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Autore: MaikoxMilo    01/04/2011    16 recensioni
Questa è la prima fanfiction che decido di pubblicare su Saint Seiya, quindi spero che non sia un assoluto orrore...
Grecia, Estate 2011, 3 ragazze orfane di padre e amiche fin dall'infanzia, trascorrono qui le vacanze... Nessuna di loro sa, però, cosa le aspetta...e chi incontreranno! (riferimenti al Lost Canvas e ad Episode G)
FANFIC RISCRITTA, la trama rimane inalterata tranne in alcuni particolari, aggiunte più descrizioni.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Leo Aiolia, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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CAPITOLO 8

 

LA FUGA

 

2 luglio 2011, mattina presto.

 

Ci ho rimuginato a lungo, per tutto il giorno e la nottata, che infatti è passata insonne, senza quindi permettere ai raggi del sole di sorprendermi nel riposo. Non c'è stato il sonno, solo pensieri e vertigini, agitazione e domande prive di risposta. Colui che può attutire tutto questo è solo uno, le scelte sono limitate, per non dire uniche.

Mi alzo in piedi, stringendo una mano a pugno. Inspiro ed espiro diverse volte mentre mi vesto per rendermi presentabile. Sono agitata, mi tremano le gambe ed è difficile capirmi in questi momenti. Non amo il raffronto verbale, men che meno quello fisico, ma parlare con il Maestro Camus è l'unica soluzione per uscire dalle elucubrazioni cui mi ha indotto Death Mask, soffiando ulteriormente sui miei dubbi già preesistenti piuttosto che sulle poche, pochissime, certezze.

Basta così, è tempo di andare!

“Cosa fai già in piedi? E' presto per gli allenamenti!”

La voce di Camus mi accoglie, si fa per dire, già all'ingresso della cucina. Il suo tono è gelido, più del solito, mi fa sussultare e, per un lungo istante, sono quasi tentata di dirgli che mi sono sbagliata, che volevo andare in bagno e non in cucina. Ma il dado è tratto!

“Volevo parlarvi, né più né meno!"

"Sono le 6 di mattina, dovevi proprio farlo or..?"

"Sì! - taglio il discorso, guardandolo dritto negli occhi senza remore. E stavolta è il suo sguardo a sfuggire al mio, abbassandosi - Non voglio che ci sentano le altre e so, perché vi ho già inquadrato, che siete un tipo piuttosto mattiniero."

“Non dormo proprio in questi giorni... - si lascia sfuggire, in un sospiro, prima di recuperare due tacche nel tono di voce - Non importa. Tu invece di cosa volevi parlarmi?”

Esito. Con la coda dell'occhio, noto che la sua mano ha appena posato un bicchiere sul tavolo, dove è presente una bottiglia panciuta di un qualche liquido strano color ambrato. Il vederlo, per qualche ragione, mi smarrisce per pochi istanti.

"Quindi?" mi pungola ancora lui, con quel tono forzatamente freddo che mi estranea ancora di più.

Certo che potrebbe anche sforzarsi di essere un pizzico più cordiale, sarebbe tutto più semplice! Prendo un altro profondo respiro. L'altro giorno lo era stato, si era aperto durante il nostro dialogo, può darsi abbia semplicemente bisogno di carburare nella conversazione.

Il mio corpo freme leggermente, ho i battiti cardiaci accelerati. Ciò mi fa comprendere ulteriormente quanto io abbia intrinsecamente bisogno di avere un chiarimento da lui, non solo per le allusioni spietate di Death Mask, ma anche e soprattutto perché voglio credere in quel fiore appena scorto che custodisce gelosamente dentro di sé, nascosto sotto strati e strati di ghiaccio solo apparentemente perenne.

"Va tutto bene? - Camus si alza dalla sedia e cerca di avvicinarsi a me, vedendomi forse scossa - Non è da te esitare così, sei una bella testolina, da quanto ho potuto appurare in questi giorni, non ti sei mai limitata nell'esprimerti, cosa ti blocca adesso?"

“Io... uff, perché ci avete portato qui? Perché ci hanno affidato proprio alla vostra custodia?” gli domando nella maniera più diretta possibile.

La bomba è stata sganciata. Vedo qualcosa cambiare irreparabilmente negli occhi di Camus. I tratti del suo volto si induriscono.

"Non sei soddisfatta del mio modo di insegnare?"

"Non è quello. Voglio sapere le ragioni prime che hanno portato ad orchestrare il nostro rapimento!"

“Ve l’abbiamo già spiegato: siete qui per essere protette!” risponde lui, alzando il tono per poi darmi le spalle in un evidente atteggiamento di chiusura.

"Non ci avete spiegato niente, invece! - anche il mio tono si alza, indomito - Solo ordini su ordini. Siamo stanche, vogliamo la verità!"

"Non siamo tenuti a darvela, se è per la vostra incolumità!"

“Ma incolumità da che cosa?! Decantate di nemici e di protezione, quando, al momento, siete gli unici ad avere usato violenza su noi, portandoci via dalle nostre famiglie!"

"Non capisci, ma non mi meraviglia, sei parecchio ottusa!"

Non dovrei, ma accuso malamente il colpo, sentendomi ferita brutalmente dalle sue parole. Respiro a scatti, come dopo una lunga corsa. Quel qualcosa che avverto da ieri si accentua in me, agitandosi per cercare di uscire. Lo catalogo solo parzialmente come rabbia.

“Anche noi conosciamo poco dei nemici, - la voce di Camus torna, un poco meno rude di prima - ma anche se sapessimo di più non vi riveleremmo comunque nulla!"

"Perché siamo troppo stupide per voi?!" esclamo, aspra.

"Perché non è necessario per la riuscita del piano. La discussione termina qui, Marta!” ribatte, in un tono che non ammette repliche.

Categorico, quasi spietato. Vuole decretare lui la parola fine sul dialogo. Illuso. Ha appena trapiantato in me il desiderio di continuare ad oltranza.

