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Autore: moira78    08/04/2011    13 recensioni
SEQUEL DI DESTINI INTRECCIATI. Dopo la vicenda del terremoto le vite di Ranma, Akane e company sono cambiate radicalmente e si sono formate nuove coppie. I destini, ormai indissolubilmente intrecciati, cominciano a essere ricolmi di desideri, di sogni, di illusioni: dov'è la felicità completa?
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 7: ADDIO

I'm so tired of being here
Suppressed by all my childish fears
And if you have to leave
I wish that you would just leave
'Cause your presence still lingers here
And it won't leave me alone

These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that
time cannot erase

When you cried I'd wipe away
all of your tears
When you'd scream I'd fight away
all of your fears
I held your hand through
all of these years
But you still have
All of me

You used to captivate me
By your resonating light
Now I'm bound by the life
you left behind
Your face it haunts
My once pleasant dreams
Your voice it chased away
All the sanity in me

These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that
time cannot erase

Sono così stanca di stare qui
Soppressa da tutte le mie paure infantili
E se devi andartene
Vorrei che tu te ne andassi e basta
Perchè la tua presenza indugia qui
E non mi lascerà da sola
Queste ferite sembrano non guarire
Questo dolore è troppo reale
C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare
Quando hai pianto ho asciugato tutte le tue lacrime
Quando hai urlato ho combattuto tutte le tue paure
Ho tenuto la tua mano durante tutti questi anni
Ma tu hai ancora tutto di me
Mi catturavi con la tua luce risonante
Adesso sono costretta dalla vita che hai lasciato indietro
Il tuo volto pervade
I miei sogni, una volta piacevoli
Che la tua voce ha cacciato via
Tutta la sanità in me
Queste ferite sembrano non guarire
Questo dolore è troppo reale
C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare

(My immortal
– Evanescence)


Ucchan si era vestita con la prima cosa che le era capitata a tiro e si era precipitata all’ospedale prima ancora di chiedersi se stesse commettendo o meno un errore. La sera prima, vedendosi P-chan sulla soglia del locale, aveva provato dei sentimenti contrastanti che andavano dal rifiuto al desiderio di ricominciare, dal dolore alla gioia più grande nel riaverlo accanto.

Non si era soffermata a meditare sul motivo che aveva riportato il ragazzo a Nerima, aveva dato per scontato che l’avesse fatto per tornare da lei e chiederle perdono. Ma poteva anche essere il contrario.

“Ryoga avrà bisogno di te, in questo momento.” Le aveva detto Akane al telefono, mezz’ora prima. Non sapeva cosa fosse accaduto realmente ad Akari, perché Ranma era sparito nel bagno con P-chan, ma aveva capito che doveva essere qualcosa di grave.
Ukyo si era morsa la lingua prima di rivelarle cose che Akane ancora non sapeva, immaginando il ragazzo con la bandana innaffiato di acqua bollente che ascoltava la brutta notizia dalla voce di Ranma.

In quel momento si era resa conto che le cose potevano stare molto diversamente da come le aveva immaginate lei: Ryoga era fuggito dal suo letto per andare dalla sua vecchia fiamma ed era tornato solo per dirle addio, scusarsi e altre stupidaggini del genere. Sarebbe tornata a essere la piccola Ukyo, sola e col cuore spezzato per la seconda volta dal secondo uomo che avesse mai amato nella sua breve vita.

Eppure si sentiva in dovere di stargli accanto: qualunque cosa fosse accaduta ad Akari, se Ryoga l’amava veramente, avrebbe avuto bisogno di tutto il sostegno possibile e lei sarebbe stata lì per darglielo.

Anche se tu mi hai ferita io ti sarò sempre amica.

Non sapeva da dove le venisse tutto quell’altruismo, ma provava un sentimento maturo e importante che la spingeva a fare questo passo anche se doveva agire pervasa da una profonda tristezza.

