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Autore: Feel Good Inc    05/04/2011    4 recensioni
La macchina giunse a destinazione ed Aerith portò il piede sul freno così bruscamente che, non fosse stato per la cintura di sicurezza, sarebbe finita sul parabrezza a fare compagnia ai tergicristalli. Tirò il freno a mano e si fiondò fuori senza neppure spegnere il motore, subito imitata da Cloud, con la pistola pronta in pugno già da un pezzo.
Percorsero in fretta lo slargo costeggiato di siepi, e raggiunsero il cortile su cui si affacciava il portone principale dello stabile. Cloud imprecò ad alta voce.
«Merda...»
La sagoma massiccia dell’agente Lexaeus giaceva immobile davanti a loro, e il chiarore della luna inargentava il rosso del suo sangue mescolato all’erba verdissima del giardino da anni abbandonato a se stesso.

* * *
«Entra e fammi vedere.»
«Ma allora avevo ragione.» Axel sogghignò di nuovo, puntando il gomito destro sul davanzale e guardandolo con malizia. «Vuoi
davvero giocare al dottore.»
Roxas si sentì arrossire. «Sei proprio un idiota.»
«Grazie, bimbo, anche tu non sei male.»
Si tirò su ed entrò dalla finestra. Una volta posati i piedi a terra, si guardò intorno ostentando indifferenza – ma Roxas notò che il suo viso era decisamente pallido. Lasciò scivolare il cappotto sul pavimento.
Un tonfo metallico.
Roxas guardò interrogativamente prima il viso impassibile di Axel, poi il punto in cui l’indumento aveva toccato terra. Da una tasca sbucavano pochi centimetri di qualcosa di lucido e scuro.
La canna di una pistola.

* * *
Quando un adolescente in fuga dalla legge si nasconde in un condominio in cui vive un ragazzino che si ostina a fuggire dal suo passato, e quando le loro storie s'intrecciano a quella di una ragazza che torna da un posto che è lontano in tutti i sensi, ci si accorge che qualche volta bene e male non esistono. Esiste solo il destino.
{ AkuRoku; accenni SoKai, MaruDem, RokuNami, CloudAerith, Sorpresa }
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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24

Di miracoli e verità

 

 

 

Il pozzo buio nella sua mente si diradò, a poco a poco, e in qualche modo Roxas capì che stava tornando alla vita.

Dapprima fu solo un vago odore di disinfettante. Poi un brusio sommesso, un bip appena accennato. Infine un chiarore che si faceva strada sotto le palpebre chiuse.

Cosa gli era successo? L’ultima cosa che ricordava era quella sensazione di freddo, e il dolore al fianco, e il sangue e...

«... Andrà tutto bene. Non ti lascio andare via...»

Aprì gli occhi.

Una stanza bianca, un letto d’ospedale.

Di colpo gli sembrò di essere tornato indietro di due anni, al momento in cui si era svegliato dopo l’incidente che gli era costato due gambe e una famiglia. Che strano, però. Non aveva più pensato neanche per un attimo al suo passato da quando si era alzato dal letto e aveva deciso di affrontare il presente...

Il ricordo improvviso, unito ad un pungente senso di colpa per l’averlo accantonato per qualche ora, lo colpì forte al punto da fargli accelerare il cuore. E se quel battito era una conferma ulteriore al fatto che era vivo, sul momento non avrebbe saputo dire se fosse una buona o una brutta cosa.

Il bip di poco prima si intensificò. Voltando la testa capì che il macchinario che vedeva confusamente accanto al letto era in realtà il monitor che teneva sotto controllo la sua vita.

«Ah, bene. Ti sei svegliato, Roxas

Una voce sconosciuta introdusse una presenza nel suo campo visivo.

Roxas batté le palpebre per schiarirsi la vista e individuò un medico molto giovane, con in volto un sorriso che pareva sincero e non di circostanza.

«Mi chiamo Squall Leonhart e sono il chirurgo che ti ha operato. Desolato per l’intrusione; ma volevo essere presente, quando avessi aperto gli occhi.» Accostò una seggiola di plastica al letto e vi sedette. «Come ti senti?»

Il ragazzo ci pensò su per un attimo. Non sentiva un particolare dolore; ma era come se tutta la parte sinistra del corpo gli mancasse. Si portò la mano destra alla testa ancora così confusa, e nel farlo si accorse dell’ago di una flebo nel braccio.

