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Autore: minimelania    06/03/2011    2 recensioni
“Scegli me o il fuoco” aveva detto Claude Frollo ad Esmeralda, condannata al rogo.
E per salvarsi la ragazza aveva scelto lui.
Ora, nella carrozza che la conduce al Palazzo di giustizia, lei sembra già sapere quale destino l’attende. Invece, il Giudice ha in mente un progetto da proporle completamente diverso da quello che ci si potrebbe aspettare…
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 13: Mesdames et Messieurs…la cena !
 
 
- Mi dispiace così tanto, Lydia… Mi dispiace di averti fatto credere e illudere che noi…
 Oh, accidenti, lo so che non me la perdonerai questa. – Esmeralda si stropicciava le mani, sapendo che qualsiasi parola di scuse, adesso, non avrebbe ripagato Lydia nemmeno di un quarto dell’affetto che le aveva dato in quei giorni.
Sentiva di averla tradita, di averle rubato qualcosa, tutta colpa di quella stupida, inspiegabile conclusione alla quale erano arrivati.
Tutta colpa di Isabeau.
Ma, in fondo, Isabeau o meno, prima o poi se ne sarebbe dovuta andare. E Lydia ci sarebbe rimasta male comunque.
- Beh, non me l’aspettavo. - Aveva risposto lei, facendo finta di non soffrirci più di tanto.
In realtà, prima della delusione e del dispiacere, sentiva ribollirsi dentro una gran rabbia.
Rabbia perché quell’arpia di Isabeau ce l’aveva quasi fatta. E se fosse stata lì, a portata di mano, le avrebbe fatto un occhio nero col batticarne, messa in teglia come una faraona e spedita dritta nel forno, altrochè.
E rabbia per quel pecorone che si scioglieva come un tempo – anzi peggio – davanti a due occhi truccati e a qualche parolina collosa come il miele.
Doveva essere proprio in pieno rincitrullimento senile. O gli uomini essere proprio tutti uguali.
Fanno gli snob, i duri, eppoi appena sentono frusciare l’orlo di una crinolina perdono il lume della ragione e piantano in asso anche un pezzo di figliola come la sua Esmeralda.
Perché per quanti guai adesso veniva a sapere che le aveva combinato, era pur sempre la sua Esmeralda, la sua bambina, che aveva rotto la noiosa monotonia dei giorni al palazzo di giustizia con le sue risate, i suoi modi sgraziati e le sue terribili figure.
Ma a guardarla adesso sembrava una signora. Davvero una gran dama.
Già, una gran dama…
- Lydia, se ci fosse anche solo qualcosa che io possa fare per te… - aveva anche imparato a usare i congiuntivi giusti, senza nemmeno più farci caso.
Eccole, quelle parole! Erano arrivate proprio al momento giusto.
- Ragazza mia, qui è arrivato il momento di darci da fare! Non vorremo mica vederla vincere, quella strega?
- Oramai non c’è più nulla che possa fare. Claude sposerà Isabeau e io non servo più al suo piano.
- E vuoi mollare tutto così, bambina? Dopo la fatica che abbiamo fatto per trasformarti in una signora, dopo tutte le torture che hai passato per causa sua?
- E cosa dovrei fare, allora? Introdurmi di nascosto alla cena e aspettare il momento opportuno per far vedere a tutti che razza di carogna sta per portarsi all’altare? No, non funzionerebbe…
Eppoi cosa c’entro io? Non sono nemmeno innamorata di Claude. Se lo fossi sarebbe un altro discorso, ma… - non trovò altre parole da aggiungere – Anche se…
- Oh, via, basta con questi ma e questi se! E che tu sia innamorata o meno di Claude è tutto da stabilire. Ma almeno prenditela come rivincita verso Isabeau. Fallo per te. E per me, che non voglio vedere il mio piccino rovinato nelle grinfie di quella arrampicatrice.
Lydia prese la sua aria e la sua posa più convincenti.
La guardava di sottecchi, con le manine ben piantate sui fianchi larghi.
- No. – anche Esmeralda aveva tentato di far suonare la sua risposta la più decisa possibile.
Un’altra occhiataccia di Lydia.
- Ho detto di no!
I suoi occhietti azzurri minacciosamente piantati nei suoi. Le dita tozze che si stringevano nervosamente attorno al manico del batticarne.
- Non tentare di… No, no e no, Lydia, non mi vado a rendere ridicola e… Eppoi, Isabeau sarà perfetta, assolutamente perfetta. Non dirà una sola parola fuori posto da permettermi di smascherare i suoi progetti meschini. Perché deve esserci stato qualcosa sotto. Qualcosa che deve averlo costretto a sposarla.
L’immagine di quel bacio, anche se non osava confessarlo a lei, confermava i suoi sospetti. Altrimenti, come spiegarsi quel cambiamento repentino?
- Non lo farò, mi dispiace. Ho perso, faccio un passo indietro e tanti saluti.
 Questa volta aveva tutte le intenzioni di far prevalere la calcolata saggezza della Zingara sull’emotività di Esmeralda.
Ma le bastò solo vedere per un istante la delusione di Lydia per cambiare propositi.
- E va bene, dimmi cosa devo fare.
Con il suo solito gridolino da scoiattolo, le bisbigliò qualcosa all’orecchio.
 
