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Autore: Opalix    04/02/2006    21 recensioni
Sulle note di "Every breathe you take" di Sting, il racconto di un momento importante della vita di Hermione. Le paladine del Fire&Ice mi perdoneranno, spero, per questo momentaneo tradimento...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa one-shot è il mio personale regalo ad una cara amica che ha perseguito con fede incrollabile l’obiettivo di farmi mollare, per una volta, il già consolidato Fire&Ice ed ha finalmente avuto successo. Siccome Trapped stava diventando “lievemente” angustiante ho acconsentito a farmi trascinare in questo gioco e, devo ammetterlo, mi sono divertita! Chiara, la tua pazienza è stata premiata e ti meriti dalla prima all’ultima lettera questa storia dedicata solo a te!
Un bacio!

“Coloro che cercheranno di trovare uno scopo in questa narrazione saranno processati;
coloro che cercheranno di trovarvi una morale saranno banditi;
coloro che cercheranno di trovarvi una trama saranno fucilati.
Per ordine dell’autore.”
Mark Twain
“The adventures of Huckleberry Finn”

TITOLO: SCUSA, QUAL ERA LA DOMANDA?

Mi dimenai sul tappeto per sgranchire le gambe anchilosate, cercando, nel movimento, di non mostrare a tutti la carte che avevo in mano; lanciai un’occhiata all’orologio: mezzanotte e zero tre. “Oh… buon anno…” borbottai, senza alcun entusiasmo.
“Zitta e gioca.”
Buon anno anche a te, Weasley.

Il piano terra della baita era piuttosto ristretto, ma molto confortevole: l’avevamo affittata per il periodo delle feste (ovviamente nella speranza che qualche mangiamorte non decidesse di farci lui la festa… ma avevamo cercato di essere estremamente discreti, quindi potevamo ritenerci relativamente tranquilli per qualche giorno), dividendo le spese per quattro: lo stipendio di un apprendista auror non è neanche da considerarsi uno stipendio nel vero senso del termine, e Ginny, come apprendista obliviatrice guadagnava ancora meno.
Ah-ah… proprio un buon anno.
Ma si, in fondo che me ne importava di un brindisi?!? Ero in montagna, con i miei migliori amici, con il mio ragazzo, un caminetto che faceva un caldo d’inferno mentre fuori c’erano più o meno venti gradi sotto zero, avevo indossato un maglioncino nuovo di zecca (che mi faceva risaltare anche quel poco di tette di cui la natura mi aveva dotata) e un paio di pantaloni fantastici (che mi facevano proprio un bel culo)… e stavo giocando a poker.
Ma chi vuoi prendere in giro, Hermione? Tu odi giocare a poker!
Già. La baita era bella e confortevole, tutta rivestita di legno come piaceva a me, avevamo portato su una bottiglia di spumante, uno stereo che faceva impazzire Ron, tante candele e tanto cioccolato che avremmo potuto sfamarci un’intera spedizione himalayana per sei mesi… tutto meraviglioso, se non fosse stato per quel piccolo, irrilevante, particolare che stavo passando la serata di capodanno a giocare a carte (e io odiavo giocare a carte) e stavo perdendo qualcosa come una ventina di galeoni (e io odio perdere).
Non credo di aver mai rivolto un’occhiata altrettanto inceneritrice al mio ragazzo…
Buon anno Weasley. Buona villeggiatura all’inferno, tu e le tue stramaledette carte.

