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Autore: LarcheeX    02/03/2011    6 recensioni
Dopo la morte di Xemnas, le istanze dittatoriali di un certo Re cominciarono a farsi troppo ambiziose e avide di potere, portando quello che era un universo che aveva faticosamente guadagnato la pace e la serenità a diventare un oscura distorsione di sé stesso.
Ma come ogni dittatura porta consensi, volenti o nolenti, e dissensi, un gruppo di Ribelli ritornati in vita capitanati dai traditori traditi dal loro migliore amico è pronto a sorgere dalle macerie dei ricordi e farsi avanti per distruggere il Re.
.
Tornata in vita non si sa come, LarcheeX torna alla carica dopo un imbarazzante numero di mesi: qualcuno la seguirà? Boh. Vedremo.
Penumbra is back.
Genere: Avventura, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Kairi, Naminè, Organizzazione XIII, Riku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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ehehe... non vi aspettavate che aggiornassi eh?

e invece eccomi qua >BD

se questo capitolo vi annoia sappiate che nel prossimo comincia l'avventura :D *yyeeee*

BUONA LETTURA ^^

Un imprevisto da allungare l’attesa.

Un nuovo nascondiglio.

 

Casa abbandonata di Crepuscopoli, ore 03.57

 

Schiuse gli occhi, infastidito dalla luce del lampadario che avevano acceso per rischiarare la notte di Crepuscopoli, e con un grugnito che sapeva di irritazione provò a ricollegarsi con quel mondo che lo aveva riaccettato come Nessuno.

E in pochi secondi tutto ciò che aveva passato la notte prima gli ritornò alla mente, come un fulmine.

Si doveva essere addormentato. Beh, era anche ovvio considerato che per combattere in quella prigione ammuffita aveva faticato non poco. Ma non ci poteva fare niente perché, come gli ripeteva ogni volta Vexen con tono saccente, l’acqua non è un elemento che può essere facilmente adoperato da chicchessia. Ma non era solo il numero IV a pensarlo: ormai tutta l’Organizzazione si era fatta un’idea molto precisa di Demyx, che veniva spesso descritto come fannullone, pigro e terribilmente sbadato. Ma la colpa, non era mai stata sua: i suoi undici compagni non si erano mai resi conto di quale pesante e impegnativo potere fosse costretto a controllare. L’acqua era semplicemente tutto, da una semplice fonte di vita alla più grande devastazione. Possibile che gli altri non comprendessero il peso di tale responsabilità?

Demyx la sentiva, ogni volta che combatteva, l’acqua che premeva per uscire e manifestarsi in tutta la sua potenza. Ed era terribilmente difficile da controllare.

Posò infine lo sguardo sui compagni: Zexion era di nuovo immerso nella lettura di un libro pescato dalla biblioteca, Marluxia e Larxene stavano combattendo per ingannare il tempo, ma la maggior parte dei presenti stava seduta da qualche parte a sonnecchiare o riflettere.

Tutti i suoni dell’ingresso erano poi interrotti a intervalli irregolari dagli ‘ahia’ e dai brontolii di Riku, mentre Kairi cercava di disinfettare le sue ferite con un panno bagnato, aiutata da Naminé.

Marluxia parò uno dei molteplici kunai di Larxene con il manico della falce, e un sorriso sghembo che sapeva di vittoria gli incurvò trionfante le labbra, mentre il numero XII schivava con un salto un fendente della lama.

“Avanti, combatti da uomo!” la canzonò, ripetendo le parole che la guardia le aveva rivolto quella stessa notte, mentre la sua avversaria con una smorfia irritata gli mollava un calcio sul petto, facendolo squilibrare all’indietro. Ma il numero XI prese a suo vantaggio quello squilibrio e ne approfittò per puntellarsi sul manico della falce e girare, mandando al tappeto Larxene, piuttosto contrariata della sconfitta. “Ho vinto.” Sussurrò Marluxia, tronfio, mentre l’aiutava a rialzarsi.