È l’amore che fa agire così? Un sentimento tanto disinteressato e potente da indurmi a donarmi a lui nonostante io non sia ricambiata…

Dopo una corsa estenuante, era finalmente giunta a destinazione e, vedendo Ryoga guardarsi attorno con aria smarrita, si domandò come avesse fatto a perdersi in un momento come quello. E dov’erano Akane e Ranma? Con un sospiro gli si avvicinò, leggendogli la confusione e lo stupore sul volto. Gli allungò la mano e gli disse solamente “vieni”, decisa ad aiutarlo in ogni caso.
La sua mano era un peso morto nella propria e Ukyo capì che doveva tenere molto ad Akari per ridursi in quel mutismo catatonico.

Il dolore potrebbe uccidermi se mi soffermo a pensarci, ma non ci penserò, oh, no di certo…

Camminò con lui per qualche passo, evitando accuratamente di riflettere sui sentimenti che poteva provare il ragazzo, ma soprattutto per chi li provasse.

Un’infermiera con una cuffietta blu in testa si fece loro incontro e li guardò con aria interrogativa. Ukyo gli strinse più forte il braccio per indurlo a parlare, ma Ryoga riuscì solo ad articolare qualche suono senza senso: immaginava che fosse stato già tanto, per lui, rimanere attaccato alla sua mano senza perdersi. Così parlò lei al suo posto.

“Akari, Akari Unryu.” Disse seria.

La donna annuì, compassionevole. “Povera ragazza… una tale tragedia…”

“Possiamo vederla?” Ucchan aveva la gola secca.

“Siete parenti?”

Sospirò, ormai rassegnata al mutismo del suo compagno, decisa a prendere in mano la situazione qualunque essa fosse. “Siamo i suoi più cari amici.” Rispose decisa.

La donna fece un sorrisetto triste. “Hanno detto così anche i ragazzi che sono venuti prima di voi. Venite, vi faccio strada.”

L’infermiera si incamminò verso gli ascensori e Ukyo dovette tirare Ryoga per un braccio per farlo camminare.

***



Ranma e Akane si alzarono simultaneamente al loro arrivo.

Fu l’unica cosa coerente che vide, poi il suo sguardo si fissò sulla porta chiusa. Al suo fianco, Ucchan stava salutando mestamente i due ragazzi e ora stavano tutti parlando e gesticolando verso di lui.

Devo vederla.

Fece un passo verso la porta e colse il panico negli occhi dei suoi amici.
“Non puoi, il nonno… non è il caso… No, Ryoga, è meglio di no…”
Chi avesse detto quelle frasi non seppe dirlo, erano suoni indistinti e privi di senso per lui: c’erano solo il corridoio e quella maledetta porta davanti a sé.
Una mano gli si strinse sul braccio per fermarlo.

Ranma? Ukyo? O Akane? Non importa…

Tirò via la mano con uno strattone. “Ho detto che devo vederla!” Disse a denti stretti, con un tono talmente perentorio e brutale che improvvisamente li sentì tutti allontanarsi.

Bene.

Si accostò alla porta col cuore in gola, ma la mano fu ferma quando girò la maniglia e aprì.

***



L’infermiera li aveva lasciati nel corridoio del secondo piano indicando loro una stanza in fondo, poi si era dileguata in direzione delle scale alle loro spalle.
Ukyo aveva trascinato Ryoga fino alla meta e lo aveva lasciato andare per salutare Akane e Ranma: si erano accorti simultaneamente che lui aveva intenzione di entrare, allora Ranma gli si era avvicinato bloccandogli il passaggio: “Non puoi, Ryoga, c’è anche il nonno con lei; sareste in troppi e non è il caso.”
Ma lui aveva fatto un altro passo e Ukyo lo aveva chiamato per nome. Non parve averla udita. Akane, allora, si era fatta avanti: “No, Ryoga, è meglio di no. Credimi.”
Alla fine era stata Ukyo a fermarlo, quando si era resa conto che sarebbe entrato comunque. Gli aveva stretto di nuovo il braccio, bloccandolo.
Quando lui si era voltato fu certa che avesse perso la testa: con occhi selvaggi, aveva tirato via la mano e, con un tono che la spaventò, disse: “Ho detto che devo vederla!”

Hai detto? Quando l’hai detto, Ryoga?

Temette per qualche istante che stesse perdendo il lume della ragione, per quanto era sconvolto, e si allontanò istintivamente per lasciarlo andare.

