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Autore: JackoSaint    02/04/2011    1 recensioni
"Vive cada dia como si fuera el ùltimo"
Vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo

Pamela Ruiz, ventenne, combatte da ormai tutta la vita contro l'androfobia. Più semplicemente, la paura per gli uomini. In una Siviglia contemporanea, un burrascoso passato macchiato d'indicibili sofferenze s'incontrerà con un presente fatto d'amore e di passione. Una rosa cremisi ed un paio di labbra rosso sanguigno segneranno per Pamela la rinascita.
(scritta da: Giorgia)
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Capricorn Shura, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 2: Vamos chicos!








Capitolo 1:
"Vamos chicos!"

Non mi piacevano i film d’amore e le soap opera in stile Beautiful. Ogni volta che accendevo la televisione e mi trovavo davanti un obbrobrio simile, giravo subito canale dopo aver imprecato con la solita frase: “Che cazzata”.

Quella mattina il rituale si ripeté: tazza di tè alle labbra, telecomando stretto nell’altra mano, mi si parò davanti una disgustosa scena d’amore. Girai canale quasi senza accorgermene.

- Che cazzata - .

- Cosa? – La mia nuova coinquilina, una certa Alina (non chiedetemi il cognome) si allungò dal cucinino per rivolgermi un’occhiata incuriosita.

- Niente, niente - .

Era passato un mese dall’ultimo incontro con la signora Ramìrez e il suo “piano” stava svolgendosi nella più totale legalità. O almeno, appena me lo illustrò io non fui d’accordo, ma alla fine mi vidi costretta ad accettare. Lo trovavo teneramente stupido. Idiota. La psicologa mi aveva affidato ad una ragazza poco più grande di me, Alina (poco più grande... oramai era trentenne!), che abitava da sola nella periferia di Siviglia. Questa era la parte migliore della sua idea; l’altra invece dovevo ancora digerirla.

Ci stavo riflettendo sopra quando Alina, ancora in vestaglia da notte, si sedette al tavolo poggiando lì sopra una grossa tazza di caffelatte. – Dormito bene? - .

- Uhm - .

- Devi venire oggi, vero? - .

Non farmelo ricordare. La guardai storto sorseggiando lentamente il tè. Annuii.

Non volevo parerle antipatica o asociale, solamente la mattina nessuno doveva chiedermi nulla. Ero acida come uno yogurt andato male.

Alina lo sapeva, per cui non mi chiese più nulla. La osservai mentre incominciava, come ogni sabato, a smanettare con il cordless per tempestare i suoi amici di chiamate.

Che chiamate stupide. Quella specie di ochetta si divertiva a fissare incontri, uscite serali, pizzate, il tutto senza nemmeno chiedermi se io fossi d’accordo a rimanere a casa da sola. Ma lei sapeva anche questo, sapeva che io non avrei mai accettato di andare con lei a quelle festicciole.

Per questo non mi dispiaceva nemmeno tanto, anche se mi dava un po’ fastidio il fatto che lei sapesse tutto di me. Tutto. Tutto sul mio passato, tutto sui miei segreti, tutto sulla mia intimità. La signora Ramìrez l’aveva messa al corrente della situazione in quanto “coinquilina e cara amica sua”. Come se tutte queste scuse bastassero per giustificare la sua presa di posizione.

Finito il solito giro di chiamate mattutine, Alina bevve velocemente tutto il caffelatte (ormai tiepido) ed alzandosi si legò i lunghi capelli castani in un’alta coda. Sorrise: - Pronta, allora? - .

Solo dopo alcuni secondi mi resi conto che il tè era finito e che quindi non potevo usufruire della scusa di sorseggiarlo per non guardarla. Alzai lo sguardo. – Abbastanza - .

- Abbastanza? – mi disse leggermente incredula e sinceramente divertita. Era così solare, così amichevole... eppure mi stava antipatica. – Hai avuto fortuna, Pamy. Molte ragazze vorrebbero essere al tuo posto - .

- Al mio posto... - .

- Intendo ora – Sorrise con più decisione andando in camera sua per vestirsi. Lasciò volontariamente la porta semiaperta, cosicché potesse continuare a parlare: - Ti troverai benissimo con noi! - .

Benissimo! Avrei preferito un centro accoglienza per profughi o una clinica ospedaliera o un collegio... tutto pur di non dover condividere tutti i sacrosanti sabato mattina con un uomo!

- Sai Pamy?, il fatto che la signora Ramìrez sia mia amica ti facilita parecchio! – Finalmente uscì dalla stanza, ancora a piedi scaldi ma completamente vestita. – Almeno non devi pagarti i corsi - .

- E’ gratis? - .

- Non lo sarebbe... ma per gli amici si chiude sempre un occhio! – Un po’ zampettando, Alina si infilò le ballerine ai piedi e poi trionfalmente mi guardò. 

Pausa di silenzio, poi lei:

- Su, che aspetti? Devi ancora cambiarti e dobbiamo essere là tra mezz’ora! - .

- Ci sarà anche la signora Ramìrez? - .