«Non...» esordì, ma la sua voce si perse da qualche parte sotto il lenzuolo.

Il medico sollevò subito una mano per interromperlo.

«Perdonami. Non parlare, sei ancora debole. Lascia che ti rassicuri: non hai perso sensibilità nella parte sinistra, sono solo gli effetti dell’anestesia prolungata. È stata una lunga battaglia, ma ce l’abbiamo fatta.» Gli sorrise di nuovo. «La prontezza dei tuoi amici ti ha probabilmente salvato la vita. Sei fortunato.»

Roxas guardò il soffitto.

Amici.

Amici che credeva di aver perso da tempo.

Se non fosse stato per Axel...

«Ascoltami» riprese il dottor Leonhart, «so che non dovrei dirtelo ora, che è ancora presto per le forti emozioni... Ma credo sia meglio approfittare di questo momento in cui ancora riesco a tenere a bada tuo fratello e gli altri. Devo parlarti di una cosa che devi essere il primo a sapere, da solo. Per questo ho aspettato che ti svegliassi... D’altro canto, ho la sensazione che tu sia un ragazzo forte. Ne hai decisamente passate tante – troppe, forse, per lasciarti impressionare da quanto sto per dirti.»

Roxas spostò di nuovo gli occhi su di lui. Ora come ora, non si sentiva in grado di emozionarsi per nulla. E per quanto riguardava l’essere forte, beh...

Aspettò che l’uomo continuasse, e gradualmente vide rinascere il sorriso di poco prima.

«Come ti dicevo, è stata una lunga lotta, ma ci ha lasciato intravedere anche delle speranze future. Il proiettile che ti ha colpito ha quasi sfiorato la tua colonna vertebrale, così che abbiamo potuto constatare alcune cose.» S’interruppe, dandogli il tempo di assimilare le idee. «Non voglio annoiarti con inutili nozioni tecniche, perciò verrò subito al punto. Roxas, ci sono serie probabilità che tu possa tornare a camminare.»

Il ragazzo lo fissò, senza sapere bene come prendere la rivelazione.

Una parte di lui avrebbe voluto credergli, tanto.

Un’altra aveva voglia di ridergli in faccia, e forse se non si fosse sentito così esausto l’avrebbe fatto.

Squall Leonhart si alzò all’improvviso.

«Ci credi ai miracoli, Roxas

Quella domanda lo sorprese. Studiò per un attimo il suo volto gentile, i lineamenti vagamente duri di un giovane francamente buono, e cominciò a riflettere.

Sua madre aveva cercato di trasmettergli alcune delle sue credenze cattoliche, ma lui non aveva mai avuto un’idea precisa della religione. Sentiva che c’era qualcosa, qualcosa che l’uomo non avrebbe potuto spiegarsi neppure tra un milione di anni; ma così come non sapeva definirlo, non sapeva nemmeno identificarlo. Perciò adesso non aveva idea di come rispondere al medico.

Si strinse nelle spalle, sperando che lui capisse. E lui capì.

«Quello che ti è successo oggi è qualcosa che gli si avvicina molto, te l’assicuro. Sotto molti aspetti.»

L’uomo voltò le spalle e fece per allontanarsi. Roxas si sentiva troppo provato per mettersi a riflettere sulle sue parole; subito dopo lo vide girarsi di nuovo verso di lui.

«In altre circostanze non te lo chiederei, ma... Desideri vedere subito qualcuno? Tuo fratello, forse?»

Il ragazzo chiuse gli occhi per un attimo.

Un riflesso di verde.

«... Non ti lascio andare via...»

Riaprì gli occhi e prese fiato. «C’è Axel

Leonhart gli tornò accanto, evitandogli di alzare troppo la voce. «Il ragazzo che ha aspettato l’ambulanza con te?»

Roxas annuì.

«In questo momento un tenente della polizia lo sta interrogando. Ma gli farò sapere al più presto che sei sveglio, d’accordo? E anche a tutti gli altri, se per te va bene.»

Lui annuì di nuovo.

«Grazie» mormorò. «Per tutto.»

«Non ringraziarmi. È il mio lavoro.» Il giovane chirurgo gli posò una mano su una spalla. «Nessuno merita di vivere quello che hai vissuto tu. Prendi questo momento come una rivalsa personale sul destino. E adesso riposati.»

Lo seguì con lo sguardo mentre attraversava la stanza, apriva una porta e spariva in un corridoio, in un’altra camera, in un’altra vita e forse in un’altra bella notizia.