 
Due colpi incerti alla porta dello studio fecero trasalire Claude.
- A…Avanti… - fece lui, perso nel labirinto dei suoi pensieri.
Gli dispiaceva per l’epilogo che la storia aveva preso. Ad averlo saputo, molto meglio la cugina zitellona del Re piuttosto che il ricatto di Isabeau.
Eppoi, povera Esmeralda, aveva messo a ferro e fuoco Parigi pur di averla a disposizione per quell’assurdo piano e, alla fine, la mandava via senza neanche un grazie.
Dopotutto, cos’altro avrebbe potuto fare? Lasciare che Isabeau spiattellasse davanti a tutta la corte che lui suo padre non l’aveva nemmeno mai conosciuto? Non se ne parlava! Dopo tutta la fatica che gli erano costati gli studi e i piccoli imbrogli di cui era fatta la sua carriera.
Lo sapeva, lo sapeva bene che era una vigliaccheria nei confronti della sua povera mamma, nascondere le sue origini.
E che era una carognata bella e buona nei confronti di quella poverina che, patto o no, si era messa d’impegno per dargli una mano. E c’era pure riuscita, a trasformarsi in un’adorabile dama. Parlava il francese sopprimendo l’accento da straniera, stava a tavola con grazia e sapeva anche conversare amabilmente inserendo qualche parolina in latino nel discorso, da già che c’era.
Insomma, tanto di cappello alla sua intelligenza veloce. Chi l’avrebbe mai detto che quella ragazzona che ronfava sui broccati con la grazia di una bestia da soma alla fine si sarebbe trasformata in una deliziosa creatura? Lui no di sicuro, ma avrebbe perso la scommessa.
Non ci aveva comunque fatto una gran figura con lei.
Quando lo aveva chiamato giudice della malora aveva perfettamente ragione.
Ecco cos’era, un giudice egoista, capace solo di pensare ai suoi interessi.
Egoista e meschino, si disse senza tanti complimenti.
Eppoi: - Avanti – di nuovo, dato che nessuno entrava.
- Posso? – lei si era affacciata con gli occhi bassi sulla soglia.
- Mia cara bambi… ehm, Esmeralda – deglutì – credevo fossi già partita.
- Ci ho ripensato.
- A quale proposito?
- Sul fatto di tornare alla corte dei miracoli. Ecco, come dire, ho capito che sto meglio nel velluto, ora, che nelle vesti gitane di prima, in mezzo al fango e al freddo. Vorrei sistemarmi.
- In che senso?
- Vorrei chiederti di presenziare comunque alla cena. Come dama di compagnia di Isabeau, s’intende. Ecco, pensavo che, essendo diventata ormai una signora come si deve, un buon matrimonio potrei concluderlo anch’io. Con qualcuno di non troppo importante, non come te, ovviamente, ma un qualche segretario di corte, qualcosa di simile…
Lui era rimasto interdetto. Non l’aveva mai nemmeno lontanamente sfiorata l’ipotesi di doversi presentare alla cena con entrambe.
E così voleva concludere anche lei un matrimonio d’interesse. Allora l’aveva giudicata troppo in fretta. Non erano poi tanto diversi, loro due, davvero due canaglie pronte a sacrificare i sentimenti per guadagnarci qualcosa.
Non poteva certo saperlo, il giudice, che era un piano per non lasciarlo andare da solo dritto nelle fauci del Re, gentilmente sospinto dalle abili manovre di Isabeau.
Pensava solo che, dopotutto, glielo doveva come ricompensa per il suo impegno.
Quella sera, sulla carrozza di Frollo, diretta a corte, Claude sarebbe salito con due donne.
 