“Non ho capito come fanno ad avere tutta questa energia.” Si chiese Zexion, alzando gli occhi dal libro. Lui solo per creare quelle due illusioni prolungate aveva consumato un sacco di forze. “Beh, loro sono abituati a combattere.” Gli rispose Xigbar, sedendosi accanto a lui sul divanetto pendente per l’assenza delle gambe del lato sinistro. Il numero VI rispose con un mugolio che indicava che aveva capito, e ritornò alla sua lettura.

“Hai intenzione di ucciderli?” chiese Saïx, in una stanza appartata, mentre discuteva con Xemnas circa quello che avrebbero fatto per riprendersi i cuori. Si stava riferendo ovviamente ai tre disertori, tralasciando ovviamente il fatto che, un tempo, anche lui aveva provato a ribellarsi a Xemnas.

Il Superiore lasciò vagare lo sguardo per la sala candida, piena dei disegni ormai sgualciti di Naminé. “No.” Rispose infine: “Anche se dovranno riconquistarsi la mia fiducia.” Il numero VII annuì.

 

Prigioni del Castello Disney, ore 04.00.

 

Una nera, agile figura scivolò lentamente tra le sbarre, verso l’interno delle prigioni, strisciando sul muro ammuffito senza produrre nemmeno un rumore, coprendosi il volto con il cappuccio di un mantello color fango.

Il corpo esile sembrava quasi invisibile, sotto lo spesso strato del mantello ampio, ma si potevano intravedere, ogni volta che l’individuo allungava il passo, le suole piatte di quelle che probabilmente erano le suole di scarpe.

Sempre appoggiata al muro, la figura si girò nella direzione del suo obiettivo, mentre con un lampo sorpreso degli occhi celati dal capuccio si accorgeva della strage compiuta: le guardie con l’effigie di Re Topolino, animali e non, giacevano morti sul pavimento, ricoprendone quasi totalmente la superficie. Il sangue stava cominciando a seccarsi sulle pareti.

Con una mano guantata l’individuo esaminò il muro: sembrava bruciato e umido al tempo stesso, come se acqua e fuoco ci fossero passati insieme. Come testimone del passaggio di una grande quantità d’acqua c’era anche una pozzanghera ormai piena di sangue dove un corpo giaceva senza testa, come tagliato da una lama. Come a provare ciò, un petalo rosa era adagiato, galleggiante, sull’acqua vermiglia, riflettendo un poco quel suo colore sfumato.

Da altre parti, invece, il suolo era ghiacciato, e sui muri, un po’ dappertutto, erano seminati solchi puntiformi, come fossero stati il bersaglio di un cecchino.

La figura, affilando lo sguardo, si accorse di un pezzo di stoffa nera buttato tra la polvere e il sangue, strappato.

Ad un certo punto, nella sua testa balenò un ordine, come se fosse stato dato a voce: fai sparire le prove. E dovette ammettere che era proprio quello che voleva fare, come se quei dettagli di battaglia fossero i biglietti da visita di alcuni suoi vecchi amici che non vedeva da tempo.

Con rapidi gesti e incantesimi, fece evaporare l’acqua, inumidì le tracce del fuoco, sbriciolò e fece sciogliere ilo ghiaccio e raccolse il petalo e il pezzo di stoffa scura. Tutto nel modo più silenzioso possibile, senza svegliare nemmeno un prigioniero. Alla fine sembrava semplicemente una strage compiuta da armi da taglio, niente di straordinario.

E, dopo aver compiuto quei gesti anomali, la sua mente verté di nuovo verso il suo obiettivo principale, quello per cui era giunta fino nelle umide viscere di quel Castello tanto odiato. Si diresse fino alla cella dove aveva lasciato il suo avvertimento, ma, ancora una volta, rimase stupita: era vuota, e pure aperta. Qualcuno lo aveva già fatto evadere.