La verità è che Ginny ci stava spennando tutti. E alla grande.
Se ne stava lì, sdraiata a pancia sotto, con quel sogghigno concentrato sulla sua faccina da sberle, truccata con una quantità industriale di brillantini dorati e con indosso un vestitino nero che più che un vestitino era uno straccio per la polvere dotato di paillettes… e offriva una fantastica visuale dei suoi slip (che io, in qualità di perfetta migliore amica, sapevo essere di tulle rosso e brillantini) al povero Harry seduto sulla poltrona dietro di lei. Il povero piffero era talmente confuso da quella manifestazione di “fiducia” che non riusciva a ricordare nemmeno che carte aveva in mano: le guardava, poi richiudeva il mazzetto, se le strofinava sulla fronte (forse sperava di grattare via la cicatrice, forse sperava che le sue onde cerebrali di Prescelto avrebbero cambiato quei zero virgola zero periodico punti che aveva in mano, in una doppia coppia, almeno), poi le riguardava una ad una… e il gioco ricominciava. Ormai aveva la fronte scorticata.
Sospirai vedendolo armeggiare con il collo alto del maglione… povero coglione (non fraintendete, gli voglio un bene dell’anima, però…), si era messo quel maglione perché lo faceva sembrare ancora più alto e magro, non sospettava certo che la sua neo-di-nuovo-ragazza avesse deciso di fargli salire… la temperatura corporea.
Per quanto riguarda l’altro coglione, invece, penso che in quel momento avrei potuto palesarmi alla sua vista con un completo sadomaso in pelliccia di acromantula che probabilmente mi avrebbe detto di levarmi che gli facevo caldo. Sospirai. Era spaparanzato su un puff così sdrucito che perdeva gommapiuma a pezzettini sotto il dolce peso dei suoi “uno e ottantacinque”; aveva la faccia così imbronciata e concentrata che sembrava volesse perforare le carte di Ginny per vedere cosa aveva in mano solo con la potenza del suo sguardo, e si era anche infilato la bacchetta su un orecchio… chissà perché, forse per darsi un tono, forse perché Ginny sull’orecchio ci aveva una sigaretta, forse perché credeva di apparire minaccioso…
E così, nel pieno di quell’allegria frizzante e spumeggiante come il migliore degli champagne, mi sono sentita rispondere “Zitta e gioca.”…
Ma che diamine vuoi che giochi che anche una scimmia riuscirebbe a fare più punti di me a questa merda di gioco!

“Vedo.”
“Vedo anch’io”
Mi guardai intorno smarrita. Cosa voleva pure dire “vedo”? Ah, già… che ho finito di rimetterci dei soldi.
“Vedo…” sospirai.
Ginny ghignò. Pessimo segno.
“Full.”
Avrei giurato che stesse facendo le fusa.
Guardai le carte degli altri (sulle mie stendiamo un velo pietoso… anzi un bel piumone sarebbe stato meglio): un paio di coppie ma niente di più. Mi rifiutai di ascoltare gli epiteti fraterni con cui il mio ragazzo stava apostrofando l’amata sorellina, tanto non li avrebbe ascoltati nemmeno lei (tra le altre cose le mie orecchie furono accarezzate da una serie di coloriti aggettivi riferiti al sedere della mia migliore amica, e non credo che Ron avesse in mente esattamente la parte anatomica sopraccitata). Mentre mi alzavo per prendermi un altro bicchiere di vino, lanciai un’occhiata compassionevole ad Harry che aveva gettato indietro la testa sullo schienale della poltrona con aria che definire afflitta non era che un pallido eufemismo; e pensare che aveva le carte di Ginny dritte davanti al naso, povero idiota (ripeto, gli voglio davvero un bene dell’anima…). Mi sedetti sul bracciolo della poltrona e gli somministrai qualche pacca amichevole; vista la mia situazione mentale (noia totale…?) non credevo di poter fare molto di più per lui.

“Se vuoi ti concedo una rivincita…” sibilò dolcemente la mia amatissima migliore amica.
Che? Non ci pensate neanche!
“No. Mi hai fatto passare la voglia. Sono sicuro che bari.”
“Piuttosto che ammettere che sei una schiappa, mi accusi di imbrogliare?”
“Piuttosto che ammettere che imbrogli, accusi tutti noi di non saper giocare?!?”
“Si.”
Ginny sapeva sempre come metterlo a tacere, su questo dovevo levarmi tanto di cappello: era insuperabile. Forse un tantino troppo diretta… ma raggiungeva il suo scopo.

