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Autore: Joy    06/05/2011    1 recensioni
Se quella voce non l’avesse richiamata indietro, nel buio che stava percorrendo si sarebbe smarrita.
… E la piccola Katerina avrebbe preso il sopravvento, soccombendo.
Il fratello che l’amava troppo...
Post 2x18.
Seguito di "I can keep it" di Gweiddi at Ecate.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Damon/Katherine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Chiamatemi Klaus

Questa storia, che mi ha fatto sudare le proverbiali sette camice, è il seguito di “I can keep it” scritta da Gweiddi at Ecate. Potete trovarla qui.

Dopo questo breve capitolo di mezzo, l’intera storia tornerà tra sue abili mani e troverà, quanto prima, conclusione in un finale come Dio comanda. (Ecate, sigillo di garanzia.) -_^! Aggiornamento: ecco il finale Back home

 

 

PATHETIC

 

 

 

-Chiamatemi Klaus.-

La sua voce assordante…

Paura.

-Zdravei, Katerina.-

Persino nell’incoscienza continuava a torturarla.

-Il pugnale, mio tesoro…-

Un sibilo gelido.

-Ancora.-

Dolore.

Boccheggiò e udì la porta che si apriva.

Cercò rifugio attraversando i secoli della sua memoria, immortale o non, ma la voce di lui continuava a seguirla e a scovarla, e così il suo ghigno inquietante.

-Zdravei, Katerina.-

Si lamentò debolmente e rinunciò, esausta, a cercare un luogo sicuro.

-Katherine?-

Si riscosse.

-Katherine…-

Lui non l’aveva mai chiamata così. Klaus usava solo il suo nome da umana, quello di quando era ancora fragile e ingenua, e malleabile.

Respirò profondamente e si concentrò su quello che lei stessa aveva scelto.

-Katherine!- si sentì chiamare, di nuovo.

Ricordò la sensazione.

Qualcuno che provava a salvarla gettando al vento la propria vita, qualcuno che contro il suo stesso volere, non poteva abbandonarla.

Se quella voce non l’avesse richiamata indietro, nel buio che stava percorrendo si sarebbe smarrita.

… E la piccola Katerina avrebbe preso il sopravvento, soccombendo.

-Ancora.-

Sollevò il pugnale e l’affondò nella carne, sorridendo gelida.

Il dolore non arrivò.

-Dannazione, Kat!- udì invece, e realizzò che qualcuno la stava proteggendo da se stessa, con il proprio corpo.

Riconobbe la carezza misurata della sua mano tra i capelli…

Un istante dopo si sentì strappare l’arma dalle mani.

Provò a trattenerla, contro la sua stessa volontà, ma lui si rivelò più forte e lei ringraziò il cielo di questo.

Sentì il ringhio rabbioso e le dita salde che scioglievano la sua presa; sospirò di sollievo quando riconobbe il tintinnio dell’oggetto che cadeva, scagliato lontano.

Nella sua infanzia era sempre suo padre a toglierle dalle mani gli oggetti pericolosi.

-Lascialo andare, Katerina.- le diceva.

-Lascialo andare.- le aveva ripetuto lui, ora.

Ma quello non era l’odore fresco e pungente di suo padre; sapeva di liquore e rabbia e di rimpianti sepolti.

Sentì le sue mani sul viso e le parvero fresche, contro il dolore bruciante.

Vi strusciò contro la guancia e ottenne in cambio un sussulto strozzato e due braccia che l’avvolsero.

-Non abbiate paura.- le aveva sussurrato Klaus scostandole dalle spalle la camicia da notte leggera, la prima notte che avevano trascorso insieme. –Sarò dolce con voi.-

Paura.

-No!- gridò respingendolo.

Si divincolò disperata e cedette al panico quando lui le afferrò le braccia con forza.

Cercò di graffiarlo e probabilmente ci riuscì, perché d’un tratto le giunse intenso l’odore del sangue. E non era il suo.

-Calmati! Sono io…- lo sentì dire, ma non poté arginare il terrore.

-Guardami!- le gridò di nuovo, prendendole il volto tra le mani con forza. –E fidati di me, per una volta.-

Quella voce…

Calda, non sprezzante.

-Siete bellissima, Katherine.- le aveva sussurrato rapito le volte che avevano trascorso i pomeriggi insieme, sdraiati sull’erba, immersi nel sole estivo.

Aprì gli occhi.

Damon.

Il fratello che l’amava troppo e che lei non aveva ritenuto abbastanza.

Capitolò.

E lasciò che lui la stringesse a sé.

-Ti porto via.- le sussurrò accarezzandole i capelli.

-Non posso andarmene.- biascicò lei contro la sua spalla.

Aveva la voce roca e spezzata; lui la scostò da sé per guardarla negli occhi.

-La suggestione impedisce a te di andartene.- le rispose, fissandola intensamente. –Ma non a me di portarti via contro la tua volontà.-

Sentì la speranza farsi largo dentro di sé e lui se ne accorse, perché le sorrise mentre passava una mano sotto le sue ginocchia.

Si ritrovò suo malgrado a combattere per eseguire l’ordine che le era stato imposto e per la prima volta nella sua vita ringraziò di essere tanto debole.

-Sta’ ferma.- l’ammonì lui bonariamente.

E quando, tra le sue braccia, varcò la soglia di quella che era stata la sua prigione, sentì Katerina dentro di sé piangere di sollievo.

Sfinita, reclinò la testa sulla spalla di Damon, permise alla propria mano di tradire la sua stessa fragilità, artigliando la stoffa della sua maglietta, e sprofondò in un sonno profondo con gli occhi asciutti.

 

***

 

-Ancora.-

Si risvegliò di colpo con la voce di Klaus che le ordinava di pugnalarsi.