“Ehi, tu!” gridò qualcuno, e la figura si voltò, per poi vedere un uomo dai capelli argentei farsi avanti. “Cos-” chiese l’uomo, ma si interruppe nel vedere l’individuo prendere la rincorsa verso di lui, saltare, fare una capriola a mezz’aria e sparire in una nube di fumo violetto.

 

Casa abbandonata di Crepuscopoli, ore 07.14.

 

La riunione era stata finalmente convocata, e tutti i presenti erano seduti in cerchio attorno al tavolo della sala bianca, in silenzio, mentre Xemnas si alzava, autoritario come al solito: “La riunione di oggi è stata convocata in base ai recenti sviluppi del nostro “salvataggio”.” Cominciò. Kairi dovette notare che Xemnas si esprimeva proprio come un capo: conciso e dettagliato al tempo stesso. Ma fu costretta a seguire perché fu chiamata in causa: “Ci era stato garantito da Kairi e Naminé che avremmo potuto riappropriarci dei nostri cuori, una volta fatto uscire il prigioniero in questione” disse, indicando Riku con il gesto della mano sinistra: “ma, a quanto vedo, non è andata così. Gradiremmo delle spiegazioni.” Disse, e si sedette di nuovo. Kairi non avrebbe mai saputo dire quali fossero i pensieri di Xemnas in quel momento: sembrava solo impassibile. Forse stava pensando ad un probabile inganno da parte sua e di Naminé, ma lei non sapeva che ci fosse un allarme nel Castello e quando Riku le aveva detto di scappare aveva seguito il consiglio. Non aveva pensato all’Organizzazione. Subito dopo questo pensiero si sentì terribilmente meschina ed egoista. Aveva pensato a scappare, mentre i Nessuno non erano riusciti a riprendersi ciò che era loro più caro. Abbassò la testa e si fissò i piedi con intensità.

Intanto Riku si era alzato. Tutti videro che aveva il braccio fasciato con un pezzo di stoffa di fortuna e il collo rosso e graffiato, ma sembrava in salute. “Volete sapere perché non avete potuto riprendervi i cuori, eh?” disse, serio. I Nessuno annuirono.

“Esiste un sistema estremo di allarme, nel Castello Disney.” Cominciò a spiegare: “Per cui vengono attivati degli schermi totali da impedire un qualsiasi spostamento dal Castello.” Lasciò cadere un attimo le sue parole, mentre i presenti, soprattutto Jack e Cloud, ascoltavano, curiosi, visto che non sapevano niente di niente. “Questi scudi sono molti, e una volta attivati nessuno può entrare o uscire dal Castello, che in questo caso diventerebbe autosufficiente grazie ai campi coltivati che sono presenti nel cortile. Ebbene, quando stavamo ancora nel Castello, Re Topolino ha fatto attivare tutti gli scudi. Se avessimo temporeggiato ancora qualche secondo saremmo rimasti bloccati per sempre dentro quel posto, in balia di Sora e di tutti gli alleati.”

E fu allora che i Nessuno compresero. Avrebbero preso sì il loro cuore, ma sarebbero morti immediatamente perché sarebbero stati di sicuro scoperti. Annuirono. “Le comunicazioni con l’esterno sono possibili?” chiese Saïx. “Non lo so. Di questo non me ne hanno parlato.” Rispose l’albino, abbassando un poco lo sguardo. “Ed è possibile rompere queste protezioni?” intervenne ancora il Nessuno dai capelli turchini, calcolando. Se erano chiusi fuori non voleva dire che non esistevano modi per aprirsi la via con la forza. A quella domanda gli occhi di Riku brillarono come quando riusciva a far comprendere un concetto complicato a qualcuno, come se fosse estremamente soddisfatto della domanda: “Qui ti volevo, caro il mio Saïx.” Disse, con un lieve ghigno: “Serrature.” Disse infine, come se fosse la sentenza di una cosa estremamente piacevole. “Ogni scudo è comandato da una serratura e i Keyblade possono aprirla.” Disse, soddisfatto, mentre, con un movimento della mano, si riprese la “Via per l’Alba” dalle mani di Naminé. Lei lo sapeva, che non avrebbe potuto tenerlo ancora per molto, e si era ormai rassegnata all’idea di rimanere per sempre un Nessuno inutile e privo di ogni potere utile per combattere, ma c’era qualcosa, nel suo ragionamento, che non la convinceva. Come se qualcuno le stesse dicendo che non era vero.

