la Spagna quindici anni fa, poco prima dello scoppio della guerra civile, e ti assicuro che era un posto meraviglioso, anche se già allora si poteva percepire il sentore del disastro.”
Il suo tono si è fatto secco, grave. Il sorriso, sebbene gli incurvi ancora gli angoli della bocca, non raggiunge più i glaciali occhi di felce e ardesia, ora appuntati nei miei. Mentre sostengo a fatica il suo sguardo, sforzandomi di ignorarne l’intensità e la bellezza, mi sorgono spontanee dozzine di domande: come ha fatto Kisuke ad arrivare in Europa? Aveva forse un salvacondotto, un qualche genere di licenza per oltrepassare i confini ed evitare le sanguinose scaramuccie che ormai da troppo tempo sporcano il mondo? Oppure, più semplicemente, è una conseguenza dei suoi poteri di Shinigami?
“E quello?” La mia attenzione è d’un tratto attirata da un piccolo parallelepipedo nero e lucente, posato su un ripiano accanto ad una specie di tozza caraffa. A occhio e croce, mi sembra formato da tanti pezzi di carta rettangolari, allineati gli uni sopra gli altri.
“È un mazzo di carte… tarocchi, per la precisione. È una pratica di origine cinese, ma queste carte le ho acquistate a Barcellona.”
Mi permetto di raccoglierle ed esaminarle. Riportano bizzarre figure coronate da scritte che non comprendo, delineate in caratteri indecifrabili. Una di quelle strampalate lingue europee. “A che cosa servono?”
“Si dice che attraverso di esse sia possibile prevedere il futuro.” Urahara lo pronuncia in modo neutro, senza alcuna inflessione particolare. “Può suonarti irrazionale, o addirittura folle, ma ho ottime ragioni di credere che irrazionalità e follia siano ormai divenute il tuo pane quotidiano. Ti confesso che la chiaroveggenza mi ha sempre affascinato: è uno dei talenti soprannaturali più rari e complessi che si possa sperare d’incontrare, ed è talmente ricco di sfaccettature che padroneggiarlo è una vera impresa.”
Le morbide parole di Kisuke mi rotolano con dolcezza nelle orecchie, e io le assorbo, avida.
“Hai mai conosciuto di persona un chiaroveggente?”
“Una, sì. Una Shinigami eccezionalmente capace e intraprendente. Reila, se non erro… brava ragazza, molto sveglia.”
È interrotto dall’improvviso arrivo di Tessai: l’uomo porta un vassoio con una teiera fumante e due eleganti tazze laccate di verde. Versa il tè in fretta e in silenzio, dopodichè sparisce con la stessa rapidità con cui è comparso.
Dopo, Kisuke mi spiega il funzionamento dei tarocchi. Mi aiuta a decodificare i caratteri e a interpretare ogni singolo simbolo, mostrandomi la maniera giusta di posizionare le carte. Si lamenta però che per lui l’ordine dei simboli non ha alcun senso logico.
“Non dubito che la chiaroveggenza esista, ma di certo non fa per me” borbotta in tono scherzosamente irritato, prima di rivolgermi un adorabile sorriso un po’ obliquo.
Avverto un fastidioso formicolio alle guance, ed è con imbarazzante chiarezza che mi rendo conto di stare arrossendo come una bambina alla sua prima cotta. Mordendomi l’interno della guancia, mi affretto ad abbassare gli occhi, fissando la disposizione delle carte come se fosse la cosa più interessante che abbia mai visto.
“Allora…” dico piano, sforzandomi di apparire rilassata e tranquilla. Sollevo una carta, poi un’altra e un’altra ancora, rivelando la Forza, la Giustizia e la Temperanza. O, se proprio vogliamo sottilizzare, Fuerza, Justicia e Templanza. L’ultima carta da me pescata è la più tetra di tutte, una sciarpa simile ad una vipera bianca come la morte quietamente ritorta su se stessa.
“L’Arcano Sin Nombre” specifica Kisuke.
Mentre le fisso – e noto che la carta della Justicia ha un’orecchietta in alto a destra – nella mia mente si fa improvvisamente largo un’idea, come un fresco zampillo d’acqua sorgiva che irrori le aride asprezze della roccia. Dapprima timidamente, poi quasi con prepotenza, vengo assalita da un’immagine forte e limpidissima, che impregna ogni mio pensiero. La mia bocca si muove di sua spontanea volontà, la voce che ne prorompe è chiara e scandita, ma al tempo stesso estranea, distante: la voce di una sconosciuta potente e terribile.