“Oh, ragazzi… basta. Mi avete rotto le palle, voi e le vostre carte.”
Incredibile: era la mia voce quella? Dovevo aver bevuto più del previsto… io non perdo mai la pazienza. Quasi mai. Cioè… mai tranne quando sono con Ron.
In quel momento mi resi conto che forse avevo esagerato perché Ron mi guardò con un’aria strana.
“Ti sei annoiata, Herm?”
Mmh… risposta sincera o risposta prudente?
“No…” Oh al diavolo! “Lo sai che le carte non sono proprio il mio gioco preferito.”
Ti prego non propormi di giocare a scacchi perché potrei reagire male!
“Oh.”
E non fare quella faccia da cucciolo bastonato, lo sai che con me non attacca!
“Fa niente, Ron. Se volete continuare giocate in tre, però. Sono rimasta senza soldi.”
Bugia.
“…”
Bè? Perché non risponde?
Stava lì a guardarmi, meditando così profondamente che mi chiesi se per caso avevo un mangiamorte alle spalle (scusate, disfunzione professionale).
“Andiamo.”
Come cosa come?
“Eh?”
“Andiamo dove?” fece Harry, riemergendo.
“Andiamo, io e la mia ragazza…” lo fulminò Ron, con un’occhiata che suppongo dovesse risultare eloquente (io preferii non indagare) “andiamo a fare un giro fuori.”
Lo guardai, non sapevo nemmeno io se ero più incredula o esasperata.
“Ron che diavolo stai dicendo?!”
Ginny ridacchiò, singhiozzando per un sorso di vino andato di traverso.
“Oh, andate! E portate dentro un pinguino che lo arrostiamo!”
La ignorammo, ogni tanto bisogna farlo.
“Ronald, hai una vaga idea del fatto che fuori c’è mezzo metro di neve e qualcosa come sette o otto gradi sotto lo zero?!?”
“Quante storie” sbuffò lui “mettiti la giacca e andiamo! Non hai detto che ti annoi?”
A voler essere puntigliosi non l’ho esattamente “detto”.

Inutile dire che mi feci trascinare fuori, in una notte serena di pieno inverno, di quelle che il fiato non solo fa condensa davanti al viso, ma solidifica precipitando a terra in inquietanti aghetti di ghiaccio.
La superficie della neve era talmente indurita dal gelo che scricchiolava sotto le nostre scarpe, ed io stavo tremando da capo a piedi. Il riflesso della luna sul bianco era qualcosa di indescrivibile a parole, e, in quell’iridescenza azzurrina, le ombre lunghe degli abeti non sembravano avere nulla di inquietante, come succede invece spesso alle ombre. Ero senza fiato, e non ero affatto sicura che fosse tutta colpa dell’aria gelida che mi martellava il naso e le guance.
Guardai Ron, che avanzava nella neve con metodo, tirandomi per mano, ma lasciandomi dietro di lui in modo che potessi camminare sulle sue impronte senza immergermi nella neve fino al ginocchio; era senza sciarpa e senza guanti (ci vuole poco a essere meno freddolosi di me, ma lui era eccessivo!) e teneva la testa alta, sbirciando il paesaggio di tanto in tanto come se stesse cercando di ricordarsi la direzione da prendere.
“Ron… dove cavolo…?”
In tutta risposta lui girò appena la testa e mi fece l’occhiolino al di sopra della spalla.
Ormai non riusciva nemmeno più ad esasperarmi… diciamo che ci avevo fatto il callo.
“Di qua.”
E come no…
Scossi la testa.
“Weasley ti conviene sapere dove mi stai portando. Potrei procurati un discreto dolore fisico se ci perdiamo nel bosco con questo freddo.”
Sarà perché la voce mi tremava dal freddo, ma la mia minaccia non dovette suonare poi così convincente perché lui si limitò a sogghignare, con quell’aria un po’ canaglia e un po’ adorabile, che per evitare di sciogliermi come una bambinetta dovetti imporre a me stesso di ricordare che odio non essere presa sul serio!
“Ronald Weasley, non sto scherzando!”
“Mh-mh.”