“State giocando con le nostre vite." sibilo, al culmine della rabbia.

"Non stiamo giocando con alcuna... uh?"

Non so cosa vorrebbe dire, men che meno mi importa, ma nel voltarsi verso di me qualcosa di indefinibile lo blocca. Lo vedo sbattere più volte le palpebre, tentennare, affinare lo sguardo come se non credesse a quanto ha davanti, prima di ricomporsi.

"Ci avete strappato dalle nostre famiglie senza permetterci di contattarle, senza poterle avvertire che stiamo bene."

"Anche questo non è strettamente necessario per il risvolto favorevole della missione. Mi dispiace, ma..."

"Balle, non vi dispiace! - il mio è un sorriso mesto e profondamente amaro - Anche perché, dal nostro punto di vista, siete VOI Cavalieri d'Oro i carnefici!"

"..."

"Voi ci avete rapito, voi ci sottoponete ad allenamenti estremi!" gli illustro freddamente, sebbene la rabbia di prima si sia momentaneamente placata, vinta dallo scoramento.

"..."

“Per cui, Maestro Camus, ve lo chiederò ancora una volta: perché ci avete condotto qui? Perché ci hanno affidato proprio a voi? Datemi una ragione... per fidarmi!"

"Per questo fine superiore, la vostra protezione, non ti devo dare alcuna spiegazione, Marta, né a te, né alle altre! Accettalo, come io ho accettato di avere nuove allieve, anche se ne avrei fatto volentieri a meno!"

Un brivido freddo mi solca la schiena nel vedere naufragare l'ultimo tentativo di chiarimento. Lo guardo fissa, svuotata, mentre lui, di nuovo non reggendo più il mio sguardo o la mia stessa presenza, si volta per andarsene in maniera non dissimile all'altro giorno.

No, stavolta non lo accetto!

"Tra non molto scenderanno anche le tue amiche. Aspettale pure per fare colazione con loro, poi, senza perdere ulteriore tempo, vi voglio, puntuali, tra un'ora, sulla..."

“Dunque sei esattamente come mi ha riferito Death Mask: uno scienziato che si preoccupa solo del risvolto favore della missione affidatagli, in barba alle emozioni degli altri.” mormoro, delusa più che mai, rifiutando con tutte le forze il pianto.

I passi si arrestano all'improvviso, la temperatura nella cucina scende di una manciata di gradi. Come al rallentatore, vedo Camus voltarsi, la sua faccia un nugolo di emozioni appena strettamente controllato. Del tutto illogicamente, perché sto giocando con il fuoco e ne sono consapevole, un sorriso meschino si dipinge sul mio volto.

“TU, questo significa..?” sibila, girandosi interamente verso di me. L'aria intorno a noi freme, scapperei, se non fossi una sprovveduta.

“Sì, ieri mi sono recata alla dodicesima casa a conoscere il Cavaliere del mio segno e là, oltre a lui, ho incontrato anche quel Death Mask.”

“Sei andata alla dodicesima casa?! Hai incontrato Death Mask?!? MARTA! Non ti avevo espressamente ordinato di rimanere in camera tua?!?” esclama Camus, vistosamente furibondo, cominciando ad avanzare nella mia direzione.

Ed io continuo a sorridere, tronfia, provocandolo ancora di più.

"Ah, era un ordine?! Non si leggeva nei foglietti che mi avete lasciato." lo sfotto, volutamente consapevole di stare per varcare un confine pericolosissimo.

"TU NON CAPISCI... tu non... grrrr! - incassa la testa tra le spalle, sembra fuori di sé e lo capisco solo in parte, gustandomi invece la palese difficoltà in cui si trova - Ci sono persone, qui al Santuario, che devi frequentare il meno possibile!"

"Tipo voi, per esempio!" è il mio tono ora ad essere freddo.

"Te lo ha detto Death Mask, questo?"

"Oh, sì... - nei miei occhi balugina il lampo della vittoria - Siete lo scienziato che hanno scelto per tenere sotto stretto controllo i nostri poteri, giusto?!"

"S-stai zitta, non sai niente di me, su quello che ho dovuto... - si interrompe, scrollando la testa, sembra quasi sofferente messo così messo all'angolo - Hai creduto alle parole di Cancer piuttosto che alle mie!"

"E quali parole mi avresti rivolto, Camus?! - lo accuso, affatto intenzionata a impietosirmi - Lo hai confermato anche quest'oggi: dovere, dovere e solo dovere! Non c'è spazio per i sentimenti, solo gli ordini!"

"T-taci. T-tu non sai, n-non hai mai..."

"Dove sono le emozioni nel tuo universo, Camus?! Sepolte sotto metri e metri di ghiaccio della Siberia orientale come mi ha detto Death Mask?!"

"B-basta!"

"Voglio sentirlo dalla tua voce, voglio che tu abbia il coraggio di dirmelo in faccia che ci avete preso solo per manipolar..."

"HO DETTO BASTA!!!"

Accade tutto in pochi attimi; pochi attimi che impediscono, a me, di agire e, a lui, di trattenersi: Camus mi viene addosso, stringendo convulsamente i miei polsi con le sue dita e spingendomi indietro, con l'ovvia conseguenza di provocarmi un dolore repentino ed acuto.

"La-lasciami!" mugolo, tentando di svicolare via. A nulla vale il mio tentativo di liberarsi dalla sua stretta incalzante... a nulla, tranne che a sbattere violentemente entrambi i gomiti contro il muro ormai troppo, troppo, vicino.

Tuttavia è proprio la mia espressione spezzata a riportare alla ragione Camus, il quale, rendendosi conto dell'accaduto, si allontana da me come se avesse preso la scossa.

“Mi dispiace, n-non... volevo!” mormora, mortificato, abbassando lo sguardo, prima di tentare un nuovo contatto con me. Troppo tardi.

