Il sole che
infiammava la sera si era spento, come una candela stanca e consunta, sotto il
peso della notte e delle pesanti nubi cariche di pioggia che portava con sé.
Presto qualche
goccia cominciò ad infrangersi sui finestrini, mentre la piccola auto
sfrecciava silenziosa per le strade vuote di quella cittadina desolata.
Sakura lasciò
scivolare un dito sulla condensa del finestrino, tracciando una scia luminosa
sul vetro appannato.
-“Sicura di
non voler passare in ospedale? C’è ancora tempo, prima della
fine delle visite.”- asserì Shikamaru,
scrutando la ragazza seduta al posto del passeggero con la coda dell’occhio.
-“No, non mi va. L’ho già salutata ieri e poi… lei non vuole che io parta.”-
-“Penso che
nessuno lo voglia, Sakura.”-
-“Sì, ma lei…
ciò che dice… mi fa paura.”- concluse
-“Cerca di
capirla, è ancora molto scossa dagli avvenimenti.”- ribatté Shikamaru
incerto, accostando l’auto al marciapiede davanti alla piccola stazione del
paese.
Piccola,
trasandata, scura; si stagliava ancora nelle tenebre piovose, ad attendere
l’arrivo di Sakura per la seconda volta in così poco tempo.
La ragazza
percepì un brivido di freddo percorrerla, non appena la vista attuale della
stazione si sovrappose con quella così simile e spettrale ancora vivida nei
suoi ricordi.
-“Spero che Ino esca presto dall’ospedale…e da questo incubo.”- sospirò
Sakura, appoggiando la mano sulla maniglia della portiera –“Grazie per avermi
accompagnata, Shikamaru.”-
-“Sakura…
penso che Ino abbia ragione. Sai, quando dice quelle
cose…”- asserì il Nara, stringendo con più forza il volante, mentre le
sopracciglia si aggrottavano, divenendo pensierose.
-“No! No, no…
questo incubo è finito, e basta. Ino è debole e
spaventata, sotto l’effetto della morfina per di più. Lei… delira, Shikamaru. Non sa quello che dice. Ha delle visioni prive
di senso e logica.”- commentò Sakura, la voce spezzata dal terrore.
-“Ricordati
sempre che senza quelle visioni prive di senso e logica tu non saresti qui,
ora.”- il rimprovero di Shikamaru tuonò secco
nell’auto, accompagnato da un truce sguardo accusatore.
-“Io no. Ma lui sì.”- sibilò
4. Dark Mirrors & Silent Dolls
Quel dolore così acuto e penetrante si insinuò a fondo
nei suoi incubi, strappandola con forza prepotente dall’anestetizzato abbraccio
di Morfeo.
Ino sollevò le palpebre pesanti, per
vedere il nulla intorno a sé, e pensare quanto fosse desolante la realtà in
confronto al mondo colorato dei suoi sogni. Le richiuse, per sprofondare
nuovamente nelle tenebre, ma quel dolore così acuto la ridestò completamente da
quel greve dormiveglia, attivando pure la sua voce, che suonò come un grido
stridulo e spezzato per gli androni vuoti e scuri di quel luogo umido e
desolato.
-“Oh, che voce, mia bambola…”- canticchiò una voce setosa e melliflua vicina, così tanto da accarezzarle il
lobo dell’orecchio col suo alito gelido – così in contrasto col caldo del suo
timbro vocale.
-“Che fai?!”- singhiozzò Ino,
in un tremito di voce agonizzante e terrorizzato.
I suoi occhi di zaffiro guardavano sconvolti quel
pezzo di specchio scheggiato brillare nelle tenebre tra le mani del misterioso
individuo, così vicino ai suoi occhi che per la paura faticavano a rimanere
aperti.
Il terrore la paralizzava, ma quando un briciolo di
adrenalina la scosse, Ino fece pressione sul braccio, per realizzare solo
allora che entrambi gli arti erano incatenati sulla sua testa, sollevati da
delle rumorose catene di ferro.