Puntai i piedi. Non mi lasciavo trascinare nella foresta nel bel mezzo della notte senza un valido motivo e senza una meta da me attentamente considerata ed approvata. Nossignore. Sono Hermione Granger, io, e con Hermione Granger non si scherza.
“Ron!” gracchiai.
Ron alzò gli occhi al cielo, imitandomi.
“Ron!” ripetei, più forte.
Si voltò, si puntò le braccia sui fianchi, stile mamma Weasley, e di nuovo mi fece il verso.
“Herm!”
Poi scoppiò a ridere e, mio malgrado, risi con lui. Inutile, non ce la facevo a rimanere arrabbiata. Mi venne vicino e mi abbracciò, guardandomi negli occhi per quello che glielo permetteva la mia cuffia calata sulla fronte.
“Ti fidi di me?” bisbigliò, con una risata trattenuta nella voce.
Ma per favore…
“Ron, ok hai visto Titanic…” sospirai.
Rise di nuovo. Credo avesse bevuto un po’ troppo.
“è una sorpresa, ti piacerà!” sussurrò, baciando quel poco della mia guancia che rimaneva scoperto tra la cuffia e la sciarpa.
Decisamente aveva bevuto troppo.
Ron non era mai romantico; non che la cosa mi disturbasse, nemmeno io lo sono più di tanto… semplicemente non faceva parte di lui. Era divertente, esasperante, affascinante se voleva (ma non lo voleva spesso) ma mai sdolcinato o romantico. Non era nemmeno troppo sensibile a dirla tutta, anzi: non aveva mai capito proprio un cavolo delle donne! Ehi, era il mio ragazzo… che problema c’è? A me andava bene così!
“Sai che non mi piace essere presa alla sprovvista” lo ammonii, un po’ guardinga.
Mi strizzò di nuovo l’occhio e tirò dolcemente un ricciolo che usciva dalla cuffia sulla mia fronte.
“Ogni tanto bisogna rischiare.”
Mi prese di nuovo la mano e cominciò a tirare, di gran carriera, riprendendo la sua marcia.
“Ron, no! Aspett… Ron!”

E mi trascinò per dieci minuti, completamente sordo alle mie imprecazioni che diventavano via via sempre meno… velate.
“Arrivati” biascicò, fermandosi all’improvviso.
Sbattei contro la sua schiena e sollevai gli occhi, più stizzita che mai.
“E dove, di grazia?” borbottai tra i denti.
Per tutta risposta, il mio adorabile fidanzato, sollevò un braccio e indicò una costruzione a pochi passi da noi, che spiccava nel bel mezzo di uno spiazzo tra gli alberi, immersa nella neve come su una distesa di panna montata azzurrognola.
Strizzai gli occhi nel buio.
“Una baita diroccata” feci, il più indifferente possibile.
Weasley, mi spieghi che cazzo mi hai portata a fare in una baita diroccata all’una di notte!?!?
Ora, non so quanto siate maliziosi voi… io non lo ero poi tanto, ma non potei fare a meno di afferrare qualche immagine che mi era passata davanti agli occhi, quasi in automatico. Arrossii, e vi assicuro che non poteva essere il caldo, poi scossi la testa.
Ma dico, ma stiamo scherzando?!? Con questo freddo maledetto?!
Imposi a me stessa di dimenticare gli ultimi pensieri del tutto inappropriati, e contai fino a quaranta in attesa che Ronald mi spiegasse quale improvvisa folgorazione lo aveva illuminato d’immenso… per fargli decidere di portarmi lì all’una di notte. Ammetto che non esclusi che il firewhisky avesse trasportato la sua mente in qualche oscuro luogo mistico, dove chissà quale messaggero degli dei gli aveva ordinato di immolarmi alla divinità delle nevi o roba simile.
“Ronald, sto iniziando a chiedermi se sei impazzito.”
Per tutta risposta cominciò a tirarmi verso la baita, avanzando a fatica nella neve. La cosa non mi rassicurò per niente.