"STAI LONTANO!!!" gli urlo, tutta tremante, circondandomi il petto con le braccia nel tentativo di controllare il mio respiro, diventato ormai frenetico.

"Marta, i-io non..."

Il senso di colpa che prova è manifesto dai suoi occhi lucidi, ma arriva tardi, come tutto il resto, quando io ho ormai percepito il leggero odore di alcool. Ecco allora cosa era la bottiglia panciuta!

"Ma bene, hai pure la sbornia cattiva come mio nonno!" commento, sarcastica, fulminandolo con lo sguardo.

"No, ascolta, io non... non è come pensi!" biascica, guardando altrove.

“Anche a mio nonno succedeva, quando alzava troppo il gomito. - ribadisco, aspra, prima di rincarare la dose - Ma non pensavo che anche tu... ti credevo diverso, Camus!" lascio che sia il mio disgusto a trapelare dal mio sguardo.

“No, ascoltami, non sono ubriaco. E' vero, ho bevuto un bicchiere di Cognac stamattina per... perché avevo bisogno di riordinare un po' i pensieri, ma ho una discreta resistenza a...”

"Beh, l'ho appena saggiata la tua presunta resistenza! Questo Death Mask non me lo aveva nemmeno riferito!"

"Che cos'altro ti ha detto sul mio... sul mio conto?" sussurra la domanda Camus, ormai privo di ogni volontà.

Quanto sono tristi i suoi occhi adesso, sembra quasi di poterci vedere dentro. Vorrei... vorrei che questo incidente non fosse successo, vorrei cancellarlo con un colpo di spugna, ma la verità è che non posso. Mi lascio prendere dallo sconforto e dalla tristezza, mentre le lacrime, un po' per la paura provata, un po' per il dispiacere, hanno infine la meglio su me.

“Che tu non provi affetto per nessuno. Come ti ho detto prima, sei lo scienziato che hanno scelto per studiare noi povere piccole cavie indifese."

“No, non lo farei mai, per chi mi hai preso?! N-non...” mormora ancora Camus, tentando un nuovo approccio verso di me, ma ogni suo passo in avanti è accolto con un mio balzo indietro.

"Stai lontano, ho detto!"

"Marta..."

"Per favore, non avvicinarti!"

"I-io..."

"NON AVVICINARTI!"

"Mi dispiace... di averti spaventata così!"

“Allora, se ti dispiace così tanto, perché non ci spieghi chi è il nemico e le motivazioni che lo hanno portato a interessarsi a noi? Perché a volte non ci regali un semplice gesto di affetto, un qualcosa che ci possa far capire che non siamo sole in questo mondo fatto di nemici assassini, violenza e regole assurde?!” provo a sfogarmi, al limite.

Tuttavia, sebbene Camus ora riesca ormai a capire il mio stato emotivo, rimane fermo e immobile, i pugni serrati e gli occhi più sfuggenti del solito.

“Come immaginavo... non ne sei proprio in grado!” biascico, afflitta, privandomi del sostengo del muro per traballare in direzione dell'uscita.

Anche questa volta Camus non riesce a dire niente, ma percepisco l'accenno di un movimento che si smarrisce subito nel vuoto.

"Lasciami... lasciami un po' da sola, ok? Anche io devo schiarirmi un po' le idee." gli dico, uscendo senza neanche guardarlo.

Scendo le prime scalinate che separano l’undicesimo tempio dal decimo, prima di rendermi conto che non mi basta, che ho necessità di camminare e di non pensare più a nulla. Proseguo quindi senza guardare in faccia nessuno, il cervello completamente scollegato dal resto del corpo.

Nessuno mi ferma fino ad almeno all'ottava casa, forse, fortunatamente, i Cavalieri non sono nemmeno presenti nelle rispettive dimore. Il primo intoppo lo ho proprio all'interno del Tempio dello Scorpione Celeste.

“Marta?! Ma cosa...?”

Sento distintamente la voce giovanile di Milo, ma non mi fermo e lui non sembra intenzionato a bloccarmi. Meglio così. Vado dritto in discesa.

Sorpassata anche la prima dimora, quella dell'Ariete, continuo a provare l'istinto innato di camminare. Lo assecondo, spersa, il groppo in gola. Non so bene dove andare, non ho ancora avuto occasione di crearmi una cartina mentale di questo luogo che sfugge alle leggi della Fisica. Dopo un lungo vagabondare senza una meta, tra l'arena di combattimento e un villaggio abitato vicino al Santuario non ancora visitato, riesco infine a imboccare la strada corretta per trovarmi così sulla lunga Spiaggia Segreta.

Finalmente l'acqua e la salsedine! Mi butto istintivamente sulla spiaggia, nella speranza che le onde del mare plachino, almeno un poco, il mio animo inquieto vinto da tutti i fatti successi negli ultimi giorni: il rapimento, il fatto di essere ostaggi per un presunto bene superiore, le paure mie e delle mie amiche, il passato che ci siamo lasciate alle spalle e che non ci apparterrà più...

“Che cosa posso fare adesso? Da qui non c'è via d'uscita!" mi interrogo, gli occhi ancora gonfi di pianto.

Non ho una meta sicura dove andare senza rischiare di mettere in pericolo gli altri. Ora, ragionando a mente fredda, non posso neanche più tornare a casa, pena il fatto di coinvolgere mia madre in questa situazione assurda. Parallelamente, però, un nuovo raffronto con Camus è fuori discussione, il primo mi ha già completamente prosciugata. Potrei tentare di parlare con Milo, l'unico Cavaliere d'Oro che ha un minimo la mia fiducia, ma...

Scrollo la testa, buttando fuori aria. Neanche questa ipotesi è valida, il Cavaliere di Scorpio non è certo mio amico, andrebbe a riferire tutto al compagnone di bevute, quindi sarebbe come darsi la zappa sui piedi da soli, per citare un detto di mia nonna.

