Io ci sarò.
Non avrei mai pensato di poterla vedere piangere.
Lei che non piange mai, che si tiene tutto dentro.
Lei che non ha pianto nemmeno per la morte del nonno, al quale teneva tanto.
Lei che non ha pianto quando stava male, o quando Lui l’aveva lasciata.
E ora la vedo piangere come una bambina alla quale è stato tolto il suo giocattolo preferito.
Era da giorni che la vedevo strana, come se non riuscisse più a sorridere, cosa che faceva sempre, ma io non avevo fatto nulla. E questo mi fa male, troppo male.
Vorrei sapere perché piange, perché sta così, ma non ho il coraggio per parlarle. Ma devo farlo, l’ho trascurata troppo al lungo, appioppandole i miei futili problemi, è
venuto il momento di ricambiare.
Mi alzo dal mio banco quando la professoressa si abbassa per prendere il gessetto, che, come sempre, le è caduto mentre scriveva.
Mi siedo nel posto vuoto accanto a lei, e le poggio una mano sulla spalla.
“Che è successo?” le chiedo semplicemente.
Lei risponde con un piccolo mormorio.
“Dai, sai che con me puoi parlare!” le dissi ancora.
E lei, ancora, non ripose.
“Che hai? Ti prego, rispondimi.” Stavolta la implorai.
Ma Lei non rispose, se ne stesse con la faccia nelle mani a piangere.
Così le presi a forza le braccia, e le tolsi le mani dalla faccia.
“Ora mi rispondi. Dimmi che hai!” le ordinai.
Lei fece un profondo respiro e poi parlò.
“E' da troppo tempo che mi tengo dentro tutto…” iniziò. “E non ce la faccio più. Non sai quanto vorrei parlartene, ma proprio non ci riesco, è più forte di me.”
Poi una lacrima le scese sulla guancia, stavolta non era una lacrima da bambina, era una lacrima da chi aveva sofferto, e tanto.
“Io ci sarò sempre, ricordalo. Ci sarò quando vorrai sfogarti, un giorno. O quando vorrai piangere sulla mia spalla. Io ci sarò. Anche solo per una chiacchierata, o un sorriso.
Io ci sarò.” Le dissi sorridendo.
“Ti voglio bene” mi disse semplicemente.
Ma a me quel ‘Ti voglio bene’ bastava, eccome se bastava.
“Anche io.” Dissi a mia volta.