“Un momento.” Disse Zexion: “Dici che Re Topolino ha i nostri cuori, e non potrebbe distruggerli mentre noi siamo in giro per mondi ad aprire serrature?” dal tono di voce, sembrava preoccupato. A quel punto intervenne Kairi: “Ho sentito dire da Topolino che nella sala dei cuori è stato messo uno scudo a parte, e probabilmente sarà stato attivato insieme agli altri.” Disse. Tutto quello che sapeva sulla sala dei cuori era quello che aveva origliato in una conversazione tra il Re e qualcun altro di non meglio definito, la stessa dalla quale aveva appreso la datizzazione completa di Kingdom Hearts. “Nessuno potrà entrare lì.” Disse Riku, confermando quello che aveva spiegato l’amica.

“Quindi, dovremmo vagabondare di mondo in mondo ad aprire serrature!?” sbottò Larxene, contrariata: “Avete almeno la minima idea di quanto ci metteremo?” chiese ancora, girandosi verso Riku, furiosa.

“Se trovi un’idea che riesca ad aprire tutte le serrature in un tempo più breve sarei ansioso di sentirla.” Sibilò l’albino. E che cavolo, lui aveva persino accettato di allungare i tempi della sua vendetta e Larxene protestava?

Cloud e Jack erano rimasti in silenzio per tutto il tempo, il primo perché non aveva nulla da dire, non volendo intromettersi in promesse e patti fatti in sua assenza, il secondo perché non ci stava capendo nulla. Cuori, promesse e serrature rimbalzavano nella sua testa senza un ordine preciso, sconvolgendo quel poco che sapeva. Si ripromise di farsi spiegare tutto da Riku, una volta che l’Organizzazione avesse finito i problemi da chiedere.

Non trovando altre soluzioni, il numero XII si zittì. Xemnas fece per parlare, ma prima che la sua voce profonda potesse proferire anche una sola parola una violenta scossa di terremoto smosse tutta la casa, riuscendo a far cadere i mobili e qualcuno dalle sedie.

“Cos-” provò a dire Xigbar, ma non fece in tempo a finire la sua imprecazione che la terra tremò di nuovo, facendolo cadere dalla sedia.

Xemnas, cercando di reggersi in piedi dopo una terza scossa, si precipitò alla finestra, vedendo una marea argentea che attaccava la villa, tumultuosa. “Ma quelli sono Nessuno!” gridò Demyx: “Non dovrebbero attaccarci!” protestò, affacciandosi a sua volta. Rientrò qualche secondo dopo, quando l’ennesima scossa lo costrinse ad appoggiarsi al muro. “Non scappate!” ordinò Xemnas: “Siamo in grado di controllare i Ness-” ma si interruppe, scendendo nell’atrio, dove erano già arrivati gli altri. Vide che l’Organizzazione stava già tentando di imporsi sui loro Nessuno, invano, mentre quell’enorme marea argentea faceva di tutto per entrare. E, alla fine, rompendo i vetri, sfondando le porte, furono invasi. Il Superiore, con un balzo, scese nel grande ingresso ormai gremito di Nessuno, sfoderando in aria le sue armi.

