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Autore: Evil Daughter    14/05/2011    15 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Qualcuno ci ha fatto il callo:prima si legge dopo si guarda il disegno a fine pagina, fate i bravi.


 

Standby

Capitolo IV – Dementia: è un'emorragia.


 

La metropoli dell’ovest, un ammasso ribelle d’umanità e infrastrutture in costante riproduzione, era stata inghiottita dalla cupa e deprimente oscurità invernale che, per quella sera, non aveva lasciato posto alle stelle.
I plumbei cumulonembi che avevano occultato il sole durante l’arco della giornata – dando però poca impressione d’essere minacciosi – stavano ora lanciando lampi e tuonavano catturando l’attenzione di pochi tra gli indifferenti abitanti di West City; annunciando loro l’incombere d’una notte burrascosa.
Il vento, anch’esso presente sin dal mattino, s’era alzato più forte arruffando una città già disordinata: alberi dai rami irti e spogli – simili alle secche e nodose dita d’una vecchia strega – ne erano scossi e tremavano; e i lampioni, che a ogni raffica oscillavano pericolosamente, ad intermittenza illuminavano le strade.
E mucchi di cartacce s’innalzavano in una danza scoordinata.


Piazzato davanti al finestrone che dava sull’ampia terrazza ovoidale della Capsule Corporation, c’era il signor Brief, rapito a contemplare gli spettacolari e tempestosi cambiamenti della natura.
In mano, teneva una fumante tazza di caffè bollente che non stava bevendo.
«Moglie, Bulma e Yamcha sono tornati?»
Domandò, richiamando l’attenzione della moglie immersa a sfogliare alcuni di quei giornali patinati dove la bellezza veniva osannata come unico credo femminile.
Parlandole, parte della cenere attaccata al mozzicone d’una Marlboro abbandonata a consumarsi fra le sue labbra cadde sgretolandosi sulla testa del malcapitato gattino nero che, da buon felino domestico, era preso a lavorarsi con fusa e miagolii la gamba del suo distratto padrone.
Il povero micio miagolò forte, invocando lo sguardo dello scienziato, il quale, lentamente, si chinò a togliergli dal capo i resti di carta e tabacco carbonizzati; per poi caricarselo in spalla dove al gattino piaceva stare.
«No, non ancora, come mai ti preoccupi?»
Rispose spensierata al consorte.
«Credo stia arrivando un brutto temporale, be' – diede uno sguardo al suo orologio da polso – mancano tre quarti d’ora alle venti, sicuramente saranno qui a breve»
Concluse fiducioso, e appoggiò la tazza sul davanzale accanto al finestrone, per avere le mani libere e spegnere la cicca affumicata in un posacenere tascabile.
«Caspita, com’è tardi! Meno male che me l’hai detto, vado subito a vedere cosa posso cucinare stasera»
La donna lasciò cadere co’ noncuranza le riviste contenenti bugie accuratamente impaginate
, e si precipitò in cucina.
«Sì, è tardi.»
Concordò l’uomo, restringendo il proprio campo visivo per concentrarsi su qualcosa di suggestivo e terribile tanto quanto l’imminente tempesta; su un essere che se ne stava confinato nel piccolo shuttle a forma di sfera da lui stesso costruito.
«Accidenti, quel Vegeta oggi non s’è fermato un minuto! Proprio non lo capisco, sforzarsi fino all’esaurimento… Bah!»
«Lo fa per conquistare il cuore di Bulma!»
Civettò prontamente e ad alta voce la sua compagna, chiudendo il frigo con una spinta dei fianchi. Aveva tirato fuori chili di carne.
«Ne sei sicura, moglie? Io so che vuole diventare ad ogni costo un Super Saiyan»
Asserì scettico l’uomo.
«Sì, vero, ma secondo me vuole dimostrarle quant’è potente e quanto sia migliore degli altri. Personalmente, lo trovo irresistibile!»
Tagliuzzare erbe aromatiche spettegolando al contempo era un dilettevole connubio per la mamma della scienziata. Le sue impressioni, oltremodo rosee, erano lontane; ma solo dalla realtà effettiva.
«Ah, voi donne sembrate sempre conoscere il nocciolo della questione. Almeno spero sospenda per cenare, si sta prolungando eccessivamente.»
Ed apprensivo, lo scienziato guardò ancora la navicella spaziale: vibrava come se dentro vi fosse imprigionato un demone dell’inferno.

