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Autore: Roxas93    05/05/2011    2 recensioni
Ash sta per partire per la regione di Unima, ma una volta arrivato dovrà vedersela con due nemici: il Team Rocket e il Team Plasma. Nel corso dell'avventura, riceverà il supporto di alleati vecchi e nuovi.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ash, James, Jessie, Meowth, Misty, Un po' tutti | Coppie: Ash/Misty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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«Ho immaginato che a te il viaggio non sarebbe interessato molto, quindi potresti venire qui a occuparti della Palestra di Celestopoli mentre noi saremo in giro per il mondo!»
«Misty, sarà solo per un po’ di tempo!»
«Questa bicicletta è tua, vero Misty?»
«Dato che torni a casa, volevamo condividere con te quest’ultima battaglia.»
«Sono convinto che tutto quanto è successo solo perché era destino che ci incontrassimo e diventassimo amici.»
«Credo che adesso dobbiamo separarci.»


Misty aprì gli occhi. Non era stato un brusco risveglio, anzi. Era come se mentre stava dormendo qualcosa l’avesse portata a svegliarsi, ma con dolcezza. Si trovava nella sua stanza, a casa. Erano le prime ore del mattino e Azurill dormiva ancora beatamente ai piedi del suo letto. Poco a poco qualcosa nella sua memoria cominciò a venire a galla.
Aveva sognato. O forse era più corretto dire ricordato. Ed era da un po’ che non ricordava gli eventi di quella giornata, la stessa che aveva segnato la fine di un importante passaggio della sua vita. Richiuse gli occhi per un istante, e una serie di volti cominciò a passarle davanti. Poi quei volti divennero tre e infine uno. Quest’ultimo in particolare era ciò che contava davvero.
Si alzò dal letto, barcollando un po’, e aprì il cassetto della sua scrivania. Estrasse una vecchia foto, ed ecco comparire dinanzi a lei i tre volti di poco fa. Erano ovviamente quelli dei suoi ex-compagni di viaggio. Tutti quanti le mancavano, ma, si sa, lui occupava un posto speciale per lei. Più o meno da sempre.
Dal momento che non aveva più sonno, rimise la foto al suo posto e decise di combinare qualcosa, perciò andò in bagno a sistemarsi. Dopodiché, una volta vestita, si diresse in cucina a mettere qualcosa sotto i denti. Mentre faceva tutto questo, continuava a pensare a quel “sogno”. Era una sensazione strana: le faceva venire forti attacchi di nostalgia, ma allo stesso tempo sentiva che era fondamentale che non lo dimenticasse. E in effetti, il suo inconscio le aveva riproposto pari passo tutto ciò che le era stato detto quel fatidico giorno. Probabilmente aveva, sebbene involontariamente, sotterrato all’interno della sua mente alcuni dettagli che ora erano riemersi all’improvviso.
Le sue riflessioni furono interrotte quando si rese conto di uno strano piagnucolio che proveniva da un’altra stanza. Prima che potesse ricollegare i fatti, un’assonnata Violet entrò in cucina con in braccio il piccolo Azurill, ancora in lacrime.
«Tieni» le porse il Pokémon la sorella. «Dovresti prestargli più attenzioni.»
Senti chi parla, pensò Misty. Prese Azurill e cominciò a coccolarlo un po’, probabilmente si era sentito spaesato quando non l’aveva trovata al suo risveglio. Dopo che il Pokémon si calmò, Violet iniziò a lamentarsi di come la carenza di ore di sonno rischiasse di rovinare la sua pelle stupenda e Misty decise di ignorarla, come faceva sempre.
«Ah» riprese Violet. «Sarebbe carino se oggi cominciassi a pulire la piscina. Non voglio esibirmi in mezzo all’immondizia.»
«Sarebbe altrettanto carino se voi ogni tanto mi deste una mano, sai?» replicò Misty. «Almeno quando viaggiavo non dovevo occuparmi di questo genere di cose.»