Ormai era certa di averlo perso per sempre.

***



Bianco in mezzo al nero.
Quella fu la prima impressione che ebbe quando vide Akari stesa in quel letto, con le coperte tirate fino al mento. Il volto era pallido e spiccava in mezzo ai capelli corvini sparsi sul cuscino.

Sembra morta.

L’unico cenno che in quel corpo c’era ancora vita era rappresentato dalla sacca colma di liquido rosso alla quale era collegata tramite un tubicino di gomma che arrivava al suo braccio.

“Tu devi essere Ryoga.” Disse una voce tremante facendolo sobbalzare. Alzò gli occhi davanti a sé e incontrò lo sguardo provato del nonno di Akari.

“Sì… mi perdoni…” Riuscì a dire abbassando lo sguardo.

Mi perdoni se sono entrato senza bussare. Mi perdoni per quello che ho fatto a sua nipote…

Ryoga aggrottò le sopracciglia e guardò nuovamente l’uomo con più attenzione: non ricordava che fosse tanto anziano, probabilmente quella nottata gli aveva tolto parecchi anni di vita; pareva che avesse cento anni e le rughe profonde che gli solcavano gli occhi raccontavano uno sfinimento assoluto: indossava una camicia da camera color crema macchiata da qualcosa che sembrava…

…sangue. Quello è il sangue di Akari.

Colpito da una rivelazione improvvisa, Ryoga vide nettamente la scena davanti ai propri occhi come se stesse accadendo in quel preciso momento: Biancanera che corre verso casa portando il corpo inerte della padroncina sul dorso, il nonno che la sente abbaiare ed esce precipitosamente da casa e prende tra le braccia la nipote sanguinante, la corsa in ospedale senza neanche cambiarsi i vestiti…

Un brivido lo scosse fin nel profondo e il ragazzo fu pervaso da un senso di colpa tale da sentirsene schiacciato. Fu una voce fievole ma ferma a spezzare il silenzio che era piombato nella stanza.

“Nonno… mi lasceresti per un attimo sola con lui?”

Ryoga ne rimase sconvolto, non credeva fosse sveglia e non aveva la più pallida idea di cosa dirle. Vide distrattamente il vecchio chinarsi a baciare teneramente la fronte della nipote, accarezzandole i capelli e rassicurandola che sarebbe rimasto fuori dalla stanza.

Quest’uomo dovrebbe tornare a casa a riposare… è distrutto.

Qualche istante dopo erano soli.

***



Il silenzio lo avvolse come una coperta, Ryoga sentiva il ronzio del proprio sangue nelle orecchie. Non avvertiva neanche il respiro di lei. Rimase a testa china finché la sua voce fioca non lo richiamò all’attenzione.

“Vieni qui vicino.” Gli disse gentilmente tentando di alzarsi a sedere. Ryoga le fu subito accanto.

“Non devi muoverti, potresti…!”

“Aiutami.” Lo interruppe pacatamente, facendosi sistemare i cuscini dietro la schiena in modo che potesse stare comoda. “La trasfusione mi sta facendo bene, ho già più energie.”

A vederla in viso non si sarebbe detto: il pallore e le occhiaie che lo segnavano erano quelli di una persona

morta

gravemente malata.

“Se Biancanera non l’avesse trovata in tempo… è una fortuna che tu ce l'abbia affidata prima di partire per uno dei tuoi soliti viaggi! Si è ferita una gamba con uno spunzone di roccia, ma la cosa peggiore è stata l’emorragia interna; fortuna che una sporgenza naturale del burrone ha arrestato la caduta salvandole la vita. Tuttavia ha perso molto sangue.”

La voce di Ranma nel bagno di casa Tendo sembrava quasi aliena mentre gli raccontava quelle cose.

“Il nonno di Akari aveva il numero di telefono del dojo, ha chiamato perché sapeva che tu rimani spesso da noi…”

Ryoga non poté fare a meno di pensare, suo malgrado, che mentre Akari tentava il suicidio, lui stava dormendo fra le braccia di un’altra ragazza cercando conforto. E quella ragazza non era nemmeno Ukyo: l’amore che provava per lei, tuttavia, non era sufficiente a non fargli provare una nuova, violenta ondata di senso di colpa.