 
Cosa diavolo è venuta a fare questa qui? Era stato il pensiero fisso di Isabeau per tutto il viaggio e per tutto il tempo d’anticamera che avevano dovuto fare prima di essere ricevuti. Più fisso di quello del bustino in cui aveva pressato la sua pelle rugosa per assottigliare il vitino da vespa e che ora le dava il tormento. Era rimasta a guardarla da un angolo del salone, con la sua solita espressione di disgusto. E pensare che doveva anche presentarla come la sua dama di compagnia. Si diceva, mentre tentava di tenere Milù in equilibrio tra la propria mano e l’ampia manica del vestito.
Le avrebbe rubato la scena, quella ragazzina. Ne era sicura.
E così era stato.
Finalmente la porta si aprì, lasciando entrare il Re.
Persa con lo sguardo tra gli specchi e gli ori di Versailles, tanto che le sembrava di essere entrata nel vestibolo del Paradiso, Esmeralda quasi non l’aveva visto arrivare.
Beh, effettivamente non era l’imponente figura che si aspettava.
Anzi, così su due piedi, le parve un nanerottolo anche piuttosto insignificante. Quasi più brutto dei gargoyles della cattedrale.
Ma aveva un paio di guance rubiconde e le maniere molto alla buona. Si diceva che fosse un segreto appassionato di alchimia, re Luigi, e che finisse spesso per mescolarsi al popolo in abiti comuni per passare inosservato. Da lì doveva aver perso parecchi di quelli che definiva stupidi comportamenti da etichetta, almeno quando non era in situazioni particolarmente formali.
E tutte quelle ore di anticamera non erano dettate dalla prassi, ma piuttosto dalla mancanza di cura personale del sovrano che, ogni volta che doveva incontrare ospiti, era costretto a lavar via, con gran dispendio di tempo, lo sporco di settimane.
- Oh, Ministro Frollo, e così è questa la vostra promessa sposa ! – fece lui, dirigendosi con decisione verso Esmeralda.
- No, veramente Sire, permettetemi di contraddirvi, ma ella non è la mia promessa, bensì la dama di compagnia. Isabeau è la mia futura moglie. – fece l’altro, presentandogliela, mentre la strega si sdilinquiva in moine e riverenze.
- Mi avevate parlato di una bellezza, come dire… esotica. – aveva replicato il re che in Isabeau non aveva trovato alcuna traccia né di bellezza né di esotismo.
- Ehm, dunque… madame Isabeau ha trascorso gran parte della sua vita in Inghilterra, questo intendevo con “esotica”. E, in quanto a bellezza, non c’è nessun altro termine con cui ai miei occhi ella potrebbe essere definita.
Ai miei occhi? Razza di imbecille! Io sono obbiettivamente, oggettivamente, sublimemente bella! Isabeau aveva cominciato ad assumere un vago color verde bile nel trattenersi dal pestargli un piede. Ma si contenne.
- Ah… - re Luigi pareva tutt’altro che convinto. Nella stanza aveva adocchiato qualcosa che gli interessava assai di più delle rughe di quella tartaruga. Qualcosa di più giovane e affascinante.
Se c’era una bellezza esotica a corte, quella doveva essere proprio la dama vestita di bordeaux che gli stava davanti e lo fissava senza troppa soggezione coi suoi occhioni verdi.
A dire il vero, che quel Ministro si sposasse chi voleva. Non gli interessava poi nemmeno così tanto. Era stata sua cugina a rompergli l’anima sul fatto che voleva assolutamente convolare a nozze prima dei sessanta.
Lui, adesso, aveva ben altro di cui occuparsi.
 
La cena era stata un tormento, per Isabeau in primis, dato che tutti attorno a quel tavolo sembravano non avere occhi che per Esmeralda.
Lei, dal canto suo, ci aveva messo tutto il suo impegno, grattando fino in fondo il calderone delle sue conoscenze, per apparire colta e spigliata.
Ma per quanto fosse stata di conversazione brillante, non era certo felice di come le cose stavano procedendo. Isabeau non aveva sbagliato un colpo, nemmeno detto una sola parola per far intendere che non stava certo sposando Claude per amore.
Cominciava a pensare che la sua presenza lì era del tutto inutile, e che avrebbe deluso Lydia per la seconda volta.
Claude aveva continuato a guardarla, compiaciuto dei suoi progressi, infischiandosene delle stupide ciarle di Isabeau seduta al suo fianco.
Il Re se l’era mangiata con gli occhi, più delle pietanze che aveva fatto servire.
Insomma, se la buona riuscita dell’accordo fosse dipesa da lei, sarebbe stato il suo trionfo.
Beh, non faticherai a trovare un buon partito, aveva sospirato nella sua testa il giudice, rifugiandosi a fine cena in un salottino, non riuscendo più a sopportare l’allegro chiacchiericcio dei convitati.
 