Riku stava proteggendo Naminé dai Nessuno, quando vide Xemnas entrare in azione, e gli gridò: “Xemnas, dobbiamo scappare, non possiamo controllarli!” ma Il Superiore sembrava sordo, tanto che si avvicinò ad uno dei suoi Nessuno Stregone, cercando evidentemente di prenderne nuovamente il possesso.

Riku si staccò da Naminé, mentre con un salto finiva davanti al numero I, uccidendo lo Stregone. “Cosa diamine stai facendo!?” gli urlò, mentre l’altro si voltava, ignorandolo.

Non passò molto tempo di combattimento che alla casa abbandonata comparvero Léon e Merlino, giunti evidentemente in soccorso dei Nessuno. Dietro di essi, però Kairi riconobbe la capigliatura scomposta di Sora, tanto che corse verso Riku, gridando: “Riku, è Sora! Andiamocene!” implorò.

I Nessuno, però, non sembravano dell’idea di seguire l’ordine impartito dall’albino, e, anzi, si volsero dalla parte del nuovo arrivato, uno più furioso dell’altro.

Sora, dal canto suo, era sbigottito: “Cosa…?” sussurrò, mentre i tredici si facevano avanti.

Naminé, intanto, vedendo l’Organizzazione in grave pericolo, decise di intervenire. Prese la rincorsa e saltò oltre i suoi alleati, frapponendosi tra loro e Sora.

Quello, alla vista della bionda, sembrò ritornare in sé: “Oh, certo, allora deve averlo detto a te…” ragionò, anche se Naminé non riuscì a capire il senso di quella frase e, nel tempo che ci impiegò per cercare di comprenderla, fu scostata dal keyblader, che le sembrava davvero troppo alto per lei, perché Sora voleva confrontarsi di nuovo con i suoi antichi nemici.

“Zexion, per favore, apri un varco!” gridò Riku, mentre con un movimento fluido prendeva Jack per un braccio e lo accostava al numero VI, che era il membro dell’Organizzazione che gli stava più vicino. Zexion lo squadrò con l’aria di chi sta per dire non prendo ordini da te, tanto che Riku fu costretto a implorarlo: “Non avete capito che in questo modo morirete tutti?” chiese, sgomento: “Fidati di me, ti prego.” Disse.

Gli occhi cerulei del Nessuno si spalancarono, sorpresi. Sapeva che Riku era dannatamente orgoglioso, e supplicare per lui equivaleva a umiliarsi, perciò sembrò credere alle sue parole: “Dove dobbiamo andare?” chiese stendendo la mano per aprire un varco. Ma Riku non poté rispondergli, poiché Sora, attaccandolo con un Keyblade, lo aveva attaccato al muro più vicino.

Ignorando l’Organizzazione intera, Sora si avvicinò all’albino, che intanto si era liberato: “Lo sapevo che dietro c’eri tu.” Ringhiò, mettendosi in posizione da combattimento. Riku fece qualche calcolo veloce: se avesse combattuto non sarebbe sopravvissuto di sicuro poiché le sue ferite erano ancora doloranti e non aveva ancora messo in bocca nulla, e inoltre, morendo, avrebbe lasciato Naminé senza protezione e i Nessuno in balia del loro acerrimo nemico. No, non valeva la pena perdere la vita, anche perché non ne aveva assolutamente voglia.

La situazione sembrava immobile, almeno finché Larxene non decise di avventarsi sul keyblader, venendo però respinta con un gesto pigro del braccio. Il numero XII ringhiò: “Voltati almeno, quando combatti con me.” Era, più furiosa che mai. In ogni sua rancorosa parola sembrava spuntare a fiotti l’odio stupido e inutile di un Nessuno che aveva perso tutto a causa di qualcuno. Sembrava davvero furiosa, inutile dirlo.