Di nuovo.

Si alzò di scatto, nonostante i muscoli doloranti e si avvicinò allo scrittoio in cerca di un’arma.

Pregò che non ve ne fossero e sentì le sue speranze infrangersi quando intravide il luccichio di un tagliacarte.

-Maledizione.- borbottò, non potendo fare a meno di afferrarlo.

Chiuse gli occhi, lo sollevò e affondò con forza, ma ancora una volta il dolore non arrivò.

Quando li riaprì, Damon Salvatore era di fronte a lei.

-Ben svegliata.- le disse cordiale, poi con ostentata pazienza si sfilò il tagliacarte dal braccio.

-Dobbiamo fare qualcosa per questa suggestione.- commentò subito dopo, scagliandolo lontano. –Sta diventando fastidiosa.-

-Grazie per aver sottolineato l’ovvio, Damon.- ribatté lei, stirando le labbra per nascondere il sorriso.

Lui invece rise apertamente. –Ti senti meglio, a quanto vedo.- constatò.

Katherine si lasciò cadere sulla poltrona più vicina; a dispetto delle sue parole si sentiva ancora fragile e scossa.

-Mi hai forse scambiata per la tua piccola Elena?- se ne uscì, tuttavia.

Damon sollevò gli occhi al cielo e soffocò uno sbuffo di malcelata sopportazione. –Taci, per favore.- le disse. –Elena non è mai stata tanto patetica.-

Ammutolì colpita e si guardò attorno per eludere i suoi occhi: la stanza era avvolta dalla penombra, ma una luce fioca filtrava dalla porta che dava sul corridoio.

Era giorno. Damon doveva aver tirato le tende per permetterle di riposare.

Il letto sul quale si era risvegliata era il suo, ed era macchiato di sangue. Abbassò lo sguardo sui propri abiti sporchi e laceri e sulla pelle chiazzata, e si lasciò sprofondare ancora di più nella poltrona.

L’espressione di Damon si addolcì.

-Bevi.- le disse, porgendole un bicchiere colmo fino all’orlo. –Ti riprenderai subito.-

Lo accettò con poca convinzione, ma dopo averlo svuotato, in effetti, si sentì meglio.

-Anche tu sai essere piuttosto patetico, caro il mio Damon.- si sentì in dovere di chiarire, con una nota di forzata allegria nella voce.

-Ma davvero?- le rispose lui, ilare.

Lei rise e si rannicchiò sulla poltrona, cingendosi le ginocchia con le braccia. –Dopo tutti questi anni, ancora ti preoccupi per me.-

Lui si chinò per passarle un dito sotto il mento, sorridendo sarcastico. –Incredibilmente patetico, da parte mia.- confermò. –La prossima volta che ti troverai nei guai, vedrò di non esserlo.-

Fece per voltarsi, ma lei gli trattenne la mano.

-Puoi fare il duro quanto ti pare, Damon, ma io ho conosciuto la tua umanità.- chiarì.- E l’ho amata, pure…-

S’irrigidì, interrompendosi.

-Ancora.-

L’ordine di Klaus tornò a torturarla.

Si alzò di scatto, cercando il tagliacarte abbandonato sul pavimento, ma prima che potesse raggiungerlo Damon le fu addosso.

-Io invece ho conosciuto la tua solo oggi, Katherine.- le disse afferrandole con forza le mani, per trattenerla. –Ma non mi piace.- la guardò negli occhi. –Ti ho odiata, ma non avrei mai voluto vederti così.-

Il fratello che l’amava troppo…

Si lasciò andare contro di lui, respirando forte per contrastare la suggestione.

-Continuerà per sempre, vero?- mormorò poi, contro il suo petto.

-La suggestione che t’impone di pugnalarti? Sì, probabilmente.- le rispose senza mezzi termini –Ma prima o poi farò fuori quel bastardo.- dichiarò sicuro di sé, e le sue braccia la strinsero un po’ più forte.

Lei chiuse gli occhi.

-Vorrei crederlo davvero.- sussurrò semplicemente.

-Non riesci proprio a fidarti di me, non è così?- commentò, e lei non rispose.

Ma Katerina sì.

Lei si fidava.

Lo stava gridando dai recessi della sua mente.

E nella penombra quieta, Katherine lasciò che fosse lei a prendere il sopravvento.

La sentì felice, mentre si riappropriava del suo corpo, poi si alzò in punta di piedi e posò entrambe le mani sul suo viso.

Gli accarezzò la guancia e il collo e lasciò che le sue dita gli scorressero tra i capelli, prima di sfiorargli la bocca con le labbra.

Aveva il retrogusto dolce di quando era ancora umano.

Lui non si mosse, la osservò guardingo e si permise a malapena di sfiorarla. –Come mi ferirai, questa volta?- le domandò con voce roca.

Katerina inclinò la testa per catturare i suoi occhi. –Non riesci proprio a fidarti di me, non è così?- gli ripropose, piegando la bocca in un sorriso.

-Se solo tu non me ne facessi pentire ogni volta…- ribatté quello.

Lei non rispose, chiuse gli occhi e respirò profondamente, godendosi la libertà conquistata dopo lungo tempo.

-Cos’è quest’odore?- domandò poi, corrugando la fronte e annusando l’aria.

-Gelsomino.- le rispose lui. –Immaginavo che ti avrebbe fatto piacere un bagno profumato.-

Katerina rise gioiosa e gli afferrò le mani.

-Mi farebbe piacere se tu lo facessi con me.- gli sussurrò dolcemente.

E anche Katherine, dentro di lei, annuì soddisfatta.

 

 

 

*Joy riconsegna il testimone a Gweiddi at Ecate*

 

La vasca da bagno è tutta tua. Fanne buon uso! -_^

 

  
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