Libri > Leggende Arturiane
Segui la storia  |       
Autore: Deirdre_Alton    01/04/2011    1 recensioni
Galahad ripensa alla sua vita. Quando fu chiamato a Camelot da Re Artù e dovette abbandorare il monastero in cui è cresciuto, lontano dalla madre e dal padre che non gli hanno mai mostrato l'amore di cui aveva bisogno.
(Il titolo del racconto deriva da un pezzo dei Placebo "I'll Be Yours")
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedivere, Mordred
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

Sbattei gli occhi senza capire continuando a fissare Ser Kay. Poi quando sentii muoversi la figura che stava sulla porta ed entrò nel mio campo visivo, fu chiaro.
Era di tutta la testa più alto di me, dritto come un fuso, il volto chiaro, i capelli scuri, i tratti decisi ma non duri. Gli zigomi alti, il naso perfettamente proporzionato. Gli occhi neri ed insondabili, le labbra una riga dritta. Mi sembrò la perfezione. Un pensiero si formò in un istante e in un altro istante svanì. Volevo essere come lui, un uomo come lui. Io somigliavo più ad una candida fanciulla.
Mordred, Ser Mordred mi guardò negli occhi alcuni secondi, poi mi oltrepassò, strinse la mano a Ser Kay e sentii la sua voce, si rivolse ad Anduin «E' stato un viaggio tranquillo, Anduin?», non si aspettava una risposta, si voltò, mi rivolse un veloce cenno della testa e si addentrò nel castello con passo calmo. Non ebbi tempo di pensare a nulla perchè Ser Kay congedò il comandante Anduin, che salutai con gratitudine e poi il castello si aprì a me. Il siniscalco mi accompagò attraverso il labirinto di corridoi e scale, mi spiegò che avevo tempo per lavarmi, indossare abiti puliti, fare un piccolo spuntino e poi sarei stato accolto dal Sommo Re. E da mio padre.
Entrando nella camera che mi era stata assegnata pensai ad un errore.
Ser Kay notando il mio smarrimento iniziò a chiedermi gentilmente «C'è qualcosa...», «Un solo letto?» chiesi. Mi sembrò di sentire l'eco della mia voce in quella grande stanza, arredata per un re. Mi aspettavo di dividere la stanza con altri coetanei. Ser Kay rise divertito, si asciugò gli occhi e fissandomi rispose «Ragazzo, sai di chi sei figlio? Il figlio del migliore amico del Re merita questo ed altro». I suoi occhi ridevano, rassicuranti. Voltai lo sguardo concentrandomi su di un arazzo, stretto ed alto che stava tra due finestre.
«Ti mando qualcuno con l'acqua calda per il bagno», lo ringraziai, con un sorriso lui uscì.
Ero un idiota.
Un santo idiota.
Quando i due paggi se ne furono andati, dopo aver preparato la vasca di legno e aver steso sul letto l'abito che avevo scelto a caso nel guardaroba principesco, mi abbandonai ai miei pensieri.
Presi fiato ed affondai nella vasca, con la testa sott'acqua. Silenzio. No... lontani tonfi ovattati arrivavano alle mie orecchie.
Mio padre.
Non lo vedevo da dieci anni, di lui ricordavo poco, le sue mani grandi che mi ponevano davanti a se sul cavallo e poi mi deponevano davanti alla grande porta del monastero.
C'erano le sue gesta, l'eroe, il cugino di Artù... un uomo che non conoscevo e un uomo che non conosceva suo figlio. Mi fermai lì.
Tornai a prendere fiato, mi tolsi i capelli dagli occhi e iniziai a strofinare via dalla mia pelle la vita che mi ero lasciato per sempre alle spalle.
Mi vestii con calma, saggiando con le dita il fine tessuto delle brache marroni e della tunica verde bosco con intarsi dorati, strinsi la cintura, fissai sul fianco sinistro il fodero della mia spada. Quel fodero, ricamato pazientemente da mia madre era l'unico dono, oltre alla vita, che lei mi avesse mai fatto. Sì, avevo una spada, non ero un monaco. Ero il figlio di un principe, per dieci anni avevo studiato il latino sei mattine a settimana e nei restanti sei pomeriggi un maestro di spada, nel giardino privato del priore, mi aveva fatto sudare senza darmi tregua. Qualcosa avevo imparato.
Saggiai la spada, estraendola per una spanna, poi mangiai in piedi della carne freda e del pane bianco che mi era stato portato poco prima.
Un paggio bussò delicatamente alla porta, era venuto lì per accompagnarmi nella sala rotonda. Dopo aver chiuso la porta, fissando la schiena del giovane, feci un sospiro e mi incamminai cercando di sgombrare la mente. Mi concentrai sui miei passi, cercando di memorizzare le svolte che stavo percorrendo nei corridoi. Giungemmo di fronte ad una porta a due battenti, dipinta di rosso, con due grosse maniglie rotonde in oro, erano poste in alto e un uomo adulto per poterle toccare avrebbe dovuto alzare completamente le braccia. Ai due lati stavano due guardie armate di lancia, con al fianco una spada corta. Il paggio vedendo avvicinarsi un cavaliere, che a quanto pareva stava venendo lì per me, si voltò, si inchinò e corse via. L'uomo avanzava con scioltezza e con tutta calma, capelli ricci, castani leggermente ingrigiti sulle basette. Il petto ampio e amichevole, mi si avvicinò e sorrise bonariamente «Galahad figlio di Lancillotto! Ahah! Sei tutto tua madre ma con le spalle di tuo padre», mi mise una mano sulla spalla destra, riuscii a sentire il suo respiro caldo profumato d'idromele, strizzò un occhio «Sono Bors, spero che tu abbia sentito parlare di me qualche volta», cercai di rassicurarlo come meglio potevo e poi sempre tendendomi vicino, richiamò l'attenzione delle due guardie, queste si mossero all'unisono spingendo con forza le enormi ante del portone. Vidi finalemente la sala rotonda, la tavola rotonda.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Leggende Arturiane / Vai alla pagina dell'autore: Deirdre_Alton