“Smettila di sentirti in colpa, Ryoga. L’unica responsabile sono io.” Disse perentoria facendolo sobbalzare. Fu sconvolto da due cose: il suo tono così insolitamente deciso e il fatto che gli avesse praticamente letto nel pensiero.

“Ti si legge in faccia quello che provi.” Aggiunse come a conferma della sua teoria; quando gli pose una mano sulla propria, in un gesto di conforto, si sentì ancora peggio.

Lei sta consolando me!

“Guardami, Ryoga, il tuo silenzio mi fa male.”

La guardò e capì improvvisamente cosa significasse l’espressione ‘annegare nello sguardo di una persona’. I suoi occhi erano limpidi e teneri, senza il minimo accenno di rimprovero. Avrebbe voluto morire in quel momento.

“Perché hai fatto una cosa così… orribile?” Mormorò con voce soffocata, passandole lievemente il dorso della mano sulla guancia, una carezza appena accennata che le fece chiudere gli occhi e sorridere brevemente. Qualche istante dopo era di nuovo seria.

“Perché ho pensato che non avrei mai potuto vivere senza di te e in queste condizioni. No, è sbagliato. Volevo dire da sola e in queste condizioni.”

Ryoga si accigliò, tentando di capire il senso di quella frase. Si accorse che lei gli stava leggendo il dubbio sul volto e di nuovo pensò che due erano le cose: o Akari gli leggeva veramente nella testa, o il suo viso era un libro aperto.

“Quello che intendo è… io ti voglio molto bene Ryoga, ma non sei tu ad avermi spinta a tentare una cosa del genere. È stato il terrore di rimanere sola per il resto della mia vita, inchiodata a una sedia a rotelle. Temevo che sarei finita in qualche istituto dove degli sconosciuti si sarebbero presi cura di me e mi era inconcepibile vivere in quel modo. Io, che ho fatto dell’addestramento dei maiali lottatori di sumo la mia vita.”

Ryoga deglutì. Poteva solo immaginare la sofferenza di una ragazza così giovane e piena di vita costretta in quelle condizioni; lui sarebbe impazzito se non avesse più potuto muoversi. Fu colto da un’idea improvvisa.

“Senti, anche un mio amico è rimasto paralizzato per un certo periodo di tempo a seguito di un incidente dovuto al terremoto. È stato curato da un medico molto bravo e oggi cammina come se…!”

“No, Ryoga. Non nel mio caso.” Disse Akari lapidaria, abbassando lo sguardo sulle coperte. “Nel mio caso, la vertebra lombare si è incrinata tanto che il midollo spinale si è danneggiato irreparabilmente e… non mi ricordo bene cosa ha detto il dottore, mi confondo su queste cose, ma…”

Il ragazzo la strinse a sé quando si accorse che stava piangendo; fu un abbraccio un po’ impacciato, sia per la sua timidezza cronica, sia per la posizione semiseduta della ragazza, con l’ago che le iniettava il sangue. Il pianto sommesso di Akari durò qualche minuto; Ryoga si sedette sulla sponda del suo letto senza mai lasciarla andare e imparò anche il vero significato di ‘versare lacrime amare’.

Oggi sono nel mondo degli stereotipi. Pensò a sproposito e per qualche ragione questo lo fece soffrire ancora di più.
Quando i singulti di lei si placarono, anche Ryoga si asciugò gli occhi, tentando di regalarle una parvenza di sorriso.

“Sai, questa è la prima volta che piango veramente per quello che mi è successo.” Asserì Akari sospirando.

“Dici sul serio…?” La guardò stupito.

Ora Akari ha tre colori. Il nero corvino dei capelli. Il bianco del volto. Il rosso degli occhi dopo il pianto.

“Sì, ma va molto meglio. Probabilmente se mi fossi sfogata prima non avrei fatto… quello che ho fatto.” Intrecciò le dita delle mani abbassando di nuovo la testa mentre i capelli le ricadevano sulle spalle nascondendole il viso.

Ryoga non conosceva minimamente i segni del linguaggio del corpo e i gesti che indicano quando una persona mente. Eppure aveva una mezza idea che Akari gli stesse dicendo una bugia. Le scostò i capelli dal viso, voltandola gentilmente a incrociare i suoi occhi.

