Dunque,
questa storia tratta Il periodo di vita di Voldemort
(o Tom Riddle, decidete un
po’ voi) che noi non sappiamo, quella sorta di buco nero in cui è inglobata la
sua esistenza prima che divenga veramente l’immenso signore
Oscuro.
Correva,
correva come un folle, le vista annebbiata e confusa
che scorgeva a malapena le fronde degli alberi che verso di lui incombevano
sinistri, il fiato mozzato ed i polmoni che bruciavano e gridavano
silenziosamente tutto il loro dolore, implorando disperatamente pietà,
supplizio ed eventualmente morta pacifica. I muscoli delle gambe erano arrivati
oramai al massimo della loro sopportazione e come fuoco ardevano
pietosi; il volto eburneo era striato di sangue vermiglio che nasceva e
cresceva da tagli profondi causati da unghie affilate. Il cuore palpitava
forte, pareva un animale rabbioso che al termine della sua esistenza lottasse per vedere un ultimo, singolo, spiraglio di luce
attraverso l’oscurità soffocante.
La sua
distruttiva corsa però, che lo avrebbe condotto ad una spirale di autodistruzione non dava segni di resa. << Mi
stanno inseguendo, mi stanno inseguendo… >> borbottava freneticamente il
ragazzo, gli occhi spalancati che bruciavano per non esser stati da lungo tempo chiusi, mentre mulinava freneticamente le
braccia dinnazi a sè nel
tentativo di schivare più rami possibili dal suo tragitto tortuoso. << Mi
prenderanno… >> continuò a sussurrare, la voce
simile ad un sinistro sibilio, coperto dal rumore di
sottobosco, rami, foglie secche schiacciati.
Un sasso,
forse uno di troppo e troppo grande incontrò nel suo folle iter e questo lo
fece inciampare e cadere carponi per terra. Sbatte il giovane la bocca che si
lacerò lasciando sgorgare copiosamente linfa vitale la quale andò a macchiare
miseramente il tappeto che la natura stessa aveva creato ai suoi piedi: il
ragazzo cercò disperatamente di rialzarsi, lo stavano inseguendo doveva scappare, loro lo avrebbero preso, gli avrebbero estorto informazioni,
nozioni, gli avrebbero chiesto che fine aveva fatto, perché lo aveva fatto. Tese ansimando l’udito, sicuro oramai di udire lo
scalpiccio di molte paia di piedi a contatto sul terreno, voci maligne ed
infuriate, risa diaboliche provenienti da mostruose persone,
ma queste dimostrazioni di altre presenza tardarono a giungere.
Anzi non giunsero affatto.
Il
ragazzo si lasciò rotolare su di un fianco, poggiando la schiena contro il
terreno e portandosi alla bocca la mancina, a tastar il sangue che ancora
sgorgava: chiuse gli occhi, il respiro adesso più lento e calibrato, nuovamente
umano.
E allora,
in quel momento in cui la sua mente fu finalmente attraversata dal vuoto, la
mostruosità di ciò che aveva compiuto lo colpì in
pieno volto, più forte di una caduta da cavallo, di un incanto, di una sberla,
svegliandolo da quel torpore che lo aveva accolto ed abbracciato come una
tenera madre che cerca in tutti modi di nascondere al piccolo figlio le
malefatte che attorno avvengono.
Non
sarebbe venuto nessuno a prenderlo, nessuno gli avrebbe fatto del male ed
ancora nessuno sino a quel luogo lo aveva inseguito,
furiosamente.
Lui li aveva uccisi, loro non sarebbero più tornati.
Si
ritrovò a pensare, il giovane, riflessione che sempre gli rimarrà
impressa, nella memoria, che i demoni peggiori, sono quelli che albergano nella
mente, nell’anima e nella coscienza; una volta disfattosi di quelle,
probabilmente nessuno lo avrebbe più fermato.
Oh…quanto giusta appare ai posteri tale affermazione, quanta
drammaticità e profetica crudeltà assumono questi pensieri se li riportiamo ai
giorni nostri…di tristi venture io son narratrice,
madre e figlia e a voi, giovani menti, racconterò ciò che davvero accade a quel
giovane che sin da fanciullo dimostrò spietatezza,
indifferenza e che con il crescere divenne la peggior fiera esistente al mondo.