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Autore: suni    20/04/2011    9 recensioni
"Verrà persino Oliver. Ci saremo proprio tutti quanti,” continuò a blaterare, sperando di riuscire in qualche modo a ridestare il suo interesse. Ce la fece, ma non nel modo che aveva sperato.
George infatti aggrottò la fronte, con una scintilla di collera nello sguardo.
“Ma davvero?” commentò, con un'allegria fittizia e malevola. “Questa sì che è una sorpresa
meravigliosa, Ron,” aggiunse, prima di voltarsi verso la stanza vuota, nello sgomento del fratello, per alzare la voce. “Ehi! Andiamo a cena fuori con la squadra, domani sera!” annunciò. Apparentemente, rivolto alla porta della camera da letto.
Ron deglutì in un silenzio pesante e scomodo.
George finse di ascoltare attentamente, percependo solo, ovviamente, quello stesso silenzio. Poi si strinse nelle spalle, con aria fatalista.
“Forse non vuole venire,” ipotizzò caustico.
Rom emise un altro respiro lungo, più tremulo, dominando un qualcosa che gli pungeva la gola e gli faceva venir voglia di prendere a calci una sedia, o magari la gamba del tavolo.
“Ok, messaggio ricevuto,” replicò, a disagio e un po' rabbioso. “Tutti quanti quelli che sono ancora vivi.” Strinse le labbra. “Non è divertente,” aggiunse a mezza voce.

[Pre-Georgelina]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Weasley, George Weasley, Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Storiella in pochissimi capitoli, su un argomento che un po' mi affascina e su personaggi che mi piacciono molto. Chiedo scusa soprattutto per le numerose licenze e per la visione che ho, che forse si discosta dall'originale. Mi auguro che in ogni caso la lettura non sia sgradevole.

L'elefante a Londra

1


Si sistemò il mantello sulle spalle con gesti distratti. La cascata d'ebano dei riccioli scompigliati dondolò morbida sulla sua schiena mentre lei allungava il braccio in avanti e socchiudeva la porta del Paiolo Magico con trepidazione.
Era emozionata.
Non metteva piede a Londra da più di due anni e, tranne i suoi genitori, nessuno era stato avvisato del suo ritorno. In parte la sua idea di ripartire, di lasciare la terra assolata e selvaggia dei suoi avi per tornare a quella in cui era cresciuta, l'Inghilterra, era stata così repentina da non permetterle di organizzare al meglio il rimpatrio o tanto meno di avvertire gli amici, e in parte non ne aveva avuto voglia. Aveva sentito la necessità di un primo ricongiungimento intimo, solitario, col paese che le aveva dato tutto – la nascita, l'educazione, la cultura, la personalità, la formazione – ma che le aveva anche tolto molto.
Era successo quasi improvvisamente, osservando un piccolo branco di elefanti abbeverarsi nella luce rossastra del tramonto sulla savana. C'era una madre che giocava col piccolo, accucciato nello stagno: lei puntava in su la proboscide e spruzzava una doccia d'acqua sul corpo del cucciolo, e quello agitava le orecchie e si dimenava, sembrando quasi ridere. Era stata una scena dolcissima, di una dolcezza naturale e per nulla artefatta che le aveva riscaldato persino i polmoni strappandole una risata spontanea, scrosciante. In quel momento, così, senza che succedesse nulla, si era resa conto che non soffriva più; o forse che il dolore non era più la cosa preponderante, che non occupava più tutto quello spazio dentro di lei.
Elaborazione del lutto, la chiamavano gli occidentali. Equilibrio con gli spiriti, l'aveva definito invece Mbasu, il suo cugino mago – o sciamano, come lo definivano i suoi compaesani muggle - regalandole il suo sorriso un po' sdentato. La magia aveva tante forme, e si declinava secondo diverse culture. Quella che aveva conosciuto durante il suo viaggio africano, quella di Mbasu e dei suoi fratelli, dava un grandissimo spazio al rapporto con la morte e con i trapassati. Forse era stata proprio quella la sua salvezza, nel delicato e terribile momento della sua vita in cui era arrivata lì.
Puoi tornare a casa, adesso,” le aveva detto lo stregone.
Io vivo qui,” gli aveva ricordato lei, accucciandosi davanti al fuoco.