“Akari. Promettimi che non farai mai più, mai più, una cosa tanto stupida. Giuramelo, ti supplico; se non lo fai vivrò con un macigno sul cuore per il resto della mia vita.”

Lei non distolse mai lo sguardo, non ebbe un solo tremore nella voce. Solo la pausa che precedette la sua risposta fu troppo lunga. “Te lo giuro.”

Il ragazzo deglutì, aumentando leggermente la stretta sulle sue spalle come a chiederle: ‘ne sei sicura?’ Quando lei annuì capì che doveva accontentarsi di quello.

“Ora mi giuri una cosa… anzi due, tu?” Domandò con un’espressione di supplica per la quale le avrebbe dato la propria vita e le proprie gambe.

“Tutto quello che vuoi.”

“Prima cosa: vivi il tuo amore senza mai amareggiarti per me. Mai.”

Ryoga deglutì: sapeva che sarebbe stata un’impresa ardua. Ogni bacio, ogni carezza, ogni gesto di amore scambiato con Ucchan gli avrebbero ricordato che, altrove, c’era una ragazza che soffriva per lui. Paralizzata dalla vita in giù. Che aveva tentato di suicidarsi.

“Seconda cosa…” Akari prese un respiro come se le costasse una fatica enorme pronunciare il resto della frase. “…non mi cercare più.”

***



Akari studiò la reazione di Ryoga con il cuore che le sembrava volesse liquefarsi nel petto. Si sentiva devastata ma era certa di fare la cosa giusta.

Come posso dimenticarti se mi cerchi?

“Akari, io…”

“Giuramelo!” Quasi gridò e la voce le tremò più di quanto lei volesse. Aveva bisogno che lui le stesse lontano o sarebbe impazzita. Aveva bisogno di soffrire la perdita del suo amore senza che lui glielo ricordasse con la sua voce calda e il tocco dolce delle sue mani; come quella carezza che poco prima l’aveva portata a un passo dal supplicarlo di rimanere con lei per sempre.

“Te lo giuro.” Infine lo aveva detto, guardandola negli occhi, col volto contratto in una smorfia di sofferenza tale che la sua decisione aveva vacillato pericolosamente.

“Bene, grazie.”

No, ci ho ripensato, non mi lasciare sola, abbracciami. Stringimi a te e rimanimi accanto. Non mi importa se non mi ami. Basta che tu mi stia vicino. Ho bisogno di te. Ti amo.

“Allora…” Ryoga fece un passo verso di lei e Akari sobbalzò. Se si fosse avvicinato non sarebbe più stata in grado di lasciarlo andare. E aveva ancora una cosa da fare, dopo.

“No, non c’è bisogno che mi saluti. Va bene così. Addio, Ryoga, sii felice.”

Baciami, non ti ho mai baciato… non ho mai baciato nessuno in vita mia. Voglio dormire con la testa sul tuo petto e sentire il tuo respiro mentre dormo.

“Io…” Lui parve esitare e Akari si mise una dito sulla bocca per farlo tacere, sorridendo lievemente.

Dammi la forza…

“Hai promesso, ricordi? E ora fammi parlare con Ucchan, vuoi?”

Ryoga spalancò gli occhi a tal punto che lei temette che Ukyo non fosse lì con lui.

“Sei… sicura?”

Annuì, pregando un dio sconosciuto che il ragazzo non continuasse a renderle le cose così difficili.

“Va bene, allora… la chiamo. Ciao, piccola Akari.” Il sussurro di quel saluto così dolce, la porta che si chiudeva leggermente con un appena udibile ‘click’, furono un peso che dal petto le piombò sullo stomaco e poi nelle viscere, strappandole un urlo interno e silenzioso pari a quello che aveva lanciato nel momento in cui stava gettandosi nel burrone.

Torna qui, oh kami, non mi lasciare!

Affondò il viso tra le mani respirando affannosamente per qualche istante, asciugandosi le lacrime con le lenzuola, tentando disperatamente di ricomporsi prima che lei entrasse.