Vendetta e giustizia, sorelle di tenebra, dormiranno in letargo ancora per molti inverni, ma alla fine si desteranno per celebrare la distruzione di colui che ha rubato la tua vita e annientato la tua dignità. Una grande colpa pretende una grande espiazione; i legami sciolti saranno risplasmati, ed essi saranno le catene che spezzeranno la sua libertà. La chiave risiederà nel fuoco e nel sangue, e nell’anima e nel metallo, la chiave che schiuderà le porte di una nuova era.”
Sbatto le palpebre. L’immagine radiosa nella mia mente si spegne di colpo, come la delicata fiamma di una candela a cui qualcuno abbia messo un cappuccio.
Kisuke mi guarda a bocca aperta. “Cos’hai detto?”
“Cos’ho detto?” gli faccio eco, sbalordita quanto lui. “Non lo so, cos’ho detto?”
“Hai appena pronunciato una profezia!”
“Io?”
Intravedo casualmente una piccola rifrazione, un guizzo di sole morente che filtra dalla finestra. Cosa? Il sole sta già calando! Oh dei del cielo, che ore sono? Shin sarà già tornato a casa? Scatto in piedi, in modo più brusco di quanto non sia nelle mie intenzioni.
“Devo andare. Grazie per l’ospitalità, Urahara-san.”
“Aspetta, Raiha.”
Spalanco gli occhi. È la prima volta che mi chiama così.
Kisuke si alza a sua volta e mi appoggia gentilmente una mano sull’avambraccio. Quel tocco, caldo e leggero, è come quello di una farfalla di fuoco.
“È chiaro che per essere un’umana possiedi una reiatsu fuori dal comune, ma non avrei mai preso in considerazione l’idea che tu fossi una chiaroveggente… fino a pochi minuti fa, almeno. È ben lungi dai miei desideri metterti sotto pressione, ma vorrei sapere cos’hai sentito, cos’hai provato.”
Chiaroveggente… sono davvero una chiaroveggente? O è solo un delirio momentaneo? Non lo so, l’unica cosa di cui sono consapevole è la nausea che mi attanaglia lo stomaco come un insetto velenoso. Serro le palpebre. Vorrei fuggire da Kisuke, e al tempo stesso abbracciarlo con tutte le mie forze. Ribrezzo e attrazione si rincorrono. Vorrei Kisuke, ma solo Kisuke; mi piacerebbe poterlo portare via con me in qualche dimensione lontana, ritagliarlo via da questo mondo stregato. Avere una vita normale, una relazione normale, magari anche dei bambini se sarà il caso, ma questo in una Karakura tranquilla e ordinaria, alla larga da poteri soprannaturali, dèi della morte e spiriti assetati di sangue. Certo, questo se si dà per scontato che un uomo così affascinante e carismatico possa nutrire un qualche interesse verso una mocciosa come me.
Gli occhi mi lacrimano come se avessi passato il pomeriggio a sbucciare cipolle. Il viso cordiale di Urahara è una nube indistinta di fronte a me.
“Raiha?” mormora in tono incoraggiante.
Non so come spiegare la fulminea claustrofobia che di colpo mi prende alla gola, ho solo l’improvviso, disperato impulso di uscire da lì.
“Devo andare!”
Faccio per voltarmi, ma qualcosa – dita forti come l’acciaio – mi trattengono per il braccio. Apro la bocca per protestare, e tuttavia vengo subito ammutolita: Kisuke ha appoggiato le labbra contro le mie, e il suo dolce respiro speziato mi riempie i polmoni come un vento estivo. Avverto il suo indice sfiorarmi i capelli, arricciarne una ciocca. Un brivido caldo mi scuote la spina dorsale. Rimango immobile, terrorizzata dal pensiero di spezzare quel silenzioso incantesimo, e solo dopo diversi lunghi secondi Kisuke scosta il viso da me.
“Resta ancora un momento, Raiha. Per favore.”
La sua voce è una fiamma di seta.
Mi risiedo lentamente.


********************************

Maguro: tonno

A volte ritornano xD

Okay, non è certo il capitolo migliore che abbia mai scritto, lo ammetto – oltretutto, il romance non è proprio il mio genere – ma qui abbiamo una bella scenetta tra Kisuke e Raiha e il primo vero accenno di potere di quest’ultima. Dal prossimo cap si riprende la storia di sempre, fine dei Forever Moments =)

..:: Shirahime: grazie principessa bianca, una recensione molto gradita ^^ Shin è un gran figo, non vedo l’ora che torni alla ribalta *.* (shh niente spoiler u.u, ndShin)

..:: Garconne: thank you very very much ^^ ihih ogni tanto mi assento ma ormai mi sono decisa, questa storia la voglio proprio portare fino alla fine… spero che questo cap non ti abbia delusa!


  
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