Mi fece arrampicare (forse sarebbe più corretto: mi spinse di peso) su un muretto diroccato, per raggiungere quello che una volta doveva essere stato un terrazzino di legno, scricchiolante in una maniera non proprio confortante.
“Ronald!”
Credo che fosse la dodicesima volta che gli urlavo contro negli ultimi dieci minuti; chissà perché, ero convinta che se fossi riuscita a sbraitare il suo nome in modo abbastanza minaccioso lo avrei costretto a desistere e dirmi che diamine aveva in testa.
“Finito!” mi disse, esasperato dai miei strilli “siamo arrivati!”
Mi guardò con aria sorniona e si sedette per terra, battendo una mano sul legno tra le sue gambe aperte per farmi segno di sedermi con lui.
Scusa?
La mia faccia doveva essere più che eloquente perché almeno ebbe la delicatezza di assumere un’aria meno strafottente.
“Dai, Herm! Non rovinare sempre tutto!”
“Rovinare cosa, esattamente?”
Sorrise. Bastardo, lo sapeva che lo adoravo quando sorrideva così, come il gatto a cui spunta ancora la coda del topo dalla bocca.
Weasley, me la pagherai cara se non ci sarà un motivo PIU che valido!
Mi sedetti, appoggiando la schiena contro il suo petto e sentendo la stizza svanire come per magia nel suo abbraccio così solido; anche il freddo sembrava essere diventato meno intenso. Mi lascia abbracciare e sentii il suo mento poggiare sulla clavicola, un bacio lieve sulla guancia e un sussurro nell’orecchio, la voce roca per il freddo.
“Guarda.”
Seguii la direzione della sua mano che indicava il cielo sopra di noi: velluto blu, così scuro e compatto che sembrava di poterlo sfiorare e sentirne la morbidezza soltanto allungando la mano… centinaia e centinaia di stelle sfolgoravano su quello sfondo, contornando uno spicchio di luna così bianca e luminosa da sembrare argentata. Nella luce irreale della neve, le nuvole dei nostri respiri si condensavano e risplendevano perlacee prima di dissolversi… Rimasi senza fiato.
Momenti come quello non si dimenticano mai, ti rimangono nel cuore per sempre, e ti sembra che ti basti chiudere gli occhi per rivedere quel cielo così vicino e quelle stelle, preziose come ballerine congelate in una complessa figura, i tutù lucenti di cristalli nel buio del palcoscenico; puoi risentire gli odori di quel momento, il bisbiglio del bosco, il rumore della neve che cade dagli alberi rompendo il silenzio… nessun incantesimo avrebbe potuto ricreare quella bellezza, così intensa da far stringere il cuore.