"Dunque... che alternative mi rimangono?" mi chiedo, scoraggiata, alzando finalmente il capo per osservare i dintorni.

Ed è così che mi rendo conto, sorprendendomi non poco, di trovarmi proprio dove Milo ci aveva condotto quando ci aveva portato via dalle nostre famiglie. Era buio, oggi c'è piena luce, ma riconosco le forme e i contorni dell'ambiente circostante. Se non ricordo male, vi era un sentierino che portava nel fitto della vegetazione e... eccolo!

Il mio cuore ha un palpito nel rendersi maggiormente conto che sono riuscita ad individuare la via che avevo cercato di intraprendere proprio quella notte, prima che la Cuspide Scarlatta di Milo fermasse i miei propositi. Di riflesso, inizio a tremare. Se davvero provassi a seguirlo, forse...

Mi alzo in piedi, compio pochi passi. Esito. Ne compio degli altri. Percepisco qualcosa, un velo di protezione che, proprio qui, si fa mano a mano più sottile. Non so bene spiegarlo, ma ho come la sensazione che davvero sia un passaggio, che se lo percorressi tornerei nel mondo reale, da mia madre. La folle idea di farlo, in barba alla ragione di prima che mi sussurrava di tornare sui miei passi per evitare di metterla in pericolo, mi pervade per un tempo che pare indefinito. Alzo le mani in avanti, come a tastare la presenza di una barriera, i passi uno davanti all'altro sempre più certi, sempre più vicini all'imbocco del sentierino...

Tuttavia, all'ultimo, torno in me ed è come svegliarsi all'improvviso da un sogno. Mi riscuoto. Quasi sussulto. Indietreggio. Non posso davvero attraversare il varco, non posso. Se davvero dovessero esserci questi presunti nemici, loro...

Non riesco ad ultimare il pensiero. Con la coda dell’occhio, intravedo un’ombra scura venirmi addosso, proprio dall'alto, da sopra la mia testa. Il mio movimento è istintivo e (per fortuna!) rapido: mi butto immediatamente sulla destra, evitando così di essere colpita da quella che, a giudicare dalla vibrazione dell'aria, deve trattarsi di una lama affilata.

Mi sono buttata sulla destra, ma lo sforzo che richiedo alla mia caviglia deve essere stato troppo, perché avverto appena uno STOCK seguito da un dolore lancinante proprio in prossimità della stessa. Trattengo un gemito dentro di me, ritrovandomi a rotolare di lato per poi piegare il busto nella sua direzione nel cercare di capire chi o cosa abbia provato ad attaccarmi.

"ME-HEHEEEE, sei rapida per essere solo agli inizi!" si congratula con me una voce stridula, capace da sola di farmi accapponare la pelle.

“Chi diavolo sei tu?!” gli grido da terra, cercando di focalizzarmi interamente sulla figura piombata giù dal cielo che, proprio adesso, si sta voltando verso di me per mostrarmi il suo ghigno da folle.

Sussulto di paura nel distinguere il suo aspetto tetro: è una specie di umanoide con addosso un’armatura priva completamente di luce, opaca e tendente al nero. Ingoio a vuoto nello scorgere le sue estremità corporee che convergono interamente in due mani artigliate degne del peggior film horror mai visto.

Lo guardo negli occhi fiammeggianti, per quel che mi concede la paura che mi soggioga e fa accelerare in maniera compulsiva i battiti del mio cuore. Tento di alzarmi, ma la caviglia di prima, la destra, non risponde ai miei comandi, limitandomi non poco nei movimenti. Riesco comunque a mettermi faticosamente sulle ginocchia. Merda, la slogatura non ci voleva, men che meno adesso!

“Sei un bel bocconcino, non lo posso negare! - mi canzona intanto lui, accarezzandosi appena sotto il mento con una delle dita artigliate - Sarei venuto direttamente al Santuario a prendervi, ma tu mi hai risparmiato la fatica di dover rompere la barriera, essendoti avvicinata di tua spontanea volontà al varco."

"CHE COSA?!" fremo, sbattendo incredula le palpebre.

"Non l'hai capito? Sei piuttosto tarda! - mi irride, cominciando ad avvicinarsi a me con passo lento ma inesorabile - Il cosmo della dea che loro proteggono, Atena, permea questi luoghi. E' più sottile in prossimità dei varchi, come un velo leggero che si inspessisce mano a mano che ci si avvicina al Grande Tempio. Avrei dovuto infrangerlo per raggiungervi, con il rischio di incorrere in una serie di scontri mortali, se tu, stupida bimba, non moi avessi agevolato, facendoti trovare esattamente qui, al confine. Me-heeeeee!"

Ma certo, è uno dei nemici di cui parlavano Camus e gli altri Cavalieri d'Oro! Sono stata una vera idiota a non dargli fede, a credere che quelle che ci venivano raccontate non potessero essere altro che frottole. E ora, che ormai è tardi, che come al solito ci ho dovuto picchiare di naso, devo almeno cercare di raccogliere più informazioni possibili sul suo conto, ne va della vita delle mie amiche!

“Chi diavolo sei?! Che cosa volete da noi?!" lo interrogo aspramente, tentando di mascherare la paura crescente.

“Il mio nome non ti deve interessare, ma conosco il tuo... Marta, vero?!" esclama, ricominciando a ridere sguaiatamente. Un brivido percorre la mia schiena, istinto primordiale che indica un pericolo inevitabile.

Stupida, stupida, stupida!!! Tutte le parole rivolte a Camus, le accuse, le grida... non ho voluto credere alla realtà davanti ai miei occhi, ho preferito fidarmi dei miei sciocchi dubbi che non dell'istinto che mi aveva già allertata, maledizione a me!

“Come puoi conoscere il mio nome? Da chi avete attinto tutte queste informazioni?!” insisto, cercando disperatamente di mantenere saldamente il controllo su me.

In verità, vorrei solo sfuggire via, ma la mia caviglia non me lo consentirebbe, LUI non me lo consentirebbe...