Sora, dopo un po’, lasciò perdere Riku e concentrò l’attenzione su Larxene, per poi rivolgersi a tutta l’Organizzazione: “Come sei brava a recitare, Larxene.” Disse, mentre il numero XII ringhiava ancora una volta: “Sì, voi Nessuno siete sempre stati degli ottimi attori.” Tutti quanti, in quel momento, si misero in ascolto, pur non abbassando la guardia: “Non so come siete riusciti a ritornare in vita.” Cominciò, minaccioso: “Ma sappiate che ben presto tornerete nell’Oscurità dalla quale siete venuti.” Finì, lanciando il Keyblade contro Larxene, che però riuscì a scostarsi prima di essere uccisa.

Riku si lanciò contro il suo avversario, mentre Léon e Merlino, fino a quel momento immobili, cominciarono a combattere. “ZEXION! IL VARCO!” gridò, mentre con un colpo di Keyblade disarmava la mano destra di Sora.

“Dove lo devo aprire?” chiese il numero VI, cercando di avvicinarsi ai suoi compagni senza essere ucciso dal Keyblade caduto dalla mano di Sora. A quel punto, Jack e Cloud, che fino a quel momento avevano deciso di rimanere vicini e organizzare un gioco di squadra davvero vincente contro un’orda di Nessuno Ballerini, decisero che era ora di andarsene, e il biondo si librò in volo prendendo il pirata per un braccio.

Atterrò accanto a Zexion, mentre gli diceva: “Fortezza Oscura, crepaccio.” Il numero VI sembrava sorpreso, ma obbedì, aprendo finalmente il ponte che li avrebbe portati in salvo.

Tutti si precipitarono dentro, tranne Lexaeus, che sembrava ancora deciso a combattere. “Lexaeus?” lo chiamo Zexion, prima di entrare.

Il numero V scosse la testa. Li avrebbe tenuti occupati in modo da evitare che Sora il seguisse anche nel varco oscuro. Dopo aver lanciato un’occhiata obliqua all’unica porta della salvezza concentrò la sua attenzione su Sora. Notò che era davvero cresciuto, dall’ultima volta che l’aveva visto, anche se non era riuscito a superare la sua mastodontica altezza.

“Avanti.” Incitò il suo avversario. Quello sembrò non aspettare altro, tanto che si lanciò, seguito da Léon, verso di lui, sguainando i suoi Keyblade.

Il primo colpo di tomawhk finì per terra, poiché Sora sembrava diventato davvero veloce. Il secondo colpo, invece, andò a segno, anche se riuscì solo a disarmarlo di Lontano Ricordo. Posò il piede sull’arma, mentre minacciava Sora con il tomawhk. “Ah, credi che sia rimasto il ragazzino quindici anni fa?” lo schernì, mentre con un movimento rapido della mano richiamò a sé Lontano ricordo e usava Portafortuna per colpirlo alla spalla, con un salto.

Sentì immediatamente un dolore fortissimo, così forte che fu costretto a ritirarsi. Dall’alto evocò qualche decina di massi e li fece cadere tra lui e Sora, nascondendosi alla sua vista. Dopodiché, cercando di reggersi in piedi, se ne andò alla Fortezza Oscura.

 

Castello Disney, ore 08.34.

 

“Come sarebbe a dire l’Organizzazione XIII?!” gridò Re Topolino, sbattendo uno dei suoi pugni guantati sul tavolo della scrivania in biblioteca. Sora, Léon e Merlino sembravano più dispiaciuti che mai, come se fosse stata colpa loro se i loro vecchi nemici fossero risorti. “Sono sicuro che c’è Roxas dietro a tutto questo.” Accusò il keyblader, prendendo la parola dopo un imbarazzato silenzio. Topolino, invece di rispondere, spostò lo sguardo sugli altri due presenti: “Testimoniate?” sia Léon che il mago annuirono: “Erano in dodici, mancava solo Roxas.” Disse Merlino.

