Nickname sul forum: BadWolfTimeLord.
Nickname su EFP: BadWolfTimeLord.
Titolo: Posso
farti una foto?
Pairing: Colin Canon/Lavanda Brown.
Altri personaggi
(se presenti): Colin Canon
(II), Calì Patil, Ron Weasley - citato.
Genere (e la parola da inserire): Malinconico, Romantico, Triste (Ticchettio).
Rating: Verde.
Warnings: One-Shot.
Questa
fanfiction ha partecipato al contest “Random Pairing Second Edition”, indetto da Herms (che ringrazio con tutto il cuore ♥),
classificandosi prima.
Spero che
vi piaccia! Un bacio! =)
Posso farti una
foto?
Dolore.
Dolore
che pulsava vivo su tutto il suo corpo.
Dolore
che la costringeva a camminare, lentamente, per i corridoi semidistrutti di
Hogwarts, verso la Sala Grande.
Un
passo, una fitta di dolore. Un altro passo, altro dolore.
Dolore
non causato solo dalle varie ferite riportate sulle gambe o dalla lussazione
della spalla sinistra, ma da un dannato squarcio all’altezza del petto.
Uno
squarcio che le raggiungeva il cuore e che le mozzava il respiro.
Dolore
per aver visto la guerra sfociare davanti ai propri occhi.
Dolore
per aver sentito i muri della dimora più importante per lei, nella quale era
cresciuta, crollare con un tonfo sordo sul pavimento di marmo, mentre un
sorriso di pura soddisfazione e malvagità increspava le labbra di quei dannati
Mangiamorte.
Dolore
per aver udito il suono di persone innocenti, private della vita da uno stupido
lampo verde, cadere a terra, inermi. Persone che aveva soltanto intravisto
passeggiare per i tanti corridoi di Hogwarts. Persone che erano stati suoi
amici e che l’avevano aiutata in quei sette lunghi anni. Persone che avevano
valso per lei più di qualsiasi cosa.
Il
dolore era tanto. Troppo, forse.
Le
gambe le dolevano, ma Lavanda si imponeva di non arrendersi, di non crollare.
Sapeva
che il Signore Oscuro era stato sconfitto.
Sapeva
che Harry Potter ce l’aveva fatta.
Sapeva
che Hogwarts era ormai salva.
Ma
restava la parte più difficile: trovare il coraggio per mettere piede in Sala
Grande.
Trovare
il coraggio di entrare nella stanza che per anni, sin dal giorno del suo
Smistamento, era stato luogo di allegri banchetti, di noiose partite a scacchi
e di felici appuntamenti con Ron, ma dove, adesso, erano state radunate tutte
le persone che non erano sopravvissute. Tutti i caduti, morti quel 2 Maggio
1998.
La
guerra era finita, restava solo dare sfogo al dolore.
Lavanda
sentiva gli occhi lucidi soltanto al pensiero di trovarci qualcuno di
importante per lei, sdraiato su quel maledetto pavimento freddo.
Le
gambe reggevano il suo peso quel tanto che bastava per non farla incespicare e
cadere rovinosamente a terra, a un passo dalla sua meta. Sentiva la testa ovattata,
le spalle doloranti e le palpebre cadenti.
Sentiva
il forte bisogno di riposare, dopo tutto quello che era successo. Il bisogno di
celare tutta la guerra in una parte remota della propria testa, così da poter
fingere che non fosse mai accaduto niente.
Entrò
in Sala Grande e si appoggiò alla cornice del portone, prima di respirare
profondamente e di chiudere gli occhi per un solo attimo.
Li
riaprì subito dopo e tutti i corpi, privi di vita, che vide a terra le fecero
capire che la guerra non era valsa la loro perdita. Sobbalzò, pensando che
poteva esserci anche lei, adesso, sdraiata senza vita a terra. Aveva rischiato
di essere morsa da un lupo mannaro, aveva rischiato di morire.
Stupida
e poco sveglia, Lavanda, a volte, veniva considerata così. Un po’ superficiale,
ossessiva e tremendamente sciocca. Aggettivi che a volte si rivelavano essere
veri.
Ma
non adesso.
Non
ora che vedeva tutte quelle persone stroncate dal dolore e dalla perdita,
piangere sui corpi dei loro amati, morti con onore.
Arrancò
verso il centro della Sala Grande, senza neanche accorgersi di star ansimando e
dell’ormai usuale dolore che le attanagliava le gambe.
Si
fermò davanti ai corpi dei caduti, accanto alla sua migliore amica, Calì, che osservava
i volti pallidi e inermi delle persone sdraiate a terra, senza vita. La guardò
e un senso di comprensione attraversò il suo volto.