“Stai già facendo troppe domande per i miei gusti, ragazzina petulante! Ho ordini specifici di portarti via viva e integra, ma su quest'ultimo punto ne posso forse trattare con i miei capi. Taci, quindi, e vieni con me senza tante storie, altrimenti... - lascia la frase in sospeso, minacciandomi semplicemente con il gesto di alzare un braccio artigliato e indicarmi il braccio opposto, come a sottintendere che, se parlo, me lo trancia di netto - Tu e le tue amiche potreste essere le protagoniste di una profezia. Dovrei rapire anche loro, in effetti, ma si trovano ancora nel cuore del Santuario, protette dai Cavalieri d'Oro." prosegue poi, prima di fermarsi per qualche secondo, come a valutare il da farsi.

Quindi tutto questo accade per colpa di una stupida profezia?! Però, come informazione, è insufficiente, devo spronarlo a rivelare di più, anche se non so come.

“Beh, poco male... sarà per la prossima volta! Non credo che si lagneranno se, per il momento, condurrò solo te al cospetto dei miei capi. - continua l'essere, giungendo alla conclusione più ovvia - Allora, signorina, mi segui di tua iniziativa, o mi costringi ad usare la forza?”

Malgrado la paura per il pericolo sempre più incombente, alzo solennemente la testa, fronteggiandolo in tutto e per tutto con lo sguardo.

“Nessuna delle due! Non sono stata addestrata dal Maestro Camus per arrendermi senza neanche provare a combattere!” affermo, decisa, alzandomi anche in piedi per quanto mi è possibile.

Mi sento molto stupida a tirare fuori il suo nome proprio adesso che mi sono inguaiata con le mie stesse mani, ma... non lo so, in un certo senso mi sembra importante dirlo ora, non arrendermi per lui, nonostante una caviglia slogata e il terrore che mi contorce le budella. Voglio... voglio che Camus sia orgogliosa di me, voglio dimostrare che ci ho provato a lottare, e che anche sotto tortura non dirò nulla sulle mie amiche, né sul Tempio. Voglio... che veda tutto questo!

“Fai la coraggiosa, eh? Bene, vediamo se, senza più un braccio, il sinistro, per il momento, continuerai a regalarmi quell'espressione ardimentosa e sdegnata!" sancisce, poco prima di scattare nella mia direzione.

Mi assalta senza la minima esitazione con l'intenzione davvero di tranciarmi di netto il braccio, lo vedo dall'inclinazione del suo artiglio. Sussulto, la gola si fa secca. In realtà, il suo movimento, per quanto veloce, io lo riesco incredibilmente a scorgere con questi miei occhi. Potrei anche evitarlo, forse... forse, se il piede destro non cedesse quasi subito, facendomi traballare per poi cadere all'indietro. Il cielo sopra di me sembra oscurarsi, le orecchie prendono a sibilare. Non grido, non voglio dargli una tale soddisfazione, ma strizzo violentemente le palpebre, preparandomi a ricevere dentro di me il dolore che certamente sopraggiungerà da qui a breve.

Eppure non arriva, quel che percepisco non ha nulla a che vedere con il dolore; c'è solo il rumore di un fischio di vento potente sopra la mia testa, l’urlo del nemico che deve scansarsi per evitarlo, seguito dal silenzio. Una presenza atterra vicino a me, mi sfiora i capelli e la fronte, per i primi secondi non sono in grado di dargli una forma.

Sono ancora rattrappita sulla sabbia, quando questo qualcuno mi raccoglie delicatamente per poi stringermi a sé con un cipiglio d'urgenza. Ce ne vuole di tempo per persuadere le mie palpebre a riaprirsi, ma nel momento in cui mi convinco a farlo, un caldo tepore mi invade il petto palpitante nel trovarmi davanti proprio lui.

“M-Maestro?” chiedo, sbigottita, fissando il suo sguardo truce; una spietatezza non certo rivolta a me, bensì al nemico. Mi volto di riflesso verso quest'ultimo.

“Bene, bene... – riprende il tizio, alzandosi a sua volta da terra – tu devi essere Camus dell’Acquario, giusto? Eh! Eh! Dove l’hai lasciata l’armatura? Te la sei dimenticata, o eri talmente preoccupato per questa ragazza che non ci hai nemmeno pensato?!”

Torno a osservare l’espressione di Camus, nuovamente glaciale e imperturbabile come di consueto, se io, appoggiata con l'orecchio al suo petto, non riuscissi ad udire distintamente i battiti frenetici del suo cuore che tamburella quasi più del mio, residuo di una paura recentemente provata e non del tutto passata.

Già, non c'è possibilità di equivoco... l'ansia che STA provando, è ben nitida davanti a me, non più velata da quella apparente coltre di ghiaccio che la riveste: Camus dell'Acquario, accorso in mio aiuto per salvarmi nonostante la brutta discussione di qualche ora fa, mi ha appena trasmesso, senza l'ausilio delle parole, la sicurezza che tanto andavo cercando!

“Mi dispiace... per tutto!” biascico, sentendomi un verme, chiudendomi istintivamente a riccio per non farmi vedere in viso.

Neanche starlo a dire, non ribatte nulla, quasi non mi guarda neppure. Meglio così, stavolta, non riuscirei minimamente a sorreggere il suo sguardo.

“Che c’è, Cavaliere? Non hai la lingua per parlare?! - lo prende ancora in giro il tizio - Non ti hanno insegnato a..."

Camus, per tutta risposta, alza appena l'indice della mano sinistra dal quale esce spontaneamente un fiotto di aria congelante che, appena raggiunto l'incauto nemico, si tramuta in anelli congelanti che lo circondano e lo bloccano.

“Che... che diavolo di magia è mai questa?!” ringhia quello, iniziando a divincolarsi.

