Uhm. Questo capitolo non mi garba come vorrei. Ma è
un capitolo di passaggio ed è necessario al proseguimento della storia. Vi
prego di perdonarmi per la bassa qualità
{ Capitolo 3
~Per Diana e per Ares
-...Ille, si fas est, superare divos-
Romanus si fermò a pochi passi dal
giovane che gli si trovava di fronte: a differenza di quando l’aveva visto per
la prima volta, i suoi occhi non era più specchi d’acqua gelida, ma fiamme,
fiamme d’odio che sfrigolavano nell’iride azzurra e in quella nera, pericolosa
e lucente, facendo dei suoi occhi lo sguardo sibillino del cobra.
E proprio un serpente gli ricordava in quel momento,
col corpo teso, il collo inarcato all’indietro e le labbra tirate sul volto
trasfigurato dalla rabbia.
Sembrava uno di quei cobra che i saltimbanchi
d’Alessandria facevano danzare per le vie di Roma al suono cadente d’un flauto:
il loro corpo sinuoso, rinchiuso in scaglie dure quanto eleganti, e la gola che
si gonfiava al sibilare della lingua biforcuta, celavano zanne impregnate di
veleno, nascondevano agli occhi dell’incauto un destino orribile. Romanus
non poté fare a meno chiedersi se il giovane fosse altrettanto pericoloso e
mortale.
-Dunque gli dei camminano davvero al fianco dei
mortali, in terra d’Egitto- commentò con accenno di sorriso –E io che non volevo credere a chi me lo
raccontava. Ora ho finalmente scoperto la causa della così veloce diffusione
del culto di Iside ai tempi di Silla1-
Nessuna risposta. Solo il pulsare iroso della vena
del collo. Solo il tendersi spasmodico delle dita. Aperte, chiuse, chiuse,
aperte, aperte, chiuse..
-Vuoi uccidermi?- Romanus soppesò bene le parole, scandendole il più possibile e
lasciandole scivolare sulle labbra con studiata lentezza.
L’altro si tese ancora, socchiudendo le palpebre e
digrignando i denti
-Potessi- rispose con un ringhio –Potessi lo farei
ben volentieri-
-Il Regno d’Egitto, presumo- continuò allora Romanus, chinando appena il capo ed
indirizzandogli un sorriso cortese.
-L’assassino di Polinice, per quanto posso
congetturare-
Un cobra. Esattamente come un cobra.
-E non solo- continuò Egitto, con voce velenosa e
sibilante –Lo stupratore di Seleuco. Il padrone della cagna Eumenide. Tutto in
te sa di Pidna, Magnesia e capra-
Romanus gettò indietro la testa,
ridendo.
-Ah! Dunque la mia fama mi ha preceduto!-
-Volano veloci le gesta del Figlio della Lupa. Anzi,
del Figlio della Cagna-
Fu questione di un attimo: Romanus si gettò sull’altro con un ringhio, afferrandogli i polsi e
costringendolo contro la parete, le mani ben schiacciate lungo i fianchi.
Gli occhi d’Egitto fremettero e Romanus si prese tutto il tempo di osservare la sua paura
baluginare di bianco dietro l’iride più chiara, inghiottendo il nero
dell’altra, ma non diminuì la presa. Continuò a stringere le dita attorno ai polsi,
torcendone la pelle fino a udire le ossa scricchiolare e gemere sotto i
polpastrelli; poteva sentire i muscoli dell’altro sussultare, il respiro che
scalpitava violento nel petto, il battito accelerato del cuore e il fiato che
usciva crepitando dalle labbra socchiuse.
-Ricorda bene una cosa, Egitto- mormorò, avvicinando
il viso a quello di lui fino ad avvertire i singulti freddi del suo respiro
lambirgli le labbra; la vena del collo pulsava, impazzita, e Romanus alzò gli occhi, da lì fino al
viso terreo, agli occhi sgranati, alle pupille dilatate e tremanti –Che tu lo
voglia o no, la nostra alleanza è decisa. Puoi provare a combattere, a
piangere, a battere i piedi come un bambino, ma non hai scelta. Lo senti anche tu, non è vero?- gli lasciò
andare il polso destro, per sfiorarne il dorso della mano –Il patto che Caio
Giulio Cesare e la tua co-reggente stanno siglando- fece scorrere le dita lungo
il suo braccio e le affondò tra i capelli biondi –Non è un legame che si
spezzerà tanto facilmente-
Sotto di lui, Egitto non osava nemmeno muoversi:
continuava a fissarlo con quegli occhi pieni di terrore, senza pronunciare
parola alcuna, senza gemere, quasi senza respirare.