- Certo! - .

La cosa mi tirò su il morale. Poggiai la tazza sul tavolo e, scambiandole un fugace sorriso (ipocrita!), mi diressi in camera mia chiudendo la porta.

 

 

Non ci volevo andare. Era inutile, era più forte di me. Entrai in auto con una certa riluttanza mentre Alina si apprestava di già ad accendere il motore. Senza accorgermene mi ritrovai con le cinture di sicurezza ad inchiodarmi al sedile. Sobbalzai.

Maledetta Alina!

- Mai viaggiare senza queste! – canticchiò lei indicando ciò che ora mi impediva di fuggire a gambe levate. – Ed ora rilassati, venti minuti e siamo arrivati - .

Venti minuti! Solo venti minuti mi separavano dal mio orribile destino!

Percorso il viale ghiaiato, Alina si avventurò sulla strada ed io, tanto per distrarmi, abbassai lo specchietto per sistemarmi i capelli. Ed eccomi, il rosso autunno della mia chioma e gli occhi color castagna. Finii di sistemarmi la matita e il lucidalabbra, ma perché lo stavo facendo? I trucchi mi disgustavano. Certo, mi rincuorava vedere il volto di Alina truccato al massimo ed il mio più sobrio e naturale. Pregai Iddio di non prendere la sua stessa mania.

Restammo in silenzio parecchi minuti. Fu lei ad aprire bocca:

- Non sei curiosa? – .

- Curiosa di cosa? - .

- Di conoscere la compagnia - .

Mi strinsi nelle spalle. – L’idea non... non mi entusiasta - .

- Non ti entusiasta l’impegno con cui la signora Ramìrez si è sempre presa cura di te? - .

- Quello sì - .

Alina imboccò una strada sfortunatamente più trafficata, segno che ci stavamo avvicinando al centro di Siviglia e quindi alla nostra destinazione. Trattenni un conato di vomito e mi limitai a sorridere tiepidamente. – E’ sempre stata molto gentile con me - .

Lei annuì, felice di sentirmi parlare di mia iniziativa.

Ad un certo punto mise la freccia, svoltò a destra e poi ancora a destra.

Parcheggiò davanti ad un edificio di due piani, bianco come la schiuma del mare. Trattenni, questa volta, il pianto.

Non si mosse, Alina, solo spense il motore e restò a guardarmi. Per un momento ebbi paura di svenire. – Leandro è una uomo magnifico – mi disse dolcemente. – E’ un po’ più grande di te ma... - .

- Lo so - .

- Cosa? - .

- Che è più grande di me - .

Lei sorrise, questa volta un sorriso che mi fece piacere. - ...ma sarà un ottimo maestro. Sai chi è, no? - .

- ...Sì, vagamente – Lo ammetto, non ero un’appassionata di danza. Poche volte guardavo le gare di ballo perché poco mi interessavano. – Ne ho sentito parlare - .

Alina annuì. – E’ un ballerino molto famoso, oltre ad essere una persona dolce e comprensiva. Lo sarà ancora di più con te e lo sarò anche io - .

Cavolo, mi ero quasi scordata che quella papera dalle sembianze umane fosse l’assistente di Leandro. Okay, stavo pensando seriamente di fuggire. Ma che razza di idea aveva avuto la signora Ramìrez? Improvvisamente mi parve ancora più idiota di prima. – Ma io... – Mi bloccai: solo il pensiero di avvicinarmi ad un uomo, solo il pensiero delle sue mani sul mio corpo...

- Ma non devi avere paura – Mi mise una mano sulla gamba, continuando a sorridere. – Vedrai, ballare ti farà dimenticare tutto. So che può essere difficile per te all’inizio... - .

Non sai nulla...

- ...ma d’altronde il tango è un ballo a coppia e la signora Ramìrez ha avuto un’idea favolosa! - .

Mi ritrovai a sbuffare, non so se per paura o per evitare di dire qualcosa. Alina scese dall’auto, così io feci lo stesso.

 

 

La palestra (era una palestra, quella?) più che parere tale aveva le sembianze di un grande salone. L’entrata principale era posta tra piccoli spalti da cui si poteva avere una visione completa della stanza. Oltre i parapetti si stagliava una graziosa pista da ballo dalle piastrelle bianche e splendenti; e in alto, appesi ad un soffitto molto elevato, regnavano due grandi lampadari.

Restai imbambolata a guardarmi in giro, sempre vicinissima ad Alina, e solo in un secondo tempo notai quelli che sarebbero stati i miei compagni e compagne di danza: se se stavano sulla destra, chi seduto su delle panchine chi invece in piedi, a parlare animatamente tra loro. Analizzai i loro volti: antipatici.

Alina, notando il mio disorientamento, mi tese una mano. – Vieni Pamela - .

Mi sentii una bambina al primo giorno di scuola, quando la mamma ti accompagna in classe e tu trattieni a stento le lacrime. Stessa cosa.