 

 

~ ~ ~

 

Da osservare fuori dal finestrino non v’era alcunché, a parte le serpeggianti e luminose colonne di traffico che avevano paralizzato la maggior parte delle arterie principali della città. Ma Bulma Brief, geniale ed affascinante donna, proprietaria di qualsivoglia stravaganza tecnologica avente motore e circuiti elettronici, rimasta imbottigliata in quelle scie di ferraglia succhia benzina che a stento proseguivano una lenta marcia a passo d’uomo, s’ostinava a fissare con finto interesse un punto impreciso del caos in cui era immersa – sia concretamente che figurativamente – nel tentativo di non imprecare per aver scordato l’astuccio delle capsule Hoipoi a casa, con dentro il suo comodo e velocissimo elicottero 87.
Rassegnata, avvilita e un po’ triste.
A guidare la gabbia che la tratteneva era l’ancora fidanzato, nonché carceriere ignaro di sentimenti fasulli andati a male.
Poteva dirlo: la sindrome di chi si innamorava del proprio aguzzino non era altro che una sciocchezza per teenager sdolcinate. Lei tutto sentiva fuorché l’amore nei confronti del suo carceriere, l’unico che tra i due aveva recuperato la pace. Lo invidiava.
Stava rientrando alla Capsule C. peggio di come ne era uscita, con l’anello al dito: un cerchio d’oro spesso qualche millimetro che poteva essere meglio equiparato ad un cappio, ad una corda filacciosa stretta attorno al suo collo niveo e che Yamcha strattonava ad intermittenza. Lei, per non morirci impiccata, si trovava costretta a stargli incollata.
Tremava al pensiero di rivedere Vegeta. Con lo spilungone tra i piedi doveva tenersi a distanza dal saiyan, sforzarsi pure di non sfiorarlo con gli occhi, se non voleva destare nuovi sospetti.

La sai questa? Il primo posto in vetta alla montagna dei codardi l’hai occupato proprio tu.

Fosse stata una persona a parlarle si sarebbe tappata le orecchie, purtroppo il sermone le partiva in autonomo dentro la testa.
O lasci la scimmia o scalzi via lui. Basta che ti spicci, non ne possiamo più.
Era l’aguzzino quello da mollare, non il torvo. Anche se…
Non posso! Sarebbe una grossa cattiveria, ho detto di amarlo e... Quest’anello- 
No! Il male lo stai facendo ora, e dovresti saperlo: non si dicono le bugie!