Singhiozzando, Ino prese a tirare verso il basso,
creando un gran trambusto metallico.
-“Shhh, shhh…
piccola bambolina, non fare tutto questo baccano, o i tuoi amici potrebbero
sentirci…”- la richiamò il ragazzo, mentre con una mano afferrava un polso di
Ino e con l’altra vi appoggiava il frammento di specchio, facendovi pressione,
riprendendo un lavoro già iniziato.
Solo allora Ino realizzò cosa fosse quel dolore che
l’aveva destata dal sonno: il suo aguzzino aveva inciso i suoi polsi con un taglio
lungo e profondo, utilizzando un pezzo di specchio, e ora lasciava che il suo
sangue fluisse dalle ferite, come caldi fiumicelli scarlatti che scorrevano
lungo le braccia della ragazza per poi cadere a terra, in pozze di sangue che
colavano in piccoli canali intagliati nel marmo del suolo. Quell’immagine
fu seguita da una lancinante serie di fitte alla testa, come se dal nulla mille
aghi si stessero addentrando nei meandri della sua memoria.
-“Che cos’è…?”- singhiozzò
Ino, terrorizzata dalla prospettiva imminente di morire dissanguata.
-“Sono canali collegati all’altare del nostro eterno
Signore, situato in fondo alla sala, laggiù, nascosto nelle tenebre. Ora che sei
tornata, vittima sacrificale, vedrai che apprezzerà molto il tuo sangue puro e
casto!”- cantilenò allegro il ragazzo, camminando verso l’altare e
attraversando uno spiraglio di luce, che permise a Ino
di rimirare i lucidi e lunghi capelli dorati del suo rapitore, avvolto da un
insolito mantello scuro.
–
I suoi occhi smeraldini sostarono per pochi secondi –
istanti infiniti – sul sangue che colava a rigagnoli al suolo, formando una
pozza scarlatta sempre più grande, un piccolo lago rosso nato da quel petto
trafitto da parte a parte dalla katana, rivolta verso
l’alto come se non attendesse altro che quella caduta.
Inorridita, Sakura si voltò di scatto, coprendosi le
labbra tremanti col palmo della mano, e riprese a respirare a fondo e velocemente
– cosa che non aveva fatto per tutta la durata dell’atroce visione.
Poi un gemito di dolore provenne da altrove, ma un
gemito conosciuto, un alito di vita che riscaldò il cuore della ragazza tanto
da farle venire le lacrime. Si volse dalla parte opposta con rapidità e
leggerezza, come se alle sue spalle non vi fosse un cadavere, come se la morte
e il terrore non aleggiassero più in quel luogo; come se ciò davanti a lei ci fossero solo luce e speranza e nulla più.
-“Sei sicuro di star bene?!”- ansimò Sakura,
scrutando con occhi ricolmi di ansia il ragazzo dai capelli corvini appoggiato
alla spalla dell’amico.
-“Sì… Sakura…”- sussurrò Sasuke, fissando
intensamente la ragazza, con sguardo enigmatico. –“…sei proprio noiosa.”-
commentò infine, lasciandosi sfuggire un sorrisino di sollievo in un volto
contratto dal dolore.
All’udire quella frase, quasi di rito per loro due,
Sakura si sciolse in un pianto liberatorio, mentre Shikamaru
aiutava Sasuke a fasciarsi la gamba, dolorante dopo la caduta; per non parlare
del collo, che gli doleva tanto che ad ogni respiro si sentiva soffocare.
-“Fottuto Nara, se ti fossi
scopato
-“Cazzo c’entra?!”-
-“Vogliono Ino perché è vergine!”-
-“Stronzate!”-
-“Beh, l’ha detto lo psicopatico infilzato laggiù, se
vuoi domandiamo!”-
-“No, dico… stronzate sul
fatto che è vergine…”-
-“Te la sei scopata?”-
-“Ehm… che finezza, Sasuke… ma secondo te, per chi mi
hai preso?!”-
-“Allora te la sei scopata male. Avrai fatto cilecca,
Nara.”-
-“Ma vaffanculo, cilecca la farai tu!”-
-“Sakura, qualcosa da ribattere a mio discapito?”-
cantilenò Sasuke, scoccando un’occhiata eloquente verso la ragazza.
