"Vamos chicos!"
Non mi piacevano i film
d’amore e le soap opera in stile Beautiful. Ogni volta che accendevo la
televisione e mi trovavo davanti un obbrobrio simile, giravo subito canale dopo
aver imprecato con la solita frase: “Che cazzata”.
Quella mattina il rituale si
ripeté: tazza di tè alle labbra, telecomando stretto nell’altra mano, mi si
parò davanti una disgustosa scena d’amore. Girai canale quasi senza
accorgermene.
- Che cazzata - .
- Cosa? – La mia nuova
coinquilina, una certa Alina (non chiedetemi il cognome) si allungò dal
cucinino per rivolgermi un’occhiata incuriosita.
- Niente, niente - .
Era passato un mese
dall’ultimo incontro con la signora Ramìrez e il suo “piano” stava svolgendosi
nella più totale legalità. O almeno, appena me lo illustrò io non fui
d’accordo, ma alla fine mi vidi costretta ad accettare. Lo trovavo teneramente
stupido. Idiota. La psicologa mi aveva affidato ad una ragazza poco più grande
di me, Alina (poco più grande... oramai era trentenne!), che abitava da sola
nella periferia di Siviglia. Questa era la parte migliore della sua idea;
l’altra invece dovevo ancora digerirla.
Ci stavo riflettendo sopra
quando Alina, ancora in vestaglia da notte, si sedette al tavolo poggiando lì
sopra una grossa tazza di caffelatte. – Dormito bene? - .
- Uhm - .
- Devi venire oggi, vero? - .
Non farmelo ricordare. La
guardai storto sorseggiando lentamente il tè. Annuii.
Non volevo parerle antipatica
o asociale, solamente la mattina nessuno doveva chiedermi nulla. Ero acida come
uno yogurt andato male.
Alina lo sapeva, per cui non
mi chiese più nulla. La osservai mentre incominciava, come ogni sabato, a
smanettare con il cordless per tempestare i suoi amici di chiamate.
Che chiamate stupide. Quella
specie di ochetta si divertiva a fissare incontri, uscite serali, pizzate, il
tutto senza nemmeno chiedermi se io fossi d’accordo a rimanere a casa da sola.
Ma lei sapeva anche questo, sapeva che io non avrei mai accettato di andare con
lei a quelle festicciole.
Per questo non mi dispiaceva
nemmeno tanto, anche se mi dava un po’ fastidio il fatto che lei sapesse tutto
di me. Tutto. Tutto sul mio passato,
tutto sui miei segreti, tutto sulla mia intimità. La signora Ramìrez l’aveva
messa al corrente della situazione in quanto “coinquilina e cara amica sua”.
Come se tutte queste scuse bastassero per giustificare la sua presa di
posizione.
Finito il solito giro di
chiamate mattutine, Alina bevve velocemente tutto il caffelatte (ormai tiepido)
ed alzandosi si legò i lunghi capelli castani in un’alta coda. Sorrise: - Pronta, allora? - .
Solo dopo alcuni secondi mi
resi conto che il tè era finito e che quindi non potevo usufruire della scusa
di sorseggiarlo per non guardarla. Alzai lo sguardo. – Abbastanza - .
- Abbastanza? – mi disse
leggermente incredula e sinceramente divertita. Era così solare, così
amichevole... eppure mi stava antipatica. – Hai avuto fortuna, Pamy. Molte
ragazze vorrebbero essere al tuo posto - .
- Al mio posto... - .
- Intendo ora – Sorrise con
più decisione andando in camera sua per vestirsi. Lasciò volontariamente la
porta semiaperta, cosicché potesse continuare a parlare: - Ti troverai
benissimo con noi! - .
Benissimo! Avrei preferito un
centro accoglienza per profughi o una clinica ospedaliera o un collegio...
tutto pur di non dover condividere tutti i sacrosanti sabato mattina con un
uomo!
- Sai Pamy?, il fatto che la
signora Ramìrez sia mia amica ti facilita parecchio! – Finalmente uscì dalla
stanza, ancora a piedi scaldi ma completamente vestita. – Almeno non devi
pagarti i corsi - .
- E’ gratis? - .
- Non lo sarebbe... ma per gli
amici si chiude sempre un occhio! – Un po’ zampettando, Alina si infilò le
ballerine ai piedi e poi trionfalmente mi guardò.
Pausa di silenzio, poi lei:
- Su, che aspetti? Devi ancora
cambiarti e dobbiamo essere là tra mezz’ora! - .
- Ci sarà anche la signora
Ramìrez? - .
- Certo! - .
La cosa mi tirò su il morale.
Poggiai la tazza sul tavolo e, scambiandole un fugace sorriso (ipocrita!), mi
diressi in camera mia chiudendo la porta.
Non ci volevo andare. Era
inutile, era più forte di me. Entrai in auto con una certa riluttanza mentre
Alina si apprestava di già ad accendere il motore. Senza accorgermene mi
ritrovai con le cinture di sicurezza ad inchiodarmi al sedile. Sobbalzai.