Impazzire, altrimenti confessare… questo era il dramma.
Di sciuparsi l’intelligenza in noiose congetture non le andava.
«Yamcha…»
Disse, titubante, come se avesse dovuto intrattenere un discorso per sedare una folla di rivoltosi, col rischio di beccarsi qualche pallottola; e nel caso, forse, non le sarebbe dispiaciuto.
Quando lui si girò dandole attenzione, Bulma strinse più forte lo scimmiottino che teneva appoggiato al ventre.
«Devo parlarti»
Valutò rapidamente le varie possibilità che aveva di svignarsela a piedi tra le auto, casomai lo spilungone perdesse il controllo: reazione dall’alta percentuale di probabilità. Non era il momento azzeccato per dichiararsi ma... meglio essere rincorsa in mezzo al traffico che precipitare da una ruota panoramica.
«Dimmi, tesoro»
Il ragazzo usò una voce talmente melliflua, Bulma sentì il bisogno d’iniettarsi una dose d’insulina.
S’umettò le labbra per far scivolare meglio la confessione.
«Io… »
Quando le sembrò d’aver preso la giusta quantità di coraggio, con le parole pronte sulla rampa di lancio, una suoneria assurda partì a disfarle l’esibizione: era il cellulare di Yamcha. Lui non tardò a rispondere.
Il ragazzo cambiò marcia passando in seconda con la mano destra e con la sinistra prese il telefono dal taschino del giubbotto. L’auto avanzò di pochi metri. Grazie al traffico niente più corse spericolate.
Appena accettata la chiamata, Yamcha deglutì. Lo fece ripetutamente.
Assorta nel proprio fallimento, Bulma non ci fece caso: aveva interamente perso l’iniziativa di porre fine al suo deprecabile istrionismo.
«Sì, sono io… Veramente?! E quando?… Certo che sono pronto! Può contare su di me, ci sarò senz’altro… Ok, allora ci risentiamo… La ringrazio.»
La conversazione con l’ignoto interlocutore durò poco, ma bastò ad irrorare orrendamente di sudore la fronte dello spilungone.
«Era il mio coach»
Se ne uscì lui, senza che lei gli avesse chiesto nulla, dimenticando completamente quel che la sua fidanzata stava tentando di dirgli poco prima.
«Ricordi il tipo bassetto e grassottello? Quello occhialuto, con i baffi»
Voleva giocare a indovina chi, per caso?
Bulma non lo seguiva, aveva mente e bulbi oculari, con iride del medesimo colore dei capelli, rivolti al traffico. A quel po’ che riusciva ad intravedere dai finestrini che s’erano appannati. Anziché gabbia, bisognava chiamarla sauna.
«L’hai conosciuto alla mia prima partita di baseball, contro Ginger Town, quattro o cinque anni fa.»
L'aguzzino stava proseguendo tranquillo in un convinto monologo. Era così ebbro di sé da sbiadire fino a far scomparire tutto quel che lo circondava, compresa la sua preziosissima Bulma.
«Insomma, la stagione inizierà tra poco e vorrebbe formare una buona squadra per vincere il campionato… Quindi mi ha proposto di giocare come titolare»
Lei fece orecchie da mercante. Con quell’andamento di limacce, raggiungere casa stava diventando un’impresa.
Nell’attesa, non potendo guardare nulla dalla sua parte, ora completamente appannata – di girarsi verso l’aguzzino non se ne parlava – Bulma era passata a torturarsi con un laccio che penzolava dal cappuccio del suo cappotto: se lo arrotolava stretto attorno all’indice, bloccando la circolazione tanto da far diventare la punta del dito violacea.
«Lo so, t’avevo promesso che sarei stato con te… »
Altro silenzio. Lui credeva che lei fosse già su di giri.
«Però capisci, è un’occasione d’oro che non posso rifiutare, dovrò trasferirmi… Bulma, ma mi stai ascoltando?!»
Certo che lo ascoltava, adesso!

Sì, un’occasione d’oro… Per me.

Aveva preso la giusta frequenza, era tutta orecchi, pendeva dalle labbra del fidanzato ed aveva capito. Benissimo.
«Ti sento amore e sai… Non vorrei mi lasciassi sola di nuovo, ma ci sono rimasti meno di tre anni di vita e poi chissà cos’accadrà»
Falsamente sconsolata, rigirò l’anello sull’anulare.
La macchina era in folle. Lui la osservava attento.
«Non posso, non posso negartelo, Yamcha, sarei crudele a dirti di no.»
In verità sei una crudele ipocrita a dirgli niente.
Lo spilungone sgranò lo sguardo.
Pantomima eccellente.
Aveva sbrodolato fuori un discorso fluido, era stata più che convincente, addirittura le erano venuti gli occhi lucidi. Il rimorso l’aveva temporaneamente messo in panchina.
Doveva liberarsi di lui senza farglielo intendere, ed aggirare il guaio piuttosto che prenderlo di petto le parve la soluzione migliore.

Yamcha non riusciva a credere a quel che aveva sentito. Di solito, per una cosa del genere, Bulma gli avrebbe tirato il collo, in termini minimi. Non era da lei, ma il ragionamento funzionava.
Inoltre era venuto a galla cosa realmente la stesse turbando: l’arrivo dei cyborg. 
Come darle torto, se la faceva sotto pure lui.
«Bulma, non immaginavo me lo avresti concesso, ti ringrazio tanto però... non piangere, mi fai soffrire così, ti prego.»


Tutto quello che vuoi per farti togliere le tende, amore.


Gratitudine reciproca: Bulma sorrise e lo spilungone si sporse verso di lei per incollarle un bacio sulla bocca, ch’ella subì silenziosamente. Ma poco male: l’allocco aveva abboccato all’amo. Preso dalla buona notizia telefonica, non sospettò affatto cosa celasse quell’acconsentire tanto enfatico, anzi: il permesso della sua donna l’aveva maggiormente infervorato.