Quest’ultima frase le venne spontanea: da una parte voleva stuzzicare la sorella, dall’altra voleva tirare in ballo l’argomento. Si rese conto da sola di quanto questa cosa risultasse patetica. In ogni caso Violet non rispose, anzi, si era messa a preparare la colazione come se nulla fosse, naturalmente senza eccedere troppo per mantenere la sua linea eccezionale.
«Ora che ci penso, è un po’ che non sento Ash.»
Oh no, l’aveva fatto di nuovo. E in maniera doppiamente patetica. Se prima l’aveva scampata, ora Violet avrebbe capito al volo che non vedeva l’ora di fare il nome di Ash. E l’avrebbe presa in giro.
«Non è colpa mia se il tuo ragazzo ti ha mollato» si fece finalmente viva con il massimo dell’indelicatezza.
«Quante volte te lo devo dire che non è il mio ragazzo!?» ribadì Misty, poco convincente.
Purtroppo, meditò segretamente tra sé e sé. Era ufficiale: con Violet non ci si poteva confidare. Un piccolo risentimento verso le sue sorelle ricominciò a farsi sentire. Dopotutto, era anche colpa loro se aveva dovuto dire addio a quella vita. O meglio, ora che stava ricomponendo ordinatamente i tasselli degli eventi di quella giornata, pensò che se Violet e le altre due non avessero mai vinto un viaggio intorno al mondo e non l’avessero mai chiamata per affibbiarle il titolo di Capopalestra dall’oggi al domani, probabilmente a quest’ora starebbe viaggiando insieme ad Ash per chissà quale regione. L’avrebbe seguito a Hoenn e Vera sarebbe stata solamente una delle tante persone incontrate durante i loro viaggi. Sì, sarebbe andata decisamente così se non fosse stato per loro. Invece aveva dovuto attendere che le tre vanitose tornassero dal loro viaggio per poi... rimanere lì. Un altro terribile pensiero si insediò nella sua mente: forse non era solo colpa delle sue sorelle. Una volta tornate, lei avrebbe potuto benissimo fare i bagagli e raggiungere Ash a Hoenn. Sarà solo per un po’ di tempo. Perché invece non l’aveva mai fatto? Forse perché aveva paura. Forse a causa di Vera. Nei brevi periodi in cui si era riunita con i suoi vecchi amici, non se l’era sentita di proporre di tornare a viaggiare insieme. Aveva per caso paura di risultare un peso in un gruppo ormai così affiatato? Ovviamente no. Sapeva che sarebbe stata accolta a braccia aperte. Ciononostante, non si era fatta avanti. Infondo si era abituata alla vita da Capopalestra e quel titolo le dava l’opportunità di scontrarsi con alcuni dei migliori Allenatori in erba che si presentavano per vincere la sua medaglia, oltre che a rappresentare una grossa responsabilità in quanto tappa obbligata per giungere alla Lega Pokémon di Kanto.
In realtà questa storiella se l’era ripetuta tante volte. Ma dentro di sé sapeva che, come tutto il resto, si trattava solo di un’enorme e infondata giustificazione. La verità è che un po’ le piace anche così. Lunghi periodi di lontananza per poi fare una rimpatriata in grande stile. O forse no. L’ultima volta, lei e Ash si erano a malapena salutati. Nonostante continuasse a ripetersi che si trattasse solamente di un’inutile paranoia, non poteva fare a meno di credere che la loro amicizia si fosse indebolita col tempo trascorso a grossa distanza l’uno dall’altra. Che cosa triste, pensò.
«Che muso lungo.»
Daisy, sua sorella maggiore, si unì a loro.
«Non riuscivo più ad addormentarmi» specificò.
«Misty è in crisi perché le manca il suo ragazzo. Come se fosse tutto ‘sto granché» buttò lì Violet con noncuranza.