Il posto dove vivi non è per forza casa tua,” era stata la replica pacata di lui. “Hai vissuto tante cose in Inghilterra, alcune belle, alcune terribili, buone magie, cattive magie. Non avere paura di tornare.”
Lei era rimasta in silenzio, assorta, osservando le fiamme. Poi aveva sospirato.
E' stupido averne, vero?” aveva mormorato poi.
Mbasu, sempre bonario e poco incline alle risposte precise, aveva scrollato le spalle.
Tu non sei una donna paurosa.”
Lei aveva sorriso. No, non la era.
E come farò senza di te?” aveva chiesto, in un ultimo tentativo di farsi trattenere.
Mbasu aveva riso piano, roco.
Mi scriverai. I gufi possono arrivare anche qui, e ci parleremo tra le fiamme.”
Lei aveva annuito, unendosi sommessamente alla sua risata senza nessuna particolare ragione. Era rimasta qualche altro minuto in silenzio vicino a lui, osservando il fuoco, poi era tornata alla sua tenda e si era messa a fare i bagagli. Tre giorni dopo era nella sua vecchia stanzetta di bambina, nella vecchia Inghilterra, intenta a raccontare le sue avventure ai genitori.
Per i primi giorni non aveva visto nessun altro, a malapena era uscita di casa e quasi sempre da sola, riabituandosi gradatamente a quel mondo così diverso da quello in cui aveva trascorso quei due anni, e anche da quello che ricordava. Londra era tutta cambiata, ai suoi occhi, l'aria era cambiata. Era più leggera, più luminosa. Non si sentiva più l'oppressione dei Dementors e la bruma era tornata quella di sempre.
In ultimo, prima di scrivere ai vecchi amici o chiamarli al camino, aveva deciso di concedersi una riconciliazione solitaria con Diagon Alley, che aveva visto l'ultima volta come un luogo quasi deserto e angosciante. Ci s'era preparata in una mezza mattinata, vestendosi in modo anonimo, ripetendosi che non avrebbe incontrato nessuno che non volesse incontrare se non fosse andata nei posti in cui non voleva andare, e che tutt'al più si sarebbe imbattuta in conoscenti e in cari amici che avrebbe riabbracciato con gioia. Per questo, mentre apriva la porta del Paiolo, le tremava un po' la mano. Di sicuro avrebbe visto vecchi compagni di Hogwarts, forse ex professori: facce che aveva scolpite nel cuore e nelle retine, di cui solo in quel momento realizzava di aver sentito orribilmente la mancanza. Era tornata viva, in ogni senso.
Sorrise, oltrepassando la porta della locanda, e il cuore le si aprì nel vederla immersa nell'allegro, variopinto caos che ricordava dall'infanzia. I suoi occhi corsero tutt'intorno con una carezza gioiosa, sfiorando i visi tutti improvvisamente familiari. Forse avrebbe addirittura visto qualcuno della vecchia squadra, magari persino Harry... E poi i suoi occhi si fermarono, inchiodandosi spalancati, e la porta dimenticata si richiuse dietro di lei mentre registrava la presenza dell'unica persona che non si sentiva pronta ad affrontare.
Per un paio di secondi, individuandone la sagoma, il fiato le si mozzò in gola e le cedettero le ginocchia, tanto viva fu l'impressione di aver visto un fantasma. Poi rimise a fuoco, la sua gola si schiuse leggermente e i suoi occhi indugiarono sulla sagoma al tavolo in fondo, solitaria, la testa leggermente china sul piatto, i capelli fulvi e un po' scompigliati, lo sguardo basso sul tavolo, il lato del viso segnato dallo sfregio in cui faceva bella mostra di sé un orecchio che non c'era più.
Espirò con un fremito, stringendo i pugni. Aveva pensato che non l'avrebbe incontrato, se non avesse voluto. Di tutti i maghi d'Inghilterra, si era detta, non si sarebbe certo imbattuta suo malgrado in quell'unico. Invece eccolo lì, sorprendente come al solito.
Pensò di defilarsi discretamente e raggiungere il passaggio per il quartiere dei maghi, sul retro, ma non aveva nemmeno fatto un passo quando lui sollevò lo sguardo, vagamente, senza interesse, e lo posò proprio su di lei. Rimase immobile, quasi trafitta da quelle iridi azzurrognole che sparirono un paio di volte dietro le palpebre sbattute ripetutamente.