Un’attrice nata, ci stai sorprendendo. Dove hai imparato a recitare?

Bulma prese un fazzolettino dalla borsetta: doveva asciugarsi le lacrime – di gioia – che le stavano sciogliendo il trucco, e pulirsi di nascosto l’impronta bagnata che l’aguzzino schiumoso le aveva sbavato sulla labbra.

Intanto, una leggera pioggerellina cominciò a precipitare irrorando il trambusto di West City.
Come aveva previsto il papà della scienziata, era prossimo un tremendo acquazzone.


 

~ ~ ~

 

Millecentoventidue… No, millecentoventitré.

Aveva perso il conto e non aveva importanza. Fondamentale era resistere anche oltre lo stremo.
Continuò a sollevarsi verticalmente, facendo forza sul braccio destro. Il suo corpo disegnava un verticale perfetta, nessun segno di cedimento, ma dentro l’animo era a brandelli.

Solo i più nobili, valorosi e spietati guerrieri posso ambire a trasformarsi nel leggendario ed invincibile Super Saiyan. Colui che può far crollare l’intero universo ai suoi piedi.”

Cantilena ridondante. Gliel’avevano stamburata sin dalla tenera età, suo padre, i suoi sudditi, dalla cima dell’élite saiyan al rango più basso della specie; intortato a tal punto che aveva creduto d’essere l’unico in grado di raggiungerlo. Le carte le aveva in regola: era il Principe della razza guerriera più potente dell'universo, aveva sempre combattuto in prima linea, senza mai sottrarsi ad alcuna battaglia; e in quanto a spietatezza possedeva l’innata dote di far fuori chiunque – consanguineo o nemico che fosse – si parasse davanti al suo cammino. Di norma, nessuno veniva risparmiato.
Duemilatrecentosettantanove.
Ce l’avevano fatto credere così intensamente che, nella disperazione d’una vita ridotta a schiavitù, quello stadio era stato l’unica speranza a cui aggrapparsi nell’impresa di rompere le catene che lo tenevano prigioniero. E dopo aver atteso ed ingoiato molto dell’acido che gli aveva logorato l’esistenza, ogni cosa s’era polverizzata rivelandosi una vana illusione.
Tremilaseicentoquindici.
Costretto a dover supplicare aiuto ad uno uscito dal niente, a un traditore della patria… Vergognoso!
Uno che di saiyan possedeva solo il nome e neanche più, ricco d’una magnanimità tale che gli aveva risparmiato la vita, lasciandolo però strisciare nel disonore. Come un verme.
Il tipo che, impossibile a credersi, gli aveva mostrato la leggenda farsi realtà: Kakaroth.
Un guerriero di bassa lega, un disgustoso filantropo, combatteva per proteggere gli altri, era l’esatto opposto dei dettami inculcatigli nell’infanzia a cui lui aveva lavorato sodo e s’era dedicato al massimo.
Allora perché quel pidocchio sì e il Principe Vegeta, stereotipo perfetto, no?

Quattromilaottocentonovanta… ti detesto Kakaroth!

Come c’era scivolato, dopo tanto spezzarsi la schiena, a torturarsi rinchiuso in una camera su un pianeta d’imbecilli? Tra l’altro, luogo dove viveva l’arcirivale.
Per quale motivo, nonostante la rabbia immensa che provava, faticava così tanto per eguagliarlo?
Cosa aveva in più il pivellino che a lui mancava?

Assolutamente nulla.
Cinquemila.

Finito. Aveva terminato l’ultima serie di esercizi in quel giorno intensamente perseverati.
Come ogni sera, era il momento della prova: coi piedi a terra, Vegeta incrementò la sua aura, un bagliore azzurro ed intenso lo avvolse drappeggiando su di lui in una veste di luce.
La temperatura, allo sprigionarsi della sua forza, s’alzò a tal punto che dilatò il metallo, facendo pericolosamente cigolare le pareti della capsula che lo attorniavano.
Un'energia strepitosa, galattica come la sua provenienza, tuttavia… Niente, neppure una luminescenza dorata.
Da giorni saltava l'orario regolare dei pasti e qualsiasi altro bisogno fisico per rinvigorire la propria resistenza, perpetuando un training rigorosamente serrato. Un ritmo del genere non poteva lasciarlo invariato.
Eppure, nessun mutamento.
Amara delusione.
Gravosa da imbastardirlo maggiormente e spingerlo ad ampliare il suo accanimento.