Il burrone non mi ha uccisa, ma il dolore lo sta facendo al suo posto. Lentamente, inesorabilmente…

***



Ukyo aprì la porta con circospezione, timorosa di quello che sarebbe accaduto, ma desiderosa di togliersi quel peso una volta per tutte.

“Lei… vuole vederti.” Gli aveva detto uno stralunato Ryoga, apparentemente privo di qualsiasi emozione se non un malcelato stupore.

Aveva ascoltato dal nonno una storia agghiacciante su quella povera ragazza: pareva che avesse chiamato casa Tendo, quella mattina, per avvisare che aveva tentato il suicidio la notte prima gettandosi da un burrone nei pressi di casa sua. Non aveva idea di cosa fosse accaduto, però, tra lei e Ryoga. Il vecchio aveva visto il ragazzo allontanarsi da casa loro solo la sera prima.

Avevo ragione, era andato da lei. Ma probabilmente solo per dirle addio… ecco perché Akari ha tentato il suicidio! Allora voleva davvero tornare da me! E io che ieri sera l’ho scacciato così malamente…

Quando la vide, così inerme e prostrata in quel letto, si domandò quanto dovesse amarlo per compiere un gesto simile, così estremo alla sua giovane età. Stava evidentemente cercando di trattenere le lacrime e il pallore del suo viso, in contrasto col rosso del sangue contenuto nella sacca alla quale era collegata, era una cosa spaventosa.

Aveva visto solo di sfuggita Akari Unryu, in passato, e tutto ricordava di lei tranne quell’aria sconfitta e sofferente.

“Ciao, tu devi essere Ukyo. Siediti pure.” Le disse con un sorriso stanco ma talmente sincero che provò una nuova fitta di senso di colpa.

“Io… grazie.” Rispose sedendole accanto. Akari si mosse e la coperta ricadde lasciandole scoperta la parte superiore del corpo: rimase in silenzio per qualche istante, studiandola con la coda dell’occhio. Sembrava una ragazza molto dolce e si vedeva che era allenata: doveva essere una ragazza sana e in forma, con curve e muscoli al posto giusto.

“Sei molto bella, non mi sorprende che lui si sia innamorato di te.” Disse cogliendola alla sprovvista e facendola sobbalzare.

“Cos… ?!” Incontrò lo sguardo serio di Akari e dovette distogliere il proprio.

“Puoi guardarmi. Non devi sentirti in imbarazzo; semmai dovrei essere io a provare vergogna. Immagino tu abbia saputo il motivo per il quale mi trovo qui.”

Ucchan annuì, piano: non riusciva a tenere nascosti i propri pensieri a quella ragazza; emanava una tale, disarmante schiettezza che era impossibile mentirle. Colta da un sentimento di ribellione interiore, la guardò dritta negli occhi e le parlò con un tono fermo.

“Senti, io posso capire cosa provi. Prima di Ryoga ero… innamorata di Ranma; lo sono stata per molti anni senza mai essere corrisposta. Ma ho sempre lottato: mai, mai mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di fare una cosa simile! Non voglio giudicarti e sono certa che tu sia una ragazza forte e possa vivere un futuro radioso. Anche tu… anche tu sei molto bella e da quel che vedo e ricordo pratichi le arti marziali: non faticherai di certo a trovare un uomo che ti ami incondizionatamente. Per cui forza, abbi fiducia in te stessa!”

La guardò con un’espressione che avrebbe incoraggiato anche l’anima più in pena ma, per qualche strano motivo, sul volto della ragazza apparve un pallido sorriso di accondiscendenza, come se apprezzasse le sue parole ma avesse la consapevolezza di non poterne mai prendere atto.

Possibile che lo ami a tal punto?!

“Sei molto cara a dirmi queste cose. Io la penso esattamente come te; ma credimi, non sarà così facile per me.”

L’espressione sconfitta di Akari la fece montare su tutte le furie: come allenatrice di maiali da sumo quella ragazza doveva essere una combattente! Da quando si era ridotta a una pappamolle?! Nemmeno lei era mai arrivata a tali livelli per Ranma e le era inconcepibile vedere una sua coetanea in quello stato.