“Koliso. Anelli di Ghiaccio. - gli illustra brevemente Camus, del tutto impassibile - Ho delle domande da porti, ma per il momento te ne starai quieto per un po', ho altre urgenze che non... tu!"

"Cosa stai farneticando, Cavaliere?! Pensi che questi inutili aneliti di aria fredda possano in qualche modo... Guah!"

Non riesce a terminare la frase, si mette a tossisce violentemente, perché uno degli anelli gli si è stretto al collo e oltre ad occludergli parzialmente le vie respiratorie, sembra provocargli dei danni seri.

"Io non parlerei senza permesso, fossi in te. Ti è concesso di rispondere alle mie domande. Null'altro!" continua un sempre più implacabile Camus, quasi spietato.

Io sono sbalordita, boccheggio a vuoto, spaesata, mentre lui, il mio maestro, da finalmente le spalle al nemico ormai a corto di ossigeno, per poi posarmi delicatamente sulla sabbia poco più in là.

“Marta, stai qui e non muoverti mentre infuria la batt... uff! - sospira, vedendomi invece già intenta a cercare di alzarmi in piedi senza peraltro riuscirci - Come non detto, sei veramente di coccio, eh!" commenta poi aspramente, con quel principio di sfotto che, in altre circostanze, mi caricherebbe seduta stante.

Gli devo fare comunque pena, perché al mio terzo tentativo di mettermi inutilmente in piedi, mi acciuffa, evitandomi la caduta, per poi trattenermi per un breve istante contro di sé in un mezzo abbraccio.

Tepore. E' di nuovo questo che riesco a percepire, il calore del suo corpo, dei suoi gesti un po' burberi un po' gentili. Di nuovo, mi stordisce, forse più di prima, perché, nonostante tutto, sembriamo sempre un po' più vicini.

"Hai male alla caviglia di destra?"

"E-eh? N-no... NO!"

"Dei, non farmi la cocciuta anche in simili circostanze, fammi vedere, su!" stabilisce, senza troppi rigiri, accompagnandomi poi a terra per sfilarmi i sandali e controllare di persona.

Io glielo lascio fare, tutta vergognosa, mentre le sue mani abili mi tastano un poco la zona.

"Ahi!" mi sfugge un sussurro di dolore quando le sue dita premono un poco più forte sul punto più dolente.

"Qui, vero?"

"Mmm!"

Produco un mormorio che vorrebbe essere un assenso, il mio sguardo è lontano. Mi... vergogno troppo per i miei comportamenti di prima, non sono in grado, e neanche voglio, oppormi. Non questa volta.

Lui lo deve capire, ha questa capacità di comprendere i miei sottintesi, anche se non lo dimostra sempre. Sbuffa tiepidamente per poi darmi un leggero colpetto amichevole dietro la nuca, tanto che io, stupita, mi volto verso di lui.

"E' una lieve stortura, nulla di così preoccupante, aspetta..." mi consiglia, prima di poggiarmi le lunghe dita eleganti intorno alla caviglia e produrre una fievole aria congelante che immediatamente mi da sollievo.

Vorrei ringraziarlo, vorrei chiedergli scusa per il diverbio di prima, invece riesco solo a osservarlo a bocca aperta, preda di una miriade di emozioni che non riesco nemmeno ad esprimere.

Rimaniamo nella stessa posizione per diversi secondi, ultimati i quali, dopo un ulteriore, breve, controllo della mobilità della mia caviglia, si rimette lentamente in piedi, privandomi così del sostegno del suo braccio che, ora come ora, mi sembra prezioso più dell'aria.

"Dicevo... stai qui durante l'infuriare della battaglia, intesi? Non voglio che tu ne rimanga coinvolta!"

"N-no, io..."

Vorrei fermarlo, vorrei prenderlo per il polso e urlargli di non andare, perché ho una brutta, bruttissima, sensazione. Invece non riesco a far altro che guardarlo raddrizzarsi nuovamente, gli occhi nuovamente chiusi.

"E' uno dei nemici di cui ti accennavo stamattina. - mi spiega, sempre con le palpebre abbassate, l'espressione forzatamente contenuta - Non temere, non ti torcerà un capello!"

"N-no, Camus!"

"Non gli permetterò di farti del male. - sottolinea ancora, con l'intento di voltarsi e allontanarsi da me - Sistemerò le cose in fretta, poi... poi riprenderemo il dialogo, e..."

"NO! Non andare!!!"

Finalmente riesco a prenderlo per il polso, il contatto tra noi mozza, per qualche istante, il respiro di entrambi. Io lo guardo, lui guarda me, ed è di nuovo il calore a regnare dietro i suoi bellissimi occhi blu.

"Lo hai già immobilizzato, possiamo fuggire!" propongo, in tono tremante, mentre anche il resto del mio corpo vibra di paura.

"Marta..."

"Tornerò al Santuario con te, va bene? Ma non... non andare, ti supplico!"

"..."

"Non scapperò nemmeno più, lo giuro, basta che tu..."

Di nuovo il gesto della sua mano che si posa tra i capelli; di nuovo ne sussegue il frastornamento. La mia bocca si dischiude in una 'o' muta che avrebbe tanto da dire.

La brezza soffia un po' più forte, mentre le sue labbra si incurvano nel più bel sorriso spontaneo che gli abbia mai scorto.

La brezza... come quel giorno; quel giorno di tarda primavera in cui mio nonno era stato male e avevamo chiamato l'ambulanza. Ricordo che ero bloccata e piangevo, mentre lo caricavano su, la mano di mia madre, appena percettibile, sulla mia spalla. Poi qualcosa era scattato in me, mi ero messa a correre verso di lui, urlando di non lasciarmi, di non andare e che gli volevo bene. E lui, pallido e sofferente, con gli occhi già ricolmi della consapevolezza che io invece persistevo a rifiutare, era a malapena stato in grado di sollevarsi un poco dalla barella per poi posarmi, a fatica, la mano sulla testa, tra i capelli, e sorridermi come mai aveva fatto prima di allora.