Ron indicava ancora le stelle e mi teneva stretta con l’altro braccio, stringendo la mia vita così stretta che riuscivo a sentire la pressione anche attraverso gli strati imbottiti della giacca a vento. Ron era così: non era importante che fossero le sue parole a dirmi che teneva a me, lo diceva la sua pelle, il suo corpo grande e grosso che mi faceva sentire sicura, il suo abbraccio in cui mi sembrava che nulla mi potesse accadere, la sua testa posata sulla mia spalla in silenzio, la sua serenità quando eravamo da soli e il suo rifiuto imbarazzato nel mostrare agli altri ogni effusione, come se i baci che ci concedevamo fossero così preziosi da non poter essere condivisi con altri, nemmeno i nostri migliori amici…
“Scegline una.”
Ok. No. Fuori il mio ragazzo, brutto alieno, lo so che l’hai rapito e hai preso le sue sembianze…
Non era lui. Non lo era proprio. Quella era una cosa che il vero Ron non avrebbe mai detto! Giuro, rimasi sconvolta. Non perché non apprezzassi le romanticherie, ma perché non lo aveva mai visto comportarsi così; pensai che fosse il whisky a parlare, e mi girai per guardare se stava per accasciarsi e vomitare l’anima per il troppo alcol, ma lui non me lo permise: il suo braccio ancora dritto verso il cielo trattenne la mia testa e, devo ammetterlo, la sua risata bassa, quasi un respiro trattenuto contro il mio collo, mi fece sentire le note “farfalle allo stomaco”.
“Dai, scegline una! Non posso regalarti una stella per augurarti buon anno?”
Ero sempre più preoccupata, ma decisi di assecondarlo… in fondo poteva anche essere pericoloso contraddirlo troppo. Non che avessi più dubbi del solito sulla sua sanità mentale (sullo stato della quale, in ogni caso, non ero mai stata certa), però…
Guardai il cielo e indicai una stella azzurrognola e luminosa, al centro della costellazione del Toro.
“Quella.”
Ron seguì la direzione della mia mano e fece come per prendere veramente quel puntino di luce e staccarlo dal cielo. Non ho mai saputo se in quel momento usò la magia o semplicemente fu molto bravo a calcolare le distanze, ma ai miei occhi le sue dita sembrarono acchiappare davvero la stella e chiudersi a pugno su di essa. Il mio cuore, involontariamente, mancò un battito.
Il suo pugno chiuso si fermò davanti al mio viso e si aprì; per un istante pensai che la stellina giacesse veramente nel suo palmo, sul quale brillava un punto di luce… poi misi a fuoco e capii che era una piccola pietra. Un brillante.
Strabuzzai gli occhi.
Hermione questo non è reale.
“Ron…” feci, per niente convinta.
“è un diamante” si sentì in dovere di spiegare, lui.
“Ho visto.”
Beh, forse non era la cosa più giusta da dire, ma vi assicuro che in quel momento nella mia testa c’era un black out totale. Stile Hiroshima intorno al ’45, se non ricordo male.
Ron rise, meno convinto di prima. Sentii la sua mano staccarsi dalla mia vita e trafficare nella tasca della giacca, per poi tornare alla sua posizione impugnando la bacchetta.
“Vediamo se così ti diventa più chiaro.”
Sfiorò la pietra, mormorando qualcosa che non ascoltai, e un cerchietto di luce apparve sulla punta della bacchetta, si attorcigliò e sollevò il diamante a mezz’aria: sul palmo della mano del mio ragazzo levitava un anello di luce dorata che magicamente sosteneva un piccolo diamante.
Questo non è assolutamente reale.
Sentii la voce di Ron quasi dentro l’orecchio.
“Per ora ho potuto comprare solo la pietra; pensavo di aspettare di poterla incastonare, ma stasera mi sembravi così delusa e annoiata…” la sua voce si fece un po’ scherzosa “ho pensato di darti qualcosa su cui pensare.”
“Che cosa?”
Si irrigidì.
“Herm mi stai prendendo in giro?”
Girai la testa all’indietro per quel tanto che me lo permettevano le sue braccia.
“Ron…” dovetti schiarirmi la voce “Ron, che… che cosa stai cercando di dirmi?”

Nemmeno quando, a dodici anni, gli comunicai che avrebbe dovuto prendere le sembianze di Goyle, lo vidi così interdetto. Interdetto è un eufemismo… sconvolto si avvicina di più alla realtà.
“Hermione, c’è un anello… bè, quasi un anello… con un diamante nella mia mano. Te lo sto offrendo. Veramente non capisci che cazzo sta succedendo?!?”
No, non è reale.
Potete anche non crederci, ma veramente io non avevo capito. Succede quando qualcosa che non ti aspetti, succede nel momento in cui meno te lo aspetti e nel modo in cui non avresti mai potuto aspettartelo. La mia testa continuava a dirmi che era un sogno, che era tutto un sogno: le stelle, la neve, la montagna, Ron che mi chiedeva di sposarlo…
Sposarlo?!?!
Ecco, quando riuscii a compitare la parola nella mia mente mi prese il panico.
E quando mi prende il panico, io farnetico.
“Ron-io-io-no-Ron, cosa-cosa-veram… Ron-che-significa…”
Si, credo di aver borbottato una cosa del genere.
Il problema era che più io farneticavo, più Ron si accigliava.
“Hermione, calmati!”
“Ma-ma… io-davvero…”
Problema ancora più grosso: è difficile fermarmi quando inizio a farneticare.
“Herm!”
“Ron!”
Forse urlare era la soluzione giusta perché ammutolii. E cominciai a guardare l’anello e la faccia di Ron ripetutamente, rischiando di farmi venire il torcicollo; finalmente il mio sguardo si fermò sull’anello e realizzai che… cazzo, aveva proprio la forma di un anello di fidanzamento…
Mi voltai verso Ron di scatto e gli somministrai una testata sulla mandibola. Grugnito di dolore (qualcosa tipo “ughgh!”).
“Se avessi pensato che era così pericoloso ti avrei fatto arrivare la proposta per lettera!” brontolò lui.
“Proposta?”
Mi guardò malissimo. Malissimo.
“Herm, quanto hai bevuto?”
E pensare che fino a pochi minuti prima me lo stavo chiedendo io riguardo a lui.