Misty le lanciò l’ennesima occhiataccia, esasperata, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla.
«Al contrario, Violet, dovrebbe essere molto fiera di lui invece» fu la curiosa risposta di Daisy.
Misty ebbe la sensazione di essersi persa qualcosa.
«E come mai, scusa?» domandò.
«Ma come, non lo sai?» la guardò stranita Daisy. «Si è qualificato tra i primi quattro al torneo della Lega di Sinnoh!»
Tra i primi quattro? Al torneo della Lega di Sinnoh? E come mai lei non ne sapeva niente?
«Come l’hai saputo? E soprattutto, come mai non mi avevi detto nulla?!» le chiese.
«L’ho letto su una delle mie riviste di gossip, quelle che a te non piacciono. C’era uno speciale sulla regione di Sinnoh e hanno fatto il suo nome. Scusami, ma dovresti essere tu a informarti, non ti pare?» E difatti non aveva tutti torti. Quindi, con tutta probabilità, il viaggio a Sinnoh di Ash era terminato...

***



Finalmente erano arrivati. Il Quartier Generale del Team Rocket, nella regione di Kanto, era esattamente come lo avevano lasciato. L’unica differenza che Jessie, James e Meowth notarono era una nuova gigantesca “R” che spiccava al centro della struttura esterna dell’edificio.
«Dunque, eccoci» furono le prime parole di Jessie.
«Ogni volta che ci troviamo qui mi sembra di fare ritorno ai tempi dell’accademia» rievocò il passato James.
L’accademia... quanti ricordi per il trio. Come matricole non erano nemmeno niente male. Appena furono promossi come agenti, presi dall’entusiasmo disegnarono le loro divise personali, che si distinguevano da quelle classiche del Team Rocket, solitamente nere, per il loro caratteristico colore bianco, e non tardarono molto a farsi conoscere nella regione. Come dimenticare le foto segnaletiche che avvertivano i cittadini di stare in guardia dal terribile trio?
Poi si imbatterono in quel Pikachu. In quei mocciosi. Il resto... beh, si sa.
Meowth si fece avanti: «Chissà che cos’hanno in serbo per noi.»
«Beh, c’è solo un modo per scoprirlo» replicò Jessie.
I tre sventurati membri del Team Rocket si addentrarono nel Quartier Generale. C’era un gran via vai di reclute, ognuna con un compito ben preciso da portare a termine. Erano davvero gli unici ad essere rimasti allo sbando per tutto quel tempo?
Si diressero verso la reception che si trovava nell’atrio. Delle gabbie con all’interno Pokémon rubati ad alcuni sfortunati allenatori attendevano di trovare una sistemazione migliore. Gli strani petali di un Vileplume che ancora non si era arreso alla prigionia fecero supporre il trio che il bottino provenisse dalle Isole Orange.
«Ma guarda un po’ chi si vede.»
I tre si voltarono. Dei sogghignanti Cassidy e Butch li stavano fissando con aria di sufficienza.
«Jessie-la-perdente ha fatto ritorno nella regione di Kanto, dobbiamo esserne onorati. Siete venuti qui per implorare il capo di affidarvi qualche lavoretto da disperati? Non so, ripulire le gabbie dagli escrementi di Pokémon?» e indicò le gabbie alle loro spalle.
Naturalmente questo bastò per far perdere le staffe a Jessie: «Guarda che siamo stati convocati qui per una ragione ben precisa!»
«Ma davvero? E quale sarebbe?» si introdusse Butch nella conversazione.
«Beh... non lo sappiamo ancora...» rispose Jessie suo malgrado.
L’odiato duo scoppiò in una fragorosa risata e ben presto cominciarono ad attirare l’attenzione di tutti i presenti.
«Probabilmente vogliono regalarvi un licenziamento ufficiale» ipotizzò Cassidy con crudele ironia.
James si sentì colpito nel profondo: «...e se avessero ragione, Jessie?»