-“Sasuke!”- arrossì Sakura, imbarazzata. –“E… e
comunque è vero quello che dice Shikamaru… Ino me ne ha parlato…”-
-“Pure e caste
come il giorno della loro creazione ha detto Sasori,
me lo ricordo bene.”- commentò Sasuke, facendo leva sulla gamba dolorante per
alzarsi in piedi. –“Se non intendeva questo, cos’altro poteva significare?”-
-“Non lo so, Sasuke, ma non posso restare qui a
perdere tempo. Ino è là dentro, chissà dove l’ha
rinchiusa Sasori… e sarà spaventata. Tu non sei in
condizione di seguirmi, forse è il caso che tu e Sakura ve ne andiate…”- asserì
Shikamaru, fissando l’enorme fabbrica avvolta dalle
tenebre.
-“Non se ne parla nemmeno.”- ribatté Sasuke,
perentorio –“Sasori è fuori combattimento, ma pensi
davvero che fosse in grado di portare avanti un piano così diabolico senza un
complice?”-
-“Lo so, ci avevo già pensato.”-
-“Infatti, e non mi sembra il caso di fare l’eroe e
di andare a salvare la tua bella da solo. La mia gamba sta bene, è solo un po’
ammaccata… e la mia katana è laggiù, un po’ sporca,
ma pronta ad essere riutilizzata. Solo da me, ovviamente.”- ghignò Sasuke,
lanciando un cenno eloquente a Sakura, che si mosse rapida verso il cadavere
del suo aguzzino infilzato dalla spada.
L’unico volto che per ore lunghe e buie si era
riflesso nei suoi occhi smeraldini ora sostava lì, identico a pochi minuti
prima, stavolta privo di vita – ma quando mai era apparso animato? – con quegli occhi che nella morte apparivano vitrei e
freddi così come lo erano stati da vivi.
-“Sakura, vuoi una mano?”- domandò Shikamaru, fissando quella scena vagamente allarmato.
-“No, deve farcela da sola.”- asserì Sasuke,
scrutando coi suoi occhi di tenebra ogni movimento della Haruno,
cercando di infonderle fiducia con lo sguardo – anche se era difficile vederla
sola e inerte vicino a quel corpo,
seppur senza vita. Ma era una questione che Sakura doveva affrontare per
superare completamente e lui non poteva fare altro – oltre a starle accanto per
proteggerla… stavolta per sempre.
La ragazza deglutì, stringendo i pugni e facendosi
forza, ma un intenso tremore la pervase mentre avvicinava la mano alla lama
insanguinata.
Realizzò che per estrarre la katana
doveva voltare il corpo di Sasori, ed estrarre l’arma
da dietro, visto che la guaina era rimasta incastrata al suolo e la lama – ora
insanguinata - rivolta verso l’alto.
Fece una lieve pressione sulla spalla di Sasori e il suo corpo, duro come il marmo, si sollevò con
facilità impressionante, quasi non avesse peso.
Sakura afferrò la lama e con uno strattone la sfilò
dal petto del suo sequestratore, lasciandolo poi cadere a terra e
allontanandosi con un balzo. Lanciò un’ultima occhiata allarmata a quel volto
angelico e perfetto, contratto in un’espressione neutra pure nella morte,
tenendo stretta a sé la katana di Sasuke. Trasalì
quando le parve di vedere un bagliore brillare negli occhi d’ametista del
morto.
Poi una mano salda e fredda si poggiò sulle sue,
strette intorno all’impugnatura della katana, e
Sakura sollevò gli occhi di smeraldo verso Sasuke, che la cinse con un braccio
intorno alla vita, abbracciandola da dietro.