Io sono il Principe dei saiyan e ti supererò!

Si chinò a terra con l’intento di iniziare una nuova sequenza di piegamenti.
Purtroppo, nonostante la fervida ambizione, il corpo disobbedì alla mente: crollò di faccia sul pavimento della navicella, con addosso una spinta di circa diciotto tonnellate.
Qualcosa era andato storto, aveva ceduto.
Oltre la fame, la spossatezza e la pesantezza dell’acido lattico che gli aveva gremito ogni fibra muscolare, Vegeta avvertì farsi più acuto un principio di dolore al braccio sinistro, quello con la spalla rattoppata.
La ferita sanguinava, di nuovo.
Probabilmente, qualche giro di bende non sarebbe bastato questa volta.
Maledizione!
Macchioline scarlatte si espansero con lentezza sulle fasciature che avevano retto fino a quell’istante. Vedendole il saiyan storse la labbra.
Ecco un’altra delle cose che lo imbestialivano: un pensiero che aveva inchiodato alla parete del “non mi riguarda” ma che, se pur fermo e non rilevante, s’era appollaiato nella sua mente e non andava via.
Di riflesso, per cancellarlo, pensò un’altra volta di demolire l’opera medica di Bulma e, ironia della sorte, tutto a un tratto non aveva più neanche le forze per sollevarsi da terra.
Si morse il labbro inferiore, non voleva urlare.
Poi, a sovrapporsi ai vari tormenti, tornò la limpida visione di quelle gambe sinuose andare via.
Gli comparì invadente nella testa.

Ragazzina… sei una ragazzina.

O era crollato il muro su cui era inchiodato il pensiero, o s’era schiodato il chiodo dove era appeso; in ogni caso gli stava ballando sui nervi.
Esausto: uno stato che gli dava il voltastomaco.
In lui ruggiva la voglia di continuare, letteralmente lo sbranava. A malincuore però, dovette prendere atto dei suoi limiti.
Se lo sconforto fosse stato una pietanza, il saiyan ne avrebbe fatto indigestione.
A pugni stretti, tremando, riuscì a malapena a rialzarsi per spegnere il simulatore di gravità; l’immagine fastidiosa l’aveva sempre fissa. Era vivida.
Finalmente leggero, andò ad infilarsi con fatica la tuta che durante gli allenamenti toglieva, preferendo ad essa un paio di pratici calzoncini.
Ma, improvvisamente o conseguentemente che fosse, un buio sordo lo invase. Ottenebrandolo, totalmente.
La visione pruriginosa? Beatamente svanita.
Era scomparso  tutto.

 


~ ~ ~




Bulma e il suo busillis, dopo aver sorbito file chilometriche d’intoppo urbano, all’incirca per due ore, erano rientrati dalla tournée del gelo e dell’ipocrisia: lei bagnata e furibonda, lui beato come un porco.
«Bentornati! Avete trascorso una bella giornata?»
Chiese ad entrambi la signora Brief, asciugandosi le mani su un grembiule. Il manzo impepato, profumato e salato stava a rosolarsi nel forno. La risposta arrivò da Yamcha. Bulma, priva di grazia, si stava liberando del cappotto zuppo, lanciando borsa e scimmietta, anch’esse bagnante, sul soffice divano del salotto.
«Sì, nonostante il freddo siamo stati bene. Abbiamo passato il pomeriggio al luna-park, peccato per il traffico e la pioggia durante il ritorno.»
A sentirlo la scienziata sbuffò. Freddo, glielo chiamava semplicemente freddo; aveva rischiato l’assideramento lei. E quella che lui aveva citato come pioggia s’era trasformata in diluvio nel momento in cui avevano abbandonato l’automobile per percorrere quattrocento metri a piedi, poiché l’entrata della sua grande abitazione era stata ostruita dalle auto in coda.
Conclusione: fradicia.
«Oh, il luna-park, che romantico! Non ci vado da un’eternità… Come vi invidio ragazzi!»
No, davvero tragico mamma, e non ti sei persa nulla.
«Se vuole, un giorno posso accompagnarla»
S’offrì galante lo spilungone. Lisciarsi la suocera era una delle sue peculiarità da baciapile.
«Ma cosa dici? Oramai non ho più l’età per certe cose»
«Suvvia! Io la trovo in forma smagliante»

L’automatica. Dov’è? Devo uccidermi.