Poi chiuse di nuovo gli occhi e sciolse le briglie dei pensieri, cercando di scuotersi dalla spossatezza.

Non si soffermò sulla notizia datagli dal medico, sull’eventualità di tornare a reggersi in piedi. In quel momento gli appariva un’ipotesi troppo remota, troppo inconcepibile. Addirittura superflua.

Si concentrò invece su ciò che gli aveva appena detto di Axel.

Un tenente della polizia...

Evidentemente, uno sparo ad un ragazzo disabile era un fatto su cui indagare. Per la prima volta dal momento in cui aveva perso i sensi, Roxas pensò allo sparo in sé: era stato uno dei vecchi ‘amici’ di Axel a ridurlo in quello stato? Probabilmente sì... Strano, la cosa non gli faceva un grande effetto.

Tutto ciò cui in effetti riusciva a pensare era che, a meno che non avesse cambiato idea, Axel stava per confessare alla polizia il modo in cui aveva vissuto negli ultimi due mesi, e che a quel punto sarebbe andato incontro al suo destino, alla sua personale pena da scontare.

Quando gli aveva comunicato la sua decisione non ci aveva pensato. Ma ora quella domanda lo torturava.

Cosa gli avrebbero fatto?

La stanchezza cominciò ad avere la meglio; il suo respiro si fece più regolare. Prima di addormentarsi risentì all’orecchio le parole di Squall Leonhart.

«Ci credi ai miracoli, Roxas?»

Forse era stato un miracolo a farlo alzare quella mattina e a riportarlo da Hayner e gli altri.

Forse era stato un miracolo a salvargli la vita salvandolo per prima cosa da se stesso.

No. Era stato Axel...

Avvertì all’improvviso una strana sensazione di calore sulle labbra, che non seppe spiegarsi; infine scivolò di nuovo nel sonno ristoratore.

 

 

* * *

 

 

Tifa Lockhart sedeva su una poltroncina in una saletta vuota, attigua a quella in cui aveva trovato la persona che stava cercando – che adesso era seduta di fronte a lei e, senza schermi e senza freni, le stava dando tutto quello che lei voleva. La verità.

Si sporse in avanti verso l’adolescente. «Credi che Marluxia abbia sparato al tuo amico per sbaglio?»

Axel sollevò da terra gli occhi verdissimi e, senza cambiare posizione, le sorrise amaramente di sotto in su.

«Lei crede che si sarebbe fatto scrupoli a sparare a me, dopo aver sbagliato mira?»

Tifa sospirò. Capiva perfettamente. Come lei stessa aveva detto poche ore prima ad Aerith e Cloud, quel bastardo era uno che faceva le cose per bene.

Axel non aspettò una risposta e tornò a scrutarsi i piedi. «Adesso immagino di dover venire con lei al commissariato o dove accidenti è.»

Il tenente Lockhart incrociò le braccia. «Immagini bene.»

Il ragazzo annuì. Poi la guardò negli occhi.

«Posso chiederle un favore?»

«Quale favore?»

«Il tempo di vedere Roxas e di assicurarmi che torni a casa presto.»

Tifa ricambiò lo sguardo. Quelli erano occhi maledetti, occhi che avevano visto il brutto della vita, quello vero, quello che andava ben oltre una turpe e meschina faccenda di droga, senza la paura o il rimorso di sguazzarci in mezzo. Occhi che però avevano fatto una scelta, occhi che non avevano più niente da perdere. E in quegli occhi vide la sincerità e il bisogno di quell’ultima e unica richiesta appena formulata.

Distolse i suoi.

«Forse passerò dei guai per questo.» Si alzò. «Vedremo. Comunque sappi che ti tengo d’occhio.»

Prima di uscire dalla stanza, vide di sfuggita che Axel chinava di nuovo il capo, le spalle mosse da un sospiro silenzioso. Si chiese se avesse ancora da qualche parte la capacità di piangere.

Tifa si chiuse la porta alle spalle, si avviò lungo il corridoio asettico dell’ospedale ed estrasse il cellulare da una tasca. Non le restava che da fare una telefonata.

 

 

* * *

 

 

In tanti anni di lavoro nelle prigioni di Stato, Cid Highwind non aveva mai visto un prigioniero più strano.