L’Uchiha lanciò un ultimo
sguardo di fuoco al cadavere dell’avversario, piegando le labbra in un ghigno
trionfante, mentre con l’altra mano sfilava la katana
dalle mani della ragazza e se la sistemava nuovamente sulla schiena.
-“Andiamo a prendere Ino e
finiamola con queste stronzate.”- asserì Sasuke,
volgendosi verso la fabbrica degli incubi.
–
Quando si risvegliò, una dolorosa fitta le spaccò la
testa a metà, come un colpo secco e forte, così potente che gemette per il
dolore.
Si passò una mano sul capo, per realizzare che un
taglio sulla cute le stava macchiando i capelli di sangue.
Sospirò di dolore, le lacrime che le bruciavano sugli
occhi, mentre si sollevava a fatica facendo leva sui tubi metallici della
parete retrostante.
Sakura vi si appoggiò, un altro gemito le sfuggì
dalle labbra. Tolse la mano dalla ferita sulla testa, portandosela davanti agli
occhi per osservare quella macchia scarlatta attraverso l’oscurità – non le
parve nulla più che una chiazza corvina, dall’odore vagamente metallico.
Allarmata, si guardò rapidamente attorno, per
realizzare che dal fondo di quello che le pareva un corridoio umido e scuro,
provenivano delle luci – finestre?
Vi si diresse zoppicando, strisciando appoggiata al
muro freddo e grezzo, mentre nella sua mente i pensieri cominciavano a
riordinarsi man mano che il dolore alla testa si anestetizzava: ricordava una
corsa verso la fabbrica, lei, Sasuke e Shikamaru… le
urla, le invocazioni, Ino, Ino,
Ino… e poi… le scale ferree e arrugginite, i corridoi
bui, i rumori sinistri… e poi il pavimento che cedeva sotto i suoi piedi e la
voce di Sasuke che invocava il suo nome, ancora e ancora, Sakura, Sakura,
Sakura… finché le tenebre l’avevano inghiottita.
Ma presto il ricordo di Sasuke svanì dai suoi
pensieri, rimpiazzato dall’enorme sorpresa per ciò che le si apriva davanti: le
piccole finestrelle sporche e mezze distrutte, bloccate da delle inferriate
quasi fosse una prigione, lasciavano filtrare una luce fioca e giallastra, che
andava ad illuminare quella che pareva quasi… una cameretta.
Un letto malridotto in un angolo, bambole e
marionette per ogni dove, e poi fotografie, tante fotografie…
Sakura passò di fianco ad un tavolino su cui vi erano
accumulate un gran numero di bamboline: dei fili dorati attirarono la sua
attenzione, portandola a sollevare una bambola che, con suo immenso orrore,
realizzò essere quella di Ino, con indosso un abito
bianco macchiato di rosso – sangue? Vernice?.
Con un gridolino acuto, la
ragazza lasciò cadere la bambolina, portandosi una mano al petto, percependo il
suo respiro affannato, il cuore battere a mille.
Quando i suoi occhi smeraldini si posarono sulla
bambolina somigliante Sasuke, avvolta da dei fili di ferro intorno a collo e
polsi, un raptus di rabbia colse Sakura, che li strappò con furia, liberando la
bambolina da quell’atroce agonia e scaraventandola
lontano con scatto nervoso.
Il pupazzo andò a sbattere contro la parete ricoperta
di foto, dalla quale se ne staccò una, che svolazzò leggiadra per aria, finendo
al suolo.
Claudicante, Sakura vi si avvicinò inginocchiandosi.
Raccolse la foto, aggrottando le sopracciglia, scrutando con attenzione ogni
singolo volto in quella foto recente ma ingiallita dall’umidità della stanza.
Sasori, accanto ad un ragazzo dai lunghi
capelli biondi e gli occhi celesti che faceva la linguaccia; un ragazzo dai
capelli argentati impomatati all’indietro, un ghigno sadico sul volto; un tizio
alto e grosso, dal volto tutto bardato; un bel tipo dai capelli arancioni pettinati all’insù, ma con degli occhi
terribilmente inquietanti e il volto ricoperto di piercing.