Non avere paura, andrà tutto bene! Rimani con la mamma. Sarò sempre con voi!

"Non devi aver paura, rimani dietro di me. Andrà tutto bene! Da adesso in poi, io sarò sempre al tuo fianco!" mi dice anche Camus, mentre l'immagine di mio nonno si sovrappone, per pochi istanti, a quella di lui.

"C-Camus, c-come puoi assicurarmi che..." tento di oppormi con tutte le mie forze, prima che un leggero scappellotto dietro la nuca, l'ennesimo, blocchi la mia frase.

"Dammi ascolto per una singola volta, ragazzina pestifera! - mi rivolge perfino un tono scherzoso nel cercare di tranquillizzarmi e alleggerire così la tensione - Rimani dietro di me, qualsiasi cosa accada. Non voglio che tu rimanga ferita, non... non potrei sopportarlo!” mi dice dolcemente, donandomi un'ultima occhiata d'intesa.

Lo vedo voltarsi, fiero, in direzione del nemico per affrontarlo; così come mio nonno aveva accettato con coraggio il suo destino.

Il mio cuore batte furioso, le palpebre mi pizzicano sempre di più mano a mano che lui si allontana da me per riprendere lo scontro. Non riesco a reagire, non riesco più a muovermi, come quella maledetta volta.

Ma... rispetto a quella volta, per favore, fa' che questa non sia l'ultima per Camus!

Rimango in piedi ad osservarlo, una mano premuta sul petto e il peso quasi interamente sulla gamba di sinistra. Nel frattempo il nemico, dopo una serie di colpi di tossi e grugniti spezzati, riesce infine a liberarsi dalla morsa dell’attacco di Camus proprio grazie ai lunghi artigli.

“E sia, avrei preferito non affrontare direttamente un Cavaliere d'Oro, ma combatterò comunque contro di te!” afferma l'essere, ghignando sinistramente nella sua direzione.

"Certo, è più comodo attaccare una ragazzina indifesa, vero? Mi aspettavo di avere davanti un vigliacco, ma non di questa risma!" ribatte senza un minimo di tentennamento Camus.

"Attento. Potrei sgozzarti come un maiale... con queste mie grinfie!!!" lo minaccia il nemico, paonazzo in volto, per poi lanciarsi immediatamente all'attacco.

"MAESTRO!" urlo, terrorizzata, percependo l'aggressività intrinseca dell'umanoide squilibrato.

Ma Camus, composto e tranquillo, attende pazientemente il suo avvicinarsi, prima di schivare il colpo all'ultimo con la grazia e l'eleganza del pattinatore provetto.

Un solo movimento, uno solo, basta per scansare la foga selvaggia del nemico, ed è già dietro di lui, pronto a colpirlo nel petto con un pugno potente che va immediatamente a segno.

"Guah! M-maledetto..." biascica il mostro, cadendo ginocchioni per terra in evidente difficoltà, prima di subire un altro pugno sotto il mento che lo fa praticamente volare via.

Rimango completamente carpita dai movimenti per nulla sprecati di Camus. Non un colpo a vuoto, non una azione non congetturata in precedenza. Grazia ed eleganza governano le sue movenze, unite ad una forza sovrumana e solenne. E'... è semplicemente magnifico!

Lo scontro prosegue tra colpi di aria congelante e artigliate, ma mentre i primi vanno quasi sempre a segno, i secondi non riescono a raggiungere il bersaglio, non avendo né la classe né la fierezza di quelli di Camus.

Io li seguo sempre più ammirata, del tutto a corto di fiato, quasi... galvanizzata!

“Uaaaargh!!!” guaisce ad un certo punto il nemico, sul punto di soccombere. Nulla può trovare una degna resistenza contro la 'Diamond Dust' lanciata dal sacro custode della Giara del Tesoro.

Cade il nemico, cade... sconfitto dalla potenza dei ghiacci eterni. Il risultato sembra ormai scontato, mi rilasso di conseguenza.

“Ho dosato la mia aria congelante per non causarti subito un danno mortale e poterti porre così alcune domande. - gli illustra intanto Camus, avvicinandosi notevolmente a lui, ormai certo della vittoria - Ordunque, chi ti manda? Chi è interessato a queste ragazze, oltre al tuo padrone Hades?!"

"Me-heheheeee!"

"Parla, avanti: non hai più molto tempo prima che il freddo raggiunga le tue vene e congeli completamente il tuo lurido sangue!” prosegue Camus, in tono aspro, stavolta innervosito dalle risate del nemico.

I muscoli tornano impercettibilmente a irrigidirsi. Assurdo che rida... è chiaramente ad un passo dalla morte, il corpo mezzo congelato ridotto ai minimi termini, e allora perché..?

“Ma che bravi, Cavalieri! Siete già riusciti a riconoscere uno dei tre cosmi. Non aspettatevi però che vi dica gli altri!” ribatte il tizio, perseguendo a ridacchiare come uno psicopatico. Compie uno strano movimento con la bocca, quasi stesse masticando qualcosa, ma non vedo bene dalla posizione in cui mi trovo.

"E ora finalmente capisco perché... proprio tu!" professa poi una frase ambigua, allargando il suo, già sinistro, sorriso.

Camus si insospettisce a sua volta, alza verticalmente il braccio sopra alla propria testa con l'ovvio intento di chiudere definitivamente lo scontro: "Se è così, non abbiamo più niente da dirci!”

La sua mano si ammanta istantaneamente di cristalli di ghiaccio mortali. Essi danzano fino a raggiungere il corpo del nemico, iniziando implacabilmente a ricoprirlo come a volerlo rivestire con una bara di cristallo che priva della vita.

Dentro di me immagino, in un brivido atroce di consapevolezza, il ghigno dell'avversario trasformarsi in una smorfia di orrore nel saggiare una fine che arriva con lentezza inesorabile, e invece... quello, non solo non smette nemmeno per un secondo di latrare dal ridere, divertito dalla faccenda, ma pure, con uno schiocco della lingua nel palato, spalanca completamente la bocca, rivelando così all'interno una capsula.