-Polince..e Seleuco- mormorò al suo orecchio –Che
scelta avevo? Loro mi sfidarono e io vinsi. Ma tu sei fortunato- gli lasciò
andare anche l’altro polso e gli prese il viso fra le mani –Tra di noi vige la
pace, esiste un’alleanza. Vedi di non tradire la mia fiducia-
Detto questo, Romanus
si allontanò. Udì solamente il corpo d’Egitto scivolare contro la parete, poi i
suoi conati di vomito. Sogghignò e sparì nel nero della notte.
***
La bambina gettò la testa all’indietro, ridendo
felice mentre Ammone le prendeva le manine e la guidava nelle danze.
I corpi nudi delle ballerine lampeggiavano di bronzo
dietro le colonne, le dita pizzicate di polvere d’oro che scintillavano
languide nell’aria tremula delle lucerne, la schiena che si inarcava fino a
terra, le trecce nere delle parrucche aperte a ventaglio dietro le nuche.
Le auletridi2 suonavano facendo
ondeggiare le teste tintinnanti di perle, le guance arrossate dal vino e dallo
strumento, le mani che si muovevano veloci sul flauto, carezzandolo con
sapienza e maestria; ad accompagnare il suono acuto dell’aulos3 c’erano i passi cadenzati degli invitati al
Banchetto, i loro piedi che cadevano risonanti sul pavimento prezioso, dando
l’impressione di essere un unico, grande cuore pulsante.
Servi truccati e profumati da principi servivano
cacciagione, datteri, pesci e coppe di vino, sempre vuote, sempre piene, sempre
riempite fino all’orlo; risate e cicaleggio, dita che pizzicavano le cosce sode
d’una servetta, promesse e sussurri, danze ed evoluzioni, il profumo intenso
dell’incenso che toglieva il respiro, la bellezza della nuova Regina4
che toglieva il fiato.
Il giro di danza finì e la bambina aprì le braccia
con un risolino; Ammone si chinò e la strinse a sé, allontanandosi mentre le
ballerine si riunivano al centro della Sala, pronte a dare un nuovo assaggio
della propria bravura.
Il giovane si sedette ad un tavolo poco distante dal
trono del Faraone, la piccola sulle
ginocchia.
Si sentiva accaldato oltre ogni limite sopportabile,
la testa ronzava e girava, tutto lo stordimento che aveva preso il popolo
d’Egitto quella sera di festa si era riversato su di lui alla stregua del vino
nelle coppe di molti dignitari.
L’euforia gli correva nelle vene, arrampicandosi
fino al cuore e lì sibilando e crepitando come il fuoco nascosto dalle ceneri,
prima di levarsi in fiammate improvvise. Il volto indispettito di Cleopatra e
la piega addolorata delle labbra di Tolomeo non erano che ombre cui Ammone non
voleva dare alcuna importanza.
Voleva solo urlare, danzare, cantare, bere,
dimenticare ogni istante che non fosse quello presente, in un intorpidimento
dei sensi talmente piacevole da star male.
Reclinò il capo su una spalla, cogliendo con lo
sguardo la figura di Cesare: il condottiero stava intrattenendo una
discussione, rigorosamente in latino,
con Cleopatra, facendo roteare il polso sinistro e sorbendo della birra ogni
qualvolta finiva di parlare e lasciava le redini del discorso alla donna. Gli
occhi di Ammone si spostarono al di sopra del naso aquilino del romano, fino a
scorgere la figura in ombra di Roma.
Dacché Cleopatra e Cesare avevano stretto la loro
alleanza, dentro e fuori il talamo, Ammone aveva cercato in ogni modo di
evitare un altro spiacevole incontro con Roma, trovando rifugio all’interno
della Biblioteca e trascorrendo le proprie giornate a catalogare i papiri e
ricontrollare gli studi di Zenodoto di Efeso5, confrontando ogni
verso da lui atetizzato con quelli originali.
Entrava al Museo quando Selene scioglieva le briglie
ai cavalli della Notte ed Elio li aggiogava al proprio carro, fino a vedere
l’ultima ciocca scarlatta della loro criniera svanire oltre la linea
dell’orizzonte.