Fu però l’immagine della ragazza dai capelli blu al suo fianco, che gli
stringeva il braccio con fare spensierato, a far sussultare Sakura.
-“Konan…”- sussurrò
riconoscendo la vicina di casa, mentre gli occhi smeraldini si spostavano ad
osservare l’ultimo componente della foto, quello messo più in disparte e la cui
immagine era stata più rovinata dall’umidità.
Forse era stata distorta l’immagine, forse gli
assomigliava particolarmente ma non era lui, forse… forse forse
forse… eppure se lei era Konan,
nulla toglieva che quel ragazzo dai lunghi capelli corvini raccolti in una coda
bassa, lo sguardo così tenebroso, quelle occhiaie scavate…
-“Lui non può essere…”-
–
-“Itachi.”-
-“Oh avanti, non saltare troppo di gioia nel
rivedermi, fratellino.”- ridacchiò sottovoce il ragazzo dai lunghi capelli
corvini, appoggiato contro la porta ferrea completamente avvolta nell’ombra,
risultando niente più che una voce dalle tenebre velata d’ironia.
-“Te ne sei andato senza dire nemmeno una parola.”-
-“Non mi pare che ti abbia toccato molto la cosa.”-
-“E ti ritrovo in una fabbrica abbandonata, abitata
da pazzi furiosi che hanno rapito la mia ragazza. Ora, parliamone. Cosa
pretendi che ti dica?!”- sbottò infine Sasuke, alzandosi dal pavimento umido di
quella stanza dimenticata da Dio per avvicinarsi cautamente all’angolo in cui
stava stazionato il fratello, in attesa di possibili rumori.
Shikamaru intanto se ne restava zitto
e cupo al lato opposto della stanza. Si era piazzato lì da quando, pochi
secondi dopo aver visto Sakura svanire nella voragine, lui e Sasuke si erano
lanciati in una corsa frenetica per le stanze buie per poi essere presi alle spalle da Itachi all’improvviso e
trascinati senza diritto di replica in quella sottospecie di cantina.
La discussione in atto – portata avanti dai fratelli
con toni stranamente pacati e sottovoce – gli
scivolava sulla pelle come le goccioline d’acqua sporca, cadenti dal cielo, che
gli picchiettavano la spalla da quando si era piazzato lì.
Tutta quella storia doveva pur aver un senso. E il
senso stava proprio nel riuscire a capire l’ordine dei pezzi che si collocavano
in ordine sparso dentro quella fabbrica abbandonata. Perché un ordine c’era,
andava solo capito. E sicuramente lui… ne sapeva qualcosa.
-“Se un poliziotto come te si trova in questo posto
dimenticato da Dio – cosa che a quanto pare non è – ci dovrà pur essere un
motivo, vero, Itachi?”- formulò la sua domanda con un
tono nuovo, che stupì persino le orecchie di Sasuke. Quel Shikamaru
serio, meditativo, freddo, aveva un qualcosa di inquietante: quasi
irriconoscibile.
-“Questa sì che è una domanda intelligente. Vedi
Sasuke?”- entrambi percepirono il sorrisino ironico di
Itachi attraverso le tenebre, mentre questo si
allontanava dalla porta per lasciarsi illuminare da un flebile spiraglio di
luce che si stagliava al centro della stanza. –“Ci sono così tante cose da
dire, che sinceramente non saprei nemmeno da dove iniziare. Forse da quando sei
anni fa facevo parte del gruppo Akatsuki?”-
-“La sezione speciale della polizia che si occupava
di casi legati al mondo dell’esoterismo?”- domandò
Sasuke, come se quella parola avesse ridato vita a una
scintilla ormai spenta nella sua memoria.