Insieme scendemmo i gradini, mano nella mano, e solo in quel momento mi accorsi che ora alcuni si voltavano a guardarmi, non solo quelli che parevano i miei futuri “compagni”, ma anche un uomo e una donna poco più avanti. Il primo stava allacciandosi una scarpa ed era comodamente seduto alla panchina. L’altra, invece, era la signora Ramìrez, che gli era davanti e gli parlava agitando le braccia. Non capii di cosa stessero discutendo così animatamente, solo trattenei un singulto spaventato quando la mia psicologa mi notò e sorrise cautamente, cosa che attirò l’attenzione dell’uomo. Ma restò seduto, fortunatamente, e non seguì la signora Ramìrez che invece ora stava dirigendosi verso di noi.

- Carolina! – la salutò Alina vedendola avvicinarsi e quindi accogliendola con una poderosa stretta di mano. – Già qui? - .

- Non potevo permettermi ritardi - .

- Vedo che hai già conosciuto Leandro - .

- Leandro, sì – La signora Ramìrez mi donò un dolce sorriso, poi mi prese la mano rubandomi dai miei pensieri: mi ero scioccamente impalata ad osservare Leandro e il mio sguardo seguiva in modo assai curioso i movimenti delle sue mani che si prodigavano ad allacciare i lucidi mocassini neri.

- Sì? - .

- Pamy, come stai? - .

Che domanda idiota, non potrei stare peggio. Lanciai una veloce occhiata a Leandro, come per assicurarmi che stesse ben lontano da me, poi ritornai con gli occhi fissi sulla signora Ramìrez: - Bene, direi - .

- Ottimo – Allungò un braccio verso Leandro (e da quel momento capii che sarebbe stato lui la mia dannazione) e mi invitò a seguirla.

Te lo sogni, cara mia.

Guardai ancora Leandro, ora in piedi a guardare un po’ me, un po’ gli altri ragazzi del corso. La prima cosa che percepii, oltre ad uno spropositato senso di terrore, fu l’inquietudine: vedere quegli occhi, due pietre d’ebano incassate tra folte ciglia corvine, mi faceva sentire piccola ed indifesa; come sempre, d’altronde, ma quella volta mi sentii battuta in partenza.

Incoraggiata dalla signora Ramìrez e da Alina (non chiedetemi come e perché), mi decisi ad avvicinarmi, guardinga, a colui il quale da quel momento avrebbe rovinato le mie sonnacchiose mattine di inizio weekend; e più mi avvicinavo più mi sentivo fuoriposto, più lo vedevo vicino più cercavo di distogliere il mio sguardo dal suo. Nonostante i miei sforzi, non ci riuscii.

- Leandro – lo salutò Alina con un sorriso che mi parve troppo intimo per essere soltanto amichevole.

Lui schiuse le labbra sanguigne in un leggero sorriso, sorriso con cui silenziosamente la congedò invitandola con lo sguardo a raggiungere gli altri allievi.

Mi sentii come un soldato che combatte senza scudo: “leggermente” indifesa. Feci per aprire bocca e sussurrare un “mi sento poco bene” con l’intenzione di darmi alla fuga, ma la signora Ramìrez mi precedette:

- Pamela, lui è Leandro Alvarez. Sarà il tuo insegnante di ballo a tempo indeterminato - .

A tempo indeterminato? Stai scherzando, vero??

Le parole mi morirono in bocca appena lui prese l’iniziativa. Mi guardò poco, sembrava non volesse farmi sentire in imbarazzo. – La tratterò con dovuto riguardo, signora Ramìrez. Non si preoccupi - .

La sua voce, un sussurrio a malapena accennato. Tutto in lui suggeriva attenzione e cautela... probabilmente sapeva tutto di me, probabilmente era stato informato. Mai una volta che potessi avere l’occasione di raccontare io la mia vita agli altri. Maledette psicologhe!

- Di questo ne sono sicura – fu la risposta della signora Ramìrez, dopodiché mi concesse un materno sorriso. – Ti verrò a prelevare tra due ore, Pamy. Se hai bisogno puoi pure chiamarmi - .

Mi... mi lasciava sola? No, non poteva lasciarmi sola! La guardai confusa, poi rivolsi un’occhiata intimidita a Leandro: nonostante il modo garbato con cui fino ad ora si era comportato, mi incuteva un certo timore a partire dal fatto che fosse piuttosto alto; ma non solo per quello, certo. – Ma- - .

- Tranquilla – E così, senza aggiungere altro, si congedò ed imboccò un corridoio tra gli spalti.

Leandro non disse nulla e, guardandomi un’ultima volta, girò elegantemente sui tacchi e batté le mani due o tre volte come per richiamare l’attenzione: - Vamos chicos! - .

E la mia prima lezione di danza incominciò.


Ehm ehm... eccoci al secondo capitolo! Non so dirvi quanti saranno in tutto, però ho molte idee in mente su questa fic... spero di riuscire a metterle dentro tutte senza fare casini! XD

Alle recensioni risponderò in forma privata, col tempo mi sono convinta che la cosa è più ordinata e soprattutto più "intima" tra scrittore e lettore ^^"

A presto gente, e grazie!

Gio


   
 
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