Ma in quel momento, nella Sala del Trono immersa nel
vociare e nel fuoco delle torce, sentiva gli occhi di Roma fissi nei suoi. Uno
sguardo famelico, lo stesso della lupa da cui si diceva fosse stato allevato.
Ammone carezzò la testa della bambina e le sussurrò
qualcosa all’orecchio; quella sorrise e scese dalle sue ginocchia, sgambettando
verso il padre, uno degli ambasciatori di Nubia, intento a conversare con
alcuni esponenti dell’alta aristocrazia egiziana.
Il giovane si alzò e rivolse un inchino al Faraone,
che lo degnò appena di un’occhiata prima di tornare a bere dalla sua coppa
intarsiata. Cleopatra seguitava a parlare con Cesare e Ammone decise di non
disturbarla.
Si avviò silenziosamente fuori dalla Sala,
scivolando tra i corpi sudati degli schiavi e i piatti ricchi di carne; una
delle auletridi, dagli occhi d’un nero intenso e le spalle aguzze, alzò lo
sguardo nella sua direzione. Il giovane sorrise, le si inginocchiò accanto le
prese una mano fra le sue, sfiorandole le labbra e sussurrandole all’orecchio di
raggiungerlo nelle sue stanze. La suonatrice di aulos arrossì, ma non abbassò lo sguardo: annuì, lasciando le dita
di Ammone e posando le labbra sullo strumento.
Ancora una volta, egli sentì lo sguardo di Roma
azzannarlo famelico alle spalle. Serrò la mascella e strinse i pugni, evitando
accuratamente di far trapelare il proprio disagio e il proprio disgusto.
Cleopatra e Cesare potevano siglare tutte le
alleanze possibili, segrete o alla luce del sole, ma c’era una parte cospicua
del popolo d’Egitto che ancora non si fidava di quei guerrieri dalle calzature
chiodate e dagli occhi truci.
E tutte quelle voci, quei sussurri spaventati che si
rincorrevano per le strade non solo di Alessandria, ma anche di Tebe, di Menfi,di
Eliopoli, persino fra le bianche rovine di Akhetaton6,
dove i signori del deserto, predatori di tombe, invisi a dei e uomini,
banchettavano con gli spiriti di quella valle maledetta, tutte quelle voci gli
pulsavano nelle orecchie, coprendo il suono dei flauti e le risa degli ospiti.
Doveva uscire, doveva uscire o sarebbe impazzito.
Ammone lasciò la Sala, respirando a pieni polmoni
l’aria fresca della sera. Rimase immobile per alcun istanti, osservando le luci
tremule delle fiaccole stendere un tappeto sanguigno ai suoi piedi, srotolarsi
lungo il colonnato, poggiarsi alle balaustra sopraelevata e rovesciarsi su
Alessandria con un silenzioso fragore. A quella vista, il cuore di Egitto si
gelò.
Quel fiume di sangue su cui stava poggiando i
piedi..! Un segno degli dei, forse?
Boccheggiò, portandosi una mano al petto e
stringendo con forza la stoffa del chitoniskos.
Che fosse..?
Come narrava Eschilo, quando la sua perfida
Clitemnestra nata dal ventre di una cagna guidava i passi del grande Agamennone
su di un tappeto purpureo, annunciandone la rovina?7
Il giovane si portò una mano alla fronte. Il
terreno, sotto di lui, prese ad ondeggiare e la vista divenne scura, solo il
rosso delle fiamme continuava ad ardere nelle tenebre in cui stava scivolando.
Solo quel colore intenso, liquido, caldo e metallico che già avvertiva mentre
gli scorreva tra le dita..
-Non immaginavo che tale potesse essere la forza del
popolo d’Egitto-
La voce, tra il canzonatorio e lo stupito, riuscì a
sottrarre Ammone dall’oscurità di cui era preda.
-Come..?- chiese, la bocca riarsa, alzando gli
occhi.
Roma inarcò un sopracciglio, giocherellando con la
mela che teneva fra le dita callose.
-L’Egitto ha bisogno di aiuto per rialzarsi?-
Solo allora il giovane si accorse di essere in
ginocchio. Lanciò un’occhiata furiosa all’altro e si rimise in piedi,
accasciandosi contro una colonna per non cadere di nuovo a terra.
-Che ci fa qui?- ringhiò, sbattendo più volte le
palpebre, la vista appannata –Non dovresti essere a traviare qualcuna delle
auletridi, Roma?-
-Romanus-
Ammone corrugò la fronte.
