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Autore: hikarufly    27/03/2011    2 recensioni
Seguito del Pugnale di Morfeo. Sherlock sta lavorando a un caso interessante, ma secondo John Watson c'è qualcosa che non quadra...
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ciclo di Irene Adler'
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John riuscì a ritagliarsi qualche ora, soprattutto per trovare il coraggio e una buona scusa da dare a Mary. Non poteva lasciare Sherlock da solo: nel caso della donna in rosa poco ci mancava che finiva in galera per aver trattenuto una valigia, figuriamoci un'effrazione; senza contare che si era quasi avvelenato da solo per puro orgoglio. Doveva aiutarlo, sia per questo sia per il fatto che in fondo... era suo amico, anche se questa storia di andare a derubare quel direttore lo agitava parecchio.

Stava camminando lungo una delle strade secondarie della grande Londra, lontano dalla City ma anche dai quartieri che sembrano ancora immersi nella seconda guerra mondiale. C'era un buon numero di persone che si spostavano a piedi, uomini d'affari con la valigetta in una mano e il telefonino all'orecchio, qualche turista che si era perso o aveva trovato una scorciatoia, qualche lavoratore che faceva delle commissioni, e tanti altri. John era ancora immerso nei suoi pensieri ma quando si guardò attorno, si accorse che non avrebbe avuto pace, neanche in quel momento. Dall'altra parte della strada rispetto a dove si trovava, c'era un piccolo locale, un pub vecchio stile non particolarmente signorile ma neppure una bettola. Il legno scuro incorniciava le vetrate e qualche tavolino era stato sistemato all'esterno, sormontato da qualche cestino pensile corredato di fiori colorati. John cercò di mescolarsi allo sfondo e osservò la coppia di avventori seduta al tavolo che dava direttamente sulla finestra. Riconobbe indubbiamente la sua amica Irene Norton, proprio di fronte all'ispettore Lestrade. I due non sembravano parlare di qualcosa di importante, ma nei loro modi c'era qualcosa di strano. Innanzitutto il dottor Watson si chiese che cosa avessero da dirsi: che ci fossero stati degli sviluppi sul processo all'omicida di Godfrey Norton? Eppure non aveva sentito dire nulla su un possibile appello. Che cos'altro potevano avere in comune un ispettore di polizia e un'attrice se non il caso di omicidio che li aveva fatti conoscere? Irene disse qualcosa, sorridendo in modo molto dolce e le labbra di Lestrade si arricciarono a loro volta, con lo sguardo basso un po' imbarazzato. Quando John vide le loro mani scivolare le une sulle altre, decise che aveva violato abbastanza la loro privacy. Che fosse lui l'uomo di cui Mary parlava? Non c'era che dire, Lestrade sembrava un uomo per bene, dedito al suo lavoro in maniera di certo più sana del suo amico Sherlock, ma in qualche modo non gli sembrava giusto che proprio lui... ma che stava pensando? Voleva trovare una fidanzata al suo ex coinquilino, forse? E proprio Irene? Al pensiero, si sentiva persino preoccupato per lei. Sempre più confuso, si diresse a casa, scuotendo la testa e stropicciandosi il viso.

 

Mary salutò il fidanzato subito un paio d'ore dopo cena, e non fu convinta dalle sue parole. Di sicuro, c'entrava Sherlock. Sperava solo che non fosse niente di (troppo) pericoloso. In effetti, come prevedibile, c'entrava proprio lui: Holmes aveva intercettato l'amico Watson a metà strada, proponendogli o per meglio dire forzandolo ad una tappa da Angelo per organizzare il piano d'azione. Inutile dire che John non protestò più di tanto, solo lo convinse a lasciarlo con Mary per qualche ora, e infatti si trovarono di fronte al locale alle 22 precise. Gli parve che il proprietario del ristorante volesse chiedere a Sherlock qualcosa, ma che non si arrischiasse a farlo di fronte a lui. L'amico spiegò a John che si sarebbero introdotti nell'ufficio di Milverton all'incirca alle 24, entrando da una uscita secondaria che nella ristrutturazione era stata praticamente ignorata, e risaliva alla fine del diciannovesimo secolo. Da lì avrebbero evitato i sistemi di sicurezza risalendo e introducendosi negli alloggi per la servitù, lasciati intonsi ma svuotati, e da una botola si sarebbero calati direttamente nelle stanze adiacenti allo studio, non allarmate perché lontane dalle finestre. Gli mostrò le planimetrie, il percorso, e la strada per non farsi notare da poliziotti o guardie civili impegnate in una ronda. John però aveva una domanda:

«Se dobbiamo entrare lì alle 24, perché mi hai requisito quasi due ore prima?» sbraitò John, mentre Sherlock riponeva le sue carte.