“Oh, andiamo, non dirmi che ti piace piangerti addosso! Puoi soffrire e disperarti per un amore perduto, ma non puoi ridurti a una persona senza futuro per questo. Reagisci, per la miseria! Sei sana, forte e bella, non appena sarai fuori da quel letto riprendi i tuoi allenamenti e vai avanti con la tua vita come una vera combattente! Sono sicura che neanche Ryoga approva questo tuo comportamento…”

Lo sguardo di Akari divenne duro. “Evidentemente tu non sai tutto di me, vero?”

Ukyo si accigliò. Non riusciva a concepire un simile comportamento ma questo non significava che un’altra persona potesse avere sentimenti diversi dai suoi. Era evidente che lei avesse tentato il suicidio perché Ryoga l’aveva lasciata la sera prima e probabilmente era stata troppo dura con lei: magari Akari era semplicemente molto più sensibile, eppure era convinta che non fosse solo quello: cos’altro c’era nella vita di Akari che le sfuggiva?
Improvvisamente la vide scostarsi le lenzuola mostrando l’orribile ferita che aveva sulla gamba: era fasciata e a quanto pare aveva ripreso a sanguinare perché le bende si stavano tingendo di rosso.

“Stai… sanguini! Chiamo un’infermiera…” Fece per voltarsi verso la porta ma il richiamo della ragazza la bloccò.

“Guarda, per favore.” Le chiese seriamente. Come in sogno, la vide stringere la mano a pugno e colpirsi con tutta la forza che riuscì a raccogliere direttamente sulla ferita. Con gli occhi spalancati dall’orrore, non vide nemmeno una smorfia cambiarle i tratti del volto, non un lamento uscire dalle sue labbra.

“Come… come puoi…” Lo sguardo le cadde su una sedia a rotelle posta in un angolo della stanza; l’aveva già vista, naturalmente, e le era sembrato più che naturale che una paziente in quelle condizioni ne avesse una. Eppure…

Poi capì e la consapevolezza le attanagliò la gola, le scese sul cuore aumentandone i battiti e le torse le budella.

“Tu… non senti nulla, vero?” Soffiò fuori con voce rotta.

Akari sorrise tristemente e annuì.

“Mi… mi dispiace, io… non lo sapevo!”

Oggi sto balbettando come un’idiota, non ero davvero preparata a tutto questo!

Akari ridacchiò tristemente. “Ieri pomeriggio, quando è venuto a casa mia, ho anche pensato di usare questa mia situazione per tenerlo vicino a me, per un attimo. Credimi, l’ho pensato seriamente.”

Di nuovo, Ukyo fissò lo sguardo su di lei. Le stava mostrando evidentemente qualcosa di cui non andava fiera, eppure il suo volto non vacillò: Akari doveva essere più forte di quel che credeva e si ritrovò a rimpiangere i propri pregiudizi e a invidiare la sua tenacia.

E io che fino a poco fa pensavo fosse una debole!

Rimase in silenzio ad ascoltarla: non voleva ammetterlo, ma moriva dalla voglia di sapere cosa fosse accaduto il giorno prima con Ryoga ed era certa che Akari glielo stesse per rivelare. D’altronde, non le aveva già confermato i suoi sentimenti appena entrata?

“Ukyo, o forse Ucchan…?”

“Ranma mi chiamava Ucchan quando eravamo piccoli. Credeva che fossi un maschio. Oggi molte persone mi chiamano ancora così.” Sorrise al ricordo e Akari la imitò. Anche lei era molto bella, il suo viso era delicato e perfetto come quello di una bambola di porcellana.

“Ucchan. Ieri sera lui è venuto a trovarmi. Non ci vedevamo da prima del terremoto, quando mi ha affidato Biancanera e i cuccioli.”

Ukyo sentì un nodo stringerle la gola: possibile che Ryoga avesse rifiutato una ragazza in quelle condizioni, specie dopo quello che era accaduto? Conoscendolo l’avrebbe amata e le sarebbe stato accanto ogni giorno della sua vita, anche solo per senso di colpa.