-Romanus-
ripeté l’altro con un ghigno –E’ il nome che gli dei scelsero per me. Puoi
usarlo, se è di tuo gusto-
-Perché mai dovrei chiamarti?- ribatté il giovane
–L’Egitto non ha bisogno di aiuto alcuno-
Romanus ridacchiò, lanciando la mela e
riprendendola al volo
-Eri in ginocchio, fino a pochi istanti fa-
-La cosa non dovrebbe interessarti-
-E’ così orgoglioso l’Egitto? Così forte da non
dover chiedere aiuto a chi è disposto a darglielo senza chiedere nulla in
cambio?-
-Non ti riguarda!- esclamò Ammone, stringendo i
pugni –Torna nella Sala, bevi e ubriacati! Ma ritorna alla tua terra domani
stesso!-
Il volto di Romanus
si trasfigurò: lo sguardo si fece ombroso, la piega delle labbra più dura, le
nocche, tale era la stretta attorno al frutto, sbiancarono.
-Basteranno le tue sole forze a sopportare una lotta
intestina?-
-Una..- Ammone si morse il labbro, sfiorandosi il
petto con le dita, proprio all’altezza del cuore; avrebbe voluto rispondere, ma
la voce gli mancò.
Da quando era stato dato l’annuncio delle nozze
ufficiali di Tolomeo con Cleopatra, le fitte erano andate aumentando, soprattutto
quando i suoi occhi incontravano lo sguardo del Faraone o quello della sorella
Arsinoe8. La corte era in fermento, Carmiana ed Iras non
permettevano che bevanda o cibo fosse dato alla loro signora se prima non fosse
stato controllato da uno dei servi più fidi. Lo spettro maledetto di Akhenaton, l’intrigo e l’assassinio
scivolavano come ombre tra i colonnati e la loro voce non era più solo un
flebile sussurro.
-Prendi..!-
Colto alla sprovvista, il giovane venne quasi
colpito sulla fronte dalla mela che l’altro gli aveva appena lanciato; fissò il
frutto, notando che vi erano stati incisi alcuni caratteri greci.
-Io..- mormorò –Per Diana..mi alleerò con Roma?!-
Romanus scoppiò a ridere, gettando la
testa all’indietro e battendo le mani sulle ginocchia.
-Hai giurato sugli dei! Non puoi tradire
l’alleanza!-
-Tu..! Tu…!- ringhiò Ammone, gli occhi fiammeggianti
–Come..! Come hai osato?!-
-Ho solo preso l’ispirazione da un tale Aconzio9-
l’uomo allargò le braccia e ghignò.
Il viso di Egitto si fece di fiamma.
Le nocche bianche attorno alla mela scarlatta.
***
Dacché le dune d’Egitto avevano mostrato il loro
volto agli dei, coronate d’oro, la Madre non aveva mai avuto dubbio alcuno.
Dacché aveva posato la pschent10 sulla testa di Menes11, baciandogli
la fronte e porgendogli una coppa riempita fino all’orlo dall’acqua del Nilo,
non aveva mai pensato che il suo regno avrebbe mai potuto avere una fine.
Era stata una lunga esistenza, la sua. Aveva
conquistato, era stata piegata, era stata costretta in catene dai Signori dei Carri12,
pregando che Nut nascondesse le sue preghiere dietro lo splendore d’una stella
e la portasse fino in Nubia, fino ad Ahmosis,
aveva visto lo splendore di Akhetaton
e la sua caduta, provato nel cuore l’ebbrezza eretica del Sole, aveva tenuto
fra le braccia Tutankhaton, baciato Tutankhamon13 sulla fronte,
ogni sole che era sorto, lei l’aveva osservato tramontare.
L’arrivo di Nicoforo fu l’inizio della fine.
Amon le aveva parlato nella notte,
mentre gemeva sotto le carezze dell’Impero Macedone, intrecciando i suoi respiri
crepitanti di deserto a quel fiato sibilante di lame. Non aveva voluto
ascoltare.
Lei, Sovrana della Terra Rossa e della Terra Nera,
schiava degli Hyksos, puttana dei Persiani, lei voleva tornare ad essere Iside, Madre, Maga e Sorella, Maat, la Giustizia, Sekhmet, la Guerra, Hathor,
Casa di Horus, Signora del Sistro. Bramava con tutta se stessa di tornare a
camminare per le vie di Tebe e di Menfi, ammantata di divino e di luce, Somma
Sacerdotessa d’un culto sconosciuto, Amata da Ra e dagli dei tutti.