Mentre provava a tenere calma l’irritazione che sopraggiungeva ascoltando l’allocco flirtare con sua madre in uno show indecente, Bulma si guardava intorno con circospezione: rincasando assieme Yamcha non s’era potuta accertare se la camera gravitazionale fosse stata in funzione; aveva paura di trovarsi torvo e aguzzino nel medesimo posto e allo stesso momento.
Accadrà, prima o poi.
Vocina porta iella.
L’agitazione che l’attanagliava aveva raggiunto cime siderali: Yamcha le aveva aperto un barlume di speranza con possibilità di amnistia e revoca della pena; senza però precisarle il quando se ne sarebbe andato.
Nella peggiore delle ipotesi avrebbe montato una lista d’impegni lavorativi da tenerla fuori casa talmente da spingerlo ad andarsene prima di subito. 
Quel che le faceva vorticare la preoccupazione come un’elica, era resistere alla serata. In particolare alla notte.
E allora? Gli diamo direttamente un calcio nel sedere e lo mandiamo via?
L’idea le parve egoisticamente invitante, però non in armonia con la natura della sua persona.
Sai cosa devi fare, non girarci intorno.
L’unico che vide sopraggiungere, fortunatamente, fu suo padre. Giunse con la solita cadenza pigra e serena di pantofolaio.
«Ehi, Bulma! Esattamente mezz’ora fa stavo fumando una sigaretta e guardavo il tempo… Veramente brutto, hai visto che pioggia?»
«Papà, io la pioggia non l’ho vista, l’ho presa! Perciò, arriva al dunque.»
Conosceva bene il suo vecchio e l'inclinazione ad intavolare inutili sproloqui senza senso.
«Sì... Che stavo dicendo?… Ah! Poi ho dato uno sguardo al mio orologio ed ho previsto che a momenti sareste tornati. E dopo mezz’ora eccovi qui!… Sai cara, credo però d’aver dimenticato quel che d’importante avevo da dirti… Be’, proverò a ricordarmene e poi te lo farò sapere»
La voglia di strapparsi i capelli uno ad uno era irrefrenabile: una madre in calore e un padre con crisi d’amnesia, già vedeva i cancelli del manicomio aprirsi per lei.

Cerchiamo di trovare un diversivo…
Andiamo a spiare Vegeta?!

 

~ ~ ~

 