Ecco cosa s’intende quando si parla di “fatal combinazion”. Ce ne saranno stati di salotti a Versailles, abbastanza almeno da smarrirsi per mesi.
Eppure, in quello stesso salottino, era finita per nascondersi dal corteggiamento sempre più spudorato del sovrano anche la povera Esmeralda.
Non si era accorta della presenza del giudice, mollemente adagiato su un sofà e nascosto dalla sua alta spalliera. Si sarebbe certamente palesato – non è educato osservare di nascosto il comportamento di una signora, dopotutto – se la porta non si fosse aperta di nuovo, quasi immediatamente.
- Di grazia, mia cara Esmeralda, dove siete finita?
Ma possibile che quel vecchio gallinaccio del Re, alla sua veneranda età, non smettesse di darle la caccia, senza lasciarle un attimo di tregua?
- Ah, ma siete qui. Mia cara! Vedete, stavo pensando che ora che madame Isabeau si sposa, non avrà più bisogno di voi.
- Ebbene? – aveva commentato lei, alzando il sopracciglio, con aria scettica.
-  Ebbene, io credevo che voi potreste anche trasferirvi qui, a corte, come mia dama di compagnia. Una fanciulla bella e intelligente come voi, sarebbe sprecata nella triste casa di un giudice…
Ah, grazie! Pensò Claude, continuando a starsene nascosto dietro il sofà.
- Davvero?
- Davvero. Voi, mia cara e bella bambina, sareste la mia favorita, la mia più cara e beneamata delle… - le aveva passato un braccio attorno ai fianchi.
Eh no, quello era veramente troppo. Il giudice avrebbe cominciato a sbuffare come una locomotiva, se solo avesse saputo della loro invenzione secoli dopo.
- Delle vostre amanti?
- Amanti! Esmeralda, che brutto termine. Diciamo delle mie care amiche, avreste gioielli abiti il privilegio di vivere qui a corte che, per una gitana come voi… Insomma, arriveremmo ad un buon accordo. Cosa ne dite?
- Io dico di no – la voce di Claude si era levata stentorea assieme alla sua figura.
- Voi? Non siete voi a dover decidere, Ministro Frollo – aveva sbottato il Re, seccato che gli stessero rompendo le uova nel paniere, adesso che aveva trovato quella bella gallinella –Cosa c’entrate voi?
- Io c’entro eccome, perché…perché io… cioè lei…
Non aveva fatto in tempo a finire la frase che nella stanza era piombata Isabeau.
Ma che accidenti c’era, in quel salotto, la calamita?
Non ci fu verso, allora, di arrestare il parapiglia. Un parapiglia cominciato con queste esatte parole di Isabeau: - E così la difendi, eh? Hai passato tutta la sera ad occuparti di lei, senza badare a me! Ma certo, cosa si vuol pretendere? Chi si assomiglia si piglia, due figli dell’amore uguali, senza arte né parte!
Ecco, dalla rabbia si era lasciata sfuggire il loro piccolo segreto. La frittata era fatta.
Ma questo… beh, questo è un altro capitolo.

 __________
 
Angolo Autrici:
 
Carissime, davvero grazie di cuore a tutte per il tempo e l’attenzione che ci state dedicando.
Un ringraziamento sentito a tutti i lettori di passaggio o meno, a voi che avete inserito la storia nelle preferite/ ricordate/ seguite, alle “recensore” sempre gentili che ci riempiono di complimenti.
 
@ Deliranza: ecco qui un nuovo capitolo, speriamo abbastanza succoso. Che tenero sapere che la storia è riuscita a commuoverti ;)
 
@ Dolcerosellina:  Isabeau come brutta copia di Platinette è un paragone azzeccatissimo!!! XD La pagherà vedrai, la pagherà :)
 
Un abbraccione a tutte! A prestissimo!!!
 
M & M


  
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