“Era venuto da me per dirmi addio. Vedermi su quella” – indicò con un cenno della testa la sedia a rotelle in una angolo – “lo ha messo in evidente difficoltà. Ma non ha vacillato un solo attimo quando mi ha detto che era innamorato di un’altra. Di te.” La voce le tremò e Ukyo dovete lottare per calmare i battiti impazziti del proprio cuore. Era dannatamente felice e non poteva dimostrarlo.

Ryoga ha avuto il coraggio di lasciarla nonostante le sue condizioni? Mi ama… a tal punto?

Aprì la bocca per parlare ma non riuscì ad articolare alcun suono: aveva immaginato molte cose da quando aveva ricevuto la telefonata di Akane, quella mattina, ma una prova d’amore simile era l’ultima nella sua lista.

“È stato meglio così, credimi. Mi sono resa conto che il mio desiderio di averlo accanto era solo un placebo per accettare la mia condizione, io… non lo amo veramente. Non come lo ami tu, per lo meno.”

Nel turbinio dei suoi pensieri, Ukyo ebbe il tempo di accorgersi che, in quel momento, Akari non la stava guardando negli occhi.

Sta mentendo.

“Gli ho chiesto di non venirmi più a trovare, nemmeno come amica. Ho bisogno… di riorganizzare la mia vita e rivederlo mi ricorderebbe solo un passato al quale ormai non appartengo più.”

Sta parlando a vanvera, la realtà è un’altra.

“Senti, Akari, io capisco…”

“Tu lo ami?” Stava per dirle che la capiva, se ne era innamorata, e che non avrebbe certo impedito a Ryoga di andarla a trovare, se l’avesse aiutata a stare meglio. E, diamine, le sarebbe salito direttamente dal cuore: d’altronde era facile essere altruiste quando si era sane e corrisposte dall’uomo dei propri sogni.

Forse sono solo una ragazza meschina e viziata. Akari è mille volte migliore di me: lei sì che sta rinunciando a qualcosa di prezioso.

Improvvisamente priva di energie, Ukyo si arrese semplicemente alla sua domanda: “Sì, lo amo. Non so come sia accaduto. Ma mi sono innamorata di Ryoga e morirei se lo perdessi.” Arrossì, conscia di aver appena detto una cosa terribilmente sbagliata.

Lei ha tentato di suicidarsi proprio per lui…

“Oh, capisco cosa significa rinunciare a qualcosa di prezioso, credimi.” Disse infatti Akari, tristemente.

“Perdonami, non volevo dire… scusa. Comunque credo che i tuoi sentimenti siano diversi da quelli che vuoi farmi credere di provare.” La vide scuotere la testa e sorridere.

“Non puoi sapere cosa provo. E devi promettermi che lo renderai felice, impedendogli di pensare a me e di sentirsi in colpa.”

Come faccio, se mi sto sentendo in colpa io, per prima?

“Ma… tu…”

“Insomma, oggi è così difficile per tutti farmi delle promesse?!” Sbottò improvvisamente Akari.

Ukyo si rese conto della prova di nervi che stava sostenendo per fare quello che si era prefissata e decise di assecondarla. Si domandò se lei sarebbe stata capace di fare altrettanto, nelle sue condizioni.

Chi è debole, ora?

“Te lo prometto, farò felice Ryoga ogni giorno, finché lui lo vorrà.” Disse seriamente, guardandola negli occhi. Stavolta il sorriso che comparve sul volto della ragazza fu genuino e rilassato.

“Grazie, Ucchan.” Poi chiuse gli occhi e, dopo qualche istante di panico, Ukyo si rese conto che si era semplicemente addormentata, stremata dalle emozioni che aveva dovuto subire.

Povera ragazza… avrebbe davvero meritato l’amore di Ryoga più di me. Rifletté avvicinandosi e posandole una mano nella propria in un gesto di simpatia e ammirazione. Ma sentì comunque dentro di sé un sentimento così simile alla gioia per essere stata la prescelta, che dovette allontanarsi da lei come se le stesse infliggendo una terribile ingiustizia.

Mi dispiace, Akari, perdonami ma sono felice. Ti auguro di vivere serenamente e di trovare la tua felicità, da qualche parte. Te la meriti davvero.

Chiuse la porta alle sue spalle facendo meno rumore possibile per non svegliarla.
   
 
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