Cipolle: le tagliuzzava con certa maestria, pronte da aggiungere all’intingolo che stava già sul fuoco. A lei non erano mai piaciute, non ne sopportava né l’odore né il sapore, ma si stavano rivelando ottime per riesumarla dalle innumerevoli congetture che l’avevano seppellita nell’angoscia. Le davano l’alibi per star distante dalla seccante presenza placidamente accomodata su una delle poltrone violacee del salotto, Yamcha. Rilassato a fare zapping davanti alla tv mentre fingeva di ascoltare il dott. Brief.
«Stasera tutti si leccheranno i baffi!»
Disse la signora Brief tirando fuori dal forno una teglia enorme con una lombata cotta a puntino.
«Se la pasta è pronta vado ad apparecchiare la tavola, con Yamcha siamo in cinque?»
A Bulma mancava solo il promemoria.
«No, in quattro.»
«Ne sei sicura?… Io, te, tuo padre, Yamcha e Vegeta. Cinque tesoro, bisogna apparecchiare per cinque.»
Sottolineò la donna, facendo la conta sulla punta delle dita.
«So benissimo quanti siamo, grazie! Ma se dico quattro è perché Vegeta non ci onorerà della sua presenza!»
Di consuetudine andava così, anche se più che esserne certa lo sperava.
«Ah, io ti dico che verrà. Oggi, mentre tu te ne stavi con Yamcha, è stato ad allenarsi tutto il giorno. Sono sicura che adesso avrà una gran fame»
Come ficcare l’unghia nella piaga e grattare, grattare, togliere pelle, grasso, muscoli, far zampillare il sangue e arrivare all’osso.
«Tipico, il grand'uomo deve dar sfoggio della sua testardaggine»
Disse la ragazza. Fingeva disinteresse, ma niente poteva camuffare la punta avvelenata nel suo tono. Non riusciva a capire se fosse l’insistenza della madre ad infastidirla o la sconsideratezza suicida di quel saiyan.
All’angoscia le si sommò un’insostenibile preoccupazione per il torvo devoto al martirio.
«Però, è bello avere in casa questi bei ragazzi! Fossi stata più giovane… Beata te Bulma!»
«Mamma, non dire idiozie.»
«Dico sul serio, alla tua età gli uomini che mi ronzavano attorno erano innumerevoli. Non sapevo chi preferire.»
Ironicamente sembrava le stesse facendo un piccolo resoconto della sua analoga condizione, se ci si riferiva esclusivamente all’indecisione: Vegeta di certo non le ronzava attorno, semmai, era il contrario.
«Alla fine scelsi tuo padre.»
Puntualizzò la donna, come per mettere un bollo alle gloriose memorie dei tempi andati.
«Perché lui?»
Mai avrebbe confessato i propri dilemmi sentimentali, ma trattare quell’argomento la incuriosiva. Era in cerca di consigli.
«Perché mi sentivo sicura, completa standogli accanto. Tra noi bastava uno sguardo per capirci e poi era così intelligente… Credo sia stato questo a farmi innamorare pazzamente di tuo padre.»
Completa, sicura... Intelligente?... Diamine, era lei il genio della situazione! Di ogni situazione.
Yamcha non lo era e lei quando gli stava vicino non provava nulla, oltre i rimpianti. Non ci voleva un esperto per arrivarci.
«Dimmi un po’, non ti sarai innamorata di Vegeta?»
La lama del coltello entrò affilata come l’insinuazione appena udita. S’era tagliata un dito.
Sua madre, oltre ad essere una cuoca generosa, era pure un’abile carnefice fattucchiera.

«Ti sei tagliata?! Oh, cielo, fammi vedere!»

Gocce di sangue colarono veloci ad imbrattare il pavimento, due di esse a macchiarle il vestito. Non le era nuova quella situazione.
«Devi esserti distratta perché t’ho chiesto se ti piace Vegeta, vero?»
Aggiunse ancora sua madre. Sembrava che la faccia della scienziata fosse diventata un depliant facile da sfogliare.
La signora Brief aveva un sorriso a trentadue denti.
«Ovviamente no! Mi hanno distratta le tue chiacchiere assurde!... Ahi, che male!»
«Su, non è niente… – disse la sua mamma, tenendole la mano – Oh, chi te l’ha regalato questo? È bellissimo!»
Si riferiva al cappio, cioè all’anellino che portava all’anulare sinistro. Guarda caso, si era ferita quel dito.

Magari ho l’inconscio desiderio di farlo fuori… Alt! Amare Vegeta, ammesso che sia amore, non vuol dire imitarlo. Prendi nota.

«È stato Yamcha?»
«Sì, me lo ha regalato lui.»
Non c’era entusiasmo nella sua voce. Il viso una maschera cerea, inespressivo.
Avrebbe voluto dirle che era stato Vegeta, ma certe cose potevano accadere solo nei suoi sogni: il saiyan non era tipo da ninnoli e romantica love story.

Lui preferisce le scazzottate, i massacri… Bei passatempi, no?

Gioielli, fiori, biglietti d'amore, poteva fare a meno di simili frivolezze edite nelle antologie di fiabe per bimbe delle elementari.

Improvvisamente, la scienziata fu illuminata dal lampo d’una scena grottesca e raccapricciante: c'era il saiyan, che le portava in dono i denti e la pelle di un avversario appena ucciso.
Sorrise e finalmente le si illuminò il viso. Coi denti ci avrebbe fatto una bella collana, la pelle sarebbe andata bene cucita sulla sua borsetta.
No, non le dispiaceva affatto... così.
Tutto ha un limite.
«Scommetto vorresti ti regalasse qualcosa anche Vegeta»
Per un momento dubitò che sua madre fosse riuscita a sbirciare anche tra i suoi inquietanti ed allettanti pensieri.
«Finiscila con questa storia mamma!»
Finiscila tu di partorire certe fantasie! Sei oscena.
Insisté la coscienza della scienziata.