“Spiegazioni?” chiese il Re, sempre più preoccupato. Diniegarono tutti e tre. Il sovrano si lasciò cadere sulla sedia, non si sa se più sconsolato o deluso da Sora che non aveva ucciso un potenziale pericolo. “Almeno non possono entrare qui, abbiamo attivato gli scudi.” Si consolò: “Voglio che sappiate che voi, oltre a Sephiroth, siete gli unici in grado di uscire dalle protezioni senza farvi male. Yen Sid continuerà a comunicare tramite voi.” Dopodiché spostò lo sguardo sulla porta che si apriva per far entrare l’alta e argentea figura di Sephiroth, seguito da un personaggio più basso e tozzo, con la faccia da cane e una mascella tremolante.

“Mio Signore.” Salutò Sephiroth: “Ho trovato questo che si aggirava per l’ingresso. Deve essere entrato nel momento in cui abbiamo attivato gli scudi. Dice di volersi arruolare.” Detto questo si eclissò, lasciando il tremante, grosso cane a vedersela con il suo futuro Re.

 

Strano corridoio nel crepaccio, Fortezza Oscura, ore 07.59.

 

“Dove saremmo?” chiese Axel, spuntando per ultimo dal varco oscuro. “Al crepaccio.” Rispose Cloud, mentre si guardava intorno con aria furtiva. Dopodiché si avviò per un ripido sentiero in discesa, quasi invisibile per quanto fosse stretto, seguito da Jack.

Riku aveva notato che tra Cloud e Sparrow si era creata una specie di complicità, quasi riuscissero a comunicare con un solo sguardo. Probabilmente era davvero così, essere compagni di cella vuol dire condividere tutto, dal cibo allo spazio vitale. Credeva persino che Cloud trovasse Jack divertente.

Dall’alto si poteva vedere solo una coda formata da persone per la maggior parte vestite di nero, anche se si notava l’assenza dell’imponente figura di Lexaeus. Zexion, nonostante in teoria non potesse, era molto preoccupato. Il numero V tardava ad arrivare e, se fosse venuto ancora più tardi probabilmente non sarebbe riuscito a trovare il nascondiglio. “Sono sicuro che se la caverà. È un ottimo membro.” Lo rassicurò Luxord, mettendogli una mano sulla spalla. Annuì, non tanto convinto.

Cloud li guidò in una specie di conca, come se fosse un crepaccio minore, non grande come il primo ma sempre imponente. Le mura color indaco si ergevano pesanti e oppressive in tutto il perimetro, così sfolgoranti nel loro blu da rendere praticamente invisibile lo stretto corridoio dal quale erano appena usciti. Sembrava quasi fossero in trappola, cosa che Xaldin sembrò notare, dicendo: “Dall’alto si può vedere tutto ciò che c’è qui.” Protestò: “Potrebbero vederci dall’alto, considerando che Sephiroth può anche volare.” Cloud, che fino a quel momento era rimasto in un pensieroso silenzio, si rabbuiò al sentire nominare il suo acerrimo nemico, e borbottò: “Non ho detto di essere arrivato.” E, detto questo, si avviò verso una parete che per lui sembrava particolare, ma che per tutti gli altri rimaneva solo un anonimo muro blu. Si avvicinò a grandi passi, gettando un’occhiata verso l’alto, come per controllare che non ci fosse nessuno che spiasse, dopodiché picchiettò lievemente con il dito su una fessura, che si allargò fino a diventare delle dimensioni di una porta.

“Beh, devo dire che come tana può andar bene!” esclamò Jack, mentre superava tutti quanti ed entrava prima di Cloud, sempre con la sua particolare andatura ancheggiante.

“Dovresti stare attento alle-” provò a dire Cloud, ma fu interrotto dal pirata: “Sciocchezze, io sono Capitan Jack Sparrow, sono nato con il senso dell’orientamento perfett-” ma si interruppe anche lui, mentre un coro di “ahi”, “ouch” e “porc’” si sostituiva ai suoi pavoneggi.