«Non dire sciocchezze, James» lo rimproverò Meowth.
«Stammi bene a sentire, agente dei miei stivali» si rivolse Jessie a Cassidy. «A breve dimostreremo il nostro valore a tutta l’organizzazione. Non so come, non so quando, ma ti garantisco che ci riusciremo. E allora la mia vendetta sarà tremenda.»
Questa volta era seria e Cassidy probabilmente afferrò il concetto. Una smorfia di disprezzo segnò il suo volto per qualche secondo per poi essere sostituita da un ghigno che stava a significare che la sfida era accettata. Senza proferire una parola, i due membri levarono le tende.
«Sei stata davvero fenomenale, Jessie!» si congratulò James.
«Sì, lo so. Muoviamoci ora, non facciamo attendere oltre il capo.»
Mostrarono le loro tessere riconoscitive alla reception. La donna che stava dall’altra parte del banco, anch’ella indossante una divisa del Team Rocket, compose velocemente un numero sul telefono che aveva alla sua sinistra e informò qualcuno del loro arrivo.
Erano davvero molto in ansia. Da tempo il Quartier Generale non li contattava di sua iniziativa, più o meno da quando avevano lasciato per la prima volta la regione, e la segretaria di Giovanni aveva lasciato intendere che dietro c’era qualcosa di grosso. Altro che licenziamento. Non potevano fare a meno di chiedersi perché avessero selezionato proprio loro fra tanti agenti, qualsiasi lavoro dovessero svolgere.
La donna finalmente parlò: «Prego, il nostro capo vi attende nel suo ufficio. Tredicesimo piano, ultima porta in fondo al corridoio.»
Evidentemente l’ufficio del capo non era dove ricordavano che fosse. Raggiunsero gli ascensori. Si erano ammutoliti tutti quanti. Jessie, con il suo solito fare da leader del gruppo, premette il pulsante su cui era inciso un grosso numero 13. L’ascensore cominciò a muoversi e quei pochi istanti di salita parevano non finire mai. Quando le porte si aprirono, un corridoio relativamente piccolo illuminato unicamente da opache luci azzurre si stagliava davanti a loro.
Seguendo le indicazioni che erano state date loro, fecero per bussare a quella che era l’ultima porta in fondo, che a dispetto di quello che si potesse immaginare non presentava alcun segno particolare per indicare chi era l’occupante della stanza, ma vennero preceduti dalla stessa segretaria che si era messa in contatto con loro nella regione di Sinnoh, la quale li accolse all’interno.
«Prego, entrate» furono le sue uniche parole.
Come da tradizione, l’ufficio di Giovanni era davvero spazioso. L’ambizioso capo del Team Rocket era un amante del lusso, e non si faceva alcuno scrupolo a renderlo noto. Sulle pareti erano esposti dei grandi quadri che dovevano valere abbastanza soldi da soldi da riuscire a sfamare una persona per il resto della propria vita e oltre. Il tappeto su cui avevano poggiato i piedi rendeva sordo il rumore dei loro passi e persino la scrivania sembrava essere di un metallo pregiatissimo.
«Vi do il benvenuto, agenti» li salutò Giovanni.
«Buonasera, signore» ricambiò il trio all’unisono.
Il fedele Persian del loro superiore, che prima non avevano notato, alzò il capo e si mise a fissare Meowth con un’espressione indecifrabile.
«Il motivo per cui siete stati convocati è molto semplice.»
Detto questo, fece cenno alla propria segretaria di dare delucidazioni.
«La nostra organizzazione intende cominciare a fondare le basi per insediarsi nella lontana regione di Unima. Siete stati selezionati per far parte di una truppa speciale che andrà in avanscoperta nel territorio straniero.»
Chiaro e conciso. Non avevano mai sentito molto parlare della regione di Unima, principalmente perché era molto distante dalle regioni che avevano visitato finora. Si sentirono un po’ spaesati.