George non cambiò espressione, lasciò solo ricadere leggermente le spalle fissandola quasi distrattamente, serio, distante. Non sorrise, lui che una volta non smetteva mai di farlo, ma poggiò la forchetta nel piatto e lei lo interpretò come un segnale che la spinse quindi ad avvicinarsi lentamente, accennando un sorriso impacciato.
Johnson,” la accolse lui, atono, passandosi rapidamente il fazzoletto sulle labbra.
Weasley,” rispose piano Angelina, con un cenno del capo e la voce che stentava a venir fuori. “Buon...appetito.”
George abbassò di nuovo lo sguardo sul piatto, osservandolo come se si fosse reso conto solo a quelle parole di averlo davanti. Annuì, assorto.
Sì,” commentò, quasi giungendo alla logica conclusione che effettivamente stava mangiando. Si schiarì la voce, tornando a guardarla sempre con la stessa espressione trasognata. Non disse nient'altro e Angelina si mordicchiò un labbro, ravviandosi nervosamente una ciocca di capelli.
Quello lì non assomigliava a George Weasley, nemmeno un po'. George Weasley, tanto per cominciare, sarebbe scoppiato in una chiassosa risata d'allegria al solo vederla. Poi si sarebbe subito alzato, spalancando le braccia per accoglierla con un abbraccio, e probabilmente nel farlo le avrebbe appiccicato qualcosa di schifoso ai capelli. L'avrebbe trascinata al tavolo e, nel fingersi cavalleresco spostando la sedia per farla accomodare, sarebbe riuscito a farla cadere per terra, e a quel punto avrebbe riso ancor più forte. George Weasley, inoltre, aveva uno sguardo sempre vivido e mobile, che schizzava tutt'intorno con uno scintillio innato di beffardia, e per farlo stare zitto bisognava per lo meno tramortirlo a schiaffoni. Aveva un profilo un po' più affilato di quello di Fred, ma guance piene e non scavate come quelle del ragazzo che le stava davanti e la guardava come se fosse stata una parete.
No, quello non assomigliava a George Weasley. George Weasley sorrideva sempre e la sua presenza bastava a mettere le persone di buonumore ed a proprio agio. E decisamente, in quel momento, Angelina Johnson era tutto fuorché a proprio agio.
Bene, mi...ha fatto piacere vederti,” mormorò, con una cosa che le iniziava a bruciare nello stomaco, facendo un passo indietro.
George si passò la mano sulla fronte. Non rispose di nuovo, ma annuì per l'ennesima volta. Angelina aspettò ancora per un paio di secondi, casomai il suo vecchio amico George non fosse sul punto di ricomparire e prendere il posto di quel tizio decisamente assente, ma non successe nulla.
Allora, a presto,” concluse, senza poter impedire che le tremasse la voce.
A presto,” rispose finalmente George, vago.
Angelina indietreggiò ancora, prima di voltarsi e precipitarsi verso il retro, verso Diagon Alley. Quando ebbe oltrepassato il muro magico le si erano già riempiti gli occhi di lacrime, e stavolta non badò più a quanto tutto forse allegro, brulicante e rumoroso, ma si appoggiò alla parete e strizzò forte le palpebre, cercando di dominarsi. Le sfuggì comunque un singhiozzo che non riuscì proprio a trattenere, senza che a lei stessa ne fosse chiaro il motivo. Forse era perché non si era aspettata di vedere quello che la vita aveva fatto a uno degli esseri a lei più cari e come lo aveva mutato, snaturandolo. Forse perché la faccia di George era praticamente la stessa faccia di Fred, che lei non avrebbe mai più visto. Forse perché fino a quel momento non le era stato chiaro fino in fondo quanto fosse cambiato tutto. Se n'era andata il giorno dopo il funerale, era scappata via, più lontano possibile da tutti quei cocci. Mentre poi metteva a posto i propri, in Africa, non si era mai veramente soffermata a chiedersi cosa stesse succedendo di quelli che erano rimasti a casa, in Inghilterra. L'ultima volta che aveva visto George, mentre il corpo di suo fratello veniva chiuso nella terra, aveva avuto davanti un essere che non sembrava nemmeno più umano, ma che sembrava soltanto dolore. Ricordava che tremava, tremava così tanto che Lee non lo riusciva a tener fermo, e si piantava le unghie in faccia. Non emetteva un suono – aveva urlato così tanto, quella notte, ad Hogwarts, che probabilmente la voce non gli sarebbe tornata per mesi.