«Abbiamo bisogno delle chiavi: degli armadietti e della cassaforte. Agnes dice che li porta sempre con sé, evitando che se qualcuno si intrufoli cerchi di indovinare una qualche combinazione» spiegò il detective. Si alzò e si mise il cappotto, dato che l'aria era ancora piuttosto gelida. John lo guardò con la fronte aggrottata, in attesa.

«Ho qualcuno che ci sta lavorando, ma dobbiamo raggiungere un posto. Potrà anche risultare utile per il tuo addio al celibato...» concluse, con un sorrisetto. Angelo fece cenno ai due di andarsene pure, e John ringraziò con un cenno del capo, dubbioso.

«Ti devi essere bevuto il cervello... che ci facciamo qui?» esclamò John, con un leggero tono nervoso nella voce alterata, di fronte alla porta di un locale notturno.

«Recuperiamo le chiavi. Hai forse paura?» domandò l'amico, entrando prima di lui. John lo seguì dentro. Non era diverso da come se l'era aspettato: uno strip club di media grandezza, con una certa quantità di porte per lasciare un po' di privacy ad alcuni avventori e un paio di piste dotate di pali, una più grande, che somigliava quasi a un palco per sfilate, e una più piccola proprio dall'altra parte. Era già piuttosto affollato, ma era possibile, se ci si faceva caso, seguire i movimenti di qualcuno. Difficile però udire parole che non fossero schiamazzi:

«Eccola» disse Sherlock, allontanandosi dalla folla e sistemandosi in un angolo, non visto. John si voltò verso il punto in cui aveva guardato l'amico e si ritrovò praticamente solo. Fu trascinato da un paio di sconosciuti alticci intorno a uno dei pali più vicini e si accorse che l'intrattenimento stava arrivando. Una delle ragazze che lavorava nel club si stava avvicinando a loro, appena uscita da una saletta, e John restò di stucco. Era alta, ma non troppo, con i capelli castani lunghi fino alle spalle che avevano delle piccole onde vicino alle punte, e gli occhi nocciola. Portava quello che sembrava niente più di un completo intimo e negligé di colore verde chiaro. John ebbe un fugace momento in cui sentì la testa leggera e il sangue ribollirgli, quando lei lo superò e salì sulla plancia di fronte a lui. La musica non si era fermata da quando erano entrati e lo show iniziò. L'esimio dottor Watson non ebbe tempo di accorgersene, che lei l'aveva preso in considerazione come primo intrattenitore: era il più sobrio, cercare di incantarlo avrebbe portato più soldi al bar e più soldi a lei, una volta che avesse alzato un po' il gomito. John cercò di estraniarsi il più possibile, pensando a cosa gli avrebbe fatto Mary se l'avesse scoperto, ma non era affatto facile... dopo un paio di minuti che non sembravano finire mai, sentì chiaramente che le mani di lei non stavano tentando ancora una volta di farlo disinibire, ma avevano trovato una tasca e ci stava facendo scivolare... delle chiavi!

John, rincuorato, ringraziò il cielo quando la ragazza lo lasciò andare e raggiunse Sherlock che, nel frattempo, non sembrava essersi divertito quanto lui. Aveva un'espressione neutra, quasi cupa, finché non tirò fuori, di malagrazia, le chiavi dalla tasca dell'amico, e il suo viso guadagnò un bel sorriso compiaciuto. La ragazza fece finta di essere stata richiamata e Sherlock parve d'improvviso parecchio ubriaco, tanto che fece finta di caderle addosso: John si ritrovò distante, perché l'investigatore l'aveva quasi travolta, facendola muovere di qualche passo indietro rispetto al dottore. Watson vide che le diceva qualcosa all'orecchio e le prendeva la mano, nella quale rimase un sontuoso biglietto da 100 sterline. La ragazza mise su un sorriso e si allontanò, con il passo di una pantera, mentre Holmes riguadagnava la sua impeccabile indifferenza e si faceva strada tra la folla, con dietro un Watson ancora un po' stordito e rosso sulle guance.

   
 
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