Dal momento che la segretaria sembrava aver già finito la sua spiegazione, James prese coraggio e domandò: «Se posso chiedere, come mai siamo stati selezionati proprio noi per questo compito?»
«Dai nostri dati risulta che voi due avete già visitato regioni in cui non sono presenti stabilimenti del Team Rocket. Inoltre ci è giunta notizia che, per merito del vostro duro lavoro, la pericolosa concorrenza nota come Team Galassia e la cacciatrice J sono stati eliminati. Per questi motivi, riteniamo che siate gli agenti più idonei per questa missione.»
Deglutirono. La prima soffiata era fondata, la seconda no. Non ci fu bisogno di consultazioni per decidere di tacere sull’argomento.
La misteriosa donna porse due dossier a Jessie e James.
«Qui troverete tutti i dettagli in merito all’operazione. Domande?»
Il colloquio sembrava stesse già per finire.
«Ehm... io ne avrei una...» mugugnò Meowth. «Perché a me non è stato consegnato alcun dossier?»
«È molto semplice. Tu sei un Pokémon. Inoltre non possiamo rischiare di dare nell’occhio in questa delicata missione, perciò...» e qui si rivolse a Jessie e James. «Non vi sarà permesso portare con voi alcun Pokémon che non sia nativo della regione di Unima.»
«Cosa!?»
L’esclamazione per i due ragazzi fu automatica. A Meowth invece sorse un dubbio terribile.
«Questo significa che...» cominciò il felino.
«Esatto. Non potrai accompagnare i tuoi compagni in questa missione. Tuttavia, non hai nulla da temere: verrai trasferito in un’altra squadra e potrai continuare a operare qui nella regione di Kanto.»
«Chiedo scusa» si intromise Jessie. «Per noi Meowth è un alleato fondamentale. Sono convinta che la sua assenza durante l’operazione limiterebbe le nostre possibilità di successo.»
La segretaria ricambiò in maniera impassibile: «Mi dispiace, ma le indicazioni sono chiare. La...»
«Non sarà un Meowth a fare la differenza» la interruppe Giovanni inaspettatamente. «Ciò non toglie che dovrete prestare la massima discrezione.»
Meowth tirò un sospiro di sollievo, mentre i suoi due compagni intuirono che questa volta non sarebbe stato tollerato nemmeno il più piccolo dei fallimenti. Da quel momento, tutto sarebbe cambiato.

***



«Sono a casa!»
«Ash!»
Sua madre corse immediatamente ad abbracciarlo. Alle sue spalle, uno stravagante Mr. Mime esprimeva il suo benvenuto agitando la scopa che aveva in mano.
C’era poco da fare: casa sua rimaneva sempre casa sua.
«Ti ho preparato una cenetta coi fiocchi! Ho cucinato tutti i tuoi piatti preferiti! Ah, ovviamente anche la tua camera da letto è a posto, sarai stanco dopo il lungo viaggio! Ma dimmi, hai avuto difficoltà? E...»
«Ehi, mamma, lasciami respirare!» la frenò il figlio prima di rimanere soffocato da tanto affetto. E Delia riusciva a trasmetterne sempre tanto.
«Hai ragione, tesoro! Fai pure con calma, mi racconterai tutto più tardi!» si scusò lei. «Ciao, Pikachu!»
«Pika!» ricambiò il topo elettrico.
Ash salì al piano di sopra per sistemarsi, stanco ma tutto sommato felice. Un altro viaggio si era concluso.
La prima cosa che fece una volta entrato in camera sua fu affiancare le medaglie di Sinnoh a quelle di Kanto, Johto, Hoenn e Isole Orange che aveva già conquistato in passato. Oh, anche ai simboli del Parco Lotta ovviamente. A Sinnoh aveva fatto enormi passi da gigante. Non aveva vinto il torneo della Lega, questo è vero, ma poteva ritenersi comunque soddisfatto: aveva raggiunto un’affinità coi suoi Pokémon che rappresentava un traguardo davvero importante. Più tardi avrebbe sistemato anche tutto il resto.