«D’accordo, la smetto, se no Yamcha sente e s’ingelosisce. Comunque lo sapevo che ti piaceva. Ora ti lascio sola, vado a sistemare la tavola.»
Ecco, fa' la brava, prendi esempio da tua madre: smettila!

Si sciacquò il dito sotto il getto d’acqua del rubinetto e prese un cerotto per chiudere il piccolo taglio.
Erano dello stesso colore, il sangue suo e di Vegeta. Lui non l’aveva blu, escludendo il senso lato sull’appartenenza nobile – aspetto che fra l’altro l’affascinava – né verde o tanto meno viola come soleva una degna creatura aliena; ma era rosso uguale al suo. E lui non era un mostro coi tentacoli, le antenne e la pelle verde e viscida - come secondo l’immaginario popolare, che tanto immaginario non era: ne aveva visti di obbrobri spaventosi durante il suo viaggio nello spazio, e le bastava guardare Piccolo – il saiyan  aveva un corpo non dissimile da un umano, era un uomo… e lei era una donna.
Non montarti la testa.
Constatazioni ridicole che ponderava mentre, impassibile, osservava le minuscole chiazze di sangue asciugarsi sul tessuto del suo completo a righe. Se non si fosse sbrigata a lavarle con acqua fredda, sarebbero rimaste lì. Per sempre.
Mi chiedo perché non la smetti di startene là dentro. Sei un vero stupido!
Pensò Bulma. La sua non era rabbia, le mancava Vegeta: tre ore ancora e sarebbero scoccate le ventiquattro tonde tonde dall’ultima volta che l’aveva visto. E toccato.
È astinenza, questa?
No, il suffisso rimane invariato ma si chiama demenza.

Voleva vedere come stava immediatamente, al diavolo la vergogna e Yamcha ad una parete e pochi metri da lei!

Imbambolata a fissare il dito appena incerottato, s’accorse che il sangue era colato a sporcarle la pietra blu dell’anello, la quale aveva assunto un colore bordò scuro.
Voleva toglierselo, e non per pulirlo.
Detestava essere lì.
Non sopportava il suo fidanzato.
Desiderava solo andare da Vegeta.

 

«Bulma, di là ho finito. Ma... Cara, dove sei?»

 

Continua…

Note:

1. L’elicottero 87 di Bulma lo potete trovare nel fumetto n.17. Sì, le eliche non ce l’ha, ma dalla forma penso che Akira si sia ispirato ad, appunto, un elicottero (mi faccio troppi problemi, lo riconosco).
Oh, se odiate Yamcha recuperate il fumetto e gustatevi quel paio di vignette in cui Bulma fa l’isterica e chiama il suo fidanzato per nome:
stronzo.
2. Se vi state chiedendo a quale campionato mondiale vuole partecipare Yamcha è la World League di baseball, particolarità only anime che potete trovare nella puntata “il primo combattimento di Gohan”.
Qui gioca con una squadra che presumo si chiami
Taitans,sulle divise così è scritto. Comunque, sono dettagli che userò ed inserirò poi. Non vi lamentate se nel capitolo sono stata poco esauriente, ho i miei motivi per farlo.
3. La mamma di Bulma la conosciamo bene: è un’impicciona. A tal proposito ho voluto ricalcare conversazioni simili a quelle del cartone animato.
4.Altro disegno. Partendo da Bulma: la collana dentata che s’è immaginata non ho potuto non mettergliela (è stata una mia catarsi) idem per la borsa in vera pelle (chissà di chi), ma quella non si capisce, per fortuna. Passando a Vegeta… Aspetto un vostro giudizio (non mi andava di darci dentro con la massa muscolare, in fondo lui è“magro”, guardate QUI , un fisico equilibrato e asciutto, no?).
5.Ringrazio i miei lettori e i nuovi arrivati (con me bisogna avere molta pazienza, scusate il ritardo).


 

 

   
 
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