La
sua vista fu subito appannata da un sottile velo di lacrime, non appena vide la
sua più grande paura realizzarsi; vedere persone, che conosceva, immobili sul
pavimento.
Fred Weasley, Remus
Lupin, Ninfadora Tonks... I suoi occhi si spostavano rapidamente da un corpo
ad un altro, facendole quasi provare il desiderio che stessero soltanto
dormendo e che molto presto si sarebbero svegliati e sarebbero saltati in
piedi, congratulandosi con Harry di aver sconfitto il Signore Oscuro. Ma, in
cuor suo, sapeva che illudersi non sarebbe servito a niente.
Poi,
il suo sguardo si posò su un altro piccolo cadavere e una fitta le raggiunse lo
stomaco. Colin Canon giaceva a terra, insieme a tutti gli altri. Il suo volto
era pallido e i suoi occhi erano chiusi; sembrava stesse dormendo, addormentato
in un sonno eterno.
Lavanda
si avvicinò tremante al piccolo corpo di Colin, chinandosi su di lui e sentendosi
annebbiare la vista da un velo di lacrime. Prese una mano del ragazzo tra le
sue e ci poggiò una guancia sopra, prima di socchiudere lentamente gli occhi.
I
ricordi si impossessarono violentemente della sua mente, costringendola al
desiderio pressante di dimenticare. Dimenticare di averlo conosciuto,
dimenticare tutto quello di bello che era stato per lei.
«T-Ti o-odio...»
singhiozzò Lavanda silenziosamente, mentre correva via dall’infermeria - o
meglio, mentre correva via dal suo RonRon che aveva
sempre amato Hermione, invece che lei.
Le lacrime
premevano con forza e dolore agli angoli dei suoi occhi, mentre un leggero
ticchettio si faceva presente nei pensieri della ragazza. Si vedeva come una
grossa bomba, pronta ad esplodere, che, ad ogni ticchettio, si avvicinava
sempre di più allo scoppiare. In quel caso, l’”esplosione” era intesa come un
pianto convulso e silenzioso. Sì, e quel ticchettio sordo l’avvicinava sempre
di più al momento nel quale avrebbe lasciato cadere le lacrime sul proprio
volto.
Senza neanche
accorgersene, finì addosso a qualcuno e cadde, all’indietro, sul pavimento di
marmo. Alzò lo sguardo per vedere contro chi avesse sbattuto e una persona non
molto familiare fu tutto quello che le si presentò davanti agli occhi. Il
ragazzo le porse una mano per aiutarla a rialzarsi e Lavanda gliel’afferrò,
cercando di sorridere un sorriso che, però, non trasmetteva niente di positivo.
«Stai bene? Ti
ho fatto male? Sai, non ti avevo vista... Lavanda, ti chiami così, giusto? Io
sono Colin Canon» Colin si presentò, stringendole la mano e guardandola
curioso, senza capire a cosa fossero dovuti i suoi occhi lucidi e il suo
“sorriso”, che sembrava più tendente ad un broncio triste, che ad una qualsiasi
smorfia di felicità. «Stai bene?»
Lavanda si limitò
ad annuire, silenziosamente, sentendosi annebbiare ancora di più la vista. Un
groppo alla gola le impediva di parlare.
Poi, senza che
succedesse nient’altro, la ragazza perse il controllo delle lacrime, e
quest’ultime iniziarono a cadere, copiose, sulle sue guance rosee.
«S-Sto bene»
sussurrò, con la solita voce acuta che le veniva ogni volta che piangeva,
mentre iniziava a singhiozzare.
Colin la guardò
e, senza che potesse rendersene conto, una Lavanda Brown disperata e
piagnucolante gli si fiondò addosso e iniziò a singhiozzare contro il suo
petto.
Lo
risentiva di nuovo, quel ticchettio. Sapeva che le lacrime non ci avrebbero
messo tanto, prima di lasciarsi cadere sulle sue gote.
Il
dolore era lacerante; ne avrebbe provato meno sotto l’effetto della Maledizione
Cruciatus, ne era certa.
Lo
squarcio che ti si crea nel petto, quando perdi una persona cara, è la cosa più
dolorosa di tutte, Lavanda non poteva che esserne sicura, mentre accarezzava i
capelli chiari di Colin e si sforzava di non riportare a galla i ricordi. Ma è
così: più cerchi di non pensare a una cosa, più essa si insinua nei tuoi
pensieri, costringendoti a darle peso.