Come poteva dare ascolto alle parole di Amon? Nicoforo le aveva promesso la
grandezza e lei non voleva, non poteva
credere in alcun modo che fossero solo bugie.
Sciocca, sciocca e vecchia Madre.
Nel fuoco di quell’amplesso sacro aveva consumato se
stessa.
Nell’oscurità di un tempio nascosto nelle viscere
dei Geb14, Madre Egitto
sentì il respiro pesante di Roma soffiare sulle dune del deserto. Le torce che
ancora davano una parvenza di vita alle figure incise nella roccia, quella luce
che scorreva sul torace nudo d’un cacciatore o brillava sull’ankh la divinità offriva al Sovrano,
tremolò appena e si spense.
Madre Egitto cadde in ginocchio.
E pianse.
***
-Acclamata Regina?- gridò Cleopatra, nel silenzio
della Biblioteca -Arsinoe è fuggita! Fuggita, ti dico!-
Ammone sollevò gli occhi dalla mela che teneva fra
le mani, e osservò il volto contratto della donna
-Si è rifugiata presso l’esercito, che l’ha
acclamata sua Regina- ripeté.
Cleopatra si portò le mani al viso, accasciandosi
contro la parete; non un singhiozzo, non un sospiro più profondo e tremulo
degli altri. Rimase così, e il giovane si chiese se stesse cercando di trovare
la forza per ammettere quello che stava succedendo oppure se stesse solo
sperando che i sapienti dipinti sul muro le sussurrassero silenti la soluzione.
Egitto prese lo stilo che aveva abbondato
all’entrata precipitosa della Regina e continuò ad incidere la mela laddove il
suo lavoro si era fermato. A fondo, sempre più a fondo nel cuore del frutto,
scavando in quel bianco fragile e molle, trafiggendo il rosso carminio della
buccia.
Era arrivata, dunque. Come Roma aveva predetto.
La guerra intestina.
Tolomeo XIII e Arsinoe IV si erano alleati contro
Cleopatra VII.
I fratelli bramavano il sangue della sorella.
Ammone sentiva il cuore bruciare e la testa doleva
come avvolta da un fiamme perenni. Lui e il popolo avevano scelto Cleopatra, ma
Tolomeo e l’esercito avevano acclamato Arsinoe.
E lui che non si era chiesto nulla..! Quando
Arsinoe, pochi giorni prima di fuggire, lo aveva raggiunto alla vasca della
Mezzaluna, non aveva sospettato nulla.
La donna gli si era seduta accanto e aveva
cominciato a parlare degli argomenti più svariati, dalla piena al culto di
Serapide, dalla Medea euripidea a quella di Apollonio, dallo splendore del Nilo
ad Hapy, divinità ermafrodita che ne
è fonte.
Il giovane l’aveva ascoltata con piacere, intervenendo
nel discorso di quando in quando, ma le parole presto avevano cominciato a
venire meno e gli occhi di Arsinoe a correre sempre un po’ più spesso ai suoi.
Fino alla domanda. Quella fatidica domanda su cui Ammone non si era interrogato
più del dovuto.
-Cosa, dunque,
Egitto, ti spinse a preferire Cleopatra a me?-
-Dunque, Egitto, cosa ti spinse a preferire me ad
Arsinoe?-
Egli alzò la testa d’improvviso, preso alla
sprovvista dalla voce di Cleopatra. La Regina lo stava fissando senza
espressione, in attesa.
-Parlasti mai
con mia Madre?-
-Parlasti mai con mia Madre?-
La donna corrugò la fronte.
-No. Mai mi è
stato concesso da lei tale onore-
-Molte volte mi è stato fatto questo onore-
-Ecco, dunque- sorrise Ammone, alzandosi –La tua
risposta-
***
“Ecco che da
giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità.
Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del
grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in
essa, per prepararci a non temere l'avvenire”15
Romanus poggiò il mento sulla mano, il
papiro di traverso sulle ginocchia.
Tito Lucrezio Caro16 gli aveva parlato
così spesso di Epicuro, ma lui non aveva mai avuto intenzione di leggere
qualcuno degli scritti del filosofo di Samo.
Eppure, non appena era entrato nella Biblioteca e
aveva sentito l’odore intenso dei papiri avvolgergli, anzi, colpirgli i sensi, come avrebbe detto
Lucrezio parlando dei suoi simulacra17,
subito aveva chiesto che gli venissero mostrati gli scritti di Epicuro.