Tanto per cominciare, aveva un’aria distinta e colta, una faccia che sarebbe stata più adatta ad un rappresentante o a un altro riccastro del genere piuttosto che al criminale che era in realtà. Così impettito, così elegante. I capelli tinti, la pelle liscia. Per non parlare della camminata.

Capì subito che quell’individuo gli sarebbe sempre stato sul cazzo.

«Allora, posso vedere la mia cella?»

L’uomo gli sorrideva come se niente fosse, neanche parlasse di una suite di un albergo a cinque stelle appena pagata sull’unghia. Cid si chiese se c’era o ci faceva.

«Sei davvero così impaziente di finire in gattabuia?»

Il tizio scosse la testa, disinvolto. «Tutt’altro. Ma sa, non voglio farle perdere tempo.»

Sorrise di nuovo, e Cid ebbe la certezza che lo stesse spudoratamente prendendo per il culo.

Con un sogghigno crudele, gli aprì la porta del corridoio. «Ma prego, vossignoria Testa-di-cazzo. Da questa parte.»

Per nulla impressionato, quello lo precedette lungo la fila di celle da cui si affacciavano molte facce divertite e altre poco raccomandabili e alcune che erano tutte e due le cose insieme.

«Guardate, questo qui ha la puzza sotto il naso.»

«Che bel faccino.»

«Meglio che stia alla larga se vuole tenerselo com’è.»

Risate sguaiate da tutte le parti. Cid vi si unì, ma il suo bislacco compagno non fece una piega.

Si fermarono davanti a una cella vuota. La guardia prese una chiave dal mazzo e l’aprì, quindi si produsse in un inchino esagerato.

«Vi prego, vossignoria, entrate nella vostra nuova dimora. Spero che non soffrirete di solitudine. I ratti dovrebbero risolvere il problema, vi pare?»

Il prigioniero che, gli avevano detto, portava il nome di Marluxia entrò nella cella e si guardò intorno con aria indifferente.

Cid era ben deciso a vendicarsi dell’irritante ironia di poco prima, e continuò a punzecchiarlo.

«Non mi rispondete, mio caro? Ma questo significa che non avete più nemmeno l’arma della parola. Vi hanno sequestrato anche quella, insieme alla robaccia di merda che vi piace dare ai ragazzini?»

L’altro si voltò di nuovo a guardarlo e sorrise.

«Lei non può capire. Chi è solo, sa quando è il caso di calare le sue armi. Tutte quante.»

Cid rimase per un attimo perplesso. Quindi sbuffò, chiuse violentemente la grata della cella e fece segno alle due guardie che erano con lui di seguirlo.

«Venite, lasciamo il signor Testa-di-cazzo alla sua filosofia da quattro soldi.»

Si allontanarono lungo il corridoio, lasciandosi alle spalle un uomo solo e ormai impotente, ma che aveva trovato comunque il modo di mettere a tacere la lingua notoriamente biforcuta di Cid Highwind.

 

 

* * *

 

 

Demyx riagganciò e rimase a fissare il telefono come se fosse un’innovazione tecnologica mai vista prima.

E così, era finita.

Possibile che Marluxia si fosse arreso così presto?

Si allontanò lentamente dall’apparecchio e si lasciò cadere a sedere sul letto.

L’avevano preso. Aveva confessato. E lui, una volta scontata la sua parte di pena, sarebbe stato libero di uscire di nuovo.

Soprattutto, lei era salva.

Un piccolo sorriso gli si affacciò alle labbra a quel pensiero. Si disse che alla fine era solo quello a contare. E che era davvero una bella sensazione, sentire di aver fatto finalmente una cosa giusta.

Non aveva più voglia di espiare con la morte. Ora sapeva che gli era rimasta una cosa da fare, quella più importante.

L’avrebbe ritrovata. E, a distanza di sette anni, avrebbe mantenuto una promessa.

 

 

 

 

 

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Due settimane di puro inferno, tra problemi di salute e di studio e di familiari impazziti… So che suona banale, ma vi chiedo umilmente scusa per la sparizione. Spero non accadrà più ç///ç

Ringrazio davvero tutti i miei lettori; chi inserisce la storia tra le preferite/ricordate/seguite; chi puntualmente commenta con una gentilezza quasi disumana – vi voglio bene, non so cosa farei senza il vostro entusiasmo! <3

E spero soprattutto di non farvi più aspettare tanto, a partire dal prossimo aggiornamento ^^’

Aya ~

   
 
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