Maledetta Alina!
- Mai viaggiare senza queste!
– canticchiò lei indicando ciò che ora mi impediva di fuggire a gambe levate. –
Ed ora rilassati, venti minuti e siamo arrivati - .
Venti minuti! Solo venti
minuti mi separavano dal mio orribile destino!
Percorso il viale ghiaiato,
Alina si avventurò sulla strada ed io, tanto per distrarmi, abbassai lo
specchietto per sistemarmi i capelli. Ed eccomi, il rosso autunno della mia
chioma e gli occhi color castagna. Finii di sistemarmi la matita e il
lucidalabbra, ma perché lo stavo facendo? I trucchi mi disgustavano. Certo, mi
rincuorava vedere il volto di Alina truccato al massimo ed il mio più sobrio e
naturale. Pregai Iddio di non prendere la sua stessa mania.
Restammo in silenzio parecchi
minuti. Fu lei ad aprire bocca:
- Non sei curiosa? – .
- Curiosa di cosa? - .
- Di conoscere la compagnia -
.
Mi strinsi nelle spalle. –
L’idea non... non mi entusiasta - .
- Non ti entusiasta l’impegno
con cui la signora Ramìrez si è sempre presa cura di te? - .
- Quello sì - .
Alina imboccò una strada
sfortunatamente più trafficata, segno che ci stavamo avvicinando al centro di
Siviglia e quindi alla nostra destinazione. Trattenni un conato di vomito e mi
limitai a sorridere tiepidamente. – E’ sempre stata molto gentile con me - .
Lei annuì, felice di sentirmi
parlare di mia iniziativa.
Ad un certo punto mise la
freccia, svoltò a destra e poi ancora a destra.
Parcheggiò davanti ad un
edificio di due piani, bianco come la schiuma del mare. Trattenni, questa
volta, il pianto.
Non si mosse, Alina, solo
spense il motore e restò a guardarmi. Per un momento ebbi paura di svenire. –
Leandro è una uomo magnifico – mi disse dolcemente. – E’ un po’ più grande di
te ma... - .
- Lo so - .
- Cosa? - .
- Che è più grande di me - .
Lei sorrise, questa volta un
sorriso che mi fece piacere. - ...ma sarà un ottimo maestro. Sai chi è, no? - .
- ...Sì, vagamente – Lo
ammetto, non ero un’appassionata di danza. Poche volte guardavo le gare di
ballo perché poco mi interessavano. – Ne ho sentito parlare - .
Alina annuì. – E’ un ballerino
molto famoso, oltre ad essere una persona dolce e comprensiva. Lo sarà ancora
di più con te e lo sarò anche io - .
Cavolo, mi ero quasi scordata
che quella papera dalle sembianze umane fosse l’assistente di Leandro. Okay,
stavo pensando seriamente di fuggire. Ma che razza di idea aveva avuto la
signora Ramìrez? Improvvisamente mi parve ancora più idiota di prima. – Ma
io... – Mi bloccai: solo il pensiero di avvicinarmi ad un uomo, solo il
pensiero delle sue mani sul mio corpo...
- Ma non devi avere paura – Mi
mise una mano sulla gamba, continuando a sorridere. – Vedrai, ballare ti farà
dimenticare tutto. So che può essere difficile per te all’inizio... - .
Non
sai nulla...
- ...ma d’altronde il tango è
un ballo a coppia e la signora Ramìrez ha avuto un’idea favolosa! - .
Mi ritrovai a sbuffare, non so
se per paura o per evitare di dire qualcosa. Alina scese dall’auto, così io
feci lo stesso.
La palestra (era una palestra,
quella?) più che parere tale aveva le sembianze di un grande salone. L’entrata
principale era posta tra piccoli spalti da cui si poteva avere una visione
completa della stanza. Oltre i parapetti si stagliava una graziosa pista da
ballo dalle piastrelle bianche e splendenti; e in alto, appesi ad un soffitto
molto elevato, regnavano due grandi lampadari.
Restai imbambolata a guardarmi
in giro, sempre vicinissima ad Alina, e solo in un secondo tempo notai quelli
che sarebbero stati i miei compagni e compagne di danza: se se stavano sulla
destra, chi seduto su delle panchine chi invece in piedi, a parlare
animatamente tra loro. Analizzai i loro volti: antipatici.
Alina, notando il mio
disorientamento, mi tese una mano. – Vieni Pamela - .
Mi sentii una bambina al primo
giorno di scuola, quando la mamma ti accompagna in classe e tu trattieni a
stento le lacrime. Stessa cosa.
Insieme scendemmo i gradini,
mano nella mano, e solo in quel momento mi accorsi che ora alcuni si voltavano
a guardarmi, non solo quelli che parevano i miei futuri “compagni”, ma anche un
uomo e una donna poco più avanti. Il primo stava allacciandosi una scarpa ed
era comodamente seduto alla panchina. L’altra, invece, era la signora Ramìrez,
che gli era davanti e gli parlava agitando le braccia. Non capii di cosa stessero
discutendo così animatamente, solo trattenei un singulto spaventato quando la
mia psicologa mi notò e sorrise cautamente, cosa che attirò l’attenzione dell’uomo.