Si diede una rinfrescata in bagno e poi corse giù in cucina per gustarsi i gustosi manicaretti di sua madre.
«Come stanno Lucinda e Brock? Tutto bene?» gli chiese.
«Certo!» rispose lasciando trasparire tutto il suo entusiasmo. «Lucinda è stata contattata da una famosa stilista della regione di Sinnoh, mentre Brock ha fatto il viaggio in nave con me. Ora è determinato a diventare un medico per Pokémon!»
«Ognuno ha trovato la sua strada, insomma» commentò Delia.
Le stavano sorgendo un milione di domande, ma quando vide il figlio ingozzarsi di cibo constatò che era meglio attendere che finisse di mangiare. Ad Ash bastava così poco per essere felice e lei era contenta di sapere come riuscire ad accontentarlo.
Il bene di suo figlio era sempre stato lo scopo primario della sua vita da quando era nato. Le sarebbe piaciuto averlo sempre accanto a sé, ma... purtroppo non sempre questo è possibile. Sapeva bene i Pokémon erano la vera vocazione di Ash, ormai l’aveva imparato, però questo implicava anche una certa lontananza. Non passava giorno in cui lei non volgesse i suoi pensieri al suo unico figlio, in cui si domandasse cosa stesse facendo in quel momento, se stesse giocando spensieratamente con i suoi Pokémon o se per disgrazia stesse male.
Quest’ultima era la più grande paura di Delia. Temeva sempre che succedesse qualcosa di grave ad Ash durante uno dei suoi viaggi e, nel triste caso in cui questo si avverasse, sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato. Vederlo tornare a casa ogni volta sano e salvo per lei era un sollievo indescrivibile.
«Oh, Ash» si rivolse a lui non appena ebbe finito di mangiare. «L’altro giorno è venuto a farmi visita Tracey per informarmi che il Professor Oak terrà una conferenza nella regione di Unima.»
«La regione di Unima? Dove si trova?» domandò curioso.
«È molto distante da Kanto. Là si trovano dei Pokémon impossibili da avvistare dalle nostre parti» spiegò lei.
Un sorriso smagliante si stampò in tre nanosecondi sul volto di Ash: «Wow! Sembra interessante!»
«Non avevo dubbi!» non nascose Delia. «Siamo stati invitati ad accompagnarlo! Ho pensato che sarebbe stato bello farci una piccola vacanza insieme dopo tanto tempo. Tu che ne pensi?»
«E me lo chiedi!?» balzò in piedi Ash. «Quando si parte?»
«Ehi, calma!» frenò il suo entusiasmo prima che la assalisse. «Partiremo fra due giorni, perciò avrai tutto il tempo necessario per riposare.»
Detto questo, trascorsero un altro po’ di tempo a parlare. Ash le raccontava i dettagli sui suoi incontri al torneo della Lega di Sinnoh mentre lei ascoltava compiacendosi della passione che il figlio metteva nei suoi combattimenti. Aveva fatto bene a lasciarlo partire. Dopodiché decisero di porre fine a quella che era stata una lunga giornata. La casa sembrava sempre più “viva” quando era presente Ash, e sapere che quella camera da letto non era vuota come la maggior parte del tempo riusciva a farla dormire sempre più serenamente.
«Buonanotte, mamma» le augurò.
«Buonanotte, Ash» ricambiò con dolcezza. «E ricorda: sono molto orgogliosa di te.»



Allora, avevo pubblicato questa fanfiction un po' di tempo fa. Poi rileggendola mi sono reso conto che faceva veramente schifo, quindi ho deciso di ripubblicarla. Spero che questo capitolo possa piacere a tutti coloro che lo leggeranno. A presto!
Roxas93
   
 
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