E sotto il sole che colpiva il Museo, nel silenzio
rotto solo dal vento caldo del deserto, Romanus
sentì il proprio animo distendersi, facendo sua ogni parola che il nativo di
Samo scriveva al tale Meneceo.
-Prendi…!-
Giratosi e colto alla sprovvista, Romanus venne quasi colpito
sulla fronte dalla mela che Egitto, dietro di lui, gli aveva appena lanciato;
fissò il frutto, notando che vi erano stati incisi alcuni caratteri latini.
-Io..- mormorò –Per Ares..combatterò al fianco d’Egitto?-
-Hai giurato sugli dei- rispose il giovane, fissandolo
con sguardo colmo di sfida -Non puoi tradire l’alleanza-
Un ghigno sollevò le labbra di Romanus.
{~***~}
1Silla, Generale e dittatore
romano, vissuto fra 138 a.C. e il 78 a.C. Fu proprio durante questo suo periodo
che si diffuse a Roma il culto misterico di Iside.
2Suonatrici di flauto
3Il flauto
4Dopo l’incontro con Cesare,
Cleopatra venne fatta sposare al fratello e divenne formalmente Regina d’Egitto,
mentre prima era solo co-reggente.
5Zenodoto di Efeso: epistates (Bibliotecario, più o meno)
della Biblioteca di Alessandria: divise l’Iliade e l’Odissea in 24 libri; sulla
base di criteri interni giudicò non autentici molti versi che eliminò del
tutto, oppure lasciò nel testo ponendo accanto ad esso una lineetta
orizzontale, detta obelòs, che stava
ad indicare che quel verso, secondo lui, andava atetizzato (Atetesi, termine
usato da Luciano, letteralmente “Togliere
da un posto”, a privativo + radice –the di Tithemi, collocare) [Si ringrazia quella santa della mia prof di
latino e greco per gli appunti!]
6Akhetaton, oggi Tell-er-Amarna,
era la città che Akhenaton, il Faraone Eretico, aveva costruito nel bel mezzo
del deserto e che era andata incontro alla rovina alla morte del sovrano.
7Dalla tragedia eschilea Agamennone (prima tragedia della
trilogia dell’Orestea): Eschilo ha
sempre dato molta importanza ai simboli e agli oggetti scenici. Il tappeto
rosso su cui Clitemnestra fa camminare il marito Agamennone è annuncio della
morte imminente dell’eroe.
8Sorella di Cleopatra e Tolomeo.
Scappò da Alessandria e si rifugiò presso l’esercito, dove venne acclamata
Regina. Insieme al fratello dichiararono guerra a Cleopatra.
9Elegia di Callimaco, contenuta
nel libro III degli Aitia:
Aconzio, innamorato di Cidippe, durante una festa in onore di Artemide, a Delo,
le lancia una mela, su cui ha inciso la frase “Per Artemide, io sposerò Aconzio”.
Leggendo la frase ad alta voce, seconda la credenza popolare Cidippe si vincola
con giuramento d’amore al ragazzo. Romanus
usa il nome latino della dea Artemide.
10Corona Doppia
11Conosciuto anche col nome di Narmer, sarebbe stato lui ad unificare
Alto e Basso Egitto.
12Popolo nomade che provocò non
pochi problemi agli egizi. La famiglia dei Faraoni dell’epoca fu costretta a
rifugiarsi in Nubia e solo con Ahmosis
si tornò ad una dinastia puramente egizia.
13Si gioca sul fatto che Tutankhaton era un nome ancora legato ad
Akhenaton e alla sua “eresia”, mentre
Tutankhamon rientrava più nei “binari
sacerdotali”. Un ritorno alla normalità da parte del figlio dell’eretico.
14Dio Egizio rappresentante la
Terra
15Lettera a Meneceo, o “Lettera sulla Felicità”. Unico
scritto insieme alla “Lettera a Pitocle” e la “Lettera ad Erodoto” rimastoci di
Epicuro.
16Autore del De Rerum Naturam (Sulla Natura delle Cose), introdusse l’epicureismo
a Roma
17Simulacra
(in greco: èidola) : membrane sottilissime composte
da atomi che si staccano continuamente dagli oggetti e, colpendo i nostri
sensi, danno origine alle sensazioni.
Ringrazio davvero
tanto: claws , Jekkun e KuraCchan,
che continuano a seguire questi insani parti della mia mente malata e traviata
XD
E nel prossimo capitolo..BOTTE!!!!!