-“Esattamente, Sasuke. Nell’allora squadra speciale
eravamo in sette investigatori. In realtà sei, più un ragazzino portato da Konan. Asseriva che fosse dotato di particolari poteri
sensoriali. Il suo nome era Sasori. Immagino che
abbiate già fatto la sua conoscenza.”- al solo udir pronunciare nuovamente il
nome di quell’incubo ormai concluso, agli altri due
si accapponò la pelle istantaneamente. –“Ad ogni modo la nostra squadra
lavorava bene, eravamo riusciti a risolvere moltissimi casi. Ma come si sa le
cose belle son destinate a durar poco. E così
accadde. L’inizio della fine fu quando Konan e il suo
ragazzo, Pain, iniziarono a lavorare su un caso a dir
poco agghiacciante, di cui forse vi ricorderete: l’allora così denominato Caso Bambole di Cristallo, una serie di
misteriosi rapimenti di bambine fra i sette e i dieci anni. Ben presto si
mobilitò tutta la squadra su una pista che Pain era
riuscito a trovare: una setta che si riuniva in questa fabbrica abbandonata
nella quale era stato costruito un altare su cui sacrificare la così denominata
“bambola perfetta”, una bambina dall’animo puro e dalla bellezza diafana la
quale, una volta morta dissanguata, sarebbe stata imbalsamata e resa eterna,
come una bambola per l’appunto.”- un singulto di rancore fermò la spiegazione
di Itachi, tradendo rancore – paura? - e l’agitazione
facilmente percepibili anche dal tremore del suo corpo. Strinse il pugno e
continuò con il racconto, ma ora la narrazione divenne molto più frammentaria e
coinvolta, poco lucida e confusa dalle emozioni ancora marchiate a fuoco nella
mente dell’agente –“Continuarono a sacrificare bambine finché il loro dio non
ne fu soddisfatto. Stava per risorgere, dicevano loro. Mancava solo lei, la
bambina perfetta. E il rituale si sarebbe svolto quella notte. Ma no, Pain non poteva lasciare che anche lei morisse. Se le era
lasciate sfuggire tutte dalle mani, quelle povere vite innocenti, e quella
bambina rappresentava la sua ultima fonte di salvezza… di redenzione.
Continuava a ripetere io salverò Ino, la salverò, fosse l’ultima cosa che faccio. E fu
l’ultima cosa che fece…in effetti.”-
-“Ehi aspetta un secondo…”- lo interruppe Shikamaru, interdetto da quell’ultimo
dettaglio.
-“Esattamente Shikamaru. Ino era la vittima sacrificale di allora. Era già quasi
mezza morta quando Pain
riuscì ad entrare nella stanza dei sacrifici, mentre noi altri combattevamo i
vari adepti al suo esterno. Lui era una furia inarrestabile: sparò a tutti gli
adepti, ma il grande sacerdote lo colpì alle spalle,
infilzandolo con una spada che teneva nascosta nell’altare. Solo pochi secondi
dopo arrivammo io e Konan, e
lei riuscì a sparare in testa al sacerdote, mentre Pain
si accasciava al fianco di Ino nella pozza di sangue
dell’altare proprio mentre i cerchi del rituale sul pavimento cominciavano a
cambiare tonalità, illuminandosi di una strana luce. Pain
poi sussurrò qualcosa all’orecchio di Ino e Konan le si avventò contro, sollevandola fra le braccia e
porgendomela con sguardo disperato; io presi la piccola e uscii di corsa,
mentre la mia compagna restava a prestare soccorso a Pain.
-“Pain morì poco dopo,
sempre qui, in questa fabbrica. Ino, chiaramente, si
salvò, ma probabilmente per lo shock non ricordò mai nulla del suo rapimento, e
mai nessuno glielo rammentò. Lei tornò a vivere la sua vita, ma non so per
quale motivo Konan se la prese piuttosto a cuore, e
continuò a seguirla di nascosto, decidendo pure di trasferirsi nel nostro
palazzo per tenerla d’occhio. Pensavo che ci tenesse, visto che era la persona
per cui Pain si era sacrificato. In altrimenti avevo
ipotizzato pure che provasse odio e rancore per lei, sempre per questo motivo,
ma non era decisamente né da Konan né da Pain.