Anche lei stava soffrendo in modo simile, quel giorno. Seppelliva un amore due volte morto, per mano delle incomprensioni prima e della guerra poi. L'ultima volta che lo aveva visto erano simili, ma adesso non più.
Forse piangeva perché aveva appena capito di aver abbandonato un amico di fronte al peggiore dei dolori, per risparmiarlo a se stessa.


Lee fumava la pipa senza praticamente levarsela mai di bocca. Continuava a tirare boccate nervosamente, una dietro l'altra, sebbene non avesse affatto l'aria nervosa. Angelina ne dedusse che non fosse quindi dovuto a un particolare stato d'animo del momento, ma che facesse così abitualmente.
Dovremmo organizzare una cena,” osservò il mago, riscuotendola dalla contemplazione delle volute di fumo che si levavano dalla sua pipa. “Con quelli del nostro anno, o con la squadra di Quidditch. O entrambi.”
Lei sorrise con approvazione, annuendo.
Sarebbe fantastico,” commentò.
Saranno tutti contenti di rivederti,” continuò Lee, sorridendo con naturalezza. “Anche se mai quanto me. Dovevi dirmelo prima, che saresti arrivata! Ero rimasto alla tua ultima lettera, quella sulla scampagnata nel deserto col nonnetto che parlava Serpentese. Non pensavo certo che nel frattempo fossi tornata qui. Ehi, lo sai di Wood, no? È in lizza per la Pluffa d'Oro, quest'anno.”
Angelina ridacchiò rassicurata, scoprendo il suo amico animato dalla stessa inarrestabile parlantina un po' logorroica di sempre. Aveva temuto che magari anche lui, come George, le sarebbe sembrato un altro. Invece Lee era solo un po' più adulto, forse un po' meno esuberante, ma pur sempre se stesso. Da che si erano trovati, dandosi appuntamento lì in gelateria, le sembrava di essersi tuffata nella sua vita di prima. In tutta quell'ora, non avevano fatto che parlottare e ridacchiare. Lui le aveva già ripetuto quattro volte che avrebbe dovuto avvisarlo per tempo del suo ritorno, le aveva già raccontato di Harry e Ginny, di Ron e Hermione Granger e del suo lavoro alla radio. Non aveva citato George, e nemmeno Angelina l'aveva fatto. Si era limitata a parlare di Mbasu e dell'Africa, anche se c'erano talmente tante cose da dire che le mancavano le parole.
Speriamo che la vinca,” commentò schietta.
Lee annuì, compito.
Immagino che altrimenti la delusione lo stroncherebbe. Allora, stasera ceni con Katie?” domandò ancora, ricaricando la pipa con gesti sicuri.
Angelina annuì, sciogliendosi in un sorriso. Era così contenta di vedere la sua amica che si sentiva emozionata come se avesse dovuto uscire con il ragazzo dei suoi sogni.
Vuoi unirti a noi?” gli propose.
Lee scosse la testa, fissando il fumo.
Non credo di sentirmela di intromettermi tra due femmine che si ritrovano,” rispose ironico. “E poi ho un impegno.”
Galante?” s'informò lei, con un sogghigno malizioso.
Lee sbuffò, ilare.
Magari, Johnson. Da quel punto di vista, credimi, ho poco da stare allegro,” commentò drammaticamente. Poi si schiarì la voce, vagamente impacciato. “No, ceno in Gemelleria. Ho giurato a George che non l'avrei costretto a uscire di casa, stasera, e noi ci vediamo sempre il mercoledì sera. Qualche volta anche il sabato.”
Oh,” mormorò Angelina, irrigidendosi impercettibilmente.
Lee tossicchiò leggermente, dopo aver prodotto un cerchio di fumo.
Forse potresti vedere anche lui...” ipotizzò, senza troppa convinzione.
L'ho visto. Ieri. L'ho incontrato per caso al Paiolo,” annunciò frettolosamente lei, lisciandosi le pieghe della gonna.
Oh,” fece Lee, raddrizzandosi sulla sedia. “Ah, sì?” Tacque per qualche secondo, prima di espellere un sorriso decisamente meno naturale dei precedenti. “Come...l'hai trovato?”
Angelina riportò lo sguardo sul suo viso per un secondo, prima di spostarlo nuovamente.