“Alle scale.” Completò l’altro, mentre, si affacciava per cercare di scorgere, nell’oscurità della fessura, il corpo malconcio dell’amico, o comunque quello che ne restava dopo un volo per centoventisette scalini di pietra blu.

Dopo essersi assicurato dell’integrità del corpo di Jack, invitò i compagni a seguirlo raccomandando di stare attenti ai gradini irregolari. C’era il buio più totale, l’unica cosa chiara erano i riflessi azzurrini che la roccia mandava ogniqualvolta veniva colpita da un evanescente raggio di sole penetrato da una fessura. Axel provò ad costruire una specie di torcia, ma fu redarguito da Cloud, che gli camminava vicino: “Non ti conviene accendere il fuoco, qui. Siamo circondati da esplosivo.”

In quel momento tutti coloro che erano appoggiati alle pareti si ritrassero.

La scala procedeva per centoventisette gradini, in una direzione curva verso sinistra, e sbucava in una specie di minuscolo stanzino strapieno di scatole e casse. C’era perfino un baule. Dopo quello stanzino entrarono in una vera e propria conca, così grande che chi poteva rimase spiazzato dallo stupore: era una grotta sotterranea dalle pareti azzurre e nere, di forma circolare, che aveva sulla destra tre piccole rientranze, grandi abbastanza per farci entrare altri bauli e scatole, mentre in alto a sinistra, a circa quattro metri dal suolo, c’era un buco, che faceva presupporre un cunicolo, vicino al quale era appoggiata una scala. Per tutto il pavimento erano sistemati letti, materassi e cuscini, in ordine sparso, come se fossero stati sconvolti da un terremoto. Invece, vicino alle tre rientranze, sembrava ci fosse un altro cunicolo, stavolta quasi attaccato a terra, ma non si vedeva bene la forma della fessura poiché era situata in penombra. Tutto il resto della sala era illuminato da dei cristalli trasparenti, che sembravano avere luce propria, diffondendo nell’ambiente una strana atmosfera azzurrina. “Catturano il calore della terra e lo ritrasmettono sotto forma di luce.” Analizzò Vexen, picchiettando uno dei cristalli che sporgevano dalla parete accanto a lui. Cloud annuì.

Piano piano, tutta l’Organizzazione e i suoi alleati si ambientò, mentre ognuno si guardava intorno, spaesato da tanta innaturale luce.

“Beh, come covo direi che possa andare.” Approvò Xemnas. “Anche perché non c’era molta scelta.” Ghignò Xigbar.

 

Castello Disney, ore 8.40.

 

“Che ne pensi di tutto questo?” gli chiese Cid, appoggiandosi con i gomiti al tavolo di legno della sua stanza. Merlino si sistemò il cappello: “Non sono tenuto a esprimere un mio parere.” Comunicò, meccanicamente. Cid alzò gli occhi al cielo: da qualche settimana quel mago da strapazzo pareva distratto e confuso, e si ricordava a stento le cose che gli diceva, come se fosse preso da tutt’altri pensieri: “Senti, potresti anche dirmi cosa c’è che ti turba!” sbottò, infastidito.

Merlino non rispose. Non poteva certo dire che la sua memoria stava subendo sbalzi e intromissioni, e soprattutto non poteva ammettere davanti a un fedele servitore del Re che sognava di aver avuto un’altra vita, specialmente se riguardava l’Eroe del Keyblade da giovane.

Spesso e volentieri, appena chiudeva gli occhi, si insinuavano dentro di lui immagini che non ricordava di aver mai visto: vedeva un Sora di circa quattordici anni allenarsi con lui a fare magie, vedeva Heartless per la Fortezza Oscura, in preda a minacce elettroniche, vedeva anche Naminé che era Kairi e Kairi che era Naminé. Era tutto molto confuso.

Cid brontolò qualcosa, ma poi decise che era meglio lasciar perdere: “Andiamo.” Invitò il mago: “Da quando sono stati attivati gli scudi c’è sempre bisogno di noi.”

  
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