«Grazie per non
avermi allontanato e per avermi ascoltato. Sai, tante persone non avrebbero
fatto come te. Grazie.»
Impacciate,
erano le parole che stavano uscendo dalle labbra di Lavanda, quel sabato
pomeriggio, dopo aver raccontato al ragazzo il perché stesse piangendo come una
disperata.
Colin le
sorrise, arrossendo fino alla punta dei capelli.
«Grazie a te per
non esserti arrabbiata, quando ti sono venuto addosso. Sai, tante persone,
soprattutto ragazze, si sarebbero infuriate per averle fatte cadere per terra e
averle sporcato la divisa.»
«Comunque
grazie, davvero» questo ennesimo ringraziamento e un lieve bacio sulla guancia
furono sufficienti a far arrossire ancora di più, se possibile, il giovane
Colin.
Le
lacrime iniziarono a cadere sulle sue guance, ma, quella volta, non aveva
nessuna spalla su cui piangerle. Chiuse gli occhi e l’immagine di Colin, vivo e
sorridente, le apparve davanti alle iridi, facendola quasi sobbalzare e
iniziare a piangere convulsamente.
«Complimenti per
aver passato i G.U.F.O., Colin» Lavanda si era congratulata con il suo nuovo
amico, mentre i due si sedevano in uno scompartimento del treno diretto a
King’s Cross.
«Be’, è merito
tuo se sono riuscito a prendere una E in Divinazione. Sei la pupilla della
professoressa Cooman, a quanto pare» tutto quello che il ragazzo ebbe in
risposta fu un sorriso radioso e pieno di luce da parte di Lavanda. Nonostante
non la conoscesse da tanto tempo, Colin aveva la strana sensazione di
conoscerla da sempre. «Posso chiederti un favore, Lav?»
«Qualsiasi cosa»
lo sguardo della ragazza si era spostato sul quindicenne, mentre si chiedeva quale
fosse la sua richiesta.
«Posso farti una
foto?» l’innocente domanda di Colin fece sorridere nuovamente Lavanda. Il
ragazzo prese la sua solita e storica macchina fotografica e le scattò una
foto.
La
dolce domanda di Colin le rimbombava nella testa, mentre la sua mente vagava
tra i ricordi. In quel momento, desiderava soltanto di morire. Voleva morire,
voleva raggiungere Colin ovunque fosse. Voleva vederlo di nuovo, accertarsi che
stesse bene, lasciarsi porre quella dolce domanda, un’ultima volta. Voleva
riaverlo indietro, ma sapeva che, anche se avesse sbattuto i piedi, gridato o
pianto tutte le lacrime che aveva, nessuno le avrebbe reso Colin.
Improvvisamente,
il suo sguardo si spostò sulla borsa che il ragazzo portava a tracolla e un
piccolo sorriso malinconico le si dipinse sulle labbra.
«Non vorrai
davvero insegnarmi a scattare delle foto con quell’aggeggio, vero?» gli chiese
Lavanda, quasi divertita, guardandolo con un sopracciglio inarcato e indicando
la macchina fotografica con la mano. «E’ appena ricominciata la scuola e
quest’anno, a quanto ho letto nei fondi di tè, non sarà pieno di eventi
particolarmente positivi. Già il fatto che abbiano eletto Severus Piton come
nuovo preside...»
«Avanti, voglio
soltanto farti qualche lezione di fotografia, per favore...» Colin si sedette
sul divanetto rosso-oro della loro Sala Comune, accanto alla ragazza,
implorandola con una faccia da cucciolo bastonato. «So perfettamente che le
cose non vanno per niente bene, negli ultimi tempi, anche senza leggere i fondi
di tè o guardare il cielo. Be’, questo potrebbe essere un motivo in più per
imparare.»
«Colin.»
«Lavanda.»
«D’accordo, ma
non vale fare la faccia da cucciolo bastonato» la ragazza gli tirò un leggero
buffetto sulla spalla, prima di prendere la macchina fotografica dell’amico e
di ricordare, più o meno, quello che Colin le aveva spiegato su essa. Puntò la
macchina fotografica sul volto di Colin ed esitò un attimo. «Posso farti una
foto?»
Le
lacrime continuavano a cadere, mentre la sua mano afferrava la borsa con la
macchina fotografica che Colin si portava sempre dietro. Gliela sfilò dal collo
e la aprì, prendendo l’oggetto babbano in mano. Poi, se lo strinse al petto,
ricominciando a singhiozzare e lasciandosi cadere sul corpo inerme di Colin.