Non avevo mai visto Ron sospirare, frustrato. Di solito lo faccio io.
“Hermione ti sto chiedendo di sposarmi…”

Il black out “modello Hiroshima” cominciò ad assomigliare allo schianto del meteorite di 60 milioni di anni fa. Sempre se non ricordo male, qualcosa deve essersi estinto nell’occasione.
Il mio cervello, se non altro, non mandava impulsi di sorta. E questa per me era una situazione del tutto nuova.
Il fatto è che tutte le volte che avevo immaginato quel momento, avevo sempre in testa qualcosa del tipo io e Ron sul divano, lui che mi guardava col sorriso Weasley che adoravo e mi diceva “Herm, perché non ti compri un vestito bianco e facciamo contenta mia madre?”.
Ecco quello sarebbe stato più il suo stile.
L’idea che potesse succedere come invece stava succedendo in quel momento non era mai neanche passata nelle vicinanze dei miei notoriamente iperattivi neuroni. Risultato: la mia faccia esprimeva quello che chiamare “disorientamento” sarebbe stato soltanto un pallido eufemismo, e Ron non sembrava gradire… anzi aveva staccato le braccia da me e stava armeggiando per rimettersi in piedi. Urgeva una soluzione immediata.

“Ron!”
“Che c’è?”
Aveva ancora la mano stretta a pugno, a nascondere il diamantino che non potevo più vedere. Sembrava deluso, arrabbiato, forse c’era rimasto proprio male.
“Ron… non-non hai capito…”
“Non mi sembra che ci sia molto da capire. Non posso dire di aver sperato in lacrime di gioia, ma almeno che mi dicessi di si…”
Aprii la bocca e la richiusi. All’improvviso avevo la gola molto secca.
Vedendo il gesto Ron girò la testa dall’altra parte.
“Tranquilla Herm” fece, con aria rassegnata “magari ne riparleremo più avanti.”
Si mosse per scendere dal terrazzino e io mi alzai di scatto, facendo tremare tutta la struttura un po’ pericolante; strillai, credo, e le sue braccia mi afferrarono prontamente… come avevano sempre fatto: le sue braccia, intorno a me come la più calda delle coperte, sostegno e appiglio che non crollava mai, solidità e affetto, sicurezza e passione. Chiusi gli occhi per un attimo, aggrappandomi alla sua giacca un po’ sdrucita, poi li riaprii e sollevai il viso per guardarlo: se in quello sguardo avessi visto rabbia o fastidio non sarei riuscita a dirlo. Ma non li vidi: c’era il suo amore per me nei suoi occhi azzurri che lì, nel buio, sembravano scuri come il cielo… c’era l’amore che matura in una vita, l’amore che era cresciuto insieme a noi, amalgamandosi alle nostre personalità, smussando gli angoli dei nostri caratteri e lasciando che potessimo amarci e volerci così, com’eravamo, senza finzioni, senza costrizioni, regalandoci una luce calda che teneva lontani i fantasmi anche nelle ore più buie. Ron e io, da sempre amici, da sempre una squadra, da sempre amanti, che prima si rincorrono, soffrono un po’ e poi si trovano, per non lasciarsi mai. Che ci appartenevamo l’avevamo sempre saputo, che ci amavamo era in ogni nostro gesto, confidenza, battibecco e risata… cosa mancava dunque, di cosa dovevo mai sentirmi confusa o impaurita?
Mi persi nel suo viso così familiare che avrei potuto disegnarlo ad occhi chiusi, e mi chiesi che diritto avevo di far apparire quell’ombra di delusione nella piega della sua bocca, che diritto ne avevo quando ciò che ci separava non erano i sentimenti, ma soltanto una parola: “Ron… si.” dissi semplicemente.