Il brivido atroce di consapevolezza si tramuta in uno spasmo di paura, e lo stesso prova Camus, a giudicare dallo sconvolgimento che, lo vedo bene anche da qui, sebbene mi dia le spalle, prende interamente il suo corpo. Fa quindi per attaccare in maniera più diretta, ma è tardi, la capsula viene rotta con un morso e, appena ingerito il liquido misterioso contenuto dentro, la corporeità stessa dell'umanoide svanisce in un istante, come risucchiata da un buco nero. Il colpo va irrimediabilmente a vuoto.

Ne rimane il silenzio, perfino il vento pare cristallizzarsi. Per un folle, lunghissimo, secondo, il pensiero che mi comanda è che si sia dato alla fuga per evitare di soccombere, ma è di breve durata, brevissima. Improvvisamente avverto la sua presenza incombere dietro di me, ho giusto il tempo per voltarmi parzialmente indietro che una sferzata potente, dell'intensità di una frusta, mi colpisce in pieno la guancia di sinistra.

"MARTA!"

Non ho tempo di difendermi. Dopo un breve volo finisco più in là, ruzzolando anche di diversi metri da quanta forza ha impresso nel colpo.

“Se non mi è possibile sconfiggerti, Acquario, allora ucciderò almeno la ragazza a cui tu sembri tenere così tanto!”

Sono intontita, non riesco a muovermi. Solo a fatica apro un occhio che mi mostra l'immagine di questo pazzo depravato con le unguicole sguainate della mano sinistra che si sta gettando come un kamikaze contro di me. Mi paralizzo completamente, il cuore nel petto batte talmente forte che odo solo quello. Nelle mie orecchie. Nelle mie vene. Nelle mie tempie.

No... mi ucciderà, non posso fare nulla per reagire, no, no, no, mi trapasserà il petto, mi taglierà la gola, mi...

"MUORI, RAGAZZINA!!!"

“NOOOOOOO!!!"

Un urlo angosciato al di fuori di me, poi il nulla, di nuovo. Il nulla...

Nel buio delle mie palpebre serrate rimango rannicchiata su me stessa, singhiozzando e maledicendo la mia sciocca ottusità. Se è vero che si muore come si vive, questo è il mio giusto pegno per aver sempre fatto di testa mia, ostinandomi a seguire le direttive del mio cervello, piuttosto che i consigli che mi venivano dati. E questo dolore così acuto dentro di me, nel mio petto, che si espande fino alla spalla e al braccio sinistro per poi tornare lacerante proprio in prossimità del cuore, come a compire un'eclittica che, raggiunto il suo massimo, lentamente si eclissa, portandosi via anche tutta la sofferenza che ne è derivata.

Realizzo che, in effetti, una volta raggiunto l'apice, tutto è in discesa. Il dolore cala, il respiro torna nei binari della regolarità, ed io... riapro a fatica gli occhi, meravigliandomi di essere ancora viva.

Capelli blu che ondeggiano appena davanti a me. Questa è la prima cosa che vedo e subito mi rincuora, mi fa sentire protetta. Stiro le labbra in un mezzo, quanto difficoltoso, sorriso, sforzandomi di far trapelare fuori la mia voce.

"M-maestro Camus, g-grazie, m-mi..."

PLINK, PLINK...

Un liquido sembra cadere da qualche parte nei dintorni, non ci do immediatamente peso, del tutto presa a convergere le mie forze per mettermi faticosamente a quattro zampe.

"Camus..."

Nessuna risposta.

"Maestro Camus?"

PLINK, PLINK, PLINK...

Il suono dello sgocciolare dell'acqua sembra farsi più intenso, quasi accelerasse. Non me ne capacito, ma alzo finalmente il capo davanti a me e...

"NOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!"

Un urlo dilaniante esce automaticamente dalla mia bocca. Sembra moltiplicarsi all'infinito, perdendosi poi nel cielo impietoso che non lo ascolterà. Gli occhi mi si spalancano in un un altro grido che tuttavia non trova sbocco, percuotendosi nella gola che prende a bruciare come se fosse fuoco.

No, no, no, questo... NO!

Camus ha subito il colpo al posto mio, sì è frapposto tra me e quelli artigli. Camus che fino a poco prima stava vincendo, e che ora è a soli pochi passi da me, le braccia spalancate a croce e le ginocchia piegate nella maestosità dell'albero che sta per cadere.

Un ghigno, quello del nemico, che dopo uno sbuffo, fa per retrocedere dalla sua posizione, ormai soddisfatto dal suo pieno operato.

"N-no, NO! F-fermo, non..." tento di oppormi, invano.

Le unghie gli vengono brutalmente estratte, la violenza è tale che degli schizzi cremisi imporporano la sabbia nelle vicinanze. Qualcosa si incrina paurosamente dentro di me.

Privo dell'unico fattore che lo teneva in piedi, Camus dell'Acquario cade; cade all'indietro, ma io, spinta più dalla disperazione che non da altro, con uno scatto, riesco a sorreggerlo quanto basta per accompagnarlo a terra ed evitargli almeno la caduta.

Sangue caldo mi insozza il braccio sinistro e cola giù, arrivando al polso, dove sgocciola a terra. Non c'è altro che sangue che sgorga dal suo petto, che scivola via come vita, come ossigeno, come speranza...

"C-Ca..."

Non termino la frase, quel qualcosa di prima si spezza definitivamente dentro di me, irreversibilmente. Le orecchie sibilano, la mente si appanna. L'ultima cosa che riesco ancora a distinguere, dopo che il volto di Camus si è reclinato mollemente da un lato, ormai privo di ogni volontà, è solo il suo torace orrendamente straziato dagli artigli del nemico.

  
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