Ma restò seduto, fortunatamente, e non seguì la signora Ramìrez che invece ora
stava dirigendosi verso di noi.
- Carolina! – la salutò Alina
vedendola avvicinarsi e quindi accogliendola con una poderosa stretta di mano. –
Già qui? - .
- Non potevo permettermi
ritardi - .
- Vedo che hai già conosciuto
Leandro - .
- Leandro, sì – La signora
Ramìrez mi donò un dolce sorriso, poi mi prese la mano rubandomi dai miei
pensieri: mi ero scioccamente impalata ad osservare Leandro e il mio sguardo
seguiva in modo assai curioso i movimenti delle sue mani che si prodigavano ad
allacciare i lucidi mocassini neri.
- Sì? - .
- Pamy, come stai? - .
Che domanda idiota, non potrei
stare peggio. Lanciai una veloce occhiata a Leandro, come per assicurarmi che
stesse ben lontano da me, poi ritornai con gli occhi fissi sulla signora
Ramìrez: - Bene, direi - .
- Ottimo – Allungò un braccio
verso Leandro (e da quel momento capii che sarebbe stato lui la mia dannazione)
e mi invitò a seguirla.
Te lo sogni, cara mia.
Guardai ancora Leandro, ora in
piedi a guardare un po’ me, un po’ gli altri ragazzi del corso. La prima cosa
che percepii, oltre ad uno spropositato senso di terrore, fu l’inquietudine:
vedere quegli occhi, due pietre d’ebano incassate tra folte ciglia corvine, mi
faceva sentire piccola ed indifesa; come sempre, d’altronde, ma quella volta mi
sentii battuta in partenza.
Incoraggiata dalla signora
Ramìrez e da Alina (non chiedetemi come e perché), mi decisi ad avvicinarmi,
guardinga, a colui il quale da quel momento avrebbe rovinato le mie
sonnacchiose mattine di inizio weekend; e più mi avvicinavo più mi sentivo
fuoriposto, più lo vedevo vicino più cercavo di distogliere il mio sguardo dal
suo. Nonostante i miei sforzi, non ci riuscii.
- Leandro – lo salutò Alina
con un sorriso che mi parve troppo intimo per essere soltanto amichevole.
Lui schiuse le labbra
sanguigne in un leggero sorriso, sorriso con cui silenziosamente la congedò
invitandola con lo sguardo a raggiungere gli altri allievi.
Mi sentii come un soldato che
combatte senza scudo: “leggermente” indifesa. Feci per aprire bocca e sussurrare
un “mi sento poco bene” con l’intenzione di darmi alla fuga, ma la signora
Ramìrez mi precedette:
- Pamela, lui è Leandro
Alvarez. Sarà il tuo insegnante di ballo a tempo indeterminato - .
A
tempo indeterminato? Stai scherzando, vero??
Le parole mi morirono in bocca
appena lui prese l’iniziativa. Mi guardò poco, sembrava non volesse farmi
sentire in imbarazzo. – La tratterò con dovuto riguardo, signora Ramìrez. Non
si preoccupi - .
La sua voce, un sussurrio a
malapena accennato. Tutto in lui suggeriva attenzione e cautela...
probabilmente sapeva tutto di me, probabilmente era stato informato. Mai una
volta che potessi avere l’occasione di raccontare io la mia vita agli altri.
Maledette psicologhe!
- Di questo ne sono sicura –
fu la risposta della signora Ramìrez, dopodiché mi concesse un materno sorriso.
– Ti verrò a prelevare tra due ore, Pamy. Se hai bisogno puoi pure chiamarmi -
.
Mi... mi lasciava sola? No,
non poteva lasciarmi sola! La guardai confusa, poi rivolsi un’occhiata
intimidita a Leandro: nonostante il modo garbato con cui fino ad ora si era
comportato, mi incuteva un certo timore a partire dal fatto che fosse piuttosto
alto; ma non solo per quello, certo. – Ma- - .
- Tranquilla – E così, senza
aggiungere altro, si congedò ed imboccò un corridoio tra gli spalti.
Leandro non disse nulla e,
guardandomi un’ultima volta, girò elegantemente sui tacchi e batté le mani due
o tre volte come per richiamare l’attenzione: - Vamos chicos! - .
E la mia prima lezione di danza incominciò.
Ehm ehm... eccoci al secondo capitolo! Non so dirvi quanti saranno in tutto, però ho molte idee in mente su questa fic... spero di riuscire a metterle dentro tutte senza fare casini! XD
Alle recensioni risponderò in forma privata, col tempo mi sono convinta che la cosa è più ordinata e soprattutto più "intima" tra scrittore e lettore ^^"
A presto gente, e grazie!
Gio