Sebbene la notte ci avvolgesse, facendosi sentire nei suoi suoni, nei profumi, nei colori surreali, una luce sembrò accendersi sul viso di Ron, una luce così calda che all’improvviso ebbi voglia di correre nella neve e buttarmici ridendo come una bambina. Mi sorrise incerto, come se stesse valutando la mia risposta, come quando a scuola rispondevo con qualche parola che lui non conosceva. Aprì la mano ed eccolo ancora lì, l’anellino di luce con il diamante piccolo quanto una lacrima e altrettanto luminoso; me lo mise al dito e sentii la punta inferiore della pietra premere sull’anulare.
“Sarà vero tra un paio di mesi” mi sussurrò “ti accontenterai per ora?”
Tolsi il diamante con due dita e l’anello svanì nell’aria.
“Non mi sto affatto accontentando” risposi stringendo la pietra e alzandomi sulle punte dei piedi per baciarlo.
“Ti amo” sussurrò lui sulle mie labbra “non te lo dico quasi mai, ma lo sai, vero?”
“Certo. Scusa… mi hai preso alla sprovvista.”
“Non importa.”
Nell’aria fredda le nostre labbra erano screpolate e intirizzite, ma a nessuno dei due importava poi tanto.

Aiutandomi a scendere dalla baita e scavalcare il muretto, Ron mi prese in giro, come se nulla fosse successo.
“Certo che per essere la studentessa brillante che sei, sei stata un po’ tarda, eh?”
Feci per rispondere acidamente, magari mollandogli anche un pugno sulla spalla, ma lo sforzo mi fece perdere l’equilibro e Ron dovette acchiapparmi al volo. Nei suoi occhi c’era una felicità così evidente che non riuscii a fare a meno di sorridere.
“Diciamo che per un attimo ho provato cosa si prova ad essere te” gli risposi ridacchiando.
Per tutta risposta mi gettò nella neve profonda e mi aggredì con una scarica di palle al punto da farmi strillare tra le risate implorando pietà; le risate di quella notte sembrano ancora aleggiare nell’aria ogni volta che ci ripenso: la mia, acuta e squillante, e la sua, roca e potente, di quelle risate che ti entrano dentro, scaldandoti fino alle ossa.
Ritornammo alla nostra baita giocando come bambini, ma con la consapevolezza di aver appena gettato la prima pietra su cui costruire la nostra vita di adulti, una vita per la quale lottare.

Arrivati alla baita guardammo dalla finestra e di nuovo spalancai la bocca, pensando che forse la fine del mondo non era poi così lontana: Harry e Ginny stavano ballando. Harry stava ballando. E sembrava perfino divertirsi.
Harry non balla. Quello non è Harry. Oh, mio Dio. Gli alieni sono arrivati davvero. Ho appena promesso di sposare un alieno.
Con la sua grazia equina il mio migliore amico stava facendo volteggiare e girare la piccola Ginny, ridendo e cantando sulla musica a tutto volume.

Ron mi aveva chiesto di sposarlo sotto un cielo stellato.
Harry stava ballando.
Il mondo si era capovolto.

Io e Ron ci guardammo e scoppiammo a ridere.

***********

Every breath you take
And every move you make
Every bond you break, every step you take
I'll be watching you

Every single day
And every word you say
Every game you play, every night you stay
I'll be watching you

Oh, can't you see
You belong to me?
How my poor heart aches
With every step you take
Every move you make
Every vow you break
Every smile you fake, every claim you stake
I'll be watching you

****************

Bè, lo so che avrei dovuto aggiornare Trapped, ma gli esami sono una bestia nera e questa storia era in aria da tempo. Spero che vi sia piaciuta e mi scuso ancora con chi sperava in un aggiornamento dell’altra storia.
Intanto penso di poter dire che la mia speranza di finire trapped prima della partenza NON si realizzerà, non c’è abbastanza tempo. Forse l’aggiornamento sarà un po’ più a rilento ma vi assicuro che la continuerò… quindi dite “graaaazie Savannah”, la quale gentilmente pubblicherà i miei capitoli nel caso io non possa accedere a questi siti ameni dal computer del lab (ha detto che declina ogni responsabilità nel caso succeda qualcosa ai personaggi…).
Un bacio a tutti, per il momento!

   
 
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