Bene,” rispose, con troppa convinzione. Si mordicchiò l'interno della guancia, deglutendo con uno scatto. Nel silenzio prolungato che seguì, emise uno sbuffo rassegnato. “E' stato orribile. Non è che...cioè, non è successo niente. Appunto. Se ne stava lì seduto e mi guardava come se fossi stata una zuppiera.”
Lee emise un espiro prolungato.
So cosa intendi,” commentò a mezza voce, prima di allungarsi stancamente contro lo schienale. “Ho pensato di parlartene cento volte, per lettera, ma ho sempre finito per dirmi che non fosse il caso. Per la verità, ultimamente mi sembrava non lo fosse davvero. Voglio dire, lo so che è strano. Ma se non altro ogni tanto esce di casa, e ha ricominciato a lavorare un po' in negozio.”
Angelina aggrottò la fronte.
Un po'?” ripeté.
Lee si lasciò andare ad una smorfia amara.
Ufficialmente Ron è subentrato come socio, al posto di Fred. In pratica è lui che manda avanti la baracca. La filiale di Hogsmeade è stata affidata in gestione a Luna Lovegood e no, non ho idea del perché. Fino a qualche mese fa George non ci metteva piede, in nessuno dei due negozi. Adesso, ogni tanto sta un po' alla cassa, così Ronald può tirare il fiato e fare qualche commissione.”
Angelina abbassò sulle proprie mani, raccolte in grembo, uno sguardo desolato. Quella brutta sensazione allo stomaco tornò a tormentarla, pungente, dolorosa.
...Poi, sai, per più di un anno non c'è stato modo di farlo uscire di casa. Ci ho provato in tutti i modi, stavo uscendo pazzo. Tutta la famiglia stava andando giù di testa, ecco la verità. Molly Weasley ha rischiato una depressione che non te la racconto, e se non fosse stato per Harry non so come ne sarebbe uscita la piccola Ginny. George non mangiava neanche. Pensavo...ero sicuro che si sarebbe lasciato morire.”
Angelina prese un respiro che tremava, sforzandosi per impedire che le salissero le lacrime agli occhi.
Avresti davvero dovuto scrivermi.”
Certo, grande idea. Come se non fosse stato il tuo ragazzo quello che era morto... Scusa, Johnson,” si affrettò ad aggiungere il mago, sospirando.
Non era più il mio ragazzo,” mormorò lei.
Sì, già, da quanto, due settimane? Seriamente, cosa potevi farci tu? E comunque penso che...niente.”
Il ragazzo s'ammutolì d'improvviso, interrompendo la cascatella di parole repentinamente. Angelina si accigliò, attenta.
Pensi che?” lo spronò.
Ma niente,” fece Lee, agitando una mano con noncuranza.
Jordan...”
Oh, senti, non prenderla come una cosa personale. Io non ti giudico, ok? Hai fatto quello che sentivi, ed è la cosa giusta,” iniziò lui pacatamente, sollevando le mani per metterle davanti a sé. “Però, ecco... Eravamo in quattro, da anni. Io, Fred, George e te. E lo sappiamo tutti e due che non ero io il tuo amico più caro, nella faccenda. Il tuo ragazzo e il tuo migliore amico, i gemelli Weasley. Beh, Johnson, mi sa che, per il tuo migliore amico, la tua scomparsa non ha reso le cose più semplici. E io credo che ce l'abbia con te, anche se suppongo non ci abbia mai nemmeno veramente pensato. Non pensa mai a niente, quello, tranne che al fatto che Fred è morto. E a proposito, è per questo che ha sempre quell'aria stonata.”
Non aveva parlato con aggressività, né con rimprovero – non sarebbe stato da lui, comunque – ma Angelina rimase comunque ferma, immobile, con un groppo in gola, gli occhi lucidi. Solo dopo svariati secondi, percependo lo sguardo circospetto e un po colpevole dell'amico, si risolse ad annuire.
E' solo che...” mormorò. “La guerra era finita, non c'era più bisogno di resistere e io...io avevo bisogno di andare...via...”
Non ti devi giustificare,” la tranquillizzò Lee, bonario. “Non ti sto dicendo che devi farlo. È solo che non... Non lo so, forse è vero, avrei dovuto dirti di scrivergli. Ma poi ho pensato che già così era abbastanza complicato e che magari a lui non avrebbe nemmeno...che ne so, Angelina,” sbuffò infine. “E' un tale casino. A volte mi chiedo se cambi qualcosa che io ci sia o no. Che chiunque ci sia o no. Mi sembra che a George non faccia differenza. Non c'è Fred, ed è questo che conta. Il resto sono briciole.”