Konan lasciò la squadra di polizia
insieme a Sasori, e dopo poco tempo seppi che i miei
colleghi Hidan e Kakuzu
avevano preso ad indagare su di lei: continuava ad andare alla fabbrica di
nascosto. Nel giro di due mesi, i miei colleghi vennero trovati uccisi in modo
orribile sempre nei pressi della fabbrica, che da quel giorno venne
definitivamente sbarrata. Ero rimasto solo, con il peso di crimini e sangue di
omicidi inesplicabili sulle mie spalle. Con gli spiriti dei miei compagni a
invocare il mio aiuto dall’aldilà. E con la coscienza di dover proteggere le
persone a me care, perché ormai ne ero certo: quella
sera, in quella fabbrica, qualcosa accadde a Konan. E l’ultima pedina da far zittire… ero proprio io.
E dopo quattro anni di investigazioni
serrate, finalmente in questi giorni sono riuscito a cacciare la verità fuori:
non sono sparito, Sasuke, semplicemente ero venuto alla fabbrica per un faccia
a faccia con Konan, Sasori
e Deidara, i suoi amabili scagnozzi. Ed eccola qui la
storia: Konan è convinta di aver sigillato lo spirito
di Pain con quello del demone invocato sei anni fa
nell’altare, perché proprio nel momento in cui io scappavo con Ino, lo spirito malefico si risvegliava, portandosi Pain con sé.
Konan ha passato anni a riaccumulare le energie necessarie per un nuovo rituale, e
ora che ci è riuscita manca solo una cosa: la vittima sacrificale originaria,
quella che è stata portata via lasciando il rituale d’invocazione a metà,
legando per sempre il suo sangue allo spirito di Pain.”-
-“Ino…”- sospirò Shikamaru, ma suonò più come un singhiozzo strozzato che
come un’affermazione.
-“Già. E a quanto pare la nostra nobile Konan teneva così tanto ai suoi scagnozzi da volergli
portare un regalino per il loro lavoro perfetto e la loro longeva fedeltà:
Sakura, da utilizzare come passatempo nelle lunghe ore di noia di questo
luogo.”- concluse Itachi, tirando fuori una pistola
dalla fondina e caricandola di nuovi colpi. –“Allora, vi è piaciuta la favola di
mezzanotte?”-
-“E ora che si fa?”- domandò Sasuke, sfoderando la katana in risposta all’armamento del fratello.
-“Io? Vado a finire ciò che non conclusi sei anni fa.
E voi?”-
…to be continued…
*Angolo di Luly*
Okay, a dimostrazione che i miracoli
accadono. Ho continuato.
Ma solo perché a questa fanfiction tenevo particolarmente; insomma, è l’unica di
questo genere che io abbia mai scritto e la storia intrigava anche me. Solo che
rileggendola dopo due anni non ricordavo assolutamente nulla del mio progetto
originale, quindi mi sono dovuta re-inventare una storia ed una trama
adattabile. Penso che nulla stoni con i precedenti capitoli, ma in caso ci
fossero contraddizioni vi prego di non esitare nel farmelo notare ç_ç
Grazie di cuore a tutti coloro
che commentarono allora e che vorranno farlo ancora.
Grazie se avete avuto la
pazienza di leggerla – o rileggerla.
Grazie se siete ancora qui
nonostante tutto.
Questa volta però si giungerà ad
una fine e presto. Un capitolo oggi, uno domani e l’ultimo il 1 Aprile: non per
farvi uno scherzone, ma perché è il compleanno di zia
Eleanor89, colei per cui… è nato tutto
questo. E visto che la inizia per il suo compleanno, ci tengo a finirla per
rispettare questa importantissima data, che 22 – di già? – anni fa ci ha
regalato una delle più grandi scrittrici di questo sito.
Ti voglio bene zietta!
A domani,
Ja nee
Luly