«Devo dirti una
cosa...» la voce di Lavanda era un piccolo e flebile sussurro, uscito dalle sue
labbra quasi involontariamente.
«Sono tutto
orecchi» Colin la guardò, chiudendo il libro di Divinazione che stava studiando
- o meglio, che stava cercando di
studiare.
«I-Io...»
«T-Tu...?»
«I-Io sono...»
«... follemente
innamorata di me, talmente cotta da non poterlo più nascondere e così tanto in
imbarazzo da non riuscire a dirlo?» sorrise il giovane Canon, guardandola
divertito, mentre la ragazza diventava rossa come un peperone. «Be’, è la
stessa cosa che io provo per te.»
Dopo queste
parole, Colin le si avvicinò e la baciò delicatamente. Lavanda staccò le
proprie labbra da quelle del ragazzo poco dopo.
«Veramente
volevo dirti che mi è caduto un po’ di tè sulla tua macchina fotografica, ma se
ti interessava sapere questo, sono anche io innamorata di te.»
Lavanda riposò le
proprie labbra su quelle del ragazzo, che rispose al bacio, prima che si
rendesse conto veramente di quello che l’amica gli aveva detto.
«Hai versato del
tè sulla mia macchina fotografica?!»
Sorrise
tra le lacrime, ricordandosi quel pomeriggio. Accarezzò lentamente le guancie
del ragazzo, arrivando a sperare realmente che si svegliasse. Colin era la
persona più importante del mondo, per lei. Era riuscito a cambiarla, a farla
essere meno sciocca di quel che era. E lei lo amava e lo avrebbe amato per sempre.
«Colin, vieni
qui!» gridò Lavanda, afferrando il ragazzo per il braccio e trascinandolo con
sé nella Stanza delle Necessità, dove altri studenti si erano riuniti, dopo
aver capito che la battaglia stava per iniziare.
La ragazza lo
guardò in silenzio, prima che lui potesse avvicinarsi a lei e abbracciarla
forte, carezzandole i capelli biondi. Piccole gocce salate bagnarono il volto
di Lavanda, mentre stringeva il ragazzo più forte possibile, senza volerlo
lasciare andare. Colin la allontanò da sé e le asciugò le lacrime con il dorso
della mano, prima di lasciarle un bacio sulla fronte.
«Ho paura» fu
tutto quello che uscì dalle labbra di Lavanda, prima che prendesse una mano di
Colin in una sua.
«Lo so» rispose
il ragazzo, guardandola negli occhi. «Ne ho anche io.»
Senza che lui
potesse aggiungere altro, Lavanda gli si avvicinò e posò le proprie labbra
sulle sue. Colin rispose al bacio, stringendo a sé la ragazza.
La
voglia di morire era più forte che mai, in Lavanda.
Posò
la macchina fotografica accanto a sé, prima di avvicinarsi al volto di Colin e
di lasciargli un ultimo bacio sulle labbra. Poi, prese la macchina fotografica,
la rimise nella borsa e se la strinse al petto, dove il suo cuore era morto, ma
dove, nello stesso punto, ironia della sorte, il suo muscolo cardiaco
continuava a battere nella cassa toracica, come se niente fosse successo.
***
Sette anni dopo
«Mamma,
questa cos’è?» un piccolo bambino dai capelli biondi, tendenti al castano
chiaro, indica una borsa a tracolla nera, che non aveva mai visto. La madre
afferra la tracolla, la apre e da dentro vi prende una macchina fotografica. La
sua macchina fotografica.
«E’
la macchina fotografica di papà, tesoro» le lacrime premono nuovamente ai bordi
degli occhi, mentre Lavanda si impone di essere forte, di esserlo almeno per
suo figlio. «Era davvero importante per lui. Vuoi provare a scattare una foto?
Se vuoi ti insegno.»
Il
bambino annuisce, curioso di vedere come funzioni quell’oggetto strano. Lavanda
si sforza di non piangere e sembra riuscirci. Infondo sono passati sette anni.
Mentre
spiega i meccanismi al figlio, la sua mente ritorna a quando, qualche giorno
dopo la battaglia di Hogwarts si scoprì incinta del bambino di Colin.
«Hai
capito?» chiede da brava madre, mentre il bambino la guarda con i suoi
meravigliosi occhi, ereditati dal padre. La sua faccia angelica la fa sorridere
e tutto il bene che vuole a quel bambino sembra sanare l’enorme ferita della
perdita di Colin. Poi, afferra l’oggetto più prezioso che ha in una mano ed
esita un attimo. «Posso farti una foto, Colin?»