Angelina serrò le labbra, con un sorriso mesto.
Come sei riuscito... Come riesci a sopportarlo?”
Lee ridacchiò amaro.
Lavoro come un pazzo. Mi riempio le giornate di impegni e faccio finta che i gemelli non mi manchino. A volte me lo impongo così tanto che quasi quasi ci credo anche. Fingo di non ricordarmi nemmeno più di quando li ho conosciuti e di quant'è stato divertente.” Fece una pausa, ricaricando di nuovo la pipa con una mezza risata gutturale. “Erano i miei amici. Facevamo tutto insieme, e per la maggior parte del tempo lo facevamo sghignazzando come pazzi, e il mondo era tutto nostro. Pensavamo di essere immortali e immutabili. Beh, ci sbagliavamo. Potevamo morire e potevamo cambiare, e sono successe entrambe le cose.”
La sua voce si spense gravemente, accompagnata da un cenno lapidario.
Angelina sospirò profondamente.
Lo so. Lo pensavamo tutti. A volta ancora...è come se non potessi crederci. Era la persona più viva del mondo.” Si morse le labbra, perché non tremassero. “Sapevo benissimo che chiunque poteva morire da un momento all'altro, in quella guerra. Chiunque, ma non Fred. O George. Loro no.”
E invece...” mormorò Lee, prima di riscuotersi. “Comunque sia, ormai è successo, e non serve a nessuno stare a ripensarci.”
Tu riesci a non farlo?”
Lui si strinse nelle spalle.
Devo. Cerco di dare l'esempio, perché non posso certo aspettarmi che me lo dia George. Ho sempre questa sensazione che lui stia cercando di andare avanti solo perché lo vogliamo noi, passivamente. Ma per quanto tempo si può andare avanti solo per gli altri, se non si ha una ragione propria per continuare?” Sbuffò e storse lentamente la testa, e il collo, come cercando di rilassare muscoli. “Tu non ci riesci, a non pensarci?” riprese, ritornando sulle parole precedenti.
Angelina ristette, assorta.
Prima di tornare qui,” mormorò pensosa, “era diventato quasi facile. Era tutto così diverso, e lontano. Quando sono arrivata a Londra e l'ho vista così bella, così rinata, mi è sembrato quasi naturale. Non pensare che non m'importasse di lui, non è così,” si affrettò a precisare. “Ma è vero, bisogna guardare avanti. Però poi...”
Lee emise una sorta di lieve grugnito.
Poi hai incontrato George. E ci hai ripensato.”
Angelina scosse la testa.
Non è che vedendo lui abbia ripensato a Fred. È che mi sono resa conto... Possiamo prendere un altro gelato?” s'interruppe, pratica.
Lee sorrise.
Volentieri,” confermò. “Aspetta.”
Ritornò dopo nemmeno due minuti, con due nuove coppette stracolme, per sedersi ancora di fronte a lei.
Allora?”
Angelina aveva rimuginato, aspettandolo, ed era riuscita a sbrogliare una parte delle proprie sensazioni.
Voglio dire che perdere una persona cara è terribile. Sempre. Ma...io non penso che fossimo più innamorati. Non facevano che litigare e...lasciarci, poi tornare, poi... Lo so, lo so, c'era la guerra ed era un disastro. Ma io penso che...” Ingollò una bella cucchiaiata di gelato, rinfrancandosi. “Eravamo così giovani, no?” continuò, agitando il cucchiaino. “Con due caratteri così intraprendenti, e forti. Avevamo bisogno di scoprire altre cose. Lui doveva fare l'eroe...e lo ha fatto,” precisò gravemente, con orgoglio. “Per Godric, se lo ha fatto. E io dovevo vedere un po' di mondo. Tutto questo non...non dipendeva da me. Ma quando ho visto George ieri ho capito di aver trascurato qualcosa di importante. Avrei dovuto fare qualcosa per lui, hai ragione, e questo sì, dipende da me.”
Lee si strinse nelle spalle.
Capisco,” affermò. “E quindi?”
Angelina scrollò la testa.
E quindi